Negli ultimi anni le democrazie occidentali sono apparse improvvisamente fragili e inadeguate di fronte all'assalto di forze spesso definite populiste o sovraniste, ma in ogni caso ostili al modello liberale. Se tutto ciò sta accadendo con ogni evidenza davanti ai nostri occhi, è spesso più difficile accorgersi di quanto avviene sul piano internazionale - e cioè sul delicato terreno dei rapporti tra Stati e nel quale ha avuto origine il disgregarsi del sogno di pace globale che la caduta del Muro di Berlino sembrava promettere. Con La grande illusione John Mearsheimer, uno dei maggiori esperti al mondo di relazioni internazionali, mostra infatti come alla fine della Guerra Fredda non abbia fatto seguito un "mondo nuovo", libero e unito, ispirato ai principi di un Occidente guidato dagli Stati Uniti d'America, bensì l'emersione di modelli alternativi in un contesto che ha rifiutato nettamente il progetto della egemonia liberale. "La grande illusione", uno studio approfondito, una disamina spietata e anche un appassionato appello al realismo politico, ripercorre la storia del crollo dell'edificio liberale, evidenziando gli errori anche tragici che sono stati commessi, ma che possono oggi essere di insegnamento per una convivenza globale più equilibrata.
(dal risvolto di copertina di: "La grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo", di John J. Mearsheimer. Luiss)
Se il liberalismo cede al nazionalismo
- John Mearsheimer. Un saggio esamina le fragilità delle democrazie liberali -
di Salvatore Carruba
Benissimo: nulla sarà più come prima. Ma saremo più liberi o meno liberi? Avremo maggiore o minore fiducia nella libertà, nei diritti umani, nello stato di diritto? E chi eserciterà nel mondo un ruolo egemone, gli Usa o la Cina? Il coronavirus riporta d’attualità e imprime un aggiornamento al grande dibattito sul futuro della democrazia liberale in corso ormai da anni.
Significativo della cautela con la quale molti studiosi affrontano il tema, alla luce soprattutto della diffusione delle tendenze populiste, è questo libro dello statunitense John Mearsheimer, docente a Chicago, esperto di relazioni internazionali ed esponente di punta della visione “realista”, in versione “offensiva”, in politica estera. Qui l’autore riprende le sue teorie sul ruolo egemonico che gli Usa hanno potuto svolgere dopo la fine del comunismo, basato sull’assunto che la democrazia liberale fosse l’unico modello praticabile, da diffondere in tutto il mondo per imporre appunto una sorta di «egemonia».
Secondo l’autore, ogni sforzo in questa direzione è andato frustrato regolarmente, proprio per la forza inesorabile della realtà, che impone alle potenze, Usa in primis, di comportarsi in modo ben diverso da come si presentano. Ma non c’è solo il realismo a smentire le buone intenzioni del liberalismo, costretto a fare i conti anche, e sempre più frequentemente, con la forza del nazionalismo.
Sta forse qui il punto più originale e attuale di questo libro. Mearsheimer conduce un’analisi assai puntuale su cosa sia, come ci si atteggi e come si operi sul campo il liberalismo. Mette in luce la debolezza di alcuni assunti del liberalismo, a partire dalla fede nella ragione e dalla capacità di individuare un discorso morale nel quale tutti possano riconoscersi. Contesta il paradigma della centralità dell’individuo, sottolineando l’esigenza ancestrale a difendersi attraverso la solidarietà tribale e il riconoscimento dell’esigenza che qualcuno eserciti il potere. Sottolinea alcune gravi aporie, quale quella di proclamare la tolleranza, a costo di restare sguarnito nei confronti di chi tollerante non è nei suoi confronti. E conclude perciò che «il fatto di vivere in un mondo popolato da esseri sociali dotati di capacità critiche straordinarie ma limitate è la radice inestirpabile del conflitto umano». Ma Mearsheimer non è un “illiberale”: egli afferma che «il liberalismo può essere veramente una forza al servizio del bene all’interno degli Stati», ribadisce che esso «ha tante virtù come sistema politico»; conclude che «la democrazia politica (è) la forma politica migliore. Non è perfetta, ma batte nettamente la concorrenza». Ma solo a livello interno: se si mette in mente di diffondere i diritti umani e di diffondere la democrazia liberale in tutto il mondo, esso si rivela una «fonte di guai».
Lo studioso argomenta dettagliatamente la sua tesi (senza mai cadere nella pedanteria, ma anzi con stile accattivante): riafferma come principio fondante della convivenza planetaria quello della sovranità; indica «i limiti e i pericoli dell’ingegneria sociale»; smonta l’argomento secondo il quale le democrazie non si farebbero reciprocamente guerra; e lancia una sfida potente e attuale al liberalismo, quella di imparare a fare i conti col nazionalismo. Questo sta al pianeta come l’individualismo allo Stato, secondo Mearsheimer: se accettiamo la versione radicale, e oggi consolidata, dell’individualismo, non possiamo poi meravigliarci che «i membri di una nazione (siano) fermamente decisi a massimizzarne l’autonomia». Della nazione, l’autore individua le sei caratteristiche di base (senso di unitarietà, e di superiorità, cultura specifica, radici storiche profonde, sacralità del territorio; sovranità) che rendono il nazionalismo più potente del liberalismo, assicurandogli di poter svolgere un autentico «ruolo inibitore sugli spazi di movimento delle grandi potenze».
Ci attende dunque un mondo frammentato e ancora più bellicoso? Non è detto, conclude l’autore, se nelle relazioni internazionali riscopriremo le virtù del realismo e della «moderazione».
Il pubblico di Mearsheimer è soprattutto quello degli esperti di politica internazionale; ma il suo messaggio riguarda tutti: non tanto per il suo richiamo alla modestia e all’umiltà nel coltivare disegni palingenetici; ma soprattutto per il richiamo alla forza perdurante del nazionalismo, dato troppo prematuramente per scomparso e col quale si giocheranno le prospettive future del liberalismo in un mondo a globalizzazione inceppata.
- Salvatore Carruba - Pubblicato sul Sole del 3/5/2020 -
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