Da qualche tempo abbiamo appreso che esiste un problema chiamato “capitalismo della sorveglianza”, cioè il business del controllo, dell’estrazione e della vendita dei dati degli utenti che è esploso con l’ascesa dei giganti tecnologici Google, Apple, Facebook e Amazon. E se il capitalismo della sorveglianza non fosse un capitalismo disonesto o una svolta sbagliata presa da alcune aziende deviate? E se il sistema funzionasse esattamente come previsto e l’unica speranza di ripristinare un web libero fosse quella di combattere direttamente il sistema stesso? Doctorow sostiene che l’unica possibilità che abbiamo è distruggere i monopoli che attualmente costituiscono il web commerciale così come lo conosciamo, per tornare a un web più aperto e libero, in cui la raccolta predatoria dei dati non sia un principio fondante.
(dal risvolto di copertina di: CORY DOCTOROW, "Come distruggere il capitalismo della sorveglianza". MIMESIS, Pagine 156, €16)
Una legge non batte da sola i muscoli dell’algoritmo
- di Federica Colonna -
«Non c’è sorveglianza statale di massa senza sorveglianza commerciale di massa». Lo scrive Cory Doctorow, ricercatore al Mit Media Lab, autore di fantascienza, attivista per i diritti digitali, co-fondatore del gruppo britannico Open Rights e consulente speciale della Electronic Frontier Foundation, organizzazione internazionale per la tutela della privacy e delle libertà online. In "Come distruggere il capitalismo della sorveglianza" spiega perché le azioni intraprese finora a livello globale per limitare il controllo degli utenti online non siano mai state davvero efficaci. La raccolta predatoria di dati non è una deriva di alcune aziende deviate, al contrario: è alla base del web per come lo conosciamo oggi. Il sistema, scrive l’autore, funziona esattamente nel modo in cui è stato programmato per funzionare e a garantirne l’efficacia e la continuità è la posizione di monopolio di giganti tecnologici come Google, Amazon, Meta il cui modello di business si fonda sulla raccolta delle informazioni di chi naviga. In altri termini: il capitalismo della sorveglianza — il modello economico che configura l’esperienza umana digitale come materia prima — non è un errore ma il principio fondante della Rete contemporanea. Se questa è la chiave, non è possibile riformare internet: l’unica via è radicale e consiste nello smembrare il monopolio per disegnare un web aperto, libero, diverso a partire dalle fondamenta. La tesi di Doctorow è radicata nella nostra vita quotidiana. Tutti noi facciamo esperienza del tracciamento basato su quella che nel dialogo tra l’autore e Taylor Owen del Center for International Governance Innovation viene definita «la forza dei muscoli algoritmici». Ogni giorno, infatti, trascorriamo una porzione del nostro tempo su social il cui interesse aziendale è intrattenerci il più a lungo nel flusso di informazioni per aumentare la possibilità di sottoporci almeno un annuncio che ci interessi davvero. Gli smartphone, «oggetti rettangolari di distrazione di massa che teniamo nelle tasche», con il loro ronzio perenne sono lì a richiamare la nostra attenzione quando ci distraiamo per tornare a immergerci nella valanga di contenuti online. Solo così, spiega l’autore, Instagram o TikTok riusciranno a carpire le informazioni necessarie per riuscire a «proporre a una cheerleader proprio l’uniforme da cheerleader che cercava». «Essere in grado di indirizzare gli annunci — spiega Doctorow — non rende però le piattaforme capaci di controllo mentale», come una certa corrente di pensiero sostiene. Semplicemente la capacità di vendere frigoriferi a chi ha appena comprato casa e scarpe da corsa, al runner mostra l’efficacia del meccanismo predatorio alla base del web commerciale. «Le piattaforme non hanno il potere di rendere tuo zio un razzista», ha dichiarato Doctorow alla «Columbia Journalism Review», ma di certo possono proporgli il barbecue adatto per le sue indimenticabili domeniche in famiglia. Attenzione, però. Che Facebook e Amazon non abbiano nascosti poteri psicologici — non esistono prove scientifiche per dimostrarlo, scrive l’autore — non significa che non esercitino un potere incisivo sulle nostre libertà. «L’arma che hanno non è la macchina dell’influenza, è il monopolio», spiega Doctorow. Non solo un pugno di aziende costringe gli utenti a comprare le App nei loro App store, domina i risultati di ricerca e mercifica le nostre relazioni tenendole ostaggio di spazi circoscritti, «i giardini recintati dei social». Proprio grazie ai profitti che la loro posizione di mercato garantisce, esercitano pressione politica per orientare la regolamentazione in ambito tecnologico che le riguarda. Siamo di fronte a un enigma normativo, scrive l’autore. Se non dalla legge, da dove passa infatti la possibilità di rifondare la Rete sulla base di nuovi principi? Ostacolare le acquisizioni che limitano la concorrenza non basta. Il capitalismo della sorveglianza è ovunque, pervasivo, e non è riformabile. Smembrarlo, per Doctorow, è l’unica scelta possibile. Da prendere ora.
- Federica Colonna - Pubblicato su La Lettura del 9/6/2024 -
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