Tutto deve andare a fuoco!
- Una breve panoramica sullo smantellamento dei resti dell'egemonia americana da parte dell'amministrazione Trump, indotto dalla crisi -
di Tomasz Konicz [***]
Groenlandia e Panama, Messico e Canada, più alcune spiagge di Gaza e Buren in Sudafrica. Le prime settimane della seconda presidenza di Donald Trump sono state decisamente surreali in termini di politica estera, anche al di là delle divergenze transatlantiche. Molto di tutto quello che la Casa Bianca ha prodotto in termini di dichiarazioni e di politica estera concreta in questo inverno del 2025 è sembrato un brutto sogno, qualcosa che semplicemente non poteva essere realtà. Uno spettacolo di fenomeni da baraccone recitato da clown terrorizzati e pazzi. L'unica cosa positiva di questo periodo da incubo sta nel fatto che è impossibile per la stampa borghese riuscire a normalizzare la presidenza di Trump. Nonostante tutti gli sforzi sinceri fatti, soprattutto da parte dei principali media tedeschi. [*1] I primi passi di Trump in politica estera sono sembrati a volte del tutto folli, assai lontani da ogni precedente percorso geopolitici degli Stati Uniti. Spesso sembrava che Trump non perseguisse alcun interesse economico o geopolitico, come se stesse consapevolmente lavorando a distruggere le vecchie alleanze egemoniche, e le strutture che erano state costruite dagli Stati Uniti dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Deve essere dato tutto alle fiamme [*2]; sembra essere questo il motto di Trump: l'uomo che si è prefissato di rendere di nuovo grande l'America sta, di fatto, agendo come se fosse il becchino dell'egemonia statunitense. Eppure, nella follia, assai spesso c'è del metodo. Se si volesse riassumere la geopolitica di Trump, si potrebbe dire che consiste in un suo tentativo di perseguire una politica di potenza, in una crisi di cui non riconosce l'esistenza. È questo ciò che accade allorché le élite funzionali capitaliste traggono le loro conclusioni a partire dal fatto che il capitalismo, nella sua forma attuale, non può più essere mantenuto, e pertanto cercano rifugio in un imperialismo di crisi, fascista [*3]. L’isolazionismo predicato da Trump durante la campagna elettorale, è stato rapidamente sostituito da un imperialismo apparentemente arcaico, simile a quello che viene praticato dalla Russia di Putin.
Costruire Imperi, dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco
Ad apparire evidente, nella dichiarazione apparentemente infantile, fatta da Trump, di voler annettere la Groenlandia - e di farlo, se necessario, ricorrendo alla forza militare -. quella che sembra la fantasia di onnipotenza di un bambino che punta il dito verso una grande isola del globo sapendo che ora lui ha il potere necessario per prenderne possesso, diventa quantomeno comprensibile solo se vista sullo sfondo dell'escalation della crisi climatica capitalista. Così, vediamo che Trump, un fanatico negazionista del cambiamento climatico, ammette implicitamente l'esistenza della crisi climatica. Ma lo fa solo sotto forma di un accaparramento di terre in chiave di crisi imperialista. Lo scioglimento della calotta glaciale artica, e lo scioglimento del permafrost stanno aprendo delle nuove rotte di navigazione strategiche, esponendo così le risorse di questa regione del mondo rimasta finora in gran parte inesplorata, innescando in tal modo, tra gli stati confinanti, una corrispondente corsa alla crisi imperialista per l'Artico.[* 4] Pertanto, qui non si tratta solo della Groenlandia, ma di rivendicazioni territoriali in quella regione dove finora era stata la Russia a avere le carte migliori. Gli Stati Uniti possono avere l'Alaska, ma nella Siberia settentrionale il Cremlino possiede la vecchia infrastruttura sovietica, oltre alla più grande area di collegamento con l'Artico; il che gli conferisce, sotto la calotta glaciale in rapido scioglimento una gigantesca zona economica esclusiva. La Groenlandia, all'imperialismo in crisi, servirebbe sostanzialmente a migliorare la posizione di Washington in una corsa per le risorse dell'Artico e, perché no, anche per il Canada, visto come secondo stato costiero dell'Artico. Anche se le minacce militari di Trump contro il suo vicino settentrionale rimangono solo retorica imperialistica, l'obiettivo di Washington di legare il Canada il più possibile agli Stati Uniti è invece abbastanza realistico. Gli Stati Uniti sono il partner commerciale più importante del Canada, e quindi Trump ha in realtà molte più leve di potere per riuscire a promuovere un processo di espansione verso nord, a livello geopolitico ed economico. Oltre all'estrattivismo puro e brutale, nello sforzo di controllare quante più fonti energetiche e risorse naturali possibili, Washington sotto Trump sembra volersi sforzare di ripristinare il proprio dominio su tutta l'America, nello spirito della vecchia Dottrina Monroe del 1823, prima, e durante la Guerra Fredda, dopo. L'introduzione di tariffe punitive contro il Canada, è stata accompagnata da un'escalation di misure analoghe contro il Messico, e questo sebbene la Casa Bianca stia perseguendo un obiettivo diverso nei confronti del suo vicino meridionale. Il Canada dovrebbe essere incorporato negli USA, idealmente annesso, anche per accrescere il suo potenziale socioeconomico nella lotta con la Cina per il predominio, mentre il Messico viene invece messo sotto pressione, soprattutto in termini di esclusione, di isolamento rispetto alla miseria delle regioni periferiche in declino. L'impulso a isolare i centri, e a costruire muri in modo permanente, è una caratteristica centrale del consolidamento dell'imperialismo di crisi, [*5] che nel contesto dell'estrattivismo considera la periferia solo come un deposito di risorse. Si suppone che il confine meridionale diventerà impraticabile per le persone, ma negli ultimi anni il potenziale di ricatto degli Stati Uniti nei confronti del Messico è aumentato, soprattutto a causa del crescente commercio transfrontaliero di merci. L'amministrazione Biden ha già aperto la strada alla deglobalizzazione, trasformando il Messico in un esteso banco di lavoro per gli Stati Uniti, allo scopo di ridurre le importazioni cinesi dall'estero. Nell'ambito della cosiddetta strategia di near-shoring [*6] , sono state create delle dipendenze che Trump può ora utilizzare per costringere il Messico a fare ampie concessioni. Il paese centroamericano sta schierando unità dell'esercito composte da circa 10.000 soldati al confine per scoraggiare i migranti e scongiurare la minaccia di tariffe doganali che devasterebbero la nascente industria delle esportazioni messicana. A quanto pare, ora Trump vuole sostituire il fatiscente sistema egemonico statunitense - che si basava su standard globali, istituzioni, sistemi normativi e incentivi economici per le potenze alleate - con un impero americano che si basi sul predominio militare e su misure coercitive da estendere dal Canada alla Terra del Fuoco. Controllo diretto sulle risorse e sulle rotte commerciali strategiche, protezionismo e reindustrializzazione interna, sigillatura del confine meridionale contro il caos imminente della crisi, predominio militare e ambizione imperiale in sostituzione della vecchia egemonia statunitense basata sul sistema delle alleanze occidentali: questi tratti assunti dall'imperialismo di crisi statunitense sembrano emergere in questi primi mesi dell'amministrazione Trump, nonostante tutto il suo caos. Un impero statunitense sarebbe destinato a sostituire quell'ordine mondiale occidentale che era stato ampiamente plasmato da Washington, dopo la seconda guerra mondiale. In realtà, l'impulso di Trump a costruire un impero americano è diretto non tanto contro l'Europa quanto piuttosto contro la Cina, e contro la sua crescente influenza su tutta l'America che si trova a sud del Rio Grande. E questa strategia potrebbe anche avere molto successo, almeno nel breve termine, almeno nei confronti della periferia e della semi-periferia. Gli abissi economici e sociali sono troppo profondi: il Messico, per proteggere la sua industria esportatrice, deve mettere in atto la follia isolazionista di Trump. Così come Panama, che Trump minaccia di invadere per riportare il Canale di Panama sotto il controllo degli Stati Uniti, e che ha annunciato all'inizio di febbraio che si sarebbe ritirata dal progetto di investimento cinese della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative - BRI). [*7] La Colombia, che inizialmente si era rifiutata di consentire l'atterraggio dei voli di espulsione provenienti dagli Stati Uniti, nel giro di pochi giorni ha ceduto, subito dopo le minacce di Washington. E perfino il Canada, difficilmente riuscirebbe a sopravvivere a lungo termine a un conflitto non solo militare, ma anche economico, con gli Stati Uniti. La guerra commerciale nordamericana inaugurata da Trump all'inizio del mese di marzo del 2025 colpirà il Canada, assai più degli Stati Uniti.
Razzismo nordico?
Questo imperialismo di crisi trumpiano, con la sua miscela di espansionismo artico, di estrattivismo brutalmente diretto e di isolazionismo verso sud, talvolta assume un sapore volgarmente fascista - come se lo storico indurimento ideologico, dall'imperialismo al fascismo, avvenuto nel XIX e nel XX secolo, fosse stato compresso, in pochi anni, nella rievocazione indotta dalla crisi del XXI secolo.Trump ha ritirato ogni sostegno finanziario al Sudafrica perché, a suo avviso, la popolazione bianca della provincia di Città del Capo era discriminata. [*8] La minoranza bianca del Sudafrica continua a essere la fascia economicamente più privilegiata della popolazione, poiché i rapporti di proprietà consolidati durante l'apartheid sono rimasti in gran parte intatti, quando quest'ultimo è stato rovesciato. Washington ha sfruttato i piani di espropriazione del governo sudafricano, volti a ridurre questi squilibri economici, come un'opportunità per fare pressione su Pretoria. Inoltre, Elon Musk, originario del Sudafrica, si è espresso a favore della sospensione della politica migratoria restrittiva di Washington, con una sola eccezione: I bianchi del Sudafrica [*9] , che dovrebbero immigrare in massa negli Stati Uniti come “minoranza perseguitata”. Viviamo in un mondo tardo capitalista in crisi in cui la – come dire – “leadership” degli Stati Uniti vuole perseguire una politica migratoria razzista in cui ai bianchi provenienti dal Sudafrica è consentito entrare liberamente, mentre i migranti provenienti dall’America Latina vengono deportati in massa. [*10] Ciò è stato fatto con l’evidente scopo di cambiare la composizione etnica degli USA, a favore della popolazione “bianca”. Si potrebbe pertanto qui parlare di un razzismo nordico, che si affianca all'imperialismo di crisi sopra delineato. La febbrile fantasia trumpiana che vede una Gaza etnicamente ripulita e che dovrebbe appartenere agli USA, come una specie di colonia, ed essere trasformata in un ghetto per ricchi - simile a Dubai o agli Emirati Arabi Uniti – sembra che in realtà sia nata da un capriccio razzista del Presidente, dal momento che contraddice gli elementari interessi geopolitici di Washington («Se lo rompi, te lo prendi ed è tuo»). (*11) Il sogno febbrile, esposto in un bizzarro video prodotto da intelligenza artificiale che mostra una seconda Riviera piena di hotel di lusso, sulla cui spiaggia Trump e il primo ministro israeliano Netanyahu sorseggiano cocktail per rimorchiare donne da portare in una discoteca la sera, mentre i soldi piovono dal cielo, probabilmente illustra la megalomania di Trump, che qui dà simbolicamente seguito anche alle fantasie di espulsione dell'estrema destra israeliana. Tuttavia, da una prospettiva ideologica, quello che qui viene espresso senza filtri è un impulso indotto dalla crisi dell'oligarchia globale: lo sforzo regressivo di isolarsi dal resto del mondo tardo capitalista, in declino, per congelare il proprio lusso nello spazio e nel tempo.
Ami goes home? (*12)
Estrattivismo e ambizioni imperialiste espansioniste nei confronti del Nord, isolamento motivato da ragioni razziali, nei confronti del Sud del mondo, brutali politiche nazionali basate sul protezionismo e sulla reindustrializzazione: sembrano essere queste, nell'emisfero occidentale, le caratteristiche geopolitiche della politica "America First" di Trump. La costruzione di un impero panamericano, accompagnata dalla megalomania, costituirebbe un sforzo per (ri)stabilire il predominio geopolitico di Washington in America. Tuttavia, questo sembra anche essere accompagnato da un ritiro strategico dall'Europa. Non è esagerato supporre che la NATO, nella sua forma attuale, non sopravviverà alla seconda presidenza di Trump. L'alleanza militare transatlantica, fondamento dell'egemonia statunitense degli ultimi decenni, e ormai in declino, sembra avviata verso una vera e propria disintegrazione. L'immagine dell'imperatore pazzo che brucia in poco tempo tutto un sistema di alleanze, costruito da Washington nel corso di decenni, sembra quasi inevitabile, se si considera la politica europea di Washington. Tutto deve andare a fuoco. (*13) Le cose stanno accadendo una via l'altra. Poco dopo il suo insediamento, Trump ha avanzato rivendicazioni territoriali nei confronti dell'UE (Groenlandia), il vicepresidente Vance con i suoi attacchi all'UE ha scatenato uno scandalo alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera (*14) ; alcuni esponenti e funzionari del governo statunitense hanno interferito nella campagna elettorale tedesca e negli affari interni degli Stati dell'UE a favore di forze fasciste (*15); alla fine di febbraio,Trump e Vance hanno umiliato il presidente ucraino davanti alle telecamere; attualmente Washington sta pianificando un ritiro completo delle truppe e/o un dispiegamento di truppe in Europa (*16); e oltre alle restrizioni commerciali già imposte, sono in cantiere ulteriori dazi contro l'UE. Come minimo, molte truppe statunitensi potrebbero essere ritirate dalla Germania. Inoltre, Kiev è stata costretta a firmare un accordo sulle materie prime nell'ambito dell'estrattivismo imperiale di Trump, che mira a garantire agli Stati Uniti la metà delle risorse naturali del Paese. L'aperta ostilità verso gli ex alleati viene mostrata come in contrapposizione con quello che è un rapidissimo riavvicinamento a Mosca. Nel giro di poche settimane, Washington e Mosca hanno cominciato a normalizzare le loro relazioni diplomatiche, e hanno avviato colloqui esplorativi sulla divisione dell'Ucraina, senza la partecipazione né di Kiev né degli europei. Tutto ciò in contrasto con l'escalation tra Washington e Kiev, che ha portato alla sospensione temporanea del sostegno militare statunitense. (*17) Un cambio di regime a Kiev orchestrato da Washington, ossia il rovesciamento di Zelensky, sembra ormai del tutto possibile. L'Ucraina viene di fatto costretta alla capitolazione, e questo mentre sono in corso i preparativi per un vertice tra Putin e Trump. (*18) Nel giro di pochissimo tempo, l'ex potenza egemonica ha compiuto una svolta geopolitica di 180°, sconvolgendo così nel giro di poche settimane alleanze e strutture geopolitiche vecchie di decenni. Sono settimane che valgono decenni! E allora qual è il punto? Si tratta solo della pura follia di un presidente degli Stati Uniti che sta andando sempre più verso l'estrema destra? Il riavvicinamento con Mosca potrebbe basarsi solo su calcoli geopolitici, se Trump volesse imitare Nixon: con la sua visita in Cina, nel 1972, il presidente repubblicano Richard Nixon diede l'avvio a una normalizzazione diplomatica, e a un riavvicinamento geopolitico tra la Repubblica Popolare Cinese e Washington. In tal modo venivano sfruttavate le tensioni tra Russia e Cina, in modo da esercitare così una maggiore pressione sull'Unione Sovietica nel corso della Guerra Fredda. Ora sembra che Trump stia assecondando la Russia, la quale comunque così vincerebbe a medio termine la guerra contro l’Ucraina, al fine di indebolire così l’alleanza eurasiatica tra Pechino e Mosca e, in ultima analisi, riuscire a espellere Mosca da una tale alleanza. Le dichiarazioni del Ministero degli Esteri russo vanno in questa direzione. (*19) Nonostante tutti questi sconvolgimenti spettacolari, rimane utile comprendere la geopolitica come un continuum. E una delle continuità che tutte le amministrazioni statunitensi degli ultimi due decenni hanno dovuto affrontare, è proprio il conflitto egemonico, senza speranza, con la Cina. (*20 ) Dal punto di vista di Washington, la guerra per l’Ucraina è solo un preludio alla lotta per il predominio globale, contro la Cina e contro il blocco di potere eurasiatico che Pechino sta cercando di formare. Il conflitto in Ucraina ha avuto inizio nel 2014, (*21) come disputa sul confine tra la sfera di influenza eurasiatica e il sistema di alleanze oceaniche occidentali di Washington. Ora che la Russia si trova indebolita, dopo tre imbarazzanti anni di guerra, ecco che Washington sembra intenzionata a indebolire l’asse Pechino-Mosca proprio in preparazione del prossimo conflitto con la Cina; soprattutto dal momento che alla Russia, nell'alleanza eurasiatica, era stato da lungo tempo assegnato il ruolo di “partner junior”, con il rischio di diventare solo un attore periferico. Nixon, notoriamente un fanatico anticomunista, era l'unico che poteva andare a Pechino: Trump sembra credere di poter ottenere a Mosca almeno qualcosa di simile. Si tratta di un'opzione geopolitica fondamentale, da sempre discussa a Washington, anche se negli ultimi anni era passata in secondo piano. Tuttavia, la politica conflittuale dell'amministrazione Trump nei confronti dell'UE sembra controproducente, poiché, diversamente, Washington potrebbe fare affidamento su un sistema di alleanze stabile, nella sua lotta contro Pechino. È utile ricordare che gli Stati Uniti hanno sempre avuto un rapporto ambivalente nei confronti del processo di integrazione europea: gli alleati che facevano parte della sfera di egemonia americana avevano più volte minacciato di trasformarsi in concorrenti, soprattutto economicamente, dati gli elevati surplus delle esportazioni europee e la deindustrializzazione degli USA. Negli ultimi anni, questa tendenza dell'UE a recuperare terreno rispetto agli Stati Uniti dal punto di vista economico si è invertita, in seguito allo scoppio della crisi provocata dalla pandemia, alla successiva guerra in Ucraina e alle crescenti tendenze protezionistiche di Washington. Da allora, il vantaggio economico degli Stati Uniti sull’Unione Europea ha continuato a crescere, (*22) e questo proprio mentre il vantaggio militare di Washington sembra quasi impossibile da recuperare. Ora, questo disaccoppiamento transatlantico sta avendo, sotto Trump, delle conseguenze geopolitiche. Ciò è diventato evidente durante i negoziati sul destino dell’Ucraina, che hanno rappresentato un ricatto nei confronti di Kiev da parte dell’amministrazione Trump. E gli europei vengono di fatto esclusi dalla contrattazione imperialista sull'esito di una guerra europea.
Piccole parti isolate e distrutte (*23)
Questo senso di impotenza - che è emerso tra l'opinione pubblica europea allorché il continente è diventato improvvisamente bersaglio da parte di grandi potenze che hanno semplicemente oltrepassato i confini dell'UE senza tener conto delle sue preoccupazioni e dei suoi interessi - è un'esperienza che le grandi potenze europee avevano già inflitto al Sud del mondo, per secoli, come prezzo della loro espansione imperialista. Costituisce la sensazione di una periferizzazione imminente. L'UE è in declino dal punto di vista economico, e non può essere presa sul serio dal punto di vista militare, perché in ultima analisi, ad avere ancora un effetto nei conflitti armati, conta solo la minaccia di una distruzione nucleare del mondo. Trump sta ormai semplicemente traendo le sue conclusioni imperialistiche, e lo fa a partire dagli sviluppi socio-economici e militari degli ultimi anni, che sono stati ulteriormente accelerati dalla guerra in Ucraina. Ecco perché l'Unione Europea sta reagendo, come in preda al panico, con un'offensiva militare incentrata sulle armi nucleari. (*24) Se si vuole impedire a Trump o a Putin di annettere la Groenlandia, o gli Stati baltici, l'unico modo per farlo è garantire la distruzione generale tramite il fuoco nucleare. Nel mezzo della manifesta crisi socio-ecologica del sistema capitalista mondiale, l'Europa ha quindi tutte le ragioni imperialistiche per espandere il proprio arsenale di armi nucleari. Con una Germania dotata di armi nucleari, guidata dalla satira della vita reale svolta dal signor Burns [dei Simpson] , dove il fascismo spinge per avere il potere (*25), cosa potrebbe mai andare storto?
Ma perché l'UE viene relegata in secondo piano, e trattata come una regione periferica dall'amministrazione Trump? Un altro continuum nel quale Washington si trova esposta, senza essere in grado di riconoscerlo, è il processo di crisi del capitale visto nella sua dimensione economica. Solo tenendo conto di questa dinamica di crisi si può comprendere appieno la disintegrazione del sistema egemonico statunitense. Il processo di crisi economica (*26) si manifesta proprio attraverso il protezionismo (*27) , il quale mira a proteggere l’industria nazionale, ovvero ad avviare la reindustrializzazione, e lo fa a scapito della concorrenza. Il protezionismo di Trump – assai simile ai suoi piani di espansione nell'Artico – equivale a un'ammissione implicita della crisi globale del capitale che, a causa del livello di produttività industriale raggiunto a livello mondiale, sta ora promuovendo le tendenze alla deindustrializzazione, dato che non ci sono in vista dei nuovi settori economici, che sfrutterebbero il lavoro salariato su larga scala. Un nuovo regime di accumulazione, come il fordismo del dopoguerra, non può più essere instaurato, e questo a causa del fatto che il capitale è diventato, in un certo senso, troppo produttivo di per sé. Il lavoro salariato, in quanto sostanza del capitale, a ogni aumento della razionalizzazione, viene spinto fuori, sempre più, dalla produzione di beni - e ben presto sarà spinto fuori anche dal settore dei servizi (*28) - e questo a a causa della concorrenza. Ecco perché il sistema di alleanze, ed egemonia, degli Stati Uniti sta collassando, dato che la crisi sta costringendo gli Stati e le aree economiche a una competizione di crisi per le loro industrie, nel protezionismo: Washington può solo cercare di influenzare il corso del crollo egemonico, e lo fa sostituendo l’egemonia con un dominio imperiale su base militare, senza le solite banalità a proposito di “valori” e di diritti umani.
L'egemonia geopolitica si basa sull'accettazione, o quantomeno sulla tolleranza della posizione dell'egemone, poiché anche le potenze subordinate, che si trovano nei centri, traggono vantaggio dal sistema egemonico. Ma ciò richiede anche che ci sia una base economica che renda possibili tali forme di governo mediato, nei centri del sistema mondiale. Ciò accadde in particolar modo nel periodo postbellico, come quando il regime di accumulazione fordista summenzionato, con la cosiddetta “prosperità postbellica”, che consentì un lungo periodo di espansione economica il quale coincise con l’affermazione dell’egemonia statunitense. La marea crescente sollevò tutte le navi che si trovavano nel centro. A trarne vantaggio non furono solo gli Stati Uniti, ma anche l'Europa e il Giappone. Negli anni '70, in risposta all’esaurimento del fordismo, è stata instaurata una globalizzazione neoliberista guidata dai mercati finanziari, con gli Stati Uniti come centro finanziario mondiale, che ha di fatto reso la crescita del credito (vale a dire il debito totale che aumenta più rapidamente della produzione economica) il lubrificante dell’egemonia statunitense. Grazie al dollaro, in quanto valuta di riserva mondiale, gli Stati Uniti hanno pertanto sviluppato un'economia deficitaria instabile e alimentata dalla speculazione, la quale ha favorito delle bolle speculative e dei deficit commerciali sempre più grandi. Come se fossero un buco nero, gli Stati Uniti sono stati in grado di assorbire la sovrapproduzione industriale proveniente dall'iperproduttiva economia globale, e lo hanno fatto fintanto che l'economia della bolla finanziaria è riuscita a passare da un mercato rialzista all'altro, nonostante le sempre maggiori scosse del mercato finanziario. I potenziali concorrenti degli Stati Uniti, hanno quindi continuato ad avere dei tangibili incentivi economici nell'accettare la posizione egemonica di Washington e del dollaro, incassandola sotto forma dei crescenti surplus commerciali che avrebbero poi potuto realizzare tra New York e Los Angeles. Tuttavia, questa economia globale in deficit, con il dollaro come valuta mondiale e gli Stati Uniti come centro egemone, si è di fatto dissolta a causa delle crisi del 2008 e del 2020. La crisi immobiliare del 2008 ha causato il collasso di gran parte della classe media statunitense, e ha aperto la strada al populismo protezionistico di destra di Trump, (*29) mentre l'impennata dell'inflazione, in seguito alla pandemia, ha posto fine alla politica monetaria espansiva delle banche centrali, (*30) strangolando così l'economia globale in deficit, con l'eccezione degli Stati Uniti, dove il biglietto verde era la misura (in via di erosione) di tutti gli oggetti di valore. Da allora, l’egemonia non può più essere mantenuta perché semplicemente non c’è più nulla da “distribuire” e mantenere così un sistema di regole basato sul consenso o sulla tolleranza; ivi comprese le istituzioni corrispondenti. Washington non vuole più sostenere i costi della sua egemonia, dal punto di vista socioeconomico, a causa degli elevati deficit commerciali, della deindustrializzazione, delle tendenze alla disintegrazione sociale e dell’instabilità politica a essa associata. Anche in termini militari, Washington, che geme sotto un gigantesco deficit di bilancio, chiede all'Europa maggiori spese per la difesa. La costruzione dell'impero, da parte di Trump, è quindi un segno di debolezza, non un ritorno alla forza di un tempo. Gli USA possono imporre la propria volontà al mondo esterno solo attraverso il predominio, vale a dire, l'imposizione militare o economica dei propri interessi, cosa che, in ultima analisi, ha già trasformato l'egemonia di Washington in storia. L'Europa è di fatto abbandonata da Washington; l'intero sistema egemonico europeo è in gioco perché esso è l'esecuzione della crisi. Ciò che la Germania ha dimostrato in Europa, dopo lo scoppio della crisi dell'euro, ovvero spostando le conseguenze della crisi sul suo Sud, si sta ora verificando nell'alleanza transatlantica. Qualcuno deve pur ripartire, la crisi ha ormai raggiunto i centri da tempo, e Trump sembra voler trasformare gli europei in periferie di crisi, proprio come ha fatto Schäuble con l'Europa meridionale. L’UE è debole, economicamente ma lo è soprattutto militarmente, ed è per questo che è un bersaglio. Ciò che ora potrebbe accadere al sistema di alleanze occidentali, è più simile al crollo dell’Unione Sovietica; e ciò che rimarrebbe sono dei frammenti destinati a sprofondare in una regressione fascista isolata. Sarebbe come se la Russia si fosse ritirata dall'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La brillante previsione fatta dal teorico della crisi Robert Kurz al momento del crollo del blocco orientale diventerà probabilmente realtà nei prossimi anni: il crollo del capitalismo di Stato di tipo sovietico a Est, celebrato con entusiasmo dall'Occidente, è stato solo il precursore della crisi globale del capitale, che alla fine colpirà anche i centri occidentali, ha sostenuto Kurz nel suo classico lavoro teorico Il collasso della modernizzazione.[*31]
Ok, panico! (*32)
Senza gli Stati Uniti, che ora vogliono seriamente annettere il Canada (*33) e occupare militarmente il Canale di Panama (*34), l'Occidente e la NATO sono solo un mero guscio. Non nasceranno nemmeno dei nuovi sistemi di alleanze stabili; Trump non sta costruendo alcuna alleanza duratura con la Russia. Non esistono più le basi economiche per dei sistemi egemonici stabili, che nel capitalismo possono esistere solo se c'è uno sfruttamento sufficientemente ampio della forza lavoro per la produzione di beni e una sufficiente disponibilità di risorse. Entrambe le cose non sono più date nella manifesta crisi socio-ecologica del capitale - l'erosione dei mostri statali tardo-capitalisti tenderà a inasprire la competizione della crisi fino al conflitto militare (*35). Dopo le prime crepe nella struttura di potere geopolitico dell'Occidente - come la Brexit - sembra ora imminente la grande rottura qualitativa che porrà fine all'era dell'egemonia occidentale, di un sistema mondiale caratterizzato dall'Occidente. Il comportamento della Russia e della Turchia può fornire uno spaccato di un sistema mondiale caotico, in cui nessuna grande potenza è in grado di raggiungere una posizione egemonica a causa del manifesto processo di crisi. Entrambi i mostri statali perseguono i loro ristretti obiettivi imperiali - compreso l'uso della guerra, dei massacri e della pulizia etnica - in costellazioni in costante mutamento, in cui gli alleati di ieri possono diventare molto rapidamente nemici. A volte la cooperazione in un settore (la Russia sta costruendo una centrale nucleare in Turchia) e lo scontro in un altro (Ankara ha di fatto rimosso la Siria dalla sfera di influenza della Russia) possono completarsi a vicenda. Il troll putiniano (*36) , che, nonostante tutti i disastri russi, interpreta tutte le giravolte del Cremlino come espressione del genio di Putin, può servire da modello per la futura reinterpretazione orwelliana della realtà da parte degli strilloni dei media. Molto presto anche i rispettabili media occidentali impareranno a seguire queste reinterpretazioni della realtà geopolitica, a patto che le costellazioni cambino di conseguenza. Il New Yorker si sta già esercitando. (*37) Tutti gli Stati che avranno ancora i mezzi per farlo, praticheranno l'isolamento e l'espansione: isolamento per proteggere la base industriale dalla miseria della periferia dovuta alla crisi, espansione nel quadro dell'estrattivismo imperialista della crisi, (*38) in modo da assicurarsi materie prime, cibo ed energia sempre più scarse. (*39) È ovvio che anche l'Europa sarà interessata da queste forze centrifughe indotte dalla crisi; l'UE è infatti l'anello più debole nella catena della crisi geopolitica. L'attuale processo di disintegrazione dell'Occidente non produrrà un'UE rafforzata, ma ne accelererà la disintegrazione. A causa della loro concorrenza interna europea, gli stati dell'UE offrono a Washington, a Mosca o a Pechino la leva perfetta per poter intervenire in Europa: la lealtà dell'Ungheria verso Putin, la lotta franco-tedesca per il predominio, il panico della Polonia rispetto a un riavvicinamento tra Russia e Germania, il contrasto tra Europa settentrionale e meridionale: l'Europa trumpiana non svilupperà un polo geopolitico stabile, ma sprofonderà nella regressione e nel nazionalismo, simili ai sottoprodotti della disintegrazione dell'Unione Sovietica. Le prossime crisi ecologiche o economiche faranno il resto, spazzando via i resti delle istituzioni e delle alleanze trans-nazionali. È la crisi il fattore trainante che alimenta la disintegrazione delle istituzioni e delle alleanze occidentali; Trump, come tutta la destra in generale, non sono altro che i suoi esecutori. Ciò che appare irrazionale nella “politica” di Trump riflette solo l’irrazionalità del processo del capitale che sta morendo a causa delle sue crescenti contraddizioni sociali ed ecologiche. Il panico e il caos che ora attanagliano il sistema mondiale sono reali, e non sono semplicemente innescati dall'idiozia o dalle intenzioni di Trump. Le contraddizioni – come si esprimono, ad esempio, nelle costanti correzioni di rotta protezionistiche di Trump – sono reali, stanno diventando sempre più intense e non possono più essere superate dalle strategie neoliberiste di rinvio della crisi. La destra, che sta scivolando verso l'estremo fascismo, è l'esecutrice soggettiva (*40) della svolta della crisi oggettivamente imminente. Tutto deve essere dato alle fiamme perché il capitale sta distruggendo se stesso. (*41) Trump non è altro che un mezzo per l'autodistruzione del soggetto automatico che soffoca nelle sue contraddizioni. Si sta verificando una sorta di panico al rallentatore, in cui il principio di prepper [survivalista] (*42) sta diventando il principio guida della geopolitica: l'idea delirante di isolarsi dalla crisi, (*43) che è all'opera nelle contraddizioni interne di ogni società capitalista. Trump, Musk & co. si comportano come dei prepper miliardari. Questo panico geopolitico al rallentatore indotto dalla crisi, in cui gli Stati Uniti stanno bruciando il loro sistema mondiale per perseguire la costruzione di un impero, non può che portare a un aumento dei conflitti militari. (*44) Essi rappresentano il punto di arrivo, a livello statale. della competizione di crisi, soprattutto in considerazione dei crescenti processi di erosione dello Stato. Tutto andrà a fuoco, se il capitale non verrà sconfitto in maniera emancipatrice. Sembra illusorio? E tuttavia non esiste nessuna alternativa al tentativo di emancipazione.
- Tomasz Konicz [***] - Pubblicato il 15 marzo 2025 -
*** NOTA: Il lavoro giornalistico di Tomasz Konicz è finanziato in gran parte grazie a donazioni. Se vi piacciono i suoi testi, siete invitati a contribuire - sia tramite Patreon che con un bonifico bancario diretto, dopo una richiesta via e-mail: https://www.patreon.com/user?u=57464083 https://konicz.substack.com
NOTE:
2 https://www.youtube.com/watch?v=W_oJf54ZoRE
3 https://www.konicz.info/2022/06/23/was-ist-krisenimperialismus/
4 https://www.konicz.info/2013/10/05/2639/
7 https://carnegieendowment.org/emissary/2025/02/panama-canal-trump-china-crisis?lang=en
10 https://www.konicz.info/2025/02/06/cancel-culture-usa/
11 https://time.com/7262241/trump-gaza-ai-video-truth-social-resorts-netanyahu/
12 https://www.youtube.com/watch?v=83idzWTXYAM
13 https://www.youtube.com/watch?v=W_oJf54ZoRE
14 https://www.tagesschau.de/ausland/europa/vance-sicherheitskonferenz-104.html
15 https://www.tagesschau.de/faktenfinder/kontext/musk-x-bundestagswahl-100.html
17 https://www.bbc.com/news/articles/ce8yz5dk82wo
19 https://x.com/tkonicz/status/1899843583550558326
20 https://www.konicz.info/2022/05/24/una-nuova-qualità-cristiana/
21 https://www.konicz.info/2022/06/20/zerrissen-tra-est-e-ovest/
22 https://www.konicz.info/2023/11/28/disaccoppiamento-transatlantico/
23 https://www.youtube.com/watch?v=9YJmuPSLrbk
25 https://www.konicz.info/2025/01/18/die-schluesseluebergabe/
26 https://www.konicz.info/2022/10/02/die-subjektlose-herrschaft-des-kapitals-2/
27 https://jungle.world/artikel/2025/09/trump-regierung-abkehr-globalisierung-toll-um-toll-die-krise
28 https://www.konicz.info/2024/04/19/ki-als-der-finale-automatisierungsschub/
29 https://www.konicz.info/2025/01/22/un-paese-per-vecchi/
30 https://www.konicz.info/2021/11/16/zurueck-zur-stagflation/
31 https://edition-tiamat.de/books/der-kollaps-der-modernisierung
32 https://www.youtube.com/watch?v=C3c_j0dSjKA&
33 https://abcnews.go.com/Politics/trump-talking-making-canada-51st-state/story?id=119767909
35 https://www.konicz.info/2025/01/11/zum-ewigen-krieg/
36 https://www.konicz.info/2016/12/16/putin-unser-der-du-bist-im-kreml/
37 https://www.newyorker.com/news/q-and-a/why-john-mearsheimer-thinks-donald-trump-is-right-on-ukraine
38 https://www.konicz.info/2022/06/23/was-ist-krisenimperialismus/
39 https://www.konicz.info/2022/05/24/eine-neue-krisenqualitaet/
40 https://www.konicz.info/2019/08/30/der-alte-todesdrang-der-neuen-rechten/
41 https://www.youtube.com/watch?v=W_oJf54ZoRE
42 https://www.konicz.info/2022/10/02/die-subjektlose-herrschaft-des-kapitals-2/
43 https://www.konicz.info/2018/07/18/der-exodus-der-geldmenschen/
Nessun commento:
Posta un commento