Il mio album di famiglia con regicida
- di Andrea Sceresini -
C'era nella città di Fresno, in California, una donna che non voleva essere trovata. Aveva paura che qualcuno potesse riconoscerla, ed era talmente terrorizzata che cercò di nascondersi persino da morta. Quando spirò, nel gennaio del 1981, chiese che sulla lapide venisse inciso soltanto il cognome del marito - Mitchell - perché il suo avrebbe dato fin troppo nell’occhio. Quella donna aveva un nipote, Craig, che oggi vive a Sacramento e lavora come manager al dipartimento delle opere pubbliche. Craig è il classico esponente della western middle class: vota repubblicano, ha una famiglia abbronzata, una casa con il giardino e la bandiera a stelle e strisce che sventola sul pennone. La verità sulle sue origini l'ha scoperta soltanto a diciott'anni, quando - da bravo ragazzo qual è - stava per diplomarsi a pieni voti in un college di successo. «Furono i miei a raccontarmi la cosa» - ricorda. «Per farlo, dovettero aspettare la morte della nonna, perché lei non avrebbe mai acconsentito. Ecco, il fatto è che aveva paura delle vendette: temeva che qualcuno, dall'Italia, venisse a cercarci per tirarci il collo».
La nonna di Craig si chiama Muriel, e quand'è venuta al mondo - il 22 settembre del 1900 - suo padre era già entrato nella storia. Lo aveva fatto passando fragorosamente dalla porta principale: acquistando una Harrington & Richardson a cinque colpi, attraversando l'oceano a bordo di un transatlantico, prendendo un treno per Monza e abbattendo con tre proiettili Umberto I di Savoia. Il suo nome era Gaetano Bresci, e di certo avrebbe avuto molto da ridire sulle successive frequentazioni sociali della sua progenie. Per decenni, storici, giornalisti e militanti libertari hanno tentato invano di rintracciare i discendenti dell'«anarchico uccisore di re». Probabilmente nessuno si sarebbe sognato di cercarli in una neighborhood californiana baciata dal sole del Pacifico, con tanto di vigilanza privata e i SUV d'ordinanza schierati sui vialetti d'ingresso. Ma la storia a volte fa giri strani - e non sempre nella direzione più logica.
Quando arrivò in America, nel gennaio 1898, Gaetano Bresci aveva 28 anni. Sì stabilì a Paterson, New Jersey, dove il profumo degli ideali rivoluzionari si mischiava al lezzo greve delle ciminiere industriali. A Paterson un operaio su cinque era di origine italiana, ed essere italiani a Paterson significava quasi autonomamente essere anarchici. Bresci si innamorò di una ragazza irlandese, Sophie Neil, la quale gli diede due figlie: Muriel, che già conosciamo, e Madeline, classe 1899 - l'unica che fece in tempo ad abbracciare il padre. Nel frattempo Bava Beccaris aveva cannoneggiato le folle proletarie di Milano e il giovane migrante si era procurato un bel revolver da sette dollari nell'armeria di H.M. Hash di Marker street. Come lo utilizzò è cosa nota: il 29 luglio del 1900 Bresci fu arrestato con l'arma in pugno dopo aver risolto - a modo suo - la memorabile questione. Venne condannato all'ergastolo e si accomiatò dalla corte inneggiando alla «prossima rivoluzione proletaria». Sarebbe morto l'anno seguente nel carcere di Santo Stefano, a Ventotene, quasi certamente per mano dei suoi secondini. Di Sophie, Muriel e Madeline non si sarebbe saputo più nulla - almeno fino a oggi.
Se gli chiedi del suo bisnonno, Craig non si scompone più di tanto. Negli anni Ottanta, lui e i suoi famigliari commissionarono a un neolaureato in italianistica a Barkley la traduzione del fortunato saggio di Arrigo Petacco “L'anarchico che venne dall'America”, che ancora oggi viene considerato il testo-chiave sull'argomento. Craig lo ha letto e riletto, ma lo ha fatto senza alcuna partigianeria. D'altronde, per Sophie, Muriel, Madeline e i loro discendenti questa non fu - decisamente - una storia facile. All'indomani del regicidio, i Bresci finirono nel mirino della polizia. Nel settembre del 1901, il sindaco di Cliffside Park, New Jersey - dove la famiglia si era trasferita - intimò alla donna di sloggiare e andarsene altrove «per prevenire eventuali problemi». «Andò a finire che si risposò», racconta Craig. «Convolò a nozze con un tale Joseph Mang, un sindacalista di origini tedesche. Grazie a Mang, Sophie, Muriel e Madeline ottennero l'unica cosa che in quel momento avrebbe potuto cavarle d'impaccio, almeno per qualche tempo: un nuovo cognome». I Mang presero alloggio nei sobborghi di Newark, dieci chilometri a ovest di Manhattan. Dividevano l'appartamento con un altro personaggio da film: l'anarchico Claus Timmermann, polemista e scrittore di notevole livello. Fu una convivenza serena, sostiene Craig: l'ombra delle persecuzioni si dissipò per qualche tempo, ed entrambe le bimbe crebbero con la convinzione che Joseph Mang fosse effettivamente loro padre. La verità sarebbe saltata fuori solo diversi anni dopo, quando Muriel era già adolescente. La ragazza reagì malissimo: ebbe una forte crisi di nervi, prese tutte le lettere e le fotografie di Bresci e le bruciò. Ma nel frattempo era successo anche dell'altro: Sophie aveva deciso di scomparire sul serio.
Il proseguio di questa vicenda meriterebbe probabilmente di essere raccontata in un libro. La storia di tre donne spaventate che vagano senza sosta in un'America in bianco e nero e dall'aspetto decisamente poco affabile - un'America che esse odiano, probabilmente, ma alla quale non riescono a sottrarsi.
Anno 1912: Sophie si lascia con Mang, prende con sé le figlie e fa rotta verso ovest. La prima tappa è a Chicago, dove Muriel viene provvisoriamente lasciata in consegna a un gruppo di anarchici italiani. Sophie e Madeline proseguono fino a Glacier Park, nel Montana, dove la fu Mrs. Bresci sbarca il lunario lavorando come cuoca in una tavola calda.
Anno 1913: la famiglia si riunisce a Seattle, vi resta per circa un anno e poi prende la via della California. Qui Sophie ricomincia a fare la cuciniera, mentre le due figlie, che ormai sono cresciute, si danno da fare sgobbando a mezzo servizio nelle case dei ricchi. Chissà con che sguardo le osservano quei signori dabbene che il loro padre avrebbe volentieri prese a pistolettate. Quel che è certo, è che le Bresci qualche soldo riescono finalmente a metterlo da parte. Così la vedova e le figlie del regicida di Monza mettono su casa a Monterey boulevard, San Francisco, dove i sogni al limite vanno in scena al cinematografo.
Ecco: al buon Craig questa è la parte della storia che ovviamente piace di più. «Di lì a qualche tempo Sophie, Muriel e Madeline si misero in proprio e aprirono un chioschetto dalle parti del molo», ricorda. «Sulle prime ebbero dei problemi con la malavita locale, che all'epoca imponeva il pizzo a tutti i bottegai. Ma per fortuna la mia bisnonna era in amicizia con i portuali, i quali intervennero subito in sua difesa e in quattro e quattr'otto risolsero la questione. Così nessuno la disturbò più. Le andò bene: in seguito avviò anche un salone di bellezza, mentre Muriel e Madeline si diedero alla musica. Fondarono un complesso femminile: le Lorelei Syncopaters». Sophie muore a San Francisco nel 1932, all'età di sessantasette anni: Muriel e Madeline si sposano e prendono ciascuna la propria strada. La seconda resta in città, dove si spegnerà serenamente nel 1974. Muriel invece va a Fresno, alle porte dello Yosemite National Park, si accasa in una ranch e mette al mondo tre figlie. La maggiore, Anne Lee, che è anche la madre del nostro Craig, finirà a lavorare per la Texas Electric's alla "Kitchen of Tomorrow".
La tomba di Muriel - quella con inciso il solo cognome del marito - si trova al Washington Colony Cemetery di Fresno, su un letto di muschio sperduto nelle campagne: è tutto ciò che resta. Negli anni Dieci, quando era bambina e viveva con gli anarchici di Chicago, la figlia di Bresci era stata ribattezzata con un soprannome che avrebbe dovuto essere, forse, anche un programma di vita: la chiamavano Gaetanina. Ma questo Craig preferisce non raccontarlo.
- Andrea Sceresini - Pubblicato su Repubblica del 3 giugno 2020 -
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