sabato 15 marzo 2025

Messico & Nuvole …

 


Capitalismo di Guerra e Narco-Economia in Messico: Violenza, Stato e Accumulazione nell'era del terrore globale
- di Comunismo Gotico -

Sommario
La scoperta del centro di sterminio a Rancho Izaguirre, in Teuchitlán, Jalisco, dimostra che la violenza estrema in Messico non è un fenomeno isolato, ma una manifestazione della ristrutturazione del capitalismo contemporaneo. Lungi dal rappresentare un collasso del sistema, la guerra, la criminalizzazione e le sparizioni forzate sono state assorbite nella logica del capitale come meccanismi di regolazione, disciplina della forza lavoro e riconfigurazione della Legge del Valore. Questo articolo discute le "Cinque dimensioni di questo processo": (1)  l'integrazione del traffico di droga nel capitalismo globale, (2) la guerra come principio organizzativo nella tarda modernità, (3) la crisi del lavoro e l'eliminazione della distinzione tra economie "lecite" e "illecite" (4), frammentazione della lotta di classe in conflitti gestiti e (5) la trasformazione della Legge del Valore che diventa ora  un sistema in cui, per l'accumulazione, la violenza è centrale. La conclusione è quella per cui il capitalismo non sta crollando, ma si sta piuttosto ristrutturando, incorporando la guerra e la criminalizzazione in quanto forme di strategie fondamentali per la loro riproduzione.

Parte I: La violenza del Narco-traffico come Struttura del capitalismo globale
1.1 La crisi dello Stato e la riconfigurazione del potere sovrano
Lungi dall'indebolirsi, lo Stato messicano si è trasformato in una forma di organizzazione dove i confini tra legalità e illegalità sono stati offuscati. Come sottolinea Endnotes (2010), il Il capitalismo non produce solo merci, ma riproduce anche la relazione di classe attraverso la gestione della violenza e della precarietà del lavoro. In tale contesto, il narco-traffico non è un agente estraneo al sistema, ma diventa bensì una forma di accumulazione specifica all'interno dell'economia globale. Il concetto di "racket" è la chiave per comprendere questa trasformazione. Un racket è un'organizzazione che ottiene rendite attraverso la coercizione, senza necessariamente essere subordinato a una logica produttiva. Nel caso del Messico, lo Stato ha adottato questa forma: ben lontano dal voler garantire il monopolio della violenza legittima, opera in simbiosi con la criminalità organizzata per gestire la violenza basata sugli interessi economici e politici. Le sparizioni forzate, avvenute in siti come Rancho Izaguirre, devono essere comprese all'interno di questo quadro. La violenza estrema non è un semplice sottoprodotto di un conflitto tra cartelli, ma è un meccanismo di regolazione sociale. La sparizione funziona come una tecnologia del potere che serve a disciplinare corpi e territori, garantendo la continuità del flusso di merci (droga, armi, persone) in un mercato criminale pienamente integrato nell'economia globale.

1.2 Il traffico di droga e il capitalismo globale: un sistema di accumulazione violenta
Il traffico di stupefacenti non è affatto una struttura marginale all'interno del capitalismo, ma una delle sue forme più importanti di capitalismo avanzato. Come sottolineato da diversi autori (Edgar Illas, 2020; Endnotes, 2010), Il mercato criminale opera secondo la medesima logica di accumulazione del capitalismo formale: riduce i costi di produzione grazie allo sfruttamento estremo, esternalizza i rischi sulle comunità più vulnerabili, e massimizza i profitti attraverso la violenza organizzata. Il neoliberismo ha dissolto le tradizionali frontiere tra economia formale ed economia informale, creando uno scenario in cui la violenza diventa elemento costitutivo dell'ordine economico. In questo contesto, le sparizioni di massa in Messico svolgono una doppia funzione:
1 - Regolamentazione del mercato criminale: gli omicidi e le sepolture clandestine costituiscono una forma di gestione del territorio che consente il controllo delle rotte strategiche e il disciplinamento delle comunità.
2 - Produzione di soggettività precarie: la violenza estrema non solo elimina i corpi, ma trasforma la soggettività della popolazione, generando una cultura della paura che facilita lo sfruttamento e il controllo sociale.

1.3 Manodopera precaria e l'integrazione dei settori vulnerabili del narco-traffico
La criminalità organizzata non solo ha bisogno di sicari e di operatori logistici; ma essa richiede anche un'enorme base di lavoratori precari per poter svolgere attività quali le piantagioni di papavero, il trasporto di droghe, la fabbricazione di prodotti chimici e la sorveglianza dei territori. Molti giovani, contadini, migranti e lavoratori informali, non trovando alternative nel mercato del lavoro formale, entrano nel traffico della droga in modo consapevole, non come vittime, ma come soggetti intrappolati in una struttura che non offre altre opzioni praticabili. Per i Narco, il reclutamento di lavoratori è direttamente collegato alla crisi occupazionale e al crollo della reti di mobilità sociale. In molte regioni, il lavoro legale è insufficiente, mal retribuito o inesistente. Di fronte a ciò, l'opzione di lavorare per la criminalità organizzata diventa l'unica via d'uscita per migliaia di persone che altrimenti sarebbero completamente emarginate dal sistema economico.

1.4 La guerra come ontologia del capitalismo globalizzato
Uno degli aspetti centrali della crisi contemporanea è la fusione tra guerra ed economia. Illas (2023) sostiene che la guerra non è più uno stato di eccezione, ma costituisce il principio organizzativo dell'ordine globale. Attraverso il concetto di "magma bellico", Illas descrive in che modo la violenza sia diventata un logica immanente alla società, dissolvendo le distinzioni tradizionali tra pace e conflitto. In questo senso, il traffico di stupefacenti e le sparizioni di massa non possono più essere intese come un fallimento del sistema, ma come le espressioni di un ordine economico basato sulla violenza strutturale. La scoperta del centro di sterminio a Teuchitlán, conferma che la violenza de Narco-traffico in Messico non costituisce un'anomalia, ma si tratta di un fenomeno di lunga durata che è stato integrato nella logica del capitalismo globalizzato. Le sparizioni forzate, la precarietà del lavoro e la mancanza di alternative economiche sono tutti elementi di uno stesso e unico sistema in cui la violenza opera come principio organizzativo. In questo scenario, la questione non è come ridurre la violenza, ma piuttosto in che modo smantellare un sistema che la produce in maniera strutturale.

Parte II: La barbarie come norma del capitalismo In crisi
2.1 Guerra, accumulazione e regime di sopravvivenza
La violenza contemporanea non può più essere compresa partire dalla classica distinzione tra guerra e pace. Come argomenta Illas (2020, 2023), il mondo è entrato in una fase nella quale la guerra è diventata la norma, non come un conflitto tra Stati, ma in quanto logica di riorganizzazione politica, sociale ed economica. Questo significa che la guerra non è più semplicemente un momento eccezionale dentro un ordine di accumulazione, ma che ora, il principale meccanismo di produzione e di riproduzione del capitale, è la violenza. In tale contesto, la guerra in Messico non può essere intesa come se fosse un conflitto per la sicurezza, ma va vista piuttosto come un regime di sopravvivenza (Illas, 2020), in cui lo Stato e la criminalità organizzata gestiscono congiuntamente la violenza in modo da garantire così la continuità dell'accumulazione. E questo regime si basa su tre principi fondamentali:
1. La produzione di soggetti usa e getta: operai, contadini, migranti e giovani emarginati che possono essere utilizzati dal sistema (come lavoro criminale o precari) ed eliminati quando non sono più funzionali.
2. La conversione della guerra in un'economia: la violenza non è un ostacolo allo sviluppo capitalista, bensì è una forma di circolazione del valore.
3. Il fine della sovranità statale tradizionale: lo Stato non organizza più la violenza a partire da un apparato centralizzato, ma ne delega la gestione a una molteplicità di attori (cartelli, paramilitari, imprese private di sicurezza, ecc.).

    In un simile schema, il narco-traffico non è un nemico dello Stato, bensì il suo socio nell'amministrazione della guerra. Le sparizioni forzate e i massacri non sono anomalie, quanto piuttosto strumenti all'interno di questa riorganizzazione globale della violenza.

2.2 La produzione della soggettività nel capitalismo di guerra
Uno degli effetti più profondi del regime di guerra, è la produzione di nuove soggettività marcate sia da un'estrema precarietà che dalla depoliticizzazione della loro vita. Come sottolineato da Endnotes (2010) e da Edgar Illas (2023), il capitalismo contemporaneo ha smantellato tutti gli orizzonti collettivi di trasformazione sociale, lasciando al loro posto una logica di adattamento individuale alla catastrofe. E nel caso di Messico, questo si traduce in due grandi tendenze:
1 - Il soggetto precarizzato in quanto forza lavoro del crimine: la mancanza di alternative fa sì che ampi settori della popolazione lavorino nel narco-traffico, o che abitino in territori controllati dalla violenza. Questo soggetto non entra nel traffico di droga solo per coercizione, ma a causa della mancanza di opzioni in un sistema che ha distrutto ogni forma di mobilità sociale.
2 - Il soggetto disciplinato dal terrore: la scomparsa forzata, i massacri e le violenze estreme funzionano come dispositivi di controllo sociale. L'incertezza radicale e la minaccia costante creano società nelle quali la paura impedisce qualsiasi forma di organizzazione politica contro il sistema.
   In questo senso, la violenza non è solo un mezzo di dominio, ma costituisce una forza ontologica che trasforma la soggettività e le relazioni sociali. Questo conferma ciò che Illas (2023) descrive come il "magma bellico": in un mondo senza alcun orizzonte politico, la condizione della guerra rappresenta l'unica forma di produzione dell'essere

2.3 Barbarie strutturale e Crisi della modernità
Il concetto di barbarie strutturale ci permette di comprendere la violenza contemporanea, non come se fosse un fenomeno accidentale, ma vita come essa stessa una forma di riproduzione sociale nel capitalismo avanzato. Da una tale prospettiva,, quel che sta avvenendo in Messico non rappresenta uno stato di eccezione, ma è piuttosto la normalizzazione di un sistema nel quale la violenza non può più essere separata dall'economia, dalla politica, o dalla vita quotidiana. Il narco-traffico, nel suo funzionare da meccanismo di integrazione della popolazione eccedente, riflette a vari livelli questa barbarie strutturale:
1. Trasforma il territorio: intere città, vengono riconfigurate secondo quelle che sono le logiche del crimine, con reti di potere che attraversano la politica, l'economia e la sicurezza.
2. Genera un'economia parallela: il narcotraffico, non solo produce ricchezza per le élite, ma regola anche la vita di milioni di persone che dipendono da esso per sopravvivere.
3. Impone un nuovo ordine sociale: la violenza sostituisce il diritto, come meccanismo regolatore della vita, generando un sistema in cui le relazioni vengono governate dalla forza e accumulazione.   
    Secondo Endnotes (2010), tutto ciò significa che non esiste più alcun "al di fuori del Capitale": il crimine organizzato non è un'anomalia all'interno della modernità, ma ne è la sua forma più organizzata.

2.4 Il collasso dell'orizzonte politico e l' assenza di alternative
Uno degli effetti più devastanti del capitalismo di guerra, è l'eliminazione di qualsiasi orizzonte alternativo. Come sottolinea Edgar Illas (2023), il regime di sopravvivenza ha distrutto tutti quegli spazi in cui prima veniva immaginato un cambiamento sociale, riducendo in tal modo la politica a nient'altro che a una lotta costante per evitare l'annientamento. Questo collasso dell'orizzonte politico si manifesta in tre fenomeni specifici concreti:
1 - La depoliticizzazione della violenza: in narco-traffico viene presentato come se fosse un problema di criminalità, e non come una struttura di potere all'interno del capitalismo.
2 - La militarizzazione della vita quotidiana: la violenza è diventata onnipresente, integrandosi nella normalità della vita sociale.
3 - La crisi dei movimenti di resistenza: ogni e qualsiasi forma di organizzazione politica, viene rapidamente disarticolata, o assorbita da quello stesso sistema che essa prima cercava di distrugge.   
    Questa situazione pone un dilemma fondamentale: in che modo organizzare una lotta politica in un mondo dove la violenza è stata completamente integrata nella riproduzione del capitale?

2.5 La violenza come ultima frontiera della capitale
La scoperta del Il centro di sterminio di Teuchitlán, non è un evento eccezionale, ma è l'espressione più cruda di un sistema basato sull'amministrazione della morte. La guerra, il narco-traffico e l'estrema precarizzazione non sono più problemi da risolvere, ma costituiscono le condizioni necessarie alla riproduzione del Capitale nel modernità tardiva. Secondo Endnotes (2010) e Illas (2023), è possibile affermare che il mondo è entrato in una fase terminale, dove l'unica questione rilevante non è più come regolare la violenza, ma piuttosto come fare a uscire da un sistema che ha convertito la guerra nella sua unica forma di esistenza. È questa la sfida del nostro tempo: costruire un'alternativa all'interno di un mondo in cui la violenza ha assorbito tutti gli spazi possibili di resistenza.

Parte III: Lo Stato, il Mercato Mondiale e la crisi del lavoro nell'era della guerra globalizzata
3.1 Stato e tnarco-traffico: una simbiosi nel capitalismo globale
Lo Stato messicano non è un'ente separato dal narco-traffico, né dalle economie informali, ma costituisce piuttosto una struttura che ha incorporato queste dinamiche nelle proprie forme di gestione. Come sottolinea Endnotes (2010), la crisi del lavoro nel capitalismo globale ha generato una nuova fase in cui le istituzioni statali non possono più garantire la riproduzione sociale attraverso dei meccanismi tradizionali, come il salario o la stabilità lavorativa. Piuttosto, invece, lo Stato amministra la precarietà, e regola la violenza senza sradicarla. Seguendo la logica di Edgar Illas (2020, 2023), lo Stato è passato, dall'essere un'entità che centralizzava la sovranità e la violenza, a essere un'entità frammentata che delega la gestione del conflitto altri differenti attori. In Messico, tutto questo si traduce in:
1 - La militarizzazione della sicurezza pubblica: la guerra contro il narco-traffico è servito da giustificazione per il dispiegamento delle forze armate in più regioni, non per sradicare il crimine, quanto piuttosto per disciplinare la popolazione, e garantire così la stabilità del mercato criminale.
2 - La terziarizzazione della violenza: lo Stato permette che il crimine organizzato amministri la vita in più territori, trasformando la violenza in un meccanismo di regolazione sociale.
3 - L'uso del terrore come strategia di governance: sparizioni forzate e centri di sterminio, come quello di Teuchitlán, non solo eliminano gli individui, ma servono a riconfigurare la soggettività della popolazione per mezzo della paura e dell'incertezza.   
    Come hanno sottolineato Endnotes (2010) e Illas (2023), lo Stato non agisce più come un un arbitro del conflitto, bensì come un attore in più nel contesto di una rete di potere che integra, nella medesima struttura di accumulazione, il crimine, il mercato e la violenza .

3.2 La crisi del lavoro e delle economie I criminali nel capitalismo tardivo
In Messico, il narco-traffico e la violenza estrema non possono essere compresi senza analizzare la crisi struttura strutturale del lavoro nel capitalismo globale. Come sottolinea Edgar Illas (2020), la guerra globalizzata ha distrutto i modelli tradizionali di lavoro, e ha generato un mondo le forme di sussistenza si sono frammentati in molteplici mercati, alcuni formali, altri clandestini, ma tutti quanti governati dalla precarietà. Per comprendere questa dinamica, diventa utile Il concetto di "shadow economy" (economia ombra). In molte regioni del Messico, il narco-traffico non consiste solamente in un'organizzazione criminale, ma rappresenta anche una fonte di lavoro per migliaia di persone che sono stati espulse dal mercato del lavoro formale. Questa economia parallela Include:
1. Produzione agricola criminale: colture di papavero e di marijuana che impiegano intere comunità in delle condizioni di sfruttamento estremo.
2. Lavoro logistica precarizzato: trasporto di droghe, riciclaggio di denaro, produzione di precursori chimici per fabbricare droghe sintetiche.
3. Omicidi su commissione e sicurezza privata criminale: la criminalità organizzata offre posti di lavoro in quella che è la sicurezza dei suoi territori, generando così strutture di lavoro informali ma altamente gerarchiche.
4. Economia del riciclaggio criminale:  furto di carburante, di automobili e di merci, il tutto integrato in una rete trans-nazionali.

   Tutte queste dinamiche fanno parte di ciò che Endnotes (2010) definisce "proletarizzazione senza salario", vale a dire, la trasformazione della popolazione in una massa di lavoratori disponibili per il Capitale, senza che però percepiscano necessariamente un reddito stabile o godano dei diritti del lavoro. In un tale contesto, il lavoro nero diventa un elemento chiave. Il capitalismo globalizzato ha normalizzato l'utilizzo della manodopera clandestina, non solo nel traffico di droga, ma anche in quelle che sono le molteplici industrie legali le quali dipendono da lavoratori senza contratto, senza tutela e senza diritti. Al confine settentrionale del Messico, ad esempio, migliaia di migranti lavorano nella Maquila, nell'ambito di regimi di subappalto che li lasciano in una situazione di estrema vulnerabilità. In narco-traffico, lungi dall'essere un'anomalia, opera secondo la medesima logica: reclutare manodopera precaria, sfruttarla e scaricarla nel momento in cui cessa di essere utile. In questo schema, la sparizione forzata diventa la meccanismo attraverso il quale i lavoratori del crimine vengono eliminati quando è terminato il loro ciclo di utilità.

3.3 Capitalismo, violenza e le economie criminali globali
Il mercato globale non è alieno da tutte queste dinamiche, ma di esse ne beneficia direttamente. Come ha più volte sottolineato Edgar Illas (2023), il tardo capitalismo è entrato in una fase in cui i confini tra legale e illegale hanno collassato. La violenza non è più un'interruzione del Capitale, ma è diventato un mezzo di produzione in sé. Le economie ombra in Messico non funzionano isolatamente, ma come parte di una rete globale nella quale le economie illecite interagiscono con il sistema finanziario formale. Tutto questo, lo si vede a diversi livelli:
1 - Il ruolo svolto dalle banche internazionali: sono state svolte molteplici indagini che hanno dimostrato in che modo  i grandi istituti bancari abbiano riciclato denaro del narco-traffico, integrandolo nel circuito finanziario globale.
2 - Commercio di armi e militarizzazione: la guerra in Messico si alimenta con il traffico di armi proveniente dagli Stati Uniti, un business che si nutre direttamente dei conflitti.
3 - Le economie della vigilanza e della sicurezza privata: nell'ultimo decennio, le imprese di vigilanza sono cresciute in modo esponenziale, convertendo la violenza in un mercato in sé.   
    Come argomenta Illas (2023), il capitalismo non è più un sistema in cerca di stabilità, ma opera attraverso la crisi permanente. La violenza estrema, lungi dall'essere un ostacolo, è il meccanismo attraverso cui si creano nuove opportunità di investimento e di accumulazione.

3.4 Il crollo della distinzione tra crimine e Capitale
Se seguiamo il logica di Endnotes (2010), ecco che smette di avere senso voler separare il crimine organizzato dal capitalismo globale. A partire dall'accumulazione originaria, e  fino alle guerre imperialiste, la storia del capitalismo è stata sempre segnata dalla violenza. Tuttavia, nella fase attuale, la criminalità non è più un'eccezione all'interno del sistema, bensì diventa la sua modalità di funzionamento preferita. In questo senso, in Messico, il narco-traffico non è un problema di sicurezza, ma un vero e proprio modello di accumulazione all'interno del capitalismo di guerra. Il CJNG e gli altri cartelli operano come se fossero delle imprese multinazionali:
1. Hanno strutture gerarchiche simili a quelle delle corporazioni globali.
2. Si espandono sui mercati per mezzo di strategie di guerra e controllo del territorio.
3. Usano la paura e la violenza come metodi di disciplinamento del lavoro.   
    Ciò conferma quello che che Edgar Illas (2020) definisce il "regime di sopravvivenza", nel quale, per milioni di persone, l'unica opzione disponibile è quella di integrarsi un struttura di violenza permanente, sia come lavoratori precari, sia come combattenti o vittime.

3.5 È possibile un mondo senza guerra?
L'analisi del La violenza in Messico rivela che il narco-traffico non è un nemico del capitalismo, bensì ne rappresenta la sua logica conseguenza. La sparizione forzata, la precarizzazione del lavoro, e le economie criminali sono i pilastri di un sistema nel quale la guerra non è più un'anomalia, ma è la base stessa dell'accumulazione. Con Endnotes (2010) e Illas (2023), possiamo affermare che il Il capitalismo è arrivato a un punto in cui la guerra e il crimine non possono più essere separati da quello che è il suo normale. Pertanto, la domanda che si pone non è come sradicare la violenza, ma come fare a immaginare un mondo in cui la violenza non sia il principio organizzatore della vita sociale. È questa la sfida del nostro tempo: pensare la possibilità di un'economia, di una politica e di una società al di là di quello che è il regime di guerra permanente.

Parte IV: La guerra mondiale, le micro-guerre e il ripiegamento della lotta di classe nell'era del capitalismo bellico
4.1 La guerra globale come nuova forma di organizzazione del Capitale
Il capitalismo contemporaneo ormai non può più essere compreso senza la guerra. Come sottolinea Edgar Illas (2020, 2023), la guerra ha smesso di essere un evento eccezionale, ed è diventata una logica strutturale per l'ordinamento del mondo. Non si tratta solamente dei tradizionali conflitti tra Stati, quanto piuttosto anche di un sistema globale di micro-guerre, di guerre civili e di violenze frammentate, in cui il capitale e la guerra sono diventate inseparabili. Seguendo la tesi di Endnotes (2010), vediamo come questo processo sia stato accompagnato dal ripiegamento della lotta di classe, e dalla scomparsa della Guerra di Classe da ogni orizzonte politico. Al loro posto, sono emersi dei conflitti interni, localizzati e depoliticizzati, che non cercano più di trasformare il sistema, ma di operare al suo interno. La guerra contemporanea, può essere analizzata riguardo quattro livelli interconnessi tra loro:
1 . La guerra mondiale permanente: conflitti come la guerra in Ucraina, gli interventi in Medio Oriente e le tensioni nel Pacifico mostrano in che modo la competizione tra le potenze sia diventata una situazione permanente.
2. Le micro-guerre e le guerre irregolari: in molte parti del mondo, la violenza non adotta la forma di guerre inter-statali, quanto piuttosto quella di conflitti interni che frammentano le società su più fronti.
3. Le guerre civili prolungate: il collasso dello Stato in alcuni territori, ha generato dei conflitti di lunga durata in cui gli attori non statali controllano porzioni di territorio e di mercato.
4. Il ripiegamento della lotta di classe e la trasformazione della violenza: la guerra di classe è stata rimpiazzata da dei conflitti etnici, religiosi e settari, i quali frammentano la popolazioni, anziché articolarle in una lotta comune contro il capitale.

   In un simile contesto, La violenza ormai non è più un ostacolo all'accumulazione, ma diventa un meccanismo per regolare il Sistema-Mondo capitalista.

4.2 Microguerre e guerre civili: lo smembramento dello Stato-nazione
Uno degli aspetti più rilevanti della guerra contemporanea è la moltiplicazione dei conflitti non convenzionali, nei quali è scomparsa la distinzione tra guerra e pace. Edgar Illas (2023) descrive questo fenomeno attraverso il concetto di "magma bellico"; uno stato di guerra nel quale il conflitto non viene più limitato da quelle che erano le frontiere statali, né da chiare regole di ingaggio. Di questo, e di questa nuova forma di guerra, il Messico costituisce un caso paradigmatico. La violenza del narco-traffico non può essere inteso come un semplice problema di pubblica sicurezza, ma consiste di un conflitto quasi-militare nel quale molteplici attori (cartelli, paramilitari, esercito, polizia privata) competono per il controllo di territori strategici. Vedendolo da questa prospettiva, vediamo che il paese è diventato il teatro di una guerra civile non dichiarata, nella quale lo Stato ha smesso di essere l'unico attore che abbia la capacità di amministrare la violenza. Una situazione simile, non è esclusiva del Messico; in molti paesi del Sud Globale, la distinzione tra guerra e criminalità, tra sicurezza e conflitto armato si è dissolta in un continuum di violenza strutturale. Questo fenomeno ha tre le implicazioni principali:
1. la frammentazione del potere: lo Stato ormai non monopolizza più il violenza, ma piuttosto la distribuisce tra più attori.
2. La guerra come meccanismo di accumulazione: i conflitti interni generano mercati illeciti, flussi di capitali e opportunità di investimento.
3. Il collasso della sovranità classica: in molti casi, le guerre civili prolungate non cercano di rimpiazzare lo Stato, ma di amministrarlo a partire dalla criminalità, o dalle economie informali.

4.3 Il ripiegamento della lotta di classe e la crisi della guerra di classe
Il capitalismo del Il XX secolo è stato marcato dalla lotta di classe in quanto conflitto centrale. Tuttavia, come sottolineato da Endnotes (2010), nel XXI secolo questa dinamica è cambiata radicalmente. La lotta di classe non è scomparsa, ma è stata relegata in secondo piano, sostituita da delle forme di conflitto che non mettono direttamente in discussione la riproduzione del capitale. Ciò è dovuto a diversi fattori:
1. La frammentazione del proletariato: il neoliberismo ha distrutto le identità di classe, e a causa dell'estrema precarizzazione ha sostituito l'organizzazione operaia con l'individualismo.
2. L'assorbimento della violenza nell'economia: le guerre civili e le micro-guerre non sono più dirette contro il Capitale, ma si sono integrate nel ciclo di accumulazione.
3. Lo scivolamento della guerra di classe verso dei conflitti settari, etnici e territoriali: in molti luoghi, l'energia della lotta di classe è stata reindirizzata verso dei conflitti interni che dividono la popolazione anziché unirla contro la capitale.  
   Edgar Illas (2023), sostiene che la guerra di classe è stata sostituita da un regime di sopravvivenza, nel quale le persone non lottano più per trasformare il sistema, ma lottano per trovare il loro posto al suo interno. La precarietà lavorativa, il narco-traffico e le economie sommerse sono un esempio di questa trasformazione: il proletariato non è più alla ricerca della rivoluzione, ma cerca piuttosto di sopravvivere nel contesto di quello che è un sistema ostile.

4.4 La guerra come forma finale del capitalismo
Se il XIX secolo era stato segnato dall'espansione del capitalismo industriale, e il XX secolo dalla lotta tra capitale e socialismo, il XXI secolo viene a essere definito dalla guerra in quanto modo di esistenza del Capitale. Come sottolinea Illas (2023), la guerra non è più un mezzo per raggiungere un fine, ma è adesso il fine in sé stesso. In questo senso, il capitalismo è entrato nella sua fase finale:
1. Oramai non cerca stabilità, ma crisi permanente.
2. Oramai non ha bisogno più di crescita, ma piuttosto di conflitti che mantengano la circolazione del valore.
3. Oramai non si basa più sullo sfruttamento diretto del lavoro, ma sull'amministrazione della precarietà e della violenza.
    Questo modello si esprime su tre livelli:
1 - La guerra mondiale frammentata: anziché un conflitto globale unico, abbiamo molteplici fronti di guerra, i quali garantiscono il movimento del Capitale.
2 - Le economie di guerra criminalizzate: il crimine organizzato, il narco-traffico e le economie illecite sono stati tutti incorporati nel sistema di accumulazione.
3 - Il collasso della politica rivoluzionaria: la lotta di classe è stata disarticolata, e al suo posto sono sorte delle forme di conflitto che non sfidano il Capitale.

4.5 È possibile una guerra di classe nel XXI secolo?
Il ripiegamento della lotta di classe, e il consolidamento di quello che è un capitalismo di guerra, pone una domanda fondamentale: è possibile ricostruire una guerra di classe in un mondo nel quale la violenza è stata assorbita dal Capitale? Secondo Endnotes (2010) ed Egar Illas (2023), l'unico modo di uscire da questo regime di guerra consiste nel ri-politicizzare il conflitti, vale a dire, trasformare le lotte locali, frammentate e depoliticizzate in un confronto diretto contro il sistema che li produce. Ciò comporta:
1. Riformulare la lotta di classe nel contesto della precarietà e della guerra.
2. Superare le divisioni imposte dal capitale e costruire una politica che connetta le lotte disperse.
3. Sfidare l'economia di guerra, non solo resistendo alla violenza, ma distruggendo il sistema che la produce.

   Il capitalismo di guerra non è invincibile. Come ogni e qualsiasi sistema, esso dipende dall'obbedienza e dalla passività di coloro che lo sostengono. La sfida del XXI secolo non è solo resistere alla guerra, ma  trasformare la guerra del Capitale in una guerra rivoluzionaria contro il Capitale.

Parte V: La legge del Coraggio e la Guerra in quanto Sintomo del Capitalismo Agonizzante
5.1 La guerra in quanto Riorganizzazione della Legge del Valore
Lungi dal significare un crollo totale del capitalismo, la guerra globalizzata e la violenza strutturale del XXI secolo dev'essere compresa in quanto riconfigurazione della Legge del Valore. Anziché distruggersi, la logica dell'accumulazione si è riorganizzata secondo delle nuove forme di sfruttamento, di precarizzazione e di controllo del territorio. In questa fase del capitalismo, la produzione di merci non è più l'unico asse della valorizzazione. La guerra, il crimine organizzato e le economie "illecite" sono state assorbite nella riproduzione del capitale, come componenti interne all'accumulazione. Questo processo si può sintetizzare nelle sue tre dinamiche fondamentali:
1 - Frammentazione del mercato globale del lavoro: la relazione esistente tra produzione e lavoro stabile è stata indebolita, e il Capitale ora si muove tra lavoro formale, informale e criminalizzato, secondo le sue necessità.
2 - Criminalizzazione del capitale: il narco-traffico e le altre economie "illecite" non sono delle anomalie del sistema, ma fanno parte del la sua struttura di valorizzazione. La differenza tra "lecito" e "illecito" è meramente amministrativa.
3 - Ristrutturazione del valore attraverso la guerra: i conflitti armati, la violenza estrema e il controllo territoriale non interrompono l'accumulazione, ma piuttosto la riorganizzano, ridistribuendo il potere e le opportunità di investimento.

   A partire da questa prospettiva, il capitalismo di guerra non è la fase terminale del sistema, bensì una delle sue forme più avanzate di adattamento e di riorganizzazione. La guerra non è la fine del capitalismo, ma è un nuovo modo di articolare la produzione, il lavoro e il controllo sociale.

5.2 La Distruzione come Meccanismo di Ristrutturazione del Capitale
In un capitalismo nel quale la produzione di merci non è più l'unico motore dell'accumulazione, la distruzione e il conflitto sono diventate delle strategie di riorganizzazione del mercato mondiale. Tuttavia, questa distruzione non è né caotica né arbitraria, ma rappresenta una forma di aggiustamento del sistema al fine di mantenerne la sua riproduzione. Questo si osserva a vari livelli:
1 - Le guerre e i conflitti localizzati: anziché rappresentare un minaccia all'economia globale, la guerra consente la ristrutturazione dei settori produttivi, l'apertura di nuovi mercati e l'eliminazione di quegli attori diventati obsoleti all'interno del Capitale.
2 - L'espansione delle economie "illecite": lungi dall'operare al di fuori del mercato globale, le reti di traffico di stupefacenti, di armi e di persone formano parte del flusso di accumulazione e di redistribuzione del Valore.
3 - Mercantilizzazione della violenza: la sicurezza privata, l'industria militare e l'espansione del controllo di polizia hanno convertito la violenza in un settore di investimenti e di crescita nel contesto del Capitalismo.

   Il capitale oramai non si basa più  esclusivamente sulla produzione di beni e di servizi "leciti", ma opera in uno schema nel quale la violenza e il crimine non sono delle anomalie, ma piuttosto dei meccanismi interni della sua stessa ristrutturazione.

5.3 Militarizzazione del Valore e Amministrazione della Forza Lavoro
Un altro aspetto chiave di questa ristrutturazione, è la dislocazione del lavoro salariato, fatta attraverso forme di controllo bio-politico e militarizzato. Se nel capitalismo industriale il salario era l'asse della relazione sociale, nel capitalismo di guerra il controllo di popolazioni, di territori e di flussi di lavoro precari sono diventati centrali ai fini  dell'accumulazione. Anche questo si traduce in tre dinamiche fondamentali:
1. La militarizzazione del posto di lavoro: settori quali la sicurezza privata, l'agricoltura e i trasporti, ora dipendono da condizioni di rischio estremo, poiché normalizzano la violenza nell'ambito lavoro.
2. Il Il terrore come regolamentazione del mercato del lavoro: la sparizione forzata e l'assassinio mirato non solo elimina gli individui, ma serve come meccanismo di disciplina sociale.
3. Controllo del movimento della popolazione: la criminalità organizzata e lo Stato collaborano nell'amministrazione dei migranti e dei lavoratori informali, facendo uso della violenza per gestire la loro mobilità.   
    Di conseguenza, il Il capitalismo ha ristrutturato il lavoro, non eliminandolo, ma subordinandolo a una logica di militarizzazione, di criminalizzazione e di estrema precarizzazione.

5.4 La Guerra come Nuova Forma dell'Organizzazione del Capitale
Per quanto la produzione di merci esista ancora, essa non è più l'unica base di accumulazione. Nel capitalismo di guerra, l'economia si struttura intorno all'amministrazione del conflitto, del controllo territoriale e della gestione della crisi, in quanto forme di riproduzione sociale. Questo può essere visto secondo tre livelli:
1 - La guerra come meccanismo di redistribuzione del capitale: la violenza estrema genera opportunità per l'investimento nella ricostruzione, nella sicurezza e nel controllo sociale.
2 - Le economie di guerra criminalizzate: il crimine organizzato, non solo è un fenomeno sociale, ma è anche una struttura economica integrata nel mercato mondiale.
3 - L'aggiustamento permanente della struttura produttiva: la guerra e la crisi consentono la costante ristrutturazione del capitale, eliminando dei settori obsoleti e ridistribuendo le risorse in base alle esigenze del sistema.   
    Lungi dal collassare, Il capitalismo si è adattato a questo nuovo modello,nel quale la violenza non è più un ostacolo per l'accumulazione, ma piuttosto la sua forma predominante di riorganizzazione.

5.5 Verso una Critica del Capitalismo di Guerra
L'analisi del violenza in Messico, e a livello mondiale, rivela come la guerra, il narco-traffico e l'estrema precarietà non siano il sintomo di un collasso imminente, ma rappresentano piuttosto quelli che sono i modi in cui il capitalismo viene ristrutturato e trova nuove forme di riproduzione. In tale contesto, le tradizionali strategie di resistenza non sono sufficienti. La lotta contro la violenza strutturale deve tener conto del fatto che la guerra non è un'anomalia del capitale, ma costituisce una parte del suo logica di riorganizzazione. Se il capitalismo ha fatto della crisi il suo normale modo di operare, la sfida non sta più solo nel denunciare la violenza, ma bisogna capire i meccanismi di riorganizzazione in modo da sviluppare delle nuove forme di lotta e di trasformazione. Il capitalismo non è crollato, però ha cambiato la sua logica di riproduzione. La questione non è se sia possibile sopravvivere a questa trasformazione, ma è quella di sapere che genere di resistenza è possibile in un modo in cui la violenza si è completamente integrata nella struttura del mercato.

- Comunismo Gotico - Pubblicato il 14/3/2025 su Comunismo Gotico -

Riferimenti

    Endnotes. (2010). Misery and the value form. Endnotes, (2).  - https://endnotes.org.uk/issues/2
    Illas, Edgar (2020). The survival regime: Global war and the political. New York, NY: Routledge.
   Illas, Edgar (2023). The magma of war: An ontology of the global. London: Bloomsbury Academic.

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