sabato 8 marzo 2025

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Quale futuro per il capitalismo?

Durante la tele-riunione di martedì sera abbiamo ripreso l'articolo "Il grande collasso", pubblicato sulla rivista n. 41 (2017), utilizzandolo come chiave di lettura per inquadrare quanto accade nello scenario mondiale.

Il fenomeno della disgregazione degli Stati si manifesta in diversi forme: dai casi più evidenti di collasso delle amministrazioni politiche (Libia, Siria, Somalia, Sudan, Haiti, ecc.) fino a quelli meno visibili di disfunzione dei servizi pubblici. In un breve video presente su YouTube, intitolato "Il problema dell'Italia è lo Stato che non funziona", Lucio Caracciolo, direttore di Limes, afferma che il problema è l'incapacità non tanto del governo-guidatore, quanto dello Stato-macchina. Nel secondo dopoguerra, in Italia, lo stato ha realizzato piani di edilizia popolare, ampiamente criticati dalla Sinistra. La corrente a cui facciamo riferimento ha scritto numerosi articoli sulla questione abitativa; tra questi, "Il problema edilizio in Italia" (1950) analizza come la Democrazia Cristiana di Fanfani, in combutta con socialisti e "comunisti", abbia continuato, in versione democratica, la politica d'intervento nell'economia nazionale iniziata con il fascismo. Il capitalismo costruiva alloggi popolari, ma anche grandi impianti industriali, per dare lavoro a masse di operai che affluivano dal sud Italia. Era l'epoca dell'occupazione di massa, a tutti era garantita una vita di sfruttamento. Ora, quel modello non funziona più e gli stati devono fare i conti con la crescita della miseria e della disoccupazione. Le metropoli globali sono bombe ad orologeria: alcune sono abitate da 15 o 20 milioni di persone e, senza un adeguato rifornimento di cibo ed energia, rischiano il collasso.

In "Imperialismo vecchio e nuovo" (1950) viene evidenziata la dinamica che porta il sistema capitalistico al crollo, proprio perché incapace di avvicinare gli estremi dei redditi, "non solo tra metropoli e paesi coloniali e vassalli, tra zone progredite industriali e zone arretrate agrarie o di agricoltura primordiale, ma soprattutto fra strato e strato sociale dello stesso paese, compreso quello dove leva la sua bandiera il capitalismo più possente ed imperiale". Douglas Rushkoff, esperto di nuove tecnologie, nel libro Solo i più ricchi: come i tecnomiliardari scamperanno alla catastrofe lasciandoci qui, descrive le possibili soluzioni che i capitalisti stanno sviluppando per il futuro: bunker sulle isole, criptovalute per pagare i contractor-mercenari, scorte di cibo. Se saltassero le catene logistiche, anche chi dispone di derrate alimentari e risorse economiche verrebbe travolto dallo sconvolgimento generale. Ci sono periodi storici in cui avvengono potenti accelerazioni e le settimane valgono anni. Nella società si accumulano contraddizioni tali che, ad un certo punto, devono manifestarsi delle discontinuità. Se fino a poco fa il nemico dell'Occidente era la Russia di Putin e l'Ucraina era sostenuta economicamente e militarmente, ora l'America si sta accordando direttamente con Mosca, senza curarsi troppo di Ucraina ed Europa. Dalla prima amministrazione Trump ad oggi, si è manifestata una lunga serie di rivolte che ha coinvolto numerose aree del pianeta, e gli stessi Stati Uniti si sono trovati a dover gestire un mondo in preda al marasma sociale e alla guerra. I repentini cambi di strategia sono il portato di uno scombussolamento generale. Niente, comunque, che non sia stato previsto dalla nostra teoria; nel 2017 scrivevamo:

«Donald Trump è dunque l'espressione di un movimento economico in corso da tempo e incarna la speranza di un ritorno all'epoca d'oro, esattamente come otto anni fa Barack Obama era l'espressione dell'impoverimento della classe media americana, la quale sperava in un presidente che a parole si presentava come raddrizzatore di torti. Ma se anche avvenisse il rientro completo delle multinazionali auspicato da Trump, cosa impossibile, esse non potrebbero portarsi dietro tutti i salariati che oggi vi lavorano nei vari paesi. E quei salariati non sarebbero sostituiti da salariati americani, a meno che questi ultimi non accettassero di lavorare con salari messicani, cinesi, coreani o vietnamiti. Ogni ristrutturazione prevede l'adozione di nuove strutture organizzative, metodi, tecnologie.»

Se la politica di Roma è decisa a Washington, dove allora quella di Washington? Forze più potenti degli stessi USA, quelle del capitale internazionale, fanno ballare tutti alla propria musica. Il mondo non è più quello post 1945, diviso tra USA e Unione Sovietica. La chiamavano guerra fredda, ma era un mondo che aveva trovato un suo equilibrio. Oggi, come abbiamo detto, siamo al collasso degli stati, diretta conseguenza delle materiali condizioni economiche della struttura produttiva e distributiva. Tale situazione si riverbera sul maggiore paese capitalistico e, a cascata, su tutti gli altri. Da anni gli USA cercano di frenare lo sviluppo della potenza cinese con tutti i mezzi possibili. La guerra, afferma Marx, è il modo di essere della società capitalistica, dove si scontrano borghesie, stati, ma soprattutto classi. I paesi più avanzati stanno spingendo la propria capacità produttiva nel settore degli armamenti, se non altro per essere autonomi. Rafforzare l'industria delle armi e delle munizioni, così come annunciato dall'amministrazione Trump, serve a sviluppare una base produttiva per scopi militari, anche in funzione delle guerre future. Siamo dunque in una fase di inter-guerra che prepara una grande conflitto mondiale tra blocchi imperialistici? Che tipo di conflitto può emergere in un periodo in cui gli stati faticano a controllare sé stessi? Che tipo di guerra può prendere forma con l'impiego di sistemi basati sull'IA? La paura di tutti è un'intelligenza artificiale che inneschi processi del tutto incontrollabili. Gli Stati Uniti si sentono minacciati nel loro ruolo di rentier globale e non hanno più tempo da perdere, ma non c'è all'orizzonte una soluzione praticabile per ritornare ad essere grandi. Dopo l'introduzione dei robot nelle fabbriche, il largo impiego di satelliti per uso civile e militare, e lo sviluppo dell'intelligenza artificiale, cos'altro si può inventare il capitalismo per aumentare il saggio di plusvalore? Se in pochi minuti di lavoro i salariati producono quanto serve per il loro sostentamento, mentre il resto della giornata lavorativa è plusvalore, ciò significa che si è arrivati a raschiare il fondo del barile. Non c'è guerra che possa ridare ossigeno al capitalismo, anche perché la "politi-guerra" americana è già in corso da anni e su scala mondiale. Anche il risultato delle recenti elezioni tedesche è un sintomo della crisi generale del capitalismo. Lo storico partito socialdemocratico è crollato, insieme ai Liberali, mentre ha avuto un prevedibile successo l'AfD, ricevendo il voto di un quinto degli elettori. La Germania si ritrova divisa, anche geograficamente, con la parte est polarizzata intorno al populismo di destra e l'ovest nelle mani della CDU. Fino a pochi anni fa il paese era politicamente ed economicamente stabile, negli ultimi anni è invece cresciuto il malessere sociale a causa della recessione, dell'aumento della disoccupazione e della precarietà. Sul fronte tecnologico, gli USA si stanno organizzando per la costruzione di un enormi datacenter. Stargate, "il più grande progetto infrastrutturale di intelligenza artificiale della storia", come l'ha definito Trump, potrebbe mobilitare fino a 500 miliardi di dollari. L'infrastruttura che rende possibile lo sviluppo dell'IA è estremamente dissipativa e necessita di quantità crescenti di energia e di chip. Il capitalismo è sempre più energivoro, e ciò vuol dire che una parte crescente di plusvalore deve essere destinata ai rentier (e qui si inseriscono le pressioni di Trump su Zelensky per poter mettere le mani sulle terre rare ucraine). Se non si aumenta, a livello globale, la quota di plusvalore da devolvere alla rendita, il sistema semplicemente non funziona più, come abbiamo scritto nel numero speciale sull'energia (n. 31, aprile 2012). Non si tratta solo di produrre plusvalore ma di realizzarlo sul mercato con la vendita delle merci: non tutti possono crescere ed espandere la propria area di influenza allo stesso tempo. I proletari sono sottoposti ad una pressione crescente da parte del Capitale, costretti a ritmi lavorativi infernali in cambio di salari da fame. Essi non hanno nulla da difendere in questa società, dato che sono dei senza riserve. Interessante, a tal proposito, il libro Riot. Strike. Riot: The New Era of Uprisings di Joshua Clover, che sostiene che, nell'era moderna, lo scontro di classe si sta spostando direttamente con lo Stato e nelle piazze, tema da noi affrontato nella newsletter "Rivolta contro la legge del valore" (31 dicembre 2019).

da: N+1 – Quinterna Lab

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