La rivoluzione comincia dai corpi
Note su Apocalisse e Rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu
- Pubblicato su Lundimatin il 16/6/2020 -
A partire da giovedì scorso, si può trovare nelle librerie Apocalisse e Rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu, appena rieditato in lingua francese dalle edizioni La Tempête. Questo libro è stato scritto nel 1972, in risposta alla pubblicazione del rapporto del Club di Roma sui Limiti dello Sviluppo. Commissionato dal MIT e finanziato dalla Fiat, il rapporto preconizzava una «crescita zero» ed un limite al capitalismo. Alla sua pubblicazione, Cesarano e Collu reagirono con un'analisi tempestiva e sottile di quello che è il modo in cui il capitalismo stava cambiando in quegli anni: le sue nuove armi erano diventate il millenarismo religioso, la colonizzazione dell'individualità e lo sviluppo di un'economia del debito. Allo stesso tempo, veniva proposto anche un rinnovamento dei concetti e dei modi dell'antagonismo rivoluzionario, che non sarebbe più stato il conflitto tra le classi, ma piuttosto la lotta dei corpi della specie umana contro il loro essere messi a morte da parte del processo capitalistico. A tutto ciò che mette in discussione la sopravvivenza stessa della specie, questo libro oppone una certezza: la rivoluzione comincia dai corpi. Giorgio Cesarano, a quel tempo, è stato un autore vicino alla critica situazionista. Egli ha anche partecipato alla fondazione del Gruppo Ludd, del quale, in quest'ambito, ha parlato Anselm Jappe.
I pochi iniziati agli scritti di Giorgio Cesarano formano una comunità segreta. E questo perché sicuramente questo autore ha prodotto un pensiero totale e senza compromessi, profondo e dialettico, scritto facendo uso di una prosa infuocata che non si lascia penetrare con facilità, e che continua, per quanto sotterranea, ad affascinare da quasi cinquant'anni. Vivente l'autore, tutti i suoi scritti teorici sono stati, per sua stessa ammissione, redatti «sotto l'effetto dell'urgenza». Cesarano aveva intuito, con grande acutezza, che negli anni '70 si stava aprendo una finestra che avrebbe potuto chiudersi molto rapidamente ed in maniera insidiosa, nella quale si sarebbe dovuto lottare violentemente contro le mistificazioni de «la politica». Il suo suicidio, nel 1975, avvenuto all'età di 47 anni, può essere compreso come un rifiuto di vedere come una simile opportunità storica poteva estinguersi in una liberazione fittizia.
Di portata ed intensità impressionante, il pensiero di Cesarano è tra quelli che possono trasformare irrimediabilmente il nostro modo di vedere e di vivere. E lo trasforma non in quanto possa apportare delle informazioni aggiuntive riguardo ad una tematica - come si accontentano di fare tanti libri deperibili - ma a partire dal fatto che riesce a rendere leggibili quelli che sono i giusti conflitto che rileviamo in noi stessi, senza riuscire a definirli in maniera adeguata. Avido lettore, ispirato tanto dalla psicoanalisi quanto dall'antropologia, sia dal marxismo che dalla biologia, Cesarano produce una visione del mondo disincantata ed esigente, all'altezza non solo del suo proprio tempo ma anche del nostro presente. La teoria del valore, delle forme di narcisismo contemporaneo, l'ecologia, la critica della psichiatria (e quella dell'antipsichiatria), della teologia, ma anche l'amore, la coppia, la passione, il desiderio e la trasgressione sono tutti temi che Cesarano affronta e stimola nella prospettiva di una rottura con la miseria della sopravvivenza.
I titoli delle sue opera hanno finito per assumere, nella misura in cui si approfondiva l'urgenza e si restringeva l'orizzonte, un significato particolare. E infatti, nel momento in cui la parola «apocalisse» si trova ormai sulla bocca di tutti, ed ogni soluzione riformista sembra essere diventata definitivamente irrealistica, come si fa a non accettare la sfida di un libro del 1972 che poneva già allora il conflitto nei termini di «apocalisse o rivoluzione»? Da parte di un autore che già nel 1974 proponeva in un «Manuale di sopravvivenza» di sbarazzarsi delle illusioni che parlavano della mutilazione dell'Io per porre finalmente sul serio la narrazione della nostra presenza nel mondo?
Quando Cesarano scrive questi libri, il Club di Roma, un vasto raduno interdisciplinare di esperti delle tendenza più avanzate del capitalismo, aveva appena pubblicato I Limiti dello Sviluppo. Questo testo, che inaugura il fiorire dell'ecologia dei politici che si svilupperà più tardi, e nella quale il peggio del '68 ci avrebbe comodamente sguazzato, intendeva offrire una soluzione duratura alla crisi sociale ed economica che in quegli anni attraversava lo sviluppo del capitale. Finanziato dalla Fiat, l'appello alla limitazione della crescita, alla frugalità e alla parsimonia, ed a una migliore gestione delle risorse, a Cesarano appariva immediatamente come una farsa che meritava la massima attenzione. Oltretutto, questa pubblicazione arriva poco tempo dopo la comparsa e l'affermarsi del potente movimento rivoluzionario italiano, al quale Cesarano, rinunciando all'età di quarant'anni a quella che era la sua vita precedente, si era dato anima e corpo. È quindi dall'interno di queste lotte, e quindi dalle nostre, che Cesarano (ci) parla, che egli (ci) mette in guardia dall'accettare l'errore nella sua presunta contestazione, e (ci) indica la sfida di una guerra ad oltranza contro il mondo della produzione.
Ciò che questa pubblicazione del Club di Roma aveva finalmente reso visibile, era che il capitale avrebbe dovuto affrontare una crisi senza precedenti, e che non ha mai risolto: il limite delle risorse della biosfera. La mortifera potenza dell'economia sega il ramo su cui si trova seduta, ma nella sua caduta trascina con sé l'umanità tutta intera. A partire da quegli anni in poi, non sono solo le condizioni di vita ad essere diventate impossibili, ma nel lungo termine anche le condizioni di sopravvivenza della specie. In un simile contesto, l'antagonismo non può essere che totale e assoluto, e qualsiasi genere di intermediazioni appare una menzogna criminale. Tuttavia, sebbene sia la logica astratta del capitale ad essere responsabile di una simile situazione, sarà essa stessa che cercherà con tutti i mezzi di spacciarsi come l'ultima possibile utopia. D'ora in poi, gli scienziati vestiranno le vesti dei profeti, ai quali gli esseri umani dovranno consegnare ciecamente ogni loro fiducia. Di fronte al rullo compressore di un dominio impersonale e distruttivo, le alternative fatalmente sono: o l'apocalisse, o la rivoluzione.
Questa utopia del capitale ha cominciato ad essere edificata a partire dagli anni '70, quando le macchine hanno cominciato a tendere ad occupare una quota considerevole nel lavoro produttivo, e bisognava aprire nuovi territori per l'estrazione del plusvalore. Lo sviluppo del capitale fittizio - fittizio, in quanto non si basa sul valore attuale ma su quello futuro - si accompagna allora ad un'inedita colonizzazione dei quella che è l'interiorità. Per il capitale, superare una crisi non significa solo riorientare l'economia, ma anche produrre un uomo nuovo adeguato ad esse, un uomo che sia capace di sostenerla. La crisi economica determina una crisi metafisica, una crisi di senso, alla quale il capitale cercherà di porre rimedio a tutti i costi. L'investimento nella «persona sociale» (vale a dire l'individuo che - attraverso il movimento per mezzo del quale pretende di liberarsi - si trova separato da quelli che sono i suoi desideri reali, ma che viene saziato dall'industria culturale, e pienamente sottomesso alle esigenze della società, e perfettamente dipendente da essa) ha costituito una delle armi più insidiose ed efficaci del capitalismo degli anni '70.
È difficile, leggendo le righe che Cesarano dedica alla «persona sociale», non pensare a tutte quelle «reti» nelle quali ciascuno di noi, persuaso dell'originalità della propria storia, esprime ciò che è la miserabile omogeneità delle forme di vita del capitale. Quel che Cesarano analizza, rappresentandolo per mezzo delle categorie della linguistica, come se fosse un dominio del linguaggio sulla parola - vale a dire il dominio del significato di ciò che è morto e disincarnato sul significato di ciò che è vivente -, riflette questa investitura senza precedenti del dominio delle esigenze del capitale sulla vita degli uomini.
Allo stesso modo, anche il capitale fittizio, non basandosi più su un lavoro che esiste, bensì sul credito e sulla speculazione, per poter garantire il suo dominio, deve reintegrarsi e recuperare il discorso teologico. Il credito è perciò un credito di significato. Ogni crisi economica innesca una crisi metafisica, una crisi di quello che è il senso della vita. E ciò può essere sfruttato dal capitale per poter sottomettere gli individui alle proprie esigenze, al suo senso. Per riuscire ad annientare ogni asserzione, deve rendere sé stesso affermativo, assertivo. È quindi in tal modo che il discorso dell'apocalisse, elaborato abilmente dai nuovi profeti del Club di Roma e dell'ecologia di Stato, attesta quello che è un investimento nel dizionario religioso, il quale è idoneo alla riorganizzazione che si è resa necessaria per l'economia capitalistica. La teologia non si è mai separata dal discorso che legittima una riorganizzazione dell'economia: essa consente di nasconderla dietro uno schermo, offrendo un significato fittizio ad una minaccia prodotta nei termini di un vero e proprio antagonismo rivoluzionario.
Questo farsi carico della vita dell'individuo - una volta ridotto al ruolo di «persona sociale» - che si sviluppa parallelamente allo svilupparsi della cibernetica e si giustifica per mezzo di un discorso apocalittico, acquista, in questi tempi difficili che stiamo attraversando, un'inquietante attualità. La «società terapeutica» - termine preferibile a quello, ormai logoro, di «Biopolitica» - produce l'uomo a sua immagine e lo rende identico alla sua sopravvivenza. Come viene riassunto da Jacques Camatte, «lo sviluppo del capitale è delinquenza e demenza. Ormai tutto è permesso; non ci sono più tabù, né divieti. Ma nel loro vivere le diverse “perversioni”, gli uomini e le donne possono perdersi, distruggersi, e non essere più “produttivi” per il capitale; da qui la necessità di una comunità che li possa sempre reintegrare in quella del capitale (è più esattamente in quella che assume le dimensioni di una comunità terapeutica). Un team di terapisti specializzati faranno da mediatori per questo reinserimento.» La crisi di senso viene risolta nel contesto di una gestione e di un farsi carico di ogni più piccolo gesto, e attraverso un incomparabile sviluppo della propaganda. Ma si tratta, però, di una propaganda della «creatività individuale», dello «sviluppo personale»: una propaganda dell'Ego imprenditoriale.
Tuttavia, il pensiero di Cesarano non si ferma a questa sinistra constatazione. Grazie all'archeologia e alla biologia, Cesarano percepisce in quelli che sono i conflitti contemporanei, delle questioni irrisolte che attengono alla storia più nel lungo periodo. L'emergere di un senso, sopravvenuto in seguito alla rottura dell'uomo con l'animale, ha consentito lo svilupparsi di poteri religiosi e di gerarchie. Ed è attraverso differenti protesi, sia linguistiche che simboliche e religiose, che il corpo ha potuto separarsi gradualmente da sé stesso per realizzare il mondo, costituito in quanto cosa che gli sta di fronte. Se la questione metafisica ha una sua storia, essa si risolve quindi storicamente. La violenta introduzione di protesi astratte, che culminano durante il dominio capitalistico del corpo, secondo quelli che sono i termini di Cesarano richiedono una rivoluzione in cui si tratta, non di cambiare i dirigenti, ma «una rivoluzione biologica che definisce in maniera irrevocabile il destino della specie. La liberazione dall'immanenza della morte, coincide con la liberazione dei corpi della specie dalla “macchina” alienata, che si è impadronita delle sue modalità evolutive trasformandole in trappole mortali.»
Cesarano è stato un uomo abitato dalla certezza intima e profonda secondo cui il senso non si sarebbe lasciato offuscare, che la vita si sarebbe inevitabilmente sollevata contro tutto ciò che, ogni giorno sempre di più, la mutila e la nega. Egli ipotizzava che negli anni '70, questo dominio dell'interiorità fosse solo una fase del «dominio formale», che di fatto costituisse un gap, un'occasione, una possibilità. Ci si può chiedere legittimamente se i deliri transumanisti e la «rivoluzione» digitale non abbiano definitivamente portato a termine questa colonizzazione, e se perciò ora noi ci troviamo ormai allo stadio del «dominio reale» del capitale sui corpi. La capacità di separare gli esseri umani, sia da sé stessi quanto dagli altri, e di metterli in relazioni unicamente attraverso lo specchio delle loro «maschere» ha raggiunto un terrificante grado di sofisticazione. Allo stesso tempo, possiamo anche constatare che la risposta capitalista alla vecchia questione del senso comincia a fare acqua da tutte le parti. Le insurrezioni a venire non potranno non porre delle domande sempre più cruciali sulla vita e sulla morte, e persino sulla vita biologica contro la morte organizzata. In tal senso, Cesarano diventa un interlocutore privilegiato, e non può fare a meno di trasmetterci, anziché speranze sempre deluse, la certezza che un'altra vita è possibile, e che essa si costruisce già anche nel presente , e non potrà continuare per sempre ad abdicare alle proprie responsabilità.
- Pubblicato su Lundimatin il 16 giugno 2020 -
1 commento:
Strano suicidio......
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