Il 6 aprile 1967 Theodor Adorno tenne una conferenza all’Università di Vienna il cui valore va ben oltre l’aspetto puramente storico e che può aiutarci a comprendere il tempo che stiamo vivendo. Risalendo alle origini del consenso ottenuto dai movimenti radicali di destra, il filosofo intendeva chiarire le ragioni dell’ascesa dell’NPD, formazione di destra che all’epoca stava registrando un certo successo nella Repubblica Federale Tedesca. Adorno mette in luce e collega tra loro in modo inedito vari elementi: il congegno sofisticato della propaganda e l’antisemitismo, il connubio tra perfezione tecnologica e un «sistema folle», l’individuazione di un capro espiatorio e l’odio ostentato verso gli intellettuali di sinistra e la cultura in generale, la tendenza del capitale alla concentrazione e la paura diffusa di perdere il proprio status sociale. Oggi lo «spettro» a cui la conferenza è dedicata non solo non si è dissolto, ma assume nuove e inquietanti sembianze. Diventa dunque ancora più importante prendere coscienza dei meccanismi dell’agitazione fascista e dei fondamenti psicologici e sociali su cui poggia. Nella consapevolezza che «se si vogliono affrontare sul serio queste cose, bisogna richiamare in modo perentorio gli interessi di coloro ai quali la propaganda si rivolge. Ciò vale soprattutto per i giovani che devono essere messi in guardia» La postfazione dello storico Volker Veiss contestualizza il testo e lo inquadra in una prospettiva attuale.
(dal risvolto di copertina di: Theodor W. Adorno, "Aspetti del nuovo radicalismo di destra". Marsilio)
Il tempo dei fascismi
- di Giancarlo Bosetti -
Più di cinquant'anni prima del festival neonazi in Sassonia, dei raduni di Pegida e dei successi elettorali dell'estrema destra tedesca (Alternative für Deutschland, 11% alle ultime europee), il partito ufficiale dei nostalgici del nazismo, NPD, si era affacciato alle elezioni regionali tedesche, sorprendendo tutti. Fondata nel '64, questa formazione Nazional-democratica (lieve correzione rispetto all'originale hitleriano Nazional-socialista), tuttora esistente e mai messa al bando, sembrava in grado di entrare al Bundenstag raggiungendo il 5%, che poi mancò di poco nel '69 con un milione e mezzo di voti. Nel '67, l'allarme in tutta Europa era forte e gli studenti di Vienna chiamarono Theodor W. Adorno, sociologo, filosofo e figura preminente della teoria critica, a tenere una conferenza sul «nuovo radicalismo di destra». Questa era rimasta finora registrata su nastro e viene ora riproposta in un volumetto di rapida e interessante lettura.
Adorno durante gli anni americani aveva già prodotto, con un gruppo di lavoro sul pregiudizio e l'antisemitismo, la celebre ricerca sulla Personalità autoritaria e un altro saggio su La Teoria freudiana e la struttura della propaganda fascista. La psicologia del fascismo era per lui un tema centrale, ma di fronte all'uditorio di Vienna preferì trattare la questione nella concretezza politica del perché i nazisti si riaffacciano dal passato. La sua risposta è molto tagliente: le premesse sociali del fascismo sussistono e nascono prima di tutto dalle inadempienze della democrazia. Chi pensa che il problema nasca dal lunatic fringe, dai margini pazzoidi e incorreggibili della società, si sbaglia: quella è una tesi consolatoria. Il fatto è che da nessuna parte la democrazia si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista del contenuto economico sociale. I movimenti fascisti sono dunque come le piaghe o le cicatrici di una democrazia «che non è ancora pienamente all'altezza del proprio concetto».
Le basi del fascismo ripropongono il problema a ogni recessione economica: i gruppi sociali più esposti soffrono la disoccupazione, specialmente quella tecnologica, che induce sentimento di inutilità e paura. E a tutto questo si aggiunge la divisione in blocchi, all'epoca durissima, con l'«imago del comunista» alle porte della casa, e dei Gastarbeiter, gli immigrati dentro casa, altra bestia nera che alimenta il perenne stato di paura dei tedeschi circa la propria identità. Il nazionalismo torna dunque ad avere una funzione nei proclami fascisti, anche se è del tutto superato dalla storia, perché non è più «sostanziale», sostiene Adorno con espressione hegeliana, non corrisponde cioè più alla situazione oggettiva del tempo. Ma alcune ideologie diventano più virulente, demoniache e distruttive proprio quando il loro tempo è superato. Così come è accaduto con i processi alle streghe che non imperversarono nel Medio Evo del tomismo, ma secoli dopo, durante la Controriforma e poi nel Seicento e Settecento. Anche il nazionalismo di Hitler era non sostanziale, ma soprattutto ostentato, e ambivalente, titubante, «patico» (patisch) lo definisce Adorno, dato a bere, «rifilato» come emozione alla folla, pur senza convincenti basi oggettive.
E qui Adorno ritorna ai temi delle ricerche degli anni californiani: nella società di massa quella sostanza che non si trova è completamente sostituita dalla propaganda, dall'emozione indotta. «La propaganda è la cosa stessa, è la sostanza della politica». E la tecnica hitleriana per eccellenza era quella della bugia grossolana, che vestiva non un'ideologia, ma una prassi a-concettuale del potere. Prima della televisione commerciale, aggiungiamo noi oggi, prima dei social e della fake-factories.
«Gli Hitler e i Goebbels» sono stati «soprattutto propagandisti», «produttivi» come nessun altro. Non c'è limite al potenziale di movimenti che possono accrescersi in questo modo fino a diventare «sistemi della follia» sotto la guida di personalità manipolative. E quando al sistema della follia si aggiunge la «prospettiva strettamente tecnologica» abbiamo un risultato il cui prototipo è Himmler, l'architetto dell'olocausto.
Ma non serve davanti a una corte neonazi, avverte Adorno, parlare di umanità e di Auschwitz. Non ci provate, perché quelli si mettono a gridare «viva Auschwitz». Per dissolvere tanta ingenuità, per disintossicare, bisogna usare la forza d'urto della ragione con una verità realmente a-ideologica, bisogna richiamare sempre gli interessi di coloro a quali la propaganda si rivolge, mostrando che quella prospettiva porta alla sventura anche loro e che questa sventura è inclusa nel pacchetto nazi per vizio di origine. «Sotto Hitler le cose ci andavano bene a parte quella stupida guerra...». Ecco il congegno da disinnescare. Ricordate loro che una delle frasi preferite di Hitler davanti a un'ipotesi negativa era: «Allora preferisco spararmi un colpo in testa». Appunto.
Nei famosi, e molto discussi, lavori sulla personalità autoritaria Adorno aveva cercato di misurare con questionari il «fattore F» (come fascismo) della psicologia degli individui, che - spiegava - non sono la causa del fascismo, ma che il fascismo sfrutta per i suoi scopi di potere. Qui, nella Germania degli anni Sessanta vedeva sempre di più le vittime della propaganda nazista come i figli «genuini» di una cultura standardizzata di massa, derubati, prima che della memoria, della loro spontaneità e autonomia di giudizio.
- Giancarlo Bosetti - Pubblicato su Robinson del 9 maggio 2020 -
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