1492: Cristoforo Colombo non scopre l'America ma viene fatto prigioniero a Cuba, e il futuro non gli promette nulla di buono. 1531: gli Inca invadono l'Europa. In un romanzo di amori, conquiste, battaglie, tradimenti, tesori, Laurent Binet capovolge la storia delle scoperte: il re degli Inca Atahualpa sbarca nell'Europa di Carlo V, della riforma luterana e dell'Inquisizione, della nascita del capitalismo e della rivoluzione della stampa. Da Cuzco a Firenze, Atahualpa si allea con Lorenzo de' Medici e si mostra molto abile nel conquistare il favore dei popoli oppressi, garantendo libertà di culto, un'equa redistribuzione delle ricchezze, un mondo con meno tasse. Il nuovo conquistatore guarda però con sospetto alle stranezze e alle contraddizioni degli europei, uomini vestiti in modo sorprendentemente misero, che combattono tra loro per un uomo crocifisso e vietano la poligamia, ma non rinunciano alle amanti. Laurent Binet sfida i generi letterari con una trama che ribalta la storia che conosciamo: cosa sarebbe successo se fossimo stati noi, gli europei, il nuovo mondo da scoprire e conquistare? Un romanzo su un passato immaginario che somiglia, in modo inequivocabile e inquietante, al nostro presente.
(dal risvolto di copertina di: "Civilizzazioni". di Laurent Binet. La Nave di Teseo)
La storia capovolta: gli Incas in Europa
- Intervista di Stefano Montefiori -
La saga islandese di Erik il Rosso ci dice che anche Freydis, sua figlia, aveva il gusto per il viaggio: la donna raggiunse i primi accampamenti norreni che già esistevano a Terranova, nell’attuale Canada, intorno all’anno 1000. Freydis avrebbe probabilmente fatto ritorno in Groenlandia come fecero gli altri vichinghi, ma «aveva un brutto carattere», aggiunge Laurent Binet nelle prime pagine di Civilizzazioni. Con l’aiuto del marito. Freydis uccise due fratelli e le loro mogli per impossessarsi di una barca più grande. L’azione ebbe successo, ma Freydis a quel punto non poteva più tornare in Groenlandia, dove suo fratello Leif l’avrebbe punita. Così continuò l’avventura verso Sud. Attraversò le Americhe, egli skræling, i nativi, conobbero grazie ai vichinghi il ferro e l’uso dei cavalli e degli aratri. Molti morirono per le malattie e i virus sconosciuti portati da quei primi europei. Qualche secolo dopo toccò a Cristoforo Colombo scoprire, si fa per dire, il Nuovo Mondo. Ma in questa versione lievemente modificata della storia, i conquistadores europei trovarono ad accoglierli degli Incas stavolta dotati di armi di ferro, cavalli domati, e soprattutto già immunizzati rispetto alle malattie del Vecchio Mondo. I terribili Cortés e Pizarro vennero presi a mazzate, e l’America non fu affatto colonizzata dagli europei. Furono gli Incas di Atahualpa a colonizzare l’Europa, dopo essere sbarcati a Lisbona con un pugno di uomini. Un mondo radicalmente diverso, un corso della storia capovolto; ed è bastato che Freydis avesse «un cattivo carattere».
Laurent Binet, lei ha scritto questa storia in tempi pre-Covid, il suo romanzo-ucronia è uscito in Francia l’estate scorsa. Pensa che adesso, mentre parliamo di fine del mondo come lo abbiamo conosciuto, «Civilizzazioni» possa assumere un altro significato?
«Diciamo che l’epidemia e il confinamento rendono più evidente il senso profondo, che già esisteva, del romanzo: l’idea che le cose potrebbero essere differenti. Quando ho scritto il libro captavo un’inquietudine che allora era legata al riscaldamento climatico più che a un virus, ma una delle pulsioni alla base della mia scrittura era la constatazione che il capitalismo fosse un treno impazzito diretto contro un muro. E mi piaceva l’idea che l’economia di mercato non fosse per forza una fatalità storica. Se gli Incas avessero invaso l’Europa e non viceversa, il mondo si sarebbe evoluto in un altro modo, completamente diverso».
Migliore o peggiore?
«Non lo so, probabilmente ci sarebbero stati vantaggi e svantaggi, di sicuro non avremmo avuto il capitalismo di oggi che non è forse direttamente responsabile dell’epidemia, ma lo è certamente della nostra risposta».
Che cosa intende?
«Che il nostro sistema economico ha portato alla mancanza di letti di ospedale, di mascherine, di disinfettante. Abbiamo sfiorato il crollo della sanità pubblica, e non per una fatalità ma per colpa di decenni di tagli alla spesa pubblica».
Qual è il legame con i vichinghi, gli Incas e la sconfitta di Carlo V raccontata in «Civilizzazioni»?
«Il fatto che la storia potrebbe davvero essere diversa. Sarebbe bastato che qualche vichingo restasse nelle Americhe, invece di abbandonare gli insediamenti tornando in Groenlandia, una eventualità tutt’altro che impossibile. Mi piace l’idea che la storia possa prendere un’altra direzione in virtù di un dettaglio come il “cattivo carattere” di una vichinga. Non nego l’esistenza di tendenze di fondo, conosco i “tempi lunghi” di Fernand Braudel... Eppure in questi giorni stiamo assistendo — per colpa di un virus — all’impossibile che diventa reale: confinamenti di intere nazioni, principi ferrei come i criteri di Maastricht fatti saltare con grande rapidità... A differenza di Margaret Thatcher e del suo slogan there is no alternative, ho sempre pensato che il capitalismo non fosse ineluttabile. Il mondo è così per un sacco di ragioni, ma altre ragioni potrebbero spingerlo in una direzione diversa, anche opposta. Dipende dai dettagli, dal caso, dalle nostre scelte».
Una delle pagine più divertenti riguarda le «95 tesi del Sole», i principi della nuova religione imposta ai sudditi dell’impero Incas d’Europa. Alla fine è una religione a prima vista non più bizzarra dei nostri monoteismi.
«Ho sempre pensato che qualsiasi religione, guardata dall’esterno, possa apparire un po’ kitsch, un insieme di superstizioni. Adorare il Sole tutto sommato non è poi così strampalato. Ho provato a usare lo sguardo antropologico di Montesquieu nelle Lettere persiane o di Montaigne nei Cannibali. Il peso delle religioni oggi è ancora enorme, tra l’integralismo islamico dell’Isis e l’evangelismo su cui si appoggiano Trump e Bolsonaro».
Nella sua «ucronia» gli occidentali non sono più superiori, neanche in cattiveria. Finisce l’eterno senso di colpa del bianco colonizzatore.
«Sì, il mio non è un racconto morale alla Voltaire. Nella realtà gli Incas hanno perso contro Cortés non certo perché erano più buoni. Nella mia storia, quando arrivano in Europa, compiono efferatezze terribili, sono crudeli quanto lo fu Cortés. Il massacro da me inventato a Toledo è speculare al massacro reale di Cholula, nell’antico Messico».
Senza rivelare troppo della trama, l’Italia ha un ruolo centrale.
«L’Italia è l’oggetto di tutti i desideri, allora come adesso. È la terra sognata di Atahualpa. Che non incontra Machiavelli, già morto al momento dello sbarco a Lisbona, ma legge con passione la prima traduzione spagnola del Principe ».
Il titolo «Civilizzazioni» è un omaggio al vecchio e glorioso videogioco di Sid Meier, ma poi il libro è anche pieno di erudizione classica.
«A parte la trama e gli incontri, che possono divertire se si accetta la premessa iniziale, tutto è storicamente accurato. Ho letto tutto il possibile, dalle saghe islandesi al libro di Engels sulle guerre contadine. Un lavoro di ricerca sinceramente enorme, che faccio sempre nei miei romanzi, lo adoro».
Dopo «HHhH» sul reale assassinio a Praga del nazista Reinhard Heydrich, e «La settima funzione del linguaggio» sull’inventato omicidio di Roland Barthes, il nuovo romanzo affronta ancora il rapporto tra storia e fiction.
«Amo molto la Storia, e mi piace interrogarmi su quel che la fiction può dare in più, come valore aggiunto. Ma per giocare con la storia bisogna conoscerla molto bene, e tracciare una frontiera chiara tra realtà e invenzione».
Che cosa pensa di altre ucronie come «Fatherland» di Robert Harris o «L’uomo nell’alto castello» di Philip K. Dick?
«Prendono tutti le mosse dalla fantasticheria orribile assoluta, la vittoria dei nazisti. E non dimentichiamo Il complotto contro l’America di Philip Roth, che però secondo me non va fino in fondo, fa un uso un po’ timido dell’ucronia. Io avevo affrontato il nazismo già in HHhH, ho voluto cambiare tema. Mi è sembrato che fare arrivare gli Incas in Europa come conquistatori fosse un altro stravolgimento enorme della storia. Una volta che si mette mano al corso della storia, tanto vale esagerare».
Intervista di Stefano Montefiori, apparsa sulla Lettura del 24 Maggio 2020.
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