martedì 2 giugno 2020

O la borsa o la vita!!

Morte in paradiso: violenza della polizia, pandemia e crimini del capitale
- di  Slavoj Žižek -

Il nostro mondo sta sprofondando gradualmente nella follia: anziché assistere ad una solidarietà globale coordinata contro la minaccia del covid-19, siamo testimoni non solo del proliferare di disastri nell'agricoltura, che aggravano quella che è la prospettiva di una carestia di proporzioni enormi (si registrano invasioni di locuste in aree che vanno dall'Africa orientale al Pakistan; la peste suina si sta diffondendo più forte che mai), ma anche dell'esplodere della violenza poliziesca, la quale viene assai spesso ignorata dai media (quanto poco si legge a proposito degli scontri, con diversi feriti, che avvengono alla frontiera militare tra India e Cina?). In un'epoca così disperata come questa, può essere giustificabile voler evadere di tanto in tanto verso la visione di una buona vecchia serie poliziesca, quale lo è la vecchia produzione franco-britannica "Death in Paradise" ["Delitti in Paradiso"]. Ma purtroppo viviamo un una realtà che continua a perseguitarci anche nella fiction, di modo che, perfino lì, in quell'immaginaria isola caraibica dove si svolge la serie, si impongono dei paralleli con l'attuale crisi pandemica. In uno degli ultimi episodi della serie, l'ispettore di polizia scopre che l'assassino, per cancellare le tracce del suo delitto, si è avvalso di un complice; e che questo complice non era altro che la vittima stessa: un uomo incline ad umiliare gli altri, ma che aveva anche degli empiti di colpa e di pentimento. In poche parole, il movente dell'omicidio sono le angherie e le brutali umiliazioni che subiva la vittima quand'era al liceo. Quando è già mortalmente ferito, la vittima si rende conto della sofferenza che aveva causato, e usa quelle che sono le sue ultime forze per inquinare la scena del crimine in modo da fa sembrare che l'omicidio sia stato commesso da una terza persona, scagionando così il vero assassino. In un gesto simile c'è qualcosa di nobile, il segno di un'autentica redenzione. Ma l'ideologia trova sempre il modo per corrompere gesti così nobili: riesce a far sì che la vittima, e non il criminale, cancelli volontariamente ogni traccia del crimine, e lo presenti come un prodotto del suo libero arbitrio. Non è forse questo ciò che migliaia di persone stanno facendo, nel "paradiso" chiamato Stati Uniti, quando manifestano rivendicando la fine del lockdown? Tornare troppo rapidamente alla "normalità", come sostiene Trump ed il suo management, espone troppe persone a quella che è la minaccia, potenzialmente letale, del contagio: ma anche così ci sono persone che lo pretendono, coprendo così ogni traccia del crimine di Trump (e del capitale). All'inizio del 20° secolo, molti lavoratori nelle miniere del Galles si rifiutavano di indossare elmetti ed altri costosi dispositivi protettivi, benché servissero a ridurre drasticamente la possibilità di incidenti mortali (che nelle miniere di carbone abbondavano); e ciò perché i costi degli equipaggiamenti sarebbero stati dedotti direttamente dai loro salari. Oggi, sembra di essere regrediti al medesimo disperato calcolo, il quale non è altro che la stessa versione rovesciata della vecchia scelta obbligata tra «o i soldi o la vita» (dove, è ovvio, si sceglie la "vita", anche se si tratta di una vita miserabile). Se oggi un lavoratore sceglie la "vita", anziché il "denaro", finisce per perderli entrambi, e quindi l'unica opzione è quella di tornare al lavoro per poter guadagnare denaro per poter sopravvivere; ma la "vita" che rimane viene ad essere brutalmente limitata da quella che è una minaccia di contagio e morte. Trump non è colpevole di uccidere i lavoratori, dopo tutto essi hanno fatto una libera scelta; ma è colpevole di offrire ai lavoratori una scelta "libera" in cui l'unico modo di sopravvivere è quello di rischiare la propria vita, e per sovrammercato li umilia ancora di più mettendoli in una situazione nella quale i lavoratori devono manifestare il loro "diritto" a morire sul posto di lavoro. A queste proteste contro il lockdown, vanno contrapposte le esplosioni di rabbia che stanno deflagrando ovunque in seguito ad un'altra morte che è avvenuta ne paradiso statunitense; la morte di George Floyd, a Minneapolis. Sebbene la rabbia di migliaia di neri che protestano contro questo atto di violenza della polizia non sia direttamente legata alla pandemia, è facile riconoscere nel contesto del suo scenario una chiara dimostrazione di quelle che sono le statistiche delle morti per covid-19: i neri e gli ispanici hanno una probabilità assai più alta di morire a causa del virus, rispetto agli americani bianchi. In questo modo, l'epidemia ha portato alla luce le conseguenze abbastanza materiali di quanto sia profonda negli Stati Uniti la voragine di classe: non si tratta solo di una questione di ricchezza e di povertà, ma è anche (in maniera abbastanza letterale) una questione di vita e di morte; e questo sia per quel che riguarda la polizia, sia per la pandemia del nuovo coronavirus. Tutto ciò, ci riporta al nostro punto di partenza - nella serie poliziesca - del nobile gesto della vittima che aiuta il criminale a cancellare ogni traccia del suo delitto: un atto, questo, se non giustificato, quanto meno comprensibile se visto come momento di disperazione. Sì, i manifestanti sono assai spesso violenti, ma bisogna concedere alla loro violenza un'indulgenza più o meno analoga a quella che la vittima concede al suo assassino nell'episodio di Delitti in Paradiso.

- Slavoj Žižek - Inviato direttamente a BLOG DA BOITEMPO - 1° giugno 2020 -

fonteBLOG DA BOITEMPO

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