Il sudiciume sotto il tappeto della libertà
- Sul legame interno tra democrazia liberale e nuovo estremismo di destra -
di Robert Kurz
Ad ascoltare i democratici certificati, sembra di avere a che fare come con un religione manichea: per cui, nel mondo, ci sarebbe come un principio buono e uno cattivo. Il bene per eccellenza è la democrazia, insieme all'economia di mercato che l'accompagna; mentre invece Il male è la dittatura, il totalitarismo, il fascismo, il razzismo, ecc. Gli umori e le atrocità dell'estrema destra devono per forza provenire tutte da "fuori", da quello che è stato il primitivo background della "bestia umana", prima della civilizzazione, o forse la cosa è dovuta solo a cattiva educazione. Questo ingenuo pensiero democratico omette il fatto che, storicamente, democrazia e totalitarismo non hanno mai avuto, storicamente, alcuna relazione esterna l'uno con l'altro. Le dittature di modernizzazione, più o meno totalitarie di ogni sorta - da Cromwell a Hitler - non sono state delle semplici aberrazioni rispetto al "buon" principio della democrazia, ma esse costituivano piuttosto una sorta di stadio larvale della democrazia stessa. Dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia occidentale diventa indissociabile dalla storia che porta fino alla situazione attuale, e tale storia è stata sempre e ovunque scritta con il sangue. Potrebbe sembrare strano considerare le dittature moderne, piuttosto che come in opposizione alla democrazia, come se esse rappresentassero invece le forme storico-genetiche di imposizione che ha avuto la democrazia stessa. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la democrazia è anche, a partire dal suo stesso nome, una forma di dominio: vale a dire, l'auto-dominio dell'uomo attuato nel nome di principi astratti, l'auto-sottomissione alle leggi del mercato totale. Sono state le dittature della modernizzazione, quelle che (usando differenti nomi ideologici) hanno istituito socialmente questo nucleo del dominio della democrazia: la sottomissione a delle norme temporali astratte, alla disciplina di fabbrica e di ufficio, alla necessità di un "lavoro" alienato svolto per denaro. In nessun altro luogo, gli uomini hanno accettato così tanto volentieri, e di buon grado, di piegarsi a queste esigenze. La democrazia, nel senso attuale del termine, significa innanzitutto l'interiorizzazione di questi obblighi e legami, a tal punto che gli uomini, diventati monadi astratte del lavoro e del denaro, eseguano da sé soli tutto ciò che un tempo veniva loro imposto. Il totalitarismo, la logica della produzione di merci che è stata così generalizzata, non è più una forza esterna, ma essa risiede negli individui stessi. Ed è essenzialmente qui che si esaurisce la differenza tra la dittatura totalitaria (aperta) e la democrazia totalitaria (interiorizzata) nella modernità. Persino il nazionalsocialismo, come ha sottolineato Ralf Dahrendorf, possedeva ancora numerose caratteristiche proprie di una rivoluzione modernizzatrice: non solo per quel che riguardavano le nuove forme di consumo industriale di massa (Volkswagen, autostrade), che vennero commercializzate dopo il 1945 e che portarono al "miracolo economico", ma anche mediante il rimodellamento e la messa in riga dei vecchi circoli sociali.
In astratto, il “Volksgenosse” in uniforme era, per così dire, al pari della Volkswagen, il prototipo dello scapolo di oggi, altamente individualizzato e completamente omologato, come descritto da Ulrich Beck nel suo “La società del rischio”. Pertanto, tra il nazionalsocialismo e la democrazia del dopoguerra esiste quello che è un complesso legame interno, il quale è poi stato represso dai democratici brevettati solo perché essi non volevano riconoscere il momento totalitario della democrazia stessa. Le provocazioni naziste, i graffiti con la svastica e gli atti barbarici dei bambini violenti di oggi, mostrano cinicamente, mettendolo in luce, ciò che è stato represso. Nei suoi ragazzi ribelli, la democrazia vede soltanto il proprio riflesso, nel quale ricompaiono le brutte cicatrici, altrimenti nascoste, prodotte dalla sua stessa storia di imposizione. Tuttavia, a diventare visibili non sono solo le cicatrici del passato, ma anche le conseguenze, altrettanto orribili, del presente democratico. Infatti, la libertà della democrazia liberale è identica al suo nucleo di dominio, dal momento che questa libertà è sempre e solo la "libertà economica" di comprare e vendere sé stessi, la libertà delle persone solvibili. Non è prevista alcun'altra libertà. La forma di azione di tale libertà è la competizione, la concorrenza, la quale, essenzialmente, vuole essere totale: "Ciascuno per sé, Dio contro tutti". E nella democrazia dell'economia di mercato, la concorrenza non viene forse elogiata in quanto principio superiore che, solo, può garantire "l'efficienza"? La democrazia è una società di performance pura, laddove nessun handicap viene visto di buon occhio, e la quale non tollera (in linea di principio) alcuno slancio di umanità che non possa sottomettersi al criterio della "redditività". In tal modo, gli estremisti di destra, in realtà, proprio nel momento in cui rinunciano a ogni solidarietà umana e attaccano i rifugiati, le minoranze, le persone con disabilità e i senzatetto - in quanto scomodi "fattori di costo" - stanno solo parlando apertamente di quello che è il principio più intimo della democrazia stessa. Pertanto, è proprio a tal proposito che i democratici non dovrebbero essere sorpresi o indignati dal fatto che i nuovi estremisti di destra si considerino democratici, e vogliano essere riconosciuti come una componente legittima della democrazia. In particolare, questo vale per tutte le nuove forme di estremismo di destra, come il miliardario Ross Perot o la star repubblicana Newt Gingrich negli Stati Uniti, o il Gruppo Berlusconi [N.d.T: sta per, “Forza Italia”]o la "Lega Nord" in Italia, e il partito di Jörg Haider (significativamente, il "Partito della Libertà") in Austria. Ciò che qui ci colpisce, è l'odore nauseabondo di un darwinismo sociale tutto occidentale e universalista, il quale predica un individualismo asociale, che in nome dei "forti" vuole sbarazzarsi degli "improduttivi", per poter semplicemente gestire la povertà in uno Stato di polizia. Il mondo democratico,nel quale le persone vengono suddivise in vincitori e vinti dell'economia di mercato, alimenta tale darwinismo sociale secondo i propri criteri. Questi demagoghi populisti, trovano un'eco anche tra i perdenti, ai quali viene suggerito di far parte del gruppo dei "forti", ai quali viene offerta una posizione vincente fantastica, da cui, in nome della competizione, diventa lecito attaccare i più deboli . E anche i piromani, gli attentatori e gli assassini dell'estrema destra clandestina: cosa fanno se non "perseguire la concorrenza con altri mezzi"? Se la democrazia ha fatto un idolo, della capacità di imporsi con forza nella società della performance totale, allora non dovrebbe affatto stupirci che questa mentalità - che essa stessa ha coltivato - proliferi al di là di ogni limite riguardo alle "regole del gioco" giuridicamente codificate. In fin dei conti, la democrazia dell'economia di mercato non possiede una sua propria morale, che derivi dai suoi principi immanenti e che non sia stata introdotta dall'esterno secondo dei criteri artificiosi, di fatto estranei ai suoi meccanismi. In ogni caso, lo stato sociale, così tanto invocato al fine di sopperire ai deficit sociali strutturali della democrazia di mercato, nel mondo non è mai stato altro che un prodotto di lusso per una manciata di paesi vincitori dell'OCSE. Finché si continuerà a illudersi che questi “legami sociali” costituiscano un obiettivo alla portata di tutti i Paesi, il lato brutto della democrazia rimarrà sommariamente oscurato. Ma dal momento che il “sistema di sfruttamento” economico della democrazia - vale a dire la macchina sociale per la trasformazione del “lavoro astratto” in denaro - minacciava di bloccarsi, si è reso necessario scatenare il diluvio del male. Sono stati proprio i risultati della così tanto decantata concorrenza ed "efficienza" ad aver generato, a partire dagli anni '80, la disoccupazione di massa su una scala senza precedenti: secondo gli studi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) di Ginevra, il tasso di disoccupazione della popolazione attiva mondiale supera ormai il 30%.
La razionalizzazione e l'empowerment resi possibili dalla rivoluzione microelettronica, il ridimensionamento delle linee organizzative ("lean production") e la globalizzazione dei mercati finanziari e delle materie prime, nonché la frammentazione internazionale dei processi produttivi, rendono economicamente "superflua" una massa sempre più crescente di persone, anche nei paesi centrali della democrazia occidentale. Le finanze pubbliche vengono ostacolate, lo stato sociale si sta riducendo e sta perdendo credibilità, lo stato democratico si sta ritirando perfino dalla cultura. La democrazia stessa sta cominciando ad abbandonare le conquiste della civiltà, poiché essa viene soffocata dal suo stesso criterio di "vitalità finanziaria". Ancor prima di qualsiasi occupazione ideologica del fenomeno, il meccanismo sistemico oggettivato della democrazia di mercato ha iniziato ad escludere, automaticamente, sempre più persone. I partiti democratici, compresi socialdemocratici e verdi, così come la burocrazia statale democratica, diventano gli agenti politici di questa esclusione, anche se se se ne lavano le mani e vogliono rendere "socialmente accettabili" le atrocità, per usare una frase del dizionario del diavolo. Questa ipocrisia è talmente insopportabile che ora fomenta apertamente il darwinismo sociale di estrema destra. L'insicurezza esistenziale, che sta crescendo a una velocità vertiginosa, genera un tale potenziale sociale, a causa della paura per cui qualsiasi persona sfortunata vorrebbe disperatamente far parte della "élite" e dei famigerati "benestanti", anche se questo si traduce nelle irrazionali esplosioni di violenza contro quelli che sono i concorrenti sociali, reali o percepiti come tali. Non si può fare a meno di sospettare che, per i coraggiosi democratici, il terrorismo di strada e gli attacchi terroristici di destra non siano del tutto inopportuni. In modo che così possono usarli come una cortina fumogena, sotto le pie parole di "indignazione di fronte alla disumanità", per poi lasciarsi trasportare dallo stato d'animo popolare dell'estrema destra e attuare, con legittimazione costituzionale, misure in termini di legislazione sociale e di diritto d'asilo che siano del tutto allineate al "male", dichiarandole anche ora come se fossero una sorta di difesa omeopatica "contro il pericolo della destra". È così che la mano dell'estrema destra lava la mano della democrazia.
Anche la rinascita dell'antisemitismo ha le sue origini nel medesimo potenziale sociale di paura generato dalla democrazia stessa. All'odio per i deboli, razzialmente etichettati come inferiori, corrisponde l'odio contro il fantasma di una super-intelligenza malevola e delirante che, in quanto "ebreo", si nasconderebbe dietro i poteri incompresi del denaro, provenienti dalla sua stessa forma di feticcio sociale. La crisi del sistema di mercato, e dei suoi criteri di redditività, si manifesta non solo come una crisi del mercato del lavoro, ma anche, in ultima istanza, come una crisi dei mercati finanziari: sotto la pressione della razionalizzazione, sempre più capitale monetario non poteva più essere investito nell'espansione e nell'occupazione, e ha dovuto migrare verso i settori speculativi dei derivati. Negli anni '80, gli yuppies della finanza venivano celebrati e i giovani della simulazione democratica fiorivano, e tutto ciò avveniva in quella che era un'atmosfera di capitalismo da casinò. Da quando la festa è finita, i postumi della sbornia si fanno sentire, e l'inevitabile scoppio della bolla finanziaria e speculativa globale si profila sotto forma di fallimenti bancari (Barings), di scandali finanziari e di crisi valutarie; ed è stata la stessa opinione pubblica democratica ad aver cercato dei capri espiatori, anziché ammettere i limiti del sistema industriale basato sull'economia di mercato: sentiamo ipocritamente ripetere sui giornali che "Gli Speculatori" stanno distruggendo "la nostra bella economia di mercato". Questa zelante caccia all'uomo portata avanti dai democratici, che all'improvviso mimano la serietà economica, si differenzia solo di poco da quella della folla antisemita che, assetata di denaro sino al midollo, sospetta che dietro al crack finanziario ci sia una “cospirazione giudaica globale”. È impossibile negare che a generare, alimentare e fa crescere il "male" dell'estrema destra, sia il processo di decomposizione sociale e di civiltà della stessa democrazia di mercato. Ecco perché è assurdo voler difendere la democrazia, così com'è, contro la "destra". Se la democrazia non è capace di un'autocritica radicale, e di un'auto-abolizione della sua macchina economica, non ci potrà mai più essere alcuna pace interiore. O le regole del gioco vengono cambiate radicalmente, o la democrazia stessa si trasforma in barbarie, ed ecco che allora l'estrema destra non è più nient'altro che una componente di una stessa e unica forma di evoluzione. Una critica fondamentale della società, non è mai stata altrettanto drammaticamente necessaria così come lo è oggi. Ma la sinistra, che ha sempre considerato sé stessa come portatrice di una critica radicale ed emancipatrice, è rimasta in un silenzio imbarazzante. Il crollo del socialismo di stato stalinista, che non è mai stato altro che una dittatura di "modernizzazione di recupero", con i suoi burocratici "mercati pianificati", è stato invece erroneamente interpretato come se rappresentasse la presunta confutazione di qualsiasi critica fondamentale dell'economia di mercato. Nel vuoto ideologico lasciato dal fallimento della sinistra democratica, il fondamentalismo e l'estremismo di destra, che non hanno nulla di emancipatorio, si stanno diffondendo in tutto il mondo, attraverso la crisi. Ad agire senza ritegno, è una miscela di pseudo-critica radicale, sia della modernità che, simultaneamente, quella della brutale estensione dei moderni criteri di performance e di concorrenza, che ha sempre caratterizzato il populismo demagogico di destra. Se una nuova critica emancipatrice della società non riuscirà a sviluppare delle forme di sicurezza sociale che vadano al di là del mercato e dello Stato (nazionale), e a estrarre risorse dai meccanismi di mercato in funzione, radicalizzando la trasformazione socio-ecologica, anziché cedere invece sempre più ai dettami del mercato mondiale, allora la democrazia diventerà il becchino di sé stessa.
- Robert Kurz - Pubblicato in EuropaKardioGramm (ECG) nell'ottobre 1995 -
- fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme -
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