Ultima opera che Ágnes Heller concluse prima della sua scomparsa, questo libro ricostruisce la storia culturale dell'Occidente negli intrecci fra produzione drammaturgica e riflessione filosofica. Sin dalla loro nascita, tragedia e filosofia sono unite da un'"affinità elettiva": la tragedia rappresenta le tensioni che caratterizzano un dato presente storico e ne introduce la sua comprensione filosofica. A sua volta la filosofia, pensando il proprio tempo (Hegel), pone nuovi concetti e scenari che faranno da materiale per successive rappresentazioni drammaturgiche, in una mutua influenza che imprime movimento all'intero sviluppo storico. Antigone, Amleto, Fedra, la Nora di Ibsen, il Galileo di Brecht condividono il palcoscenico di questo libro con l'etica aristotelica, la teoria secentesca delle passioni, l'utopia marxiana, l'esistenzialismo, la decostruzione. Solo attraverso questa profonda e originale ricomposizione è possibile porre la domanda sul futuro di filosofia e tragedia - e tentare di rispondere.
(dal risvolto di copertina di: "Tragedia e filosofia. Una storia parallela", di Ágnes Heller. Castelvecchi)
Non dovete ridere dei sognatori che vedono i fiori anche d’inverno
- Ágnes Heller segue la storia parallela di “filosofia” e “tragedia” in Europa, dalla Grecia alla modernità. passando dalle riflessioni sul riso al coraggio delle donne quando gli uomini sono deboli e codardi -
di Laura Boella
«Ridete pure del sognatore che ha visto fiori d’inverno»: così suona un verso del ciclo di Lieder schubertiani Winterreise che ascoltavamo insieme a Budapest, quando ero ospite di Ágnes Heller e di Ferenc Fehér negli anni Settanta. Quel verso si trova in epigrafe del libro che rese Heller famosa all’epoca dei movimenti radicali nati intorno al ’68, "La teoria dei bisogni in Marx" (1974). La sua ironia dolceamara, sorprendente in tempi di speranze collettive, traspare con forza ancora maggiore dall'eredità inattesa che ci viene dall'ultimo ventennio della lunga e produttiva vita della filosofa ungherese recentemente scomparsa. In "Breve storia della mia filosofia" (Castelvecchi, 2016), leggiamo che nel 1995, conclusa un'impegnativa trilogia morale, Heller inizia un periodo di nomadismo intellettuale, di militanza politica contro il ritorno dell'antisemitismo in Ungheria e di scrittura priva di costruzioni sistematiche e costruttive. In quelli che chiamava gli «anni della peregrinazione», Heller si dedica liberamente all'arte, alla religione, al primo libro della Bibbia, Genesi, ai sogni. Un finale diverso da quello che ci si aspettava da una grande filosofa? In realtà, Heller non ha voluto diventare un'icona, catturata nella rete della sua opera, dei dibattiti con i filosofi mainstream europei e americani e delle innumerevoli tesi di dottorato, monografie e celebrazioni. È stata molto generosa nel dialogare con chi era interessato alla sua biografia e alle sue idee politiche, e al tempo stesso ha continuato a scrivere libri lasciandosi guidare dalle passioni dell'infanzia e della giovinezza, del riemergere di antichi pensieri, ma soprattutto dalla volontà di esserci. Nei suoi ultimi scritti è come se ci dicesse: ho scritto tanti libri, ho attraversato le tragedie e le commedie del Novecento, ma sono qui, sono viva, non sono un monumento, e posso dare risposta in prima persona al presente mio e vostro.
Questo gesto si è tradotto in uno «stile tardo» (Edward Said) affascinante e ricco di sorprese. Nonostante la civetteria con cui sfida il dilettantismo (la sua sterminata cultura traspare da ogni pagina) e la veneranda età (aveva un'energia vitale superiore a quella di molti suoi giovani ammiratori), nei libri pubblicati dopo il 2000 è riconoscibile un filo rosso. Dominante è infatti l'interesse per Shakespeare, considerato un grande pensatore della morale e della storia, e per la tragedia e la commedia. "La commedia immortale", "Il tempo è fuori dai cardini: Shakespeare filosofo della storia" saranno presto disponibili in edizione italiana grazie all'impegno dell'editore Castelvecchi, che manda ora in libreria l'ultimo scritto, "Tragedia e filosofia. Una storia parallela". Si tratta di un testo scritto all'insegna del «lasciatemi correre», ossia saltare indisturbata molti autori e soprattutto l'immane bibliografia sul tema. Tutto il contrario però di uno sguardo solitario dalle vette di un'indomita energia. Le pagine di questo libro sono costellate di domande (di che tipo di morte si tratta nel finale di una tragedia, che tipo di malvagità e di bontà, di forza e di debolezza, di menzogna e di sincerità sono incarnate in quel personaggio?) rivolti direttamente a scrittori di tragedie, di drammi non tragici, di tragicommedie da Sofocle a Beckett, interrogati e citati come amici a cui si chiede un'opinione su un libro o su un film.
Che cosa intendeva Heller con l'idea di una storia parallela di tragedia e filosofia? Innanzitutto tragedia e filosofia vengono considerate generi letterari, atti linguistici dotati di regole (suscettibili di variazioni e trasgressioni) e in particolare di condizioni storiche che segnano la loro nascita, sviluppo e declino. Così come la tragedia e il dramma mettono in scena dei personaggi (uomini e donne ripresi dal mito o dalla grande storia, modellati sugli amori e i dolori del genere umano), i concetti (sostanza, verità, anima, principio ecc.) per Heller sono «personaggi» che i filosofi muovono come marionette, incarnazioni di un'idea, di una visione del mondo. Ci troviamo dunque in un teatro, con Heller in prima fina e un pubblico che vede, ascolta, commenta e trae le proprie conclusioni. Che tipo di rappresentazione va in scena in questo teatro ad un tempo esistenziale, etico, storico e teorico? La storia parallela di tragedia e filosofia si svolge in un luogo preciso, l'Europa, ed è l'epitome della cultura europea dall'antica Grecia all'epoca moderna. Tra le numerose sorprese di questo libro c'è la forte presenza di Hegel, quasi sbattuta in faccia a chi considera Heller una pensatrice caduta dalle braccia di Marx in quelle dei postmoderni. Per quanto trattato con sovrana nonchalance, Hegel non è una caricatura, al contrario viene presa sul serio (compare nell'incipit del primo capitolo e viene citata più volte) la sua tesi che la filosofia (la nottola di Minerva) spicca il suo volo al crepuscolo, ossia quando la storia giunge a conclusione. Questa tesi imprime alla storia parallela di Heller il sigillo della fine. La nascita della filosofia con Socrate e Platone segna la fine della tragedia, ma anche la filosofia, che è «il proprio tempo appreso con il pensiero» (Hegel), finisce nel momento in cui ingloba forme di vita, istituzioni, saperi, arte, religione in un tutto coerente, compiuto, senza contraddizioni.
L'ultima Heller ci sta forse coinvolgendo in un'atmosfera da spengleriano Tramonto dell'Occidente? Niente di tutto questo per una filosofa che si è lasciata alle spalle l'idea della storia come marcia trionfale in avanti. Il libro finisce volutamente con il capitolo 21, il numero del secolo in cui siamo entrati da vent'anni. La fine della storia intesa come progresso e della filosofia intesa come sistema nel senso di Hegel non ha niente a che vedere con l'apocalisse, con la fine del mondo profetizzata da molti intellettuali europei di ieri e di oggi. Si tratta di una fine nel senso dell'immagine che chiude il Tractatus di Wittgenstein: «abbiamo gettato la scala su cui siamo saliti per arrivare fino a questo punto» (p.205). Una fine di cui l'eredità culturale europea, che ha inventato la democrazia e il liberalismo, è responsabile, avendo tradito e ucciso i suoi figli nelle due guerre mondiali, ad Auschwitz e nei gulag. Una fine dunque in cui la filosofia, l'arte e la cultura, con i loro ideali, le loro ironie, il loro senso critico mettono in gioco solo sé stesse.
Che cosa resta? Resta la libertà, da cui ad Atene sono nate la tragedia e la filosofia, e che continua a vivere nell'insaziabile volontà di sapere di ogni individuo, nella pratica socratica della critica di ogni idea ricevuta. Una libertà che non vive di illusioni utopiche, né del sogno di un paradiso terrestre, ma della lotta per la libertà e della continua difesa delle istituzioni politiche democratiche.
Dall'ultima Heller arriva a noi una lezione di libertà, che non ha niente di severo, ma si esprime in pagine da leggere tutte d'un fiato sul riso e sul pianto, su Mozart, Verdi, Wagner e i teatro dell'assurdo, sulla forza delle donne in epoche in cui gli uomini sono deboli e codardi. Pagine piene di energia e di leggerezza, che vanno alla radice dello spirito del tempo in cui viviamo, un tempo fuori di sesto, secondo l'amato Shakespeare, ma in cui abbiamo bisogno di una libertà che ci permetta di vedere i fiori d'inverno, anche solo nella forma di un cristallo sul vetro di una finestra gelata.
- Laura Boella - Pubblicato su Tuttolibri del 28/5/2020 -
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