«Non erano ancora trascorsi due o tre giorni, allorché mi rivolsi al poeta Omero - visto che entrambi non avevamo niente da fare - e, tra le altre cose, gli chiesi da dove veniva, essendo questo ancor oggi l'argomento più indagato tra noi. Lui dichiarò di essere consapevole del fatto che alcuni tra noi pensavano che fosse di Chio, altri di Smirne e molti di Colofone. Disse però di essere babilonese, e che tra si suoi concittadini non veniva chiamato Omero, ma Tigrane; e che solo in seguito, essendo divenuto ostaggio dei Greci, aveva cambiato nome [*Nota: in greco, la parola "homeros" può significare "ostaggio"]. Inoltre, gli chiesi anche a proposito di alcuni versetti spuri, se fossero stati scritti da lui. Egli dichiarò che erano tutti suoi. Fu a quel punto che mi resi allora conto della grande follia dei grammatici seguaci di Zenodoto e di Aristarco [**Nota: [qui, Luciano prende in giro due filologi alessandrini: Zenodoto di Efeso (ca. 333-260 a.C.), primo redattore di Omero, e Aristarco di Samotracia (ca. 216-144 a.C.), il quale aveva escluso dal testo omerico alcuni versetti che non venivano considerati autentici da entrambi]. Inoltre, volevo sapere se era vero che avesse scritto l'Odissea, prima dell'Iliade, come molti dicono. Lui lo negò. Invece, del fatto che non era cieco - cosa di cui si diceva di lui - l'avevo capito subito, dal momento che l'avevo visto coi miei occhi, in modo tale che non ho avuto alcun bisogno di fare delle domande in proposito. L'ho fatto spesso altre volte, di fargli delle domande, ogni qual volta mi capitava di vederlo che non faceva nulla. Mi avvicinavo, lo interrogavo e lui rispondeva volentieri a tutto, soprattutto dopo il processo, dal momento che era stato assolto. Si trattava di una calunnia contro di lui, fatta da Tersite, per averlo ridicolizzato nel suo poema, da cui Omero venne assolto, avendo Ulisse come suo avvocato»
(da: "Biografia Literária: Luciano de Samósata", di Jacynto Lins Brandao (Editor) - "Das narrativas verdades: segundo livro", UFMG Press, 2015, p. 168-169)
Nella favola di Luciano di Samosata, relativa al suo incontro con Omero – la quale si svolge nel suo romanzo "Storia vera", parodia satirica e ironica dei testi fantastici del passato e delle varie credenze – l'aspetto più interessante risiede nell'origine "straniera" che egli attribuisce al poeta. L'incontro si svolge sulla "Isola dei Beati", dove sono presenti, tra gli altri, anche Pitagora, Ulisse, Socrate. Questo voler diluire la solennità delle origini è molto interessante: Luciano salva nell'aldilà colui che è senz'altro il poeta originario per eccellenza, vale a dire, Omero, il quale funge da esempio e da depositario di saggezza per tanti autori dei più svariati generi; e nel farlo sottolinea però che egli non era un greco, ma un barbaro: solo dopo essere diventato «ostaggio dei Greci», ossia "schiavo di guerra", egli cambia nome ... e così via (tutto il movimento di Luciano consiste già in sorta di una parodia tuffandosi negli inferi alla ricerca di rivelazioni e scoperte, come la catabasi del Canto XI dell'Odissea, o il Canto VI dell'Eneide di Virgilio). L'ironica ricostruzione, che Luciano fa delle origini di Omero, ha forse qualcosa a che fare con quello che, di Omero, era stato il suo primo traduttore in latino, Livio Andronico. Nato intorno al 284 a.C., in quella città che oggi è Taranto, Andronico fu fatto prigioniero quando i Romani invasero la città nel 272; da lì viene portato come schiavo a Roma, e inizia a lavorare per la famiglia Livia, facendo da maestro per i figli del suo padrone: fu in questa "condizione pedagogica" che egli rese conto della mancanza di materiale adeguato per poter svolgere l'esercizio della professione: pertanto, a causa di questa insufficienza, intorno al 240 a.C., decise di tradurre in latino l'Odissea di Omero.
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