mercoledì 24 giugno 2020

Genova per noi

Il 1960 è una data cruciale nella storia politica italiana del secondo dopoguerra: mentre il cinema vive il suo periodo d’oro (escono Rocco e i suoi fratelli di Visconti e La dolce vita di Fellini), il «miracolo economico» è al suo culmine e Roma ospita le Olimpiadi, il Paese attraversa la peggiore crisi istituzionale dalla nascita della Repubblica. Ma che cosa accadde di così tragico in quell’anno? Ce lo raccontano Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone in questo libro denso e appassionante che ricostruisce, sulla base di importanti fonti inedite, i drammatici giorni dell’insurrezione di Genova contro la celebrazione del congresso del Movimento sociale italiano (MSI), dell’eccidio di Reggio Emilia, dei sanguinosi scontri di piazza, delle cariche dei carabinieri a cavallo contro un corteo antifascista a Roma, delle manifestazioni funestate da morti in Sicilia.
Siamo in pieno clima di guerra fredda e il sistema politico italiano riflette lo spirito del tempo: al Quirinale siede Giovanni Gronchi, il Partito comunista di Togliatti è diviso tra spinte rivoluzionarie e visioni riformiste, i socialisti di Nenni sono alla ricerca di una loro «autonomia», la DC di Moro, Fanfani, Segni, Scelba e Andreotti gestisce il potere e intrattiene legami molto stretti con le gerarchie ecclesiastiche della Chiesa di Roma. È in questo contesto che si inserisce la figura di Fernando Tambroni. Il politico marchigiano eletto alla Costituente nel 1946 nelle file della Democrazia cristiana e più volte ministro della Repubblica, viene però ricordato nei manuali di storia soltanto per i pochi mesi del 1960, durante i quali il governo monocolore democristiano da lui presieduto, e nato con il sostegno determinante del MSI, rischiò di gettare l’Italia sull’orlo della guerra civile. Nella memoria del Paese, la sua figura risulta ancora oggi «divisiva» e i fatti di quel 1960 oggetto di memorie contrapposte. A sessant’anni di distanza, Franzinelli e Giacone, che all’analisi storiografica affiancano numerosi aneddoti e dettagli di cronaca, provano a comprendere con gli strumenti della Storia quella pagina cruciale quanto oscura della Repubblica, ripercorrendo la biografia di uno dei suoi protagonisti e portandoci nelle viscere di un’Italia sotto tanti aspetti ancora premoderna e arretrata, ma nella quale già s’intravedevano i germi di una stagione di rinnovamento democratico e rinascita civile.

(dal risvolto di copertina di: Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone, "1960. L’Italia sull’orlo della guerra civile". Mondadori)

Era il luglio del 1960, c’era Tambroni e l’Italia rischiò davvero di fare “boom”
- di Giovanni De Luna -

La diffidenza con la quale molti guardano al mondo della politica spesso si traduce in una sorta di rimpianto dell’Italia democristiana, di un passato «in cui si stava meglio». Peccato si tratti di un passato «inventato», che non c’entra niente con la storia. Ce lo ricorda opportunamente l’ultimo libro di Franzinelli e Giacone, dedicato al luglio ’60 e a quelle giornate di 60 anni fa quando le piazze antifasciste,  affollate dai giovani delle «magliette a strisce», costrinsero alle dimissioni il governo presieduto dal democristiano Fernando Tambroni, spalancando la porta al centro sinistra e all’alleanza tra la DC e il PSI di Pietro Nenni. Nel loro lavoro gli autori hanno messo a punto un vero e proprio antidoto contro ogni tipo di nostalgia, raccontando la DC nei suoi aspetti peggiori, descrivendo, con dovizia di particolari e sulla base di una documentazione ineccepibile, un partito dilaniato da furibonde lotte intestine, pronto a ogni tipo di avventura per compiacere le sue varie correnti e i loro reciproci rapporti di forza, continuamente esposto alle incursioni del Vaticano (con la minaccia-ricatto di dar vita a un secondo partito cattolico), della Cia (come ricaduta della guerra fredda), dei servizi segreti, degli interessi dei grandi potentati economici, (l’Eni di Enrico Mattei e non solo).
Al centro di questa ricostruzione c’è la figura di Tambroni; il libro è infatti una sua compiuta biografia e ne attraversa tutta la vita fino all’avventura che lo catapultò alla Presidenza del Consiglio proprio durante i fatti del luglio ’60 ( morì poco dopo, a 61 anni, il 18 febbraio 1963). Franzinelli e Giacone raccontano così un Tambroni ossessionato dal potere e pronto a qualsiasi spregiudicatezza, un leader politico che usa colpi bassi verso amici e avversari, collezionando dossier (con il suo archivio segreto che finirà prima al Sifar, poi a Licio Gelli) e dilatando il lato oscuro delle nostre istituzioni.
I fatti del luglio ’60 sono noti. A Genova, il pomeriggio del 30 giugno 1960, un corteo di protesta, affollato da più di centomila persone, fu caricato dalla polizia. Ne nacquero scontri e tafferugli protrattisi fino a notte fonda. L’occasione di tutto questo subbuglio era stata la decisione del MSI, - il partito neofascista - avallata dal governo, di tenere il suo VI congresso nazionale proprio a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza: una scelta che aveva di colpo riaperto ferite non ancora sepolte dai detriti della memoria e del tempo. Presidente del consiglio era appunto Fernando Tambroni. Il suo governo era passato al Senato, il 29 aprile, proprio con l'appoggio determinante dei voti missini, ed era lo specchio delle grandi difficoltà che, al suo interno, la DC trovava nei confronti della decisione di imboccare la strada dell’«apertura a sinistra» cioè di abbandonare il «centrismo» e allearsi con i socialisti. In un clima di grande incertezza si era varato un monocolore «non programmaticamente impegnato», affidato proprio a Tambroni. Una pausa interlocutoria, in attesa che maturassero le condizioni favorevoli per una soluzione più spostata a sinistra, per la quale era pronto Fanfani. Quasi oggettivamente, così, Tambroni si trovò a interpretare il ruolo dell’ultimo baluardo prima dell'avvio di quel centrosinistra giudicato una catastrofica resa ai comunisti, giovandosi in questo senso degli appoggi di uno schieramento eterogeneo in cui confluivano alcune delle gerarchie vaticane più tradizionaliste, settori della destra economica e i fascisti, i quali, in nome dell’anticomunismo, speravano di trovare la loro grande occasione per legittimarsi come attendibili interlocutori della maggioranza governativa.
Fu così la piazza a mobilitarsi contro il suo governo. Il 5 luglio, a Licata, un corteo fu affrontato dalla polizia che sparò, uccidendo un operaio e ferendo gravemente altri cinque lavoratori. A Roma gli antifascisti organizzarono un comizio a Porta San Paolo, il 6 luglio, e vennero caricati dai carabinieri a cavallo.
Sciabolate e manganellate spalancarono una spirale di violenza. Il 7 luglio, per protestare contro quelle cariche, ancora uno sciopero, a Reggio Emilia. Altri scontri, altri spari della polizia e, purtroppo, altri morti. Questa volta furono cinque. E non era finita: a Palermo e a Catania altri morti, sempre con la polizia ad aprire il fuoco. Alla fine Tambroni fu costretto a dimettersi.
Nel dibattito storiografico questi scontri di piazza e le convulsioni governative che portarono all’abbandono della formula centrista appaiono oggi solo la certificazione politica dei cambiamenti profondi che investirono allora il nostro paese. All’inizio del decennio ’50-’60 il capitalismo italiano aveva ancora caratteristiche paleolitiche; alla soglia degli anni ’60 era praticamente in linea, almeno nelle sue più mature espressioni, col capitalismo francese, inglese, tedesco. Il boom economico fu impetuoso e travolgente. E l’apertura a sinistra fu la scelta di un mondo politico costretto ad adeguarsi a un cambiamento che lo aveva complessivamente spiazzato. Franzinelli e Giacone ci raccontano di quelle convulsioni, mostrandoci un desolante intreccio di «pedinamenti, intercettazioni, ricatti». Certo, la DC non era solo questo. Ma questa è la descrizione che ne fanno, con una citazione finale che rende bene la loro tesi; è di Giuseppe Alessi, padre nobile della DC e primo presidente dell’Assemblea regionale siciliana: «la DC di Moro è una merda; il suo tono politico e la sua ipocrisia riproducono lo squallore infido del suo capo».

- Giovanni De Luna - Pubblicato su Tuttolibri del 20 giugno 2020 -

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