lunedì 24 marzo 2025

De-Frontierizzare il Mondo !!

Brutalismo, la fase suprema del neoliberismo
- di Amador Fernández-Savater -

«Ciò che è significativo non è ciò che mette fine e consacra, ma ciò che dà inizio, che annuncia e prefigura.»
Achille Mbembe
 

In che epoca viviamo? Come descriviamo il nostro tempo? Per il pensiero critico, c'è qualcosa di decisivo in gioco, in questa questione dei nomi. Nei nomi dell'epoca. È la mappa dei nomi, quella che guida le strategie, che indica i movimenti dell'avversario, e rivela le possibili resistenze. Che cos'è che stiamo affrontando oggi? E se non sappiamo come si chiama, come potremo fare a combatterla? Il pensatore camerunese Achille Mbembe, per farlo,  propone il termine "brutalismo". Proveniente dall'universo dell'architettura, dove esso definisce uno stile di costruzione massiccio, industriale e altamente inquinante, il termine brutalismo - in quanto immagine del mondo contemporaneo - dà il nome a quello che appare come un processo di guerra totale contro la materia. La diagnosi di Mbembe non è semplicemente politica o economica, culturale o allo stesso tempo antropologica, ma è piuttosto una diagnosi riferita alla civiltà, ed è pertanto cosmica, cosmopolitica. Designa la relazione dominante con l'esistente. È una relazione di forzatura e di estrazione, di sfruttamento intensivo e di depredazione. Il mondo è diventato una gigantesca miniera a cielo aperto, e la funzione dei poteri contemporanei - dice Mbembe - è quella di «rendere possibile l'estrazione». Del Brutalismo, esiste una versione di destra e una versione progressista, ma entrambe, con un'intensità e con delle modalità diverse, gestiscono la medesima impresa di perforazione. Perforazione dei corpi e dai territori, svolta attraverso il linguaggio e il simbolico. Un nuovo imperialismo? Sì serto, però questo, stavolta, non istituisce più - o costruisce - una civiltà dei valori, una nuova idea del Bene, o una cultura superiore, ma piuttosto ciò che fa, è fratturare e spaccare i corpi – individuali, collettivi, terrestri – per estrarre da essi ogni tipo e genere di energia, fino all'esaurimento, minacciando così la «combustione del mondo». Mbembe identifica, a livello planetario, quali sono le tendenze che influenzano l'umanità nel suo complesso. Ma nel farlo, tuttavia, pensa a partire da un luogo particolare: l'Africa, la sua storia, le sue ferite e le sue resistenze. Il mondo intero oggi sta vivendo un «divenire nero», in cui la distinzione tra l'essere umano, la cosa e la merce tende a scomparire. Lo schiavo nero prefigura una tendenza globale. Siamo tutti in pericolo.

Economia libidica brutalista
Che tipo di essere umano, di soggettività e di desideri, vuole produrre il brutalismo contemporaneo? Da un lato, coltiva il folle progetto di sradicare l'inconscio; «quell'immensa riserva notturna con cui la psicoanalisi ha cercato di riconciliarci». Il corpo umano non è un mero corpo biologico, neuro-chimico, ma è anche «materia sognata» (Leòn Rozitchner) che anela, che fantastica, che utopizza. L'inconscio è una buccia di banana sul pavimento di ogni piano di controllo, inclusi quelli che ciascuno esercita su sé stesso. Qualsiasi cosi, lo devia, lo distorce, lo complica. Bisogna estirpare una simile dimensione ingovernabile, catturare nelle reti dei dati tutte le forze e le potenzialità umane, mappare interamente la materia fino a che la mappa non sostituirà il territorio. Il brutalismo punta alla digitalizzazione integrale del mondo, dissolvendo così l'inconscio (quello che ci rende unici e irripetibili) nell'algoritmo, nel numero, nel dominio del quantitativo. Abolire il mistero che noi siamo, e sbiancare la notte. Tuttavia, con questo, l'unica cosa che ottiene è lasciare la strada aperta agli impulsi più oscuri e distruttivi. Perché? La razionalizzazione generale – la digitalizzazione, l'algoritmizzazione, la protocollizzazione – blocca tutte le energie affettive e amorose, blocca quella potenza dell'Eros che per Freud è l'unico contrappeso possibile rispetto a Thanatos. Il progetto della sradicazione dell'inconscio provoca una de-sensibilizzazione generale. L'indifferenza al dolore degli altri, il gusto di ferire e uccidere, per vedere soffrire. La crudeltà e il sadismo sono i  tratti chiave dei poteri contemporanei. In un capitolo particolarmente agghiacciante, Mbembe parla del "virilismo" contemporaneo. L'economia libidica del brutalismo non passa più attraverso la repressione o il contenimento delle pulsioni, ma attraverso la mancanza di freni, la disinibizione, la de-sublimazione e l'assenza di limiti. Dire tutto, fare tutto, mostrare tutto e goderne. Il virilismo configura una zona frenetica - dice Mbembe - dove non c'è alcuna traccia dei vecchi sensi di colpa, o di pudore o di inibizione. Una figura, forse esprime tutto ciò, meglio di ogni altra: il trionfo dell'immagine del padre incestuoso sulle pagine pornografiche. Tornando indietro: se l'assassinio del padre dispotico, per mano dei suoi figli, aveva significato per Freud il passaggio alla civiltà, al limite e alla legge, ecco che oggi il fantasma di quel padre violento ripopola i desideri più oscuri. Ieri, il principio di realtà (il mandato paterno) ci aveva costretto a rinunciare, o a rimandare il piacere, a sostituirlo con una compensazione sublimatrice. Oggi, esige da noi tutto il contrario: non posporre, non rimandare o non sostituire più nulla, ma accedere direttamente al godimento, letteralmente e senza alcuna mediazione. Consumare (oggetti, corpi, esperienze, relazioni). Dalla repressione, alla pressione. Dalla de-sessualizzazione all'iper-sessualizzazione. Dal padre della proibizione al padre dell'abuso. La colpa oggi consiste nel non aver goduto abbastanza. Colonizzare ha sempre presupposto brutalizzare. La piantagione e la colonia, secondo Mbembe, sono delle prefigurazioni del brutalismo. Senza contenimenti, e senza mediazione simbolica, in esse si può e si deve assolutamente godere degli altri, trasformati in quello che è un mero «harem di oggetti» (Franz Fanon). Possiamo comprendere tutto ciò, dal punto di vista libidico, come una chiave di lettura dell'ascesa della nuova destra? Si presentano come i difensori di una "libertà" che corrisponde solo al diritto - dei forti - di godere dei deboli, come se essi fossero degli oggetti usa e getta. Sullo sfondo - come un effetto derivato dal virilismo - la paura della castrazione, il panico genitale e l'orrore del femminile si diffondono ovunque. Il brutalismo arriva perfino ad aspirare a sbarazzarsi completamente delle donne. Onanismo generalizzato, sessualità senza contatto, tecno-sessualità, con il cervello che sostituisce il fallo, in quanto organo privilegiato. Pertanto, il virilismo  sarebbe così solo l'ultima parola del patriarcato.

Corpi-Frontiera
Alla fine del suo libro sulle origini del totalitarismo - più di seicento pagine dedicate allo studio delle condizioni storiche e sociali che hanno reso possibili il nazismo e lo stalinismo - Hannah Arendt afferma, sorprendentemente, che l'unica certezza a cui è arrivata è quella che il totalitarismo è nato in un mondo nel quale la popolazione nel suo insieme sarebbe diventato superflua. I campi di concentramento (e più tardi di sterminio) sono stati l'unico posto dove il potere dell'epoca ha trovato una sistemazione per contenere le eccedenze. Come leggerlo oggi, nel momento in cui la nostra epoca si trova a essere attraversata dal comune fenomeno delle masse erranti? La guerra, è sempre stato un possibile espediente per regolare l'eccesso di popolazione indesiderata, e il totalitarismo è sempre stato un regime di guerra permanente. Il brutalismo contemporaneo, pur differente dal nazismo o dello stalinismo - eredita tuttavia la stessa funzione. A fronte della paura di dover condividere, e al panico «del moltiplicarsi degli altri», viene messa in atto la gestione brutale delle migrazioni.
Gli esseri umani in eccedenza, vengono chiamati da Mbembe “corpi-frontiera”. Cosa farne di loro? Isolare e confinare, rinchiudere e deportare, lasciar morire. La biopolitica (che si prende cura della vita al fine di sfruttarla) si intreccia qui con la necropolitica (che produce e si prende cura della popolazione superflua). Il mondo contemporaneo, non conosce solo forme di controllo morbide e seducenti (moda, design, pubblicità), ma anche metodi di guerra. Oggi, ovunque, i controlli, le detenzioni, i confinamenti si inaspriscono. Si tagliano gli spazi, si decide in maniera autoritaria chi può muoversi e chi no. Non solo si promuove la mobilità dei soggetti (dalla casa, dal lavoro, dalla funzione), ma si trattiene, si controlla, si blocca. Gaza, come paradigma di Governo. Mentre i leader europei hanno recentemente celebrato l'ottantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, i campi sono di nuovo funzionanti. Campi di internamento, detenzione, relegazione e segregazione. Per migranti, rifugiati, richiedenti asilo. Campi, insomma, per stranieri. Samos, Chios, Lesbo, Idomeni, Lampedusa, Ventimiglia, Sicilia, Subotica. Le rotte migratorie più letali al mondo sono quelle europee, 10.000 persone hanno perso la vita cercando di entrare in Spagna lo scorso anno. Mbembe spiega come il massacro e la predazione operino anche nella gestione delle complesse circolazioni dei corpi di confine, attraverso il controllo delle linee di collegamento, delle mobilità e degli scambi. La guerra contro i migranti (questa materia in movimento) è anche un affare lucrativo e un fattore economico. Oggi, le pulsioni imperialistiche si coniugano con la nostalgia e la malinconia. Gli ex conquistadores, invecchiati e stanchi, si sentono invasi dalle "razze energiche" così piene di vitalità. Il mondo è diventato piccolo e si trova ora sotto minaccia. È questa la percezione che sfrutta l'estrema destra europea. La patria ormai non deve più espandersi, ma piuttosto va difesa. Così, in "Vox", lo stile affermativo ed entusiasta di un José Antonio diventa pura paura e puro vittimismo.

Utopie della materia
Come resistere al brutalismo? Mbembe non si crogiola in un esercizio di catastrofismo, ma azzarda piuttosto una critica utopica. Che significa questo? Il pensatore camerunese trova ispirazione in Ernst Bloch, il grande pensatore dell'utopia e della speranza nel XX secolo. Cos'è l'utopia per Bloch? Nulla di  tutto quello che di solito pensiamo sia associato a quel termine: speculazioni sul futuro, proiezioni di scenari, modelli perfetti. No, l'utopia è fatta di potenza,di latenza e di possibilità che si trovano già inscritte nel presente. A differenza della critica convenzionale, la critica utopica non solo traccia una cartografia critica dei poteri contemporanei, ma indica anche quali sono le potenzialità della resistenza, del cambiamento, degli altri mondi possibili. Non solo denuncia, giudica o respinge, ma enuncia anche delle nuove possibilità, invitando così l'ascoltatore a farle nascere, a dispiegarle. Mette in evidenza ciò che c'è e ciò che potrebbe esserci, e quest'ultimo non è una possibilità astratta, ma una forza in divenire. Se oggi assistiamo a un «divenire-nero del mondo», non potremmo allora forse lasciarci ispirare proprio dalle resistenze che le culture africane hanno sempre opposto al loro divenire? Qui, il particolare diventa universale e l'utopia, come voleva Walter Benjamin, non è più nel futuro ma nel «salto della tigre nel passato». Queste resistenze passano, per come le ho lette, attraverso un'altra concezione e un'altra relazione con la materia. La materia, secondo le culture africane pre-colonizzazione, era intessuta di relazioni, era differenza, era cambiamento. L'animismo, tutto questo, lo avrebbe espresso a livello spirituale: il mondo è popolato da una moltitudine di esseri viventi, di soggetti attivi, di molteplici divinità, di antenati, di intercessori. O la riparazione o i funerali, sostiene Mbembe. La sfida non è quella di indignarsi o di battersi il petto, ma è quella di rigenerare la materia ferita. Ad esempio, riguardo il dibattito sulla decolonizzazione dei musei, non si tratta semplicemente di "restituire" gli oggetti rubati ai loro luoghi di origine, bensì di comprendere come questi oggetti non fossero "cose" (né strumenti né opere d'arte), ma piuttosto veicoli e canali di energia, di forze vitali e di virtualità  abilitavano la metamorfosi della materia. Ricreare una relazione attiva con la memoria. Se la materia non è un oggetto che dev'essere sfruttato, ma è un ecosistema partecipativo, una riserva di potenzialità, un insieme di soggettività, quali sono allora le forme politiche che potrebbero convenirle? Al di là della democrazia liberale e del nazionalismo vitalista, al di là del suolo e del sangue, Mbembe propone una «democrazia dei viventi» che dovrebbe prendersi cura di tutti gli abitanti della terra, umani e non umani. Un'economia dei "beni comuni", che ci obbligherebbe a rinunciare alle nostre ossessioni di appropriazione esclusiva. Sarebbe una "de-frontierizzazione" del mondo, capace di tutelare il diritto di ciascuno a partire, a muoversi e a essere in transito. Essere straniero, per sé stessi e per gli altri. È la materia stessa, a essere utopica, sosteneva Ernst Bloch. Non è una massa passiva che attende che venga data dall'esterno quella che è la sua forma, ma essa ha in sé un suo movimento, un suo principio attivo, è gravida di futuro. È per questo che il brutalismo le fa la guerra? Ciò che essa esige da noi, è che si sia «come il fuoco nella fornace», che fa maturare, e realizza, potenzialità. Non per forzarla o per violarla, ma per ascoltarla, e prolungare la sua creazione.

- Amador Fernández-Savater - Pubblicato il 9 marzo 2025 - fonte: Autonomies -

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