martedì 11 marzo 2025

Il migrante nel capitalismo: una merce come un’altra ?!!???

L'INDUSTRIA DEI MIGRANTI
- MUTAZIONI E MIGRAZIONI: UNA LUNGA STORIA DI VITA SULLA TERRA -
di Henri Simon

[Un albero che nasconde la foresta, Siria: Circa la metà dei 23 milioni di abitanti della Siria ha dovuto migrare all'interno del paese (7 milioni) o nei campi nei paesi vicini (4,8 milioni nel febbraio 2016, secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)). Quasi 2 milioni di persone hanno sfidato il mare per raggiungere l'Unione Europea. Più di 700 hanno perso la vita lì (lo 0,035% dei migranti) ma questo rischio pesa poco rispetto al rischio di rimanere in Siria: 250.000 morti, più dell'1% della popolazione totale, una lista che cresce ogni giorno con i detenuti di Bashar al-Assad (più di 10.000), vittime di attacchi aerei o morti per fame. In un modo o nell'altro, questo equilibrio tra morte e sopravvivenza è sempre stato alla base della migrazione.]

Fin dall'inizio della vita sulla Terra, gli esseri viventi del mondo vegetale e animale - dalla più piccola cellula fino al più grande dei mammiferi superiori -  sono apparsi e si sono sviluppati a partire da un ambiente favorevole a una tale nascita ed espansione. Ma in n mondo in continua evoluzione, non c'è mai nulla che sia fisso. Da un punto di vista puramente astrologico, è la Terra stessa a essere in continuo movimento, senza che ci sia alcuna interferenza da parte del mondo vivente rispetto a quelli che sono dei cataclismi naturali, o intrinseci alla terra, brutali o in lenta evoluzione, o dovuti all'irruzione di un agente esterno proveniente dall'universo. In simili circostanze, quali che esse siano, il mondo vivente è costretto, o a mutare in quell'ambiente, o a migrare verso altri cieli più clementi, oppure a scomparire. Ma è questo stesso mondo vivente, a poter essere la causa di tale situazione: le condizioni favorevoli che hanno presieduto alla sua nascita e proliferazione, possono portare a un inquinamento tale, non solo da distruggere le possibilità riproduttive di questa specie e portarla all'estinzione, ma anche di spezzare l'intera catena vitale in cui questa specie è stata inserita. Alla fine, mutare, migrare o scomparire rappresenta l'elemento centrale della vita sulla Terra. Per milioni di anni, la specie umana non ha potuto sottrarsi a questo tipo di situazione. Delle mutazioni che conosciamo, non solo non sappiamo praticamente nulla, ma sappiamo ancora meno di quali siano le loro cause. Per quanto riguarda le migrazioni, fino all'età moderna, non si sa molto di più sulla loro causa, per quanto le analisi genetiche ci consentano di tracciarne il percorso. Per il periodo più recente -  tra i duemila e i tremila anni fa -  per quanto si sappia qualcosa di più sulle migrazioni, non sappiamo molto su quali siano state loro cause. Difficile sapere se le grandi invasioni, che travolsero e sezionarono l'Impero Romano, tutte provenienti dall'Oriente, abbiano avuto una causa comune; e altrettanto poco sappiamo di quelle più recenti (gli Unni nel V secolo e gli Arabi nell'VIII secolo per la Francia, i Turchi nel XVII secolo per l'Europa). Tutte queste ultime migrazioni, furono sia dei tentativi di conquista militare, nel senso in cui lo intendiamo oggi, che dei grandi spostamenti di popolazione. Altre migrazioni, intereuropee e di minore importanza, hanno poi punteggiato il periodo moderno, a partire da quelle dei Vichinghi, dello sbarco dei Normanni in Inghilterra, della fuga dalle persecuzioni religiose (protestanti, ebrei, arabi). Più ci avviciniamo al nostro tempo, meglio conosciamo le cause di queste migrazioni. Alcune di esse, sono migrazioni di sopravvivenza: un carattere che ritroviamo anche oggi. Ma è l'ascesa del capitalismo che, nell'era moderna, porterà a importanti migrazioni, tanto all'interno degli Stati quanto da uno Stato all'altro, e in delle forme totalmente nuove. Prima nell'Europa occidentale, e poi, gradualmente, in tutto il mondo. Alcuni analisti si sono chiesti se le migrazioni controllate del capitalismo, di cui parleremo, non siano state anch'esse frutto della sopravvivenza, riportandoci quindi, con le loro forme specifiche, alle probabili cause delle migrazioni ancestrali. La Siria e l'Iraq, hanno vissuto diversi anni di siccità che hanno impoverito i tre quarti della loro popolazione. È certo che, nella valutazione delle migrazioni moderne, viste nel loro complesso, il riscaldamento globale e la serie di disastri climatici che esso comporta sembrano ora essere alla base delle migrazioni, in quello che è un quadro diverso.

Migrazioni e capitalismo
In un certo qual senso, l'inizio del Medioevo e la fine delle grandi invasioni portarono a una sedentarizzazione del sistema feudale, che si è basata sull'agricoltura e sulle necessarie attività tecniche connesse al funzionamento dell'insieme. Le città, divennero sia centri commerciali che centri di attività artigianali, e persino industriali. Ovunque in Europa, si assiste a una migrazione dalle campagne alle città, che assorbe sostanzialmente il surplus della popolazione rurale, con i migranti che per lo più si spostano dall'attività contadina e/o artigianale a un'attività legata a uno dei settori di produzione economica. Rispetto a tutte le migrazioni precedenti, lo scopo appare perfettamente chiaro. Il capitalismo può esistere solo attraverso lo sfruttamento della forza lavoro e per fare questo deve attingere alle classi sociali esistenti. La migrazione di base relativa allo sviluppo di questo sistema, non può che venire dalle campagne, ed è l'estensione di ciò che già esisteva nel Medioevo. Si può pensare che non sia stata tanto l'eccedenza di popolazione agricola a favorire queste migrazioni dalle campagne alle fabbriche, quanto piuttosto, anche, i rischi climatici, o di altro tipo, che correvano i lavoratori agricoli e i contadini poveri. L'ubicazione dei centri industriali non era dovuta al caso: poteva dipendere dal settore primario (miniere di carbone o di minerali), dalla vicinanza dei trasporti e, più recentemente, dalla vicinanza dei mercati. Quali che siano state le ragioni di questo sviluppo industriale, esso ha richiesto una forza lavoro sempre più abbondante, che la vicinanza forniva però solo in numero limitato, ecco che da qui significative migrazioni interne, con uno sradicamento totale non solo professionale, ma anche familiare e culturale. Inoltre, qualora l'offerta di forza lavoro non era sufficiente, ecco che venivano utilizzati dei mezzi coercitivi da quella che era diventata la classe borghese dominante, come in Gran Bretagna con il movimento delle "enclosures" (XVI-XVII secolo); una riforma delle strutture agricole che privava gran parte dei contadini di ogni reddito e li costringeva così a migrare verso i centri industriali. In Francia, paese che era relativamente popolato, questo processo si svolse gradualmente, in parte per ragioni politiche, ma in paesi come l'URSS esse venne portato avanti con estrema violenza (dall'uso della fame alla deportazione nei campi siberiani). Una delle migrazioni più "straordinarie" che dimostra chiaramente il legame tra lo spostamento della popolazione e il capitalismo è sta la tratta degli schiavi (*1). A ogni modo, durante il XIX e il XX secolo, lo sviluppo capitalistico venne realizzato a scapito non solo delle migrazioni interne, ma anche delle migrazioni internazionali. In particolare, gli Stati Uniti e il Canada e, in misura minore, il Brasile, l'Argentina e il Cile hanno visto un grande afflusso di migranti, principalmente dall'Europa. Queste migrazioni sono state volontarie, favorite dalla povertà (in tal senso, un buon esempio di questo è stata l'Irlanda), dalla sovrappopolazione, dall'attrazione dell'avventura e della possibilità di una vita migliore: tutto ciò ha costituito la gran parte dello sviluppo capitalistico di questi paesi, a volte a costo dell'eliminazione delle popolazioni indigene. Gli ultimi grandi sviluppi, in Cina e in India, però hanno seguito il tradizionale modello di migrazione interna, dalle campagne alle aree industriali, senza input esterni. È difficile comprendere le migrazioni contemporanee, senza tener conto delle trasformazioni radicali e catastrofiche realizzate negli anni '80 in tanti paesi africani dai programmi di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, o, a partire dagli anni '70 in poi, dagli investimenti esteri fatti dalle multinazionali con la creazione di "zone di produzione per l'esportazione", e attraverso lo sconvolgimento dell'agricoltura tradizionale. Ad esempio, la vendita a privati o aziende di centinaia di ettari di terreno etiope finalizzato alla produzione di agro-combustibili, tra le altre cose. Questi acquirenti privati sono per lo più europei (olandesi, svizzeri, tedeschi, ecc.), quegli stessi che si oppongono all'arrivo dei migranti etiopi nei propri paesi...

La globalizzazione e le vicissitudini del capitale: la formazione dei migranti
Chi sono questi migranti moderni in fuga dalla povertà, dall'insicurezza e dalla morte? Sono così diversi - sebbene vengano posti in condizioni totalmente diverse - da tutti quei migranti storici che fuggivano, senza sapere esattamente perché, una situazione che minacciava le loro condizioni di vita? Diciamo subito che in tutto ciò, se esiste, un approccio umanitario può essere solo un sollievo temporaneo, che il migrante sperimenterà, ma che non ha senso in relazione al problema centrale della migrazione nel mondo capitalista moderno. "Il migrante" non è quel personaggio omogeneo che ci viene presentato come se fosse una sorta di modello uniforme corrispondente alla vittima espiatoria del sistema, ma - i migranti - sono una popolazione differenziata, la quale che proviene da classi , ambiti e origini sociali diverse: costituiscono la stessa medesima collezione di sfruttatori, di cinici, di ingenui, di egoisti, di intelligenti e di imbecilli che possiamo trovare in ogni e qualsiasi società. Ricordiamoci del fatto che le migrazioni odierne riguardano solo il 3% di quella popolazione mondiale che vive al di fuori del proprio luogo di origine (migrazione interna e/o esterna); il che significa che il 97% di questa stessa popolazione è rimasta sedentaria (*2). Esiste anche una "governance globale delle migrazioni", che ad esempio si incarna in un'organizzazione delle Nazioni Unite, qual è l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). La globalizzazione complica ulteriormente i dati, per cui la migrazione delle persone si accompagna a una migrazione delle imprese, e quindi dei posti di lavoro industriali, i quali spesso vanno nella direzione opposta a quella delle persone. Nell'estrema diversità delle situazioni che generano migranti, emergono alcuni dettagli: quasi il 50% sono donne (e ciò corrisponde alla demografia generale), ma anche che in tal modo sono anche più minacciate di quanto lo siano gli uomini. Tra le vittime ci sono anche i bambini: 50.000 di loro sarebbero scomparsi dalla circolazione. Le migrazioni interne ed esterne si sovrappongono, senza che sia possibile distinguere realmente tra il migrante volontario (cioè una partenza decisa dal migrante in base alla sua situazione) e il migrante "forzato"; attraverso reti di prostituzione, rapimenti di minori, internamenti nei campi. Ciò include anche coloro che in tutto il mondo vengono attirati da promesse che poi così li trasformano in schiavi. Secondo una stima di un istituto tedesco, il 37% dei migranti sono lavoratori qualificati (rispetto al 21% di quella che è la forza lavoro in Germania, ma con il 30% di non qualificata rispetto al 9% in Germania) (*3). Oggi nel mondo, ci sono 36 milioni di schiavi : bambini rapiti o abbandonati (10.000), donne costrette a prostituirsi, pescatori negli allevamenti di gamberetti, ecc. Nella sola penisola arabica, 1.400.000 "migranti" si trovano praticamente impossibilitati a lasciare il proprio lavoro, in quanto sono schiavi, i loro passaporti sono stati confiscati (400.000 nel solo Qatar).

Migrazioni di varia entità hanno sempre accompagnato il tumulto dell'avanzata economica e politica del capitale.
In un certo senso, sono state il prolungamento delle migrazioni precedenti fatte per motivi di persecuzione religiosa. La Rivoluzione francese vide l'esodo dei "ci-devant" verso i paesi vicini, la Rivoluzione russa del 1917 vide l'esodo dei "russi bianchi" verso l'Europa, gli Stati Uniti o l'Estremo Oriente. Il nazismo e il fascismo portarono a migrazioni in Europa e negli Stati Uniti. La fine della guerra civile spagnola, nel 1939, vide una significativa migrazione di spagnoli verso la Francia; la correzione dei confini, fatta alla fine della seconda guerra mondiale, portò a grandi migrazioni in tutta l'Europa centrale. La formazione dello Stato di Israele, nel 1947, con l'espropriazione dei palestinesi, ha visto importanti migrazioni, insieme alla creazione di "campi" la cui permanenza si estende fino ai giorni nostri (la diaspora palestinese comprende 7 milioni di emigranti, 1,3 milioni dei quali vivono nei campi da più di mezzo secolo). Quello che continua ad alimentare le migrazioni è questo tipo di situazioni di guerra , sia nell'Africa sub-sahariana che in tutto il Medio Oriente, con la stessa tendenza all'istituzione di campi profughi permanenti. Dopo Israele, altre guerre hanno contribuito con la loro parte: Corea, Vietnam, Afghanistan (trentacinque anni di conflitto armato), Iraq, Sud Sudan (con la Nigeria, 1,4 milioni di sfollati), e attualmente la Siria, per non parlare delle situazioni di guerra e di guerriglia in quella parte dell'Africa, dalla Nigeria alla Somalia e alla Libia. Non sono solo le guerre o le situazioni economiche a causare le migrazioni, le quali possono essere anche il risultato di decisioni politiche. Ad esempio, il disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti ha innescato una significativa emigrazione per tutti coloro che temono la fine del diritto di asilo negli Stati Uniti, in modo che dall'Ecuador sono state rapidamente organizzate reti per questi nuovi migranti. Quando coloro che fuggono da queste guerre e guerriglie non si trovano sulle strade dell'esilio verso le terre promesse (in particolare l'Unione Europea), vanno allora a popolare tutti questi campi profughi che sono stati costruiti ovunque, alla periferia delle zone di conflitto (secondo una stima il numero totale di migranti nel 2010 a 232 milioni). Se le guerre per il petrolio, o per la difesa degli interessi strategici, sono un puro prodotto del capitalismo, esiste però anche un'altra guerra - meno ovvia, economica - che destabilizza totalmente i paesi recentemente conquistati dalla penetrazione capitalistica totale, spesso sulla scia della decolonizzazione, e che copre tutta l'Africa, e in parte l'America Latina. Questa penetrazione capitalistica destabilizzante, riguarda tutti i settori dell'attività economica. L'appropriazione delle risorse naturali avviene mediante delle operazioni minerarie; L'accaparramento dell'acqua e l'inquinamento, stanno rovinando i contadini, cacciati, dai leader corrotti, dai terreni agricoli trasformati in vaste proprietà. Questi stessi agricoltori, artigiani e commercianti locali sono stati già rovinati dal dumping di prodotti a basso costo provenienti dai paesi industrializzati, o dalla concorrenza globale delle multinazionali, tutte cose che soppiantano la produzione agricola locale. Spodestati dal capitalismo, si ritrovano così, o nelle baraccopoli intorno ai centri urbani (che spesso sono solo un passo verso l'emigrazione) o nei campi (un altro passo), o sulle strade dell'esilio. Sovrappopolazione, miseria, destabilizzazione economica, guerra...

Per quel che riguarda tutti questi aspetti dell'attività capitalistica - anche se tutte queste varianti hanno alimentato e alimentano ancora il fabbisogno di lavoro del capitale in certe regioni del mondo - va detto che il loro carattere è profondamente cambiato a causa dell'evoluzione del capitale stesso, sia nelle sue tecniche di produzione che nelle sue mutazioni geografiche. La Francia dopo la prima guerra mondiale, offre un buon esempio di tutti questi cambiamenti . Nel periodo tra le due guerre, per sopperire all'ecatombe della Prima Guerra Mondiale, si spalancarono le porte dell'immigrazione agli  italiani, ai polacchi e agli spagnoli, soprattutto nel settore minerario, edile e agricolo; oltre all'emigrazione occasionale di cui abbiamo già parlato. Un problema diverso si presentò invece dopo la seconda guerra mondiale: la meccanizzazione dell'agricoltura e le grandi riforme agrarie non erano più sufficienti ad alimentare lo sviluppo industriale. Le esigenze erano tali ,che le squadre di reclutamento perlustrarono i paesi del Maghreb per popolare le catene di montaggio. Simultaneamente, i portoghesi invasero l'industria delle costruzioni, e gli spagnoli l'agricoltura e i servizi domestici. Questa situazione è durata fino agli anni '70, con lo sviluppo dell'automazione e il trasferimento delle industrie in paesi a basso costo di lavoro (che ora potevano svilupparsi con la propria tradizionale migrazione interna). Da quel periodo, la pompa di aspirazione che spinge le popolazioni dei paesi destabilizzati verso i paesi sviluppati funziona ancora, mentre il capitale francese, o europeo, non ha più bisogno di questa precedente forza lavoro aggiuntiva. Sebbene le prime misure contro l'immigrazione siano state prese nel 1932, a causa della crisi dell'epoca (con l'espulsione di polacchi e italiani a bordo di treni e i pogrom degli italiani a Marsiglia), è stato proprio quando le catene di montaggio sono state sostituite da processi automatizzati che le circolari amministrative del 1972 (note come Marcellino-Fontanet) hanno deciso che solo i titolari di un contratto di lavoro, e di un alloggio dignitoso, sarebbero stati autorizzati a rimanere in Francia. La stragrande maggioranza degli stranieri non poteva più adempiere a questi obblighi, e pertanto diventava espulsiva. L'applicazione rigorosa di queste circolari ha innescato dei movimenti più o meno violenti, scioperi della fame e azioni collettive. Lo stesso schema può essere applicato, con varianti, a tutti i paesi industrializzati. Negli Stati Uniti, la migrazione interna ha portato i neri dal Sud alla regione industriale dei Grandi Laghi. Ma anche qui, l'automazione, la concorrenza giapponese e il trasferimento dell'industria in Estremo Oriente hanno ridotto ogni interesse del capitale in qualsiasi immigrazione, mentre la destabilizzazione economica dovuta alla penetrazione del capitale americano in tutta l'America Latina ha fatto funzionare a pieno regime la pompa di aspirazione e centinaia di migliaia di migranti hanno affollato la frontiera meridionale degli Stati Uniti. Si parla poco delle migrazioni dall'India verso tutto il Sud-Est asiatico (2,3 milioni tra il 1007 e il 2012, un'emigrazione alimentata dall'incapacità del paese di assorbire, a causa della sua lenta crescita economica, i 12-15 milioni di giovani messi sul mercato) o di quelle dal Bangladesh verso queste stesse destinazioni (2 milioni nello stesso periodo) (*4). Il calo dei prezzi del petroli, ha colpito gravemente le economie di paesi che operano interamente con le rendite petrolifere, come l'Algeria o la Nigeria: la riduzione dei sussidi, in particolare dei sussidi alimentari e dei carburanti, ha portato a un forte calo del tenore di vita, ed è stata fonte di disordini sociali, ma anche di un'impennata dell'emigrazione. Ma questo sviluppo capitalistico, rompendo le situazioni economiche e sociali esistenti, ha anche contribuito allo sviluppo di un altro tipo di migrazione, che nell'ultimo periodo è notevolmente aumentata. Queste migrazioni interne esistono nella loro forma tradizionale di transizione dallo status di rurale a quello di schiavo industriale; ma su scala minore ci sono anche migrazioni forzate ma altrettanto violente: in Brasile, in vent'anni di deforestazione, quasi 50.000 lavoratori hanno avuto solo una scelta tra lo sfruttamento estremo e la morte se cercavano di fuggire. (*5). L'atrocità può essere sproporzionata, ma si verifica in un evento migratorio la cui importanza è assai relativa. Ad esempio, i pescherecci nordcoreani carichi di cadaveri affamati che vanno alla deriva verso le coste giapponesi (quasi 300 in cinque anni), dei quali non sappiamo se abbiano tentato di fuggire o se si siano persi (*6). Tutto ciò è probabilmente solo un esempio delle innumerevoli "migrazioni" di questo tipo che avvengono in tutto il mondo. Tra questi esempi: i Rohingya, una minoranza musulmana in fuga dalla Birmania o dal Bangladesh verso l'Indonesia, l'Australia o l'Africa meridionale. Tra i migranti provenienti dalla Birmania, quelli che provengono dal paese Shan sarebbero – se così si può dire – i più ricchi  (*7), mentre i Rohingya possono incontrare la morte in qualsiasi momento (*8). Per chi vede il Sudafrica come un'oasi di pace, il rischio di morte non risiede nel transito ma nel “Paese” di accoglienza, dove la persecuzione violenta da parte della popolazione è costante, e che si manifesta con pogrom di vario genere.. Anche i conflitti in corso in Sudan – Darfur e Sud Sudan – contengono la loro parte di morte e orrore (*9). Tranne che in circostanze particolari (ad esempio l'evoluzione demografica della Germania), l'immigrazione non è più desiderata ed è passata, da un carattere benefico, a essere una calamità, con politiche nazionali anti-immigrati, barriere politiche e materiali, e con un aumento della xenofobia e del razzismo fino agli eccessi di quello che è un crescente afflusso di migranti a partire da caos globale causato dall'espansione capitalista e dalla sua crisi.Attualmente, l'Unione europea e gli Stati Uniti sono i paesi più minacciati da questa invasione pacifica, contro cui stanno lottando per contenere. La macchina per produrre il migrante è in piena attività, e la forza-lavoro merce deve pertanto mettersi in strada, spesso dotata di un viatico proporzionale alla sua posizione sociale, la cui realizzazione materiale destabilizza ulteriormente l'economia locale per mezzo della vendita di beni, o per ottenere dei prestiti (che seguiranno il migrante e condizioneranno poi la sua futura integrazione). Questo effetto destabilizzante, può anche aumentare durante il trasferimento del migrante, se egli è vittima di furto, di racket o di altri abusi e deve perciò chiamare la propria famiglia rimasta a finanziare il resto del suo viaggio. Si potrebbe pensare che, nella banalizzazione e nell'uniformizzazione di una forza lavoro non qualificata. che si trova in fondo alla scala sociale, dal momento in cui lascia il suo specifico ambiente sociale, ogni migrante sia come tutti gli altri. Ciò in parte è vero, dal momento che intraprendere la via dell'esilio significa trovarsi nella stessa situazione di tutti gli altri. Ma il "valore" di un migrante può però riferirsi a due ordini diversi; il primo è quello riferito non solo ai suoi beni materiali, ma anche al "valore" che gli ausiliari del passaggio gli consegneranno; positivo se riusciremo a ottenere direttamente da lui le finanze, il prezzo del passaggio, frutto del racket esercitato sulla sua famiglia in patria, e dal suo utilizzo per un lavoro temporaneo, o dal passaggio di droga o di qualsiasi altro traffico che può arrivare fino alla prostituzione, oppure grazie a un prestito, che collegherà così il migrante a un lavoro definito nel "paese ospitante"; oppure negativo, per il fatto che è stato "acquistato", ad esempio da una guardia del campo in cui è stato internato, e poi rivenduto a ogni intermediario di transito, fino al punto di consegna finale quando dovrà ripagare, in un modo o nell'altro. Il migrante può però anche avere un altro "valore", al di fuori di questo transito. Le sue qualifiche professionali possono consentirgli anche di "farsi valere" quando arriva a destinazione. Ma anche in questo caso, quali che siano le sue qualifiche, ci sono inciampi come la lingua, le tutele professionali locali, le differenze pratiche che possono rivelarsi ostacoli che riducono o eliminano il "valore" di ogni qualifica, e riducono la forza lavoro ai soli equivalenti comuni. In un certo senso, la migrazione svaluta il costo della forza lavoro, sia attraverso questa standardizzazione dal basso sia attraverso la pressione che questa svalutazione comporta nel paese ospitante. Nell'emigrazione recente, è merso anche un altro fattore: in passato i migranti erano generalmente individualizzati, con la loro famiglia che rimaneva nel paese, e solo successivamente si parlava di "ricongiungimento familiare"; oggi, soprattutto per i siriani, ci sono intere famiglie a tentare l'avventura, e pertanto l'idea del ricongiungimento familiare non è più valida. Un intero settore commerciale in forte espansione, vale a dire, quello in cui operano le agenzie matrimoniali transnazionali, è nato attorno a una domanda maschile di rinormalizzazione patriarcale dei ruoli di genere all'interno della famiglia, che offre a "donne docili e affettuose", per le quali "le uniche cose che contano sono la famiglia e i desideri del marito", il complesso gioco caratteristico di buona parte delle migrazioni femminili contemporanee, fatto di fuga dalle relazioni patriarcali dei paesi di origine, fornire il lavoro affettivo e di cura che le donne occidentali "emancipate" non vogliono più fornire, e la riproduzione di condizioni di classe e di subordinazione di genere (*10). Inoltre, nel progetto migratorio dei migranti la pressione collettiva e familiare non può essere trascurata.  In Africa, raramente la decisione di migrare è individuale. Quando i candidati all'emigrazione provengono da una zona rurale, vengono spesso designati dal villaggio, il quale raccoglie i fondi per il viaggio. Se il migrante arriva in Europa, sarà costretto a mandare la maggior parte del suo stipendio al villaggio, poiché è su di lui che poggiano le vere speranze di sviluppo: quanti villaggi sono riusciti ad ottenere la costruzione di un centro sanitario, di una scuola o di un veicolo grazie ai soldi della diaspora. L'assenza prolungata e l'eventuale ritorno dei migranti è un fattore reale di distruzione sociale e di conflitti familiari (*11).

Un'agenzia di viaggi di grande successo
Per il migrante, tutti i mezzi sono buoni per decidere di raggiungere la "terra promessa", scelta sia in base alle relazioni personali che a un mondo immaginario. Questo è diventato assai più facile - per così dire - con lo sviluppo delle ferrovie e del vapore nel trasporto marittimo. Si ritiene che questa espansione del motore a vapore nei trasporti, abbia giocato un ruolo importante nello sviluppo dell'immigrazione, soprattutto negli Stati Uniti, rendendo il viaggio più sicuro (soprattutto a livello igienico), più breve e meno costoso. Resta il fatto che per un secolo (dal 1850 al 1950) questo trasporto di migranti è rimasto un calvario, in particolare nel corso della traversata transatlantica (*12). Un altro aspetto, che si osserverà oggi riguardo altri mezzi di trasporto, deriverà dall'uso clandestino della ferrovia, e assumerà una grande dimensione negli Stati Uniti con gli hobos (*13). Un'altra caratteristica importante di queste migrazioni ha risieduto, fino agli anni '60, nei pochi ostacoli amministrativi, o di altro tipo, che hanno reso l'immigrazione ciò che è diventata oggi, un percorso a ostacoli: finché si poteva pagare il prezzo del viaggio, la migrazione incontrava pochi ostacoli. La ragione principale di ciò è che fino a poco tempo fa il capitalismo aveva bisogno di sangue fresco per i suoi sviluppi nazionali, spalancava le porte e talvolta andava anche a reclutare la forza lavoro nel paese di provenienza, finanziando perfino il viaggio e fornendo i documenti amministrativi necessari. In tal modo, abbiamo assistito a delle grandi emigrazioni, per le ragioni economiche che abbiamo descritto, talvolta per i pericoli causati dalla guerra, da tutta l'America Latina verso gli Stati Uniti e il Canada, dall'Europa a tutte le Americhe, da certi paesi dell'Europa, dell'Africa e dell'Estremo Oriente verso i paesi più industrializzati dell'Europa. Molti sono stati gli ostacoli a questa immigrazione, che da un lato ha portato allo sviluppo di un'industria di documenti falsi, e dall'altro alla creazione di filiere, assai lontane da ciò che può esistere oggi. Queste reti potevano essere clandestine, e prendere le strade del contrabbando, della droga, della prostituzione... Oppure nascevano da situazioni specifiche, il più delle volte dalla situazione politica di paesi dittatoriali: come, ad esempio, l'attraversamento della linea di demarcazione nella Francia durante l'occupazione, dall'URSS, dalla Germania nazista, dall'Italia fascista, nella Spagna franchista, nel Portogallo salazarista e più tardi il  Vietnam del Viet Minh(i boat people). Ma, se paragonate all'emigrazioni presenti per motivi analoghi, rimasero di piccole dimensioni e non incontrarono particolari difficoltà al di fuori del territorio nazionale. Dagli anni '70 in poi, la trasformazione strutturale del capitalismo mondiale ha cambiato completamente questa situazione: con l'automazione, il capitalismo sviluppato non ha più bisogno di forza lavoro non qualificata e, con la globalizzazione legata alla rivoluzione del trasporto marittimo, il capitale ha potuto attingere questa manodopera dai paesi in via di sviluppo sovrappopolati, principalmente Cina e India. Come abbiamo sottolineato sopra, la stessa globalizzazione, la crisi economica e il caos che ne è derivato hanno fatto precipitare nell'emigrazione una massa crescente di aspiranti viaggiatori nello stesso momento in cui non erano più necessari, tranne nei casi specifici per il funzionamento e lo sviluppo del capitale nelle loro entità nazionali. Non è una delle contraddizioni meno presenti del sistema capitalistico produrre, con il suo semplice funzionamento, problemi che esso è in grado di risolvere solo con misure coercitive, le quali creano poi ancora più problemi di quanti ne risolvano. Le barriere protettive che praticamente tutti gli Stati interessati hanno costruito, e stanno ancora costruendo, sono legali o materiali, e non fanno altro che rafforzare questa industria migratoria, senza arginare in alcun modo la rinnovata marea di una "produzione migrante" in movimento (*14). Il costo complessivo di questo "trasferimento di migranti" (la materia prima) proveniente dal luogo di produzione verso quello di consumo (quello dello sfruttamento della propria forza lavoro) va esaminato sotto due aspetti, anche se essi sono strettamente connessi. Da un lato, per il migrante che deve pagare il prezzo in blocco, o in dettaglio, non solo finanziariamente, per ciò che è raggruppato sotto il nome di "trafficante" - il quale può essere unico, nell'organizzazione elaborata e nelle "reti", o molto diversificato - ogni fase del trasferimento va risolta caso per caso. Gli ostacoli giuridici possono sembrare formalità con possibilità di frode (documenti falsi), ma possono tuttavia avere conseguenze materiali sul trasferimento, e persino portare allo stallo dei campi profughi. Nel tentativo di operare una distinzione umanitaria, gli Stati che si occupano di migranti hanno elaborato una differenziazione tra rifugiati politici e migranti economici, come se i due non fossero lo stesso prodotto dell'attività capitalistica in forme diverse. Il "rifugiato" che ne può beneficiare – del diritto d'asilo – deve dimostrare di essere stato costretto a fuggire da un pericolo a causa del potere politico in carica. Avviene però che la cernita per separare il grano dalla pula possa essere effettuata in condizioni piuttosto difficili; ecco una descrizione di un ingresso, proveniente  dalle isole greche, nell'Unione Europea:  «... Gli iracheni [i quattro membri di una famiglia] sono appena atterrati a Efthalou [Lesbo]. Trasportati in pullman a Moria, sono stati subito indirizzati al "campo inferiore", quello che gestisce la registrazione dei parlanti arabi e dei cittadini che hanno maggiori probabilità di beneficiare dell'asilo in Europa; Siriani, iracheni, eritrei, somali, sudanesi e yemeniti. Gli altri – afghani, iraniani, pakistani – vengono trasferiti nel "campo superiore", dove le operazioni sono più lente. Marocchini e algerini, considerati semplici migranti economici, vengono trattenuti nelle celle della stazione di polizia di Mitilene prima di essere rispediti nel vasto campo di detenzione continentale situato a Corinto, quindi rispediti in Marocco o in Turchia [...] [Per coloro che hanno superato questa fase di selezione, il processo è lo stesso:] il contenitore di identificazione in cui [...] l'Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne [Frontex] è responsabile dell'accertamento della cittadinanza dei rifugiati [che devono] depositare [le loro] impronte digitali su macchine collegate alla banca dati centrale europea, [essere fotografati] [...] E noi rilasciamo il lasciapassare che garantisce sei mesi di circolazione" nell'UE (*15). Il migrante "autorizzato" viene così trasportato al confine con la Macedonia e poi tocca a lui cavarsela da solo. Al variare delle variazioni, le condizioni di smistamento sono sempre più o meno le stesse, per il settore italiano che passa per Lampedusa. Restano da attraversare altre frontiere. La concessione di uno status giuridico provvisorio, non pone fine al viaggio del migrante, il quale incontra le stesse difficoltà materiali di qualsiasi persona che vive illegalmente: innumerevoli barriere di lunghezza ed efficacia crescenti si aggiungono agli ostacoli naturali che sono i mari, i fiumi e le montagne (*16). La loro efficacia è solo temporanea: le reti si spostano su altri percorsi o utilizzano altre tecniche (barriere di taglio, gallerie) (*17); queste barriere aumentano il prezzo dei passaggi, moltiplicano la sedentarizzazione, ufficiale e/o incontrollata, nei campi (esempio di Calais) così come le possibilità di corruzione e di violenza fisica (stupro o traffico di bambini). Se non finisce in fondo al mare, o in un cimitero costiero, il migrante si ritrova bloccato in uno degli innumerevoli campi di ogni dimensione che sono sorti ovunque, vicino ai confini o all'interno di un paese limitrofo: dai campi di detenzione ufficiali da cui si esce per essere deportati, ai campi abusivi regolarmente distrutti dalla polizia per essere ricostruiti altrove, e compresi i campi la cui esistenza risale a più di mezzo secolo fa. Ma prima di vedere la funzione e il costo di questi campi per migranti, dobbiamo guardare al costo e al ritorno finanziario di questa parte dell'industria dei migranti. Anche se in gran parte illegale, questa industria migrante rimane comunque parte integrante del processo di produzione capitalistico: il viaggio consuma un certo numero di prodotti, rendendo così prospera questa o quella industria; grazie alla sua elevata redditività, consente di accumulare una massa di capitale investito in questi circuiti legali (*18). Si può osservare che la trasformazione del capitale immobilizzato in varie forme (terreni, gioielli, risparmi, ecc.) e in capitale finanziario, non solo arricchisce le banche, ma contribuisce anche alla circolazione globale dei flussi finanziari. Le stime finanziarie relative a questo settore poco chiaro, sono necessariamente imprecise, ma il confronto con altri settori più legali può dare un'idea della loro importanza. Per avere un'idea di questa dimensione, dobbiamo considerare tre aspetti che coinvolgono un'operazione di media finanza, cioè, quella che in tutto il mondo è una merce o un servizio:
1 – quanto ricevono, in denaro, le reti di trasferimento dei migranti;
2 – di cosa beneficiano i fornitori di attrezzature utilizzate per tali trasferimenti;
3 – il costo dei mezzi di controllo per gli Stati: selezione, blocco e stoccaggio dei migranti durante il loro viaggio.

1 - È difficile quantificare quanto i migranti paghino complessivamente ai loro "trafficanti", dalla loro partenza dal paese fino al loro arrivo nel paese ospitante, perché si tratta di un'attività clandestina, e il prezzo può variare da paese a paese, a seconda dei mezzi utilizzati e, all'interno della stessa rete, in base a difficoltà come l'aumento della repressione, o l'erezione di barriere (*19). Possiamo provare a fare una stima complessiva in relazione al numero di una categoria di migranti (stiamo parlando solo di migrazioni esterne, non di migrazioni interne). Nel 2013, le Nazioni Unite hanno contato 232 milioni di migranti in tutto il mondo (*20). Anche se stimiamo in media 1.000 euro, il prezzo pagato da ciascun migrante per il suo trasferimento, otteniamo un fatturato totale annuo di 232 miliardi di euro, ben al di sotto della realtà. Possiamo fare un confronto con il bilancio relativo alla Francia nel 2016, che prevede un fatturato di 300 miliardi di euro, o con le prime sei aziende del mondo, che hanno tutte un fatturato di circa 400 miliardi di dollari. Ma da un lato, il fatturato dell'industria dei migranti può anche raggiungere il doppio di questa stima e dall'altro, non dice nulla su ciò che questi "imprenditori" del trasporto passeggeri o delle agenzie di viaggio - come si desidera - devono pagare per garantire i mezzi materiali di trasporto, la fornitura di documenti falsi e i soldi per la corruzione degli agenti di controllo. Certo, il più delle volte, le mafie regnano sovrane su questi settori, che hanno rapidamente identificato come redditizi quanto il narcotraffico (mafie turche per il passaggio in Grecia, italiane per la rotta Libia-Italia, albanesi per il passaggio in Macedonia). Inoltre, le reti della droga possono essere tutte utilizzate, e anche i migranti stessi possono essere costretti a diventare corrieri della droga. Da buoni capitalisti, queste mafie hanno anche capito, grazie alla loro esperienza nel campo della droga, che in qualsiasi traffico illecito i profitti aumentano se, a valle, si controllano i contrabbandieri di base, e a monte i fornitori di attrezzature. Questo processo di "concentrazione" è stato attuato dalla mafia turca, la quale prima ha assicurato il dominio economico dei contrabbandieri, attraverso i suoi racket, e poi quello dei venditori di attrezzature, assicurandosi così un monopolio virtuale sulla fornitura di gommoni, che vengono prodotti principalmente in Cina. La mafia italiana, ad esempio, che brilla nel suo traffico di migranti, "consolida" lo sfruttamento dei migranti nei suddetti paesi ospitanti. Ricordiamo i terribili scontri con le mafie nel sud Italia. E il borgo calabrese di Riace, spesso citato per l'accoglienza che offre ai migranti, e che contemporaneamente ha dovuto sostenere anche la "lotta antimafia".

2 - Anche le attrezzature utilizzate durante il trasferimento possono essere estremamente diverse, e fonte di guadagno sia per i "trust" dei settori che per gli artigiani locali, la cui proprietà di un peschereccio consente loro di trarre vantaggio dalla situazione. Anche qui, l'immaginazione guidata dalla prospettiva del profitto diventa delirante, e i migranti devono sempre e comunque attraversarla. Tutti hanno potuto vedere, sulla televisione o sugli schermi dei computer, questi gommoni carichi di migranti, schiacciati come sardine. Qualche cifra: un gommone il cui prezzo varia dai 170 ai 700 euro può trasportare dai 40 ai 50 migranti, i quali avranno pagato fino a circa 800 euro a testa: utile netto, almeno 30.000 euro. Secondo il Financial Times, un barcone con 450 migranti, in un solo passaggio porterebbe 1 milione di euro. Non importa se la barca è perduta, quale industria porterebbe così tanto? Ma c'è di più: l'esempio, probabilmente non unico, della Blue Sky, una nave da carico destinata alla demolizione per i suoi 38 anni di età, ma acquistata per 100.000 euro (*21). Ci sono 800 migranti stipati al suo interno, che pagano dai 6.000 agli 8.000 euro ciascuno per un presunto passaggio dalla Turchia all'Italia. La nave venne abbandonata nell'Adriatico, motore e timone bloccati in un naufragio prima di essere individuata e i suoi occupanti salvati. Utile: quasi 5 milioni di euro. Molte altre navi da carico di questo tipo, sono state intercettate. E non ci sono piccoli profitti; oltre al prezzo del passaggio, chi ha ancora delle riserve deve pagare 170 euro per un giubbotto di salvataggio o per una coperta, e addirittura 170 euro se vuole respirare in coperta, quando è stato parcheggiato nella stiva. Un altro mezzo per attraversare clandestinamente un confine è quello attraverso i tunnel, come quelli esistenti da Gaza a Israele e all'Egitto, oppure quelli dal Messico agli Stati Uniti; Ma si sa ancora troppo poco di questo mondo sotterraneo (vedi nota *17).

3 - Quanto costano tutti i mezzi utilizzati per controllare e fermare i migranti e distruggere le reti? Libération (*22) tenta un approccio. In quindici anni, questo bilancio "migrante" sarebbe costato:
– 75 miliardi, ai paesi africani per investimenti volti a fermare le migrazioni (possiamo fare un confronto con i profitti delle reti migratorie sopra indicate e pensare che buona parte di questa manna si perde nei conti offshore di leader corrotti).
– 1 miliardo per l'agenzia Frontex (vedi sotto)
– 11 miliardi per gli sfratti
– 450 milioni per la ricerca sui mezzi tecnici di rilevamento
– 77 milioni per la costruzione di muri e barriere.

Il progresso non può essere fermato: all'avida fantasia dei capi dei settori corrisponde l'immaginazione difensiva degli Stati per prevenire l'invasione migratoria. Dal 2015 la Commissione europea ha istituito un gruppo di lavoro, che coinvolge i principali produttori di armi (Airbus, Thales, Finmeccanica e BAE) e di tecnologie speciali (Saab, Indra, Siemens, ecc.), e che ha ricevuto 225 milioni di euro per sviluppare progetti di protezione delle frontiere. L'agenzia europea incaricata dell'eventuale intercettazione, accoglienza e salvataggio dei migranti, Frontex, sarà sostituita da una forza europea di "gestione della migrazione" composta da 1.000 agenti permanenti e 1.500 agenti di riserva che, se necessario, possono essere mobilitati in una forza di dispiegamento rapido. Al tempo stesso, è stato istituito un fondo fiduciario con 18 miliardi di euro per lo sviluppo dell'Africa sahariana (*23). Secondo i responsabili della società che lo gestisce, con l'aiuto del Regno Unito e con l'installazione di 40 km di barriere varie, verrebbe interamente "assicurato" il passaggio del tunnel sotto la Manica. In questo campo, le innovazioni tecniche abbondano, e vanno da un centro europeo per le impronte digitali fino allo sviluppo, da parte di Israele e degli Stati Uniti, di un drone in grado di rilevare i tunnel. Poco si sa del costo delle varie barriere che di recente sono proliferate nei Balcani (ad esempio i 175 km di muro tra Serbia e Ungheria [*24]) e che hanno – temporaneamente – intrappolato i migranti, ma che hanno anche provocato, in questi stati precedentemente uniti nella Jugoslavia, delle reazioni locali, a causa del fatto che complicano i rapporti personali quotidiani, del lavoro, del commercio, e dei loro abitanti; ed è così che si è formato un gruppo chiamato "Fronte dei lavoratori", i cui commando notturni hanno tagliato un certo tratto di filo spinato tra Croazia e Slovenia, e lo hanno venduto devolvendo il ricavato a un fondo di solidarietà per i migranti (*25). Ci si può anche chiedere se l'equilibrio tra ciò che i migranti pagano a livello globale, e quello che l'Europa spende per limitare il loro ingresso, non corrisponda a un prezzo pagato dal migrante per avere un lavoro, visto che un tempo abbiamo già visto, in vari paesi, il proliferare di agenzie di collocamento retribuite. Se in queste storie ci siamo concentrati sull'Europa, ciò è perché ci riguarda direttamente, e i media sono quindi particolarmente prolifici su questo punto limitato di quella che è la questione migratoria globale. Ma lo stesso orrore si può trovare, in varia misura, nelle migrazioni cosiddette "di seconda classe". Come la storia di un migrante in Sudafrica: «Con la promessa di "una bella macchina", il signor Giro ha guidato la prima tappa del viaggio – attraverso il Kenya e la Tanzania – alla guida di un minibus affollato. È stato fortunato, però, perché l'altra metà del gruppo di 76 etiopi di cui faceva parte ha fatto lo stesso viaggio nascosta in un carico di legna nel retro di un pick-up. I due veicoli hanno guidato su strade secondarie in cattive condizioni, guidando soprattutto di notte al fine di evitare di essere scoperti. Gli agenti di polizia che hanno incontrato, li hanno lasciati proseguire per la loro strada in cambio di tangenti. Poco prima del confine con il Malawi, i trafficanti  hanno portato i migranti di Giro nella boscaglia, e li hanno lasciati lì senza cibo né acqua per cinque giorni... "Condividevamo la poca acqua che avevamo e mangiavamo le foglie", ha ricordato Giro. "Molti di noi si sono ammalati a causa del caldo e della malaria; quattro persone sono morte mentre aspettavamo". (…) Una settimana dopo, mentre Giro ora faticava a respirare nel retro di un camion che attraversava il Mozambico, 42 etiopi sono morti soffocati in un altro camion che viaggiava attraverso la Tanzania centrale. L'autista ha abbandonato i corpi e gli 85 sopravvissuti sul ciglio della strada e ha proseguito per la sua strada. Mentre non ci sono stati morti nel veicolo su cui viaggiava il signor Giro, 16 persone tra quelle a bordo del camion carico di legna sono morte durante il viaggio. Tali fatti potrebbero ripetersi in tutto il mondo, in particolare in quello che è l'assalto di migranti provenienti dall'America Latina verso gli Stati Uniti.» (*26). In un modo o nell'altro, la merce forza-lavoro trova un punto di utilizzo, o di stoccaggio, in quel magazzino che è costituito dai diversi campi. Quelli che vengono consegnati destinati al commercio di organi, vengono tenuti da parte (*27). Anche la tratta di bambini è particolarmente apprezzata, dal momento che la schiavitù industriale, domestica o sessuale, così come la rivendita a fini di adozione o destinata al traffico di organi (*28) è assai remunerativa. Le altre perdite relative allo stock globale di questa merce - che avvengono nel corso dei trasferimenti che vengono sfruttati dai media, in modo che così venga accettata l'iniezione di questa forza lavoro a basso costo nelle economie nazionali - appaiono altrettanto irrisorie, visti i milioni di migranti e il loro costante ricambio; alla fin fine, si tratta solo di profitto e della perdita del trading di una materia prima e, visto da questo punto di vista, è un business parecchio redditizio. Ma c'è un altro aspetto di cui si parla poco, quello della svalutazione di questa forza lavoro della quale il migrante è portatore. Non si tratta tanto della tradizionale trasformazione di un contadino, di un lavoratore agricolo, o di un artigiano in un operaio industriale, o in un impiegato dei servizi; e consiste nel fatto che il migrante ha svolto un'attività professionale in un certo settore economico nel suo paese d'origine, con un certo livello di qualifica e con una posizione gerarchica. Il più delle volte questo migrante, qualunque fosse la sua posizione precedente, si trova ridotto alla più semplice di tutte le condizioni di proletario. E questo è dovuto al fatto che molti ostacoli ostacoleranno la sua buona volontà di integrarsi: la lingua, le differenze tecniche e culturali, l'assegnazione geografica, il razzismo, le norme giuridiche. D'altra parte, in un mondo di cambiamenti tecnici accelerati, l'inazione nei campi (che riguarda di gran lunga il maggior numero di migranti attuali) e la situazione dell'assistenza permanente portano a una de-qualificazione. Alcuni campi permanenti sono riusciti a organizzare l'istruzione e la formazione professionale, ma in molti di questi campi i migranti non hanno accesso a nulla.

I campi, serbatoi di forza lavoro
Nella rete migratoria, un po' come avviene nel gioco dell'oca, la casella in cui cade il migrante è una casella di detenzione più o meno lunga. Si tratta di quel "campo" la cui origine, natura e carattere possono essere, tra loro, assai diversi (*29). Certo, questi campi esistono da molto tempo, ma è dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che i primi, di una certa importanza, hanno fatto seguito alla costituzione dello Stato di Israele (1948), e all'espropriazione dei palestinesi. Un buon numero di loro è finito nei campi in Libano (il campo di Shatila a Beirut venne creato nel 1949), in Giordania e in Cisgiordania; e due generazioni dopo si trovano ancora lì, ancora con la falsa speranza di tornare nel paese da cui sono stati esclusi. Troviamo questo tipo di campi, che sono il sottoprodotto delle guerre, soprattutto anche in Africa, e ora in Siria. Si dice che, in tutto il mondo,  questi campi "ufficiali" ospitino fino a 15 milioni di rifugiati. Solo un esempio: il campo di Dadaah in Kenya, vicino al confine con la Somalia, ospita più di 400.000 rifugiati, principalmente somali, che fuggono dal caos del loro paese, a volte addirittura già da tre generazioni. È il più grande del mondo, ed è una vera e propria città, la quale ha sviluppato un'attività commerciale, e da cui, dal 2014 a oggi, sono partite solo 500 persone, e questo perché la maggior parte di loro non può permettersi nessun passaggio (*30). In questi campi "ufficiali" l'ONU e/o le ONG forniscono un minimo di sussistenza, ma nei campi "selvaggi" - più o meno improvvisati, ma divenuti permanenti, e il cui modello, per così dire, è la giungla di Calais (6.000 migranti, a cui vanno aggiunti i 3.000 nella "dependance" della giungla di Grande-Synthe (conurbazione di Dunkerque) - questo minimo non esiste quasi mai . Negli ultimi tempi, questi campi "temporanei" si sono moltiplicati, in conseguenza di una decisione politica enorme e ipocrita che riguarda gli emigrati siriani, i quali sono ormai quelli più numerosi. Dei 14,5 milioni di siriani che sono fuggiti dal loro paese, il 40% si trova ora nei campi in Turchia, Giordania, Libia ed Egitto. La decisione della Germania di accogliere fino a 1,3 milioni di siriani, ha conferito una patina umanitaria alla fredda politica Merkel, nel mentre che ha agito a solo vantaggio del capitale tedesco, il quale si trova a corto di manodopera a causa del deficit demografico (spesso si dimentica che la Germania ha avuto per anni 4-5 milioni di turchi e di curdi, e che l'integrazione dei siriani non porrebbe quindi alcun problema). La brutale decisione di chiudere bruscamente il rubinetto, ha rotto bruscamente la rete, mentre molti siriani che rispondevano all'appello tedesco si trovavano già nei vari paesi veri e propri palcoscenici della rete. Le frontiere si sono progressivamente chiuse, costringendoli, come i migranti provenienti da Calais o dalla Libia, a stabilirsi in campi improvvisati; Questo è stato esteso con un effetto domino al confine turco-siriano. La Turchia ha già più di 2 milioni di rifugiati siriani in campi "più tradizionali", dove coloro che fuggono dalla morte sotto i bombardamenti russi intorno ad Aleppo sono ammassati sul lato siriano in campi di fortuna, rimanendo sotto la minaccia della guerra. La presenza di questi campi illegali, prodotti di decisioni politiche, diventa essa stessa un elemento di negoziazione politica intorno al ricatto: «aiutateci finanziariamente o in altro modo o apriremo le porte per portare l'invasione nel vostro paese». Questi campi temporanei rappresentano un vero problema per questi Stati balcanici: con tassi di disoccupazione che possono raggiungere più del 30% della popolazione attiva e economie alla deriva, come possono questi Stati accogliere umanamente migliaia di rifugiati bloccati sul loro territorio e soddisfare temporaneamente i loro bisogni senza un aiuto esterno? Questo è particolarmente vero per la Grecia, che è il primo anello della catena dell'evasione – invasione degli emigrati siriani nell'Unione Europea: fondamentalmente «chiudiamo le nostre frontiere e tu cancelli il debito o lo lasciamo passare». Una soluzione potrebbe essere – a quanto pare – che l'Europa finanzi la costruzione di un campo permanente in grado di assorbire quasi un milione di rifugiati siriani (*31). Un'altra formula si trova nei campi di detenzione, i cui "ospiti" sono lì solo per un certo periodo, ma vengono costantemente rinnovati man mano che i migranti vengono braccati: si dice che i 1.000 centri di detenzione conosciuti abbiano, in un momento o nell'altro, più di 1 milione di questi ospiti transitori (*32). Poi, ci sono campi ancora più sinistri e segreti, come quello di Misurata, dove 20.000 migranti arrestati in Libia sono rinchiusi nelle peggiori condizioni (*33). Si ritiene che nei campi di detenzione segreti di Bechar al-Assad languiscano 200.000 prigionieri politici, e non sappiamo quanti siano gli equivalenti che si trovano rinchiusi in Etiopia o nel Sud Sudan. Tanto sinistri quanto segreti, questi campi clandestini "privati" ai confini meridionali della Birmania, si dice abbiano più di 140.000 "residenti" bengalesi o appartenenti a minoranze birmane oppresse, e sono metà campi di transito e metà campi di sterminio, come dimostra il ritrovamento di fosse comuni. Anche i campi, di qualunque tipo essi siano, fanno parte di un ciclo industriale, a partire dalla fornitura delle innumerevoli tende, e da un minimo di attrezzature materiali come strade, acqua ed elettricità, e fino alle forniture alimentari. Se l'Unione Europea può pagare all'Ucraina 30 milioni per il mantenimento dei centri di detenzione e dei campi di transito, allora possiamo immaginare tutti i finanziamenti provenienti da varie fonti per i campi "ufficiali". Ed è qui che entra in gioco l'industria. In questi campi vengono indette gare d'appalto internazionali per i servizi. A livello internazionale, esiste un certo numero di aziende che rispondono a questi bandi: il miglior offerente vince la coppa, e dà ai migranti solo ciò che ha ricevuto. Alcune di queste società sono note: Serco, Mitie e Geo Group, Broad Spectrum, Transfield Services (che operano anche nei servizi carcerari) (vedi
http://business-humanrights.org, che proclama sul suo sito web: «Lavoriamo con tutti per promuovere i diritti umani nel mondo degli affari»), e i cui azionisti sono talvolta fondi pensione, ma la cui finanza è in qualche modo distolta, Non per ragioni morali, ma per mancanza di redditività. In realtà, a causa della questione della redditività, si tratta di un'attività assai meno documentata di quella che comporta  il transito dei migranti. Rimane una domanda, la più importante per il migrante che trasporta la forza lavoro. Il campo è una sorta di deposito della merce della forza-lavoro, messa da parte per chissà quale futuro produttivo. In un certo senso, la permanenza nel campo può avere effetti contraddittori: da un lato, l'inazione e l'esclusione dal mondo esterno in continua evoluzione portano a una svalutazione della forza lavoro del migrante, dall'altro l'auto-organizzazione del campo può rendere possibile, come a Dadaah in Kenya, l'innalzamento del livello di istruzione e lo sviluppo della formazione qualificativa. Per cui oggi si può dire che il livello di istruzione e di qualifica in questo campo è ben al di sopra della media della popolazione locale circostante. Resta il fatto che per molti, l'ingresso nel campo può significare una lunga permanenza: l'imprudenza della maggior parte di loro impedisce che possano fare domanda per qualsiasi percorso di emigrazione. Resta un percorso tragico che, seppur limitato (riguarda probabilmente più di 100.000 persone), tuttavia esiste, come una spada di Damocle sulla qualsiasi "testa" di un campo. Dire a uno di loro che esisteva la possibilità di partire per un paese ospitante (nel nostro esempio, Israele) è stato il lavoro di una guardia o di un reclutatore che ha venduto l'ingenuo migrante per un centinaio di euro, e lo ha consegnato a un trafficante. Quest'ultimo lo ha venduto a un altro trafficante, e una cosa tira l'altra, il migrante è arrivato nei centri segreti nel deserto del Negev con un valore di 1.000 euro che ora doveva "rimborsare", se voleva entrare in Israele. È stata la sua famiglia allargata che si trova a casa, a dover inviare i soldi e, per convincerla, le immagini delle sessioni di tortura le sono state inviate via Internet e iPad. Se non arrivava nulla, il migrante veniva ucciso e i suoi organi recuperati per il trapianto (vedi nota *27). La costruzione di un muro di separazione con Israele ha messo fine a questa rete, ma essa esiste ancora altrove, in particolare in Libia. Si potrebbe anche classificare come campo quello che è l'accumulo di migranti provenienti dall'interno degli Stati che si riuniscono in una sorta di ghetto alla periferia delle città, soprattutto nel Terzo Mondo. Possono naturalmente andarsene, sia per trovare lavoro e residenza fuori dalla baraccopoli, sia per tentare i canali dell'emigrazione, ma il più delle volte la loro impotenza costituisce una barriera insormontabile uguale al filo spinato dei campi materializzati.

Migrazione e socializzazione
Uno dei punti, spesso sottolineati per quanto riguarda l'ascesa del capitalismo, risiede nell'osservazione del fatto che raggruppando i lavoratori in un'unica unità, si creava una collettività unita in una stessa condizione e in un unico luogo, la fabbrica: questa forma di socializzazione si opponeva a una precedente individualizzazione in unità di produzione individualizzate dipendenti da un unico padrone. E' stato citato l'esempio di quello che costituiva uno di questi primi raggruppamenti, quello dei tessitori che lavoravano a casa sul proprio telaio, raggruppati in un'unica fabbrica di tessitura. Ciò era vero solo in parte, perché prima esisteva un'altra forma di socializzazione, sia tra questi produttori indipendenti che tra i contadini, il cui sradicamento doveva costituire la maggior parte della forza lavoro iniziale del capitale. Ciò è dimostrato, ad esempio, dai movimenti collettivi dei contadini locali o generici durante il Medioevo, e fino ai giorni nostri. Poiché il capitale, per svilupparsi, ha sempre distrutto i sistemi preesistenti, la socializzazione che ha introdotto ha anche sostituito quelle preesistenti. Ma per il capitale era altrettanto dannosa, in quanto tale socializzazione era all'origine della resistenza individuale e collettiva, cosicché il capitale, affinché il processo di produzione funzionasse senza intoppi, si è trovato nella necessità  di spezzarle o integrarle, queste socializzazioni. Ciò appare evidente a partire da tutta la sua evoluzione e dal suo consolidamento. Le migrazioni di natura diversa, dal momento che vanno oltre quei quadri nazionali che si sono sviluppati a partire dalla metà dell'Ottocento, prima dall'Europa alle Americhe, poi intereuropee, per diventare internazionali come lo sono oggi, sollevano la questione della distruzione della socializzazione nel paese di origine del migrante, il quale, durante il trasferimento o quando si stabilisce nel paese ospitante, trova inevitabilmente un'altra forma di socializzazione. Ed è questo, ancora oggi il destino dei migranti, ma nelle recenti migrazioni, soprattutto dall'Asia verso l'Europa, la distruzione della socializzazione originaria è evidente fin dall'inizio, e d'altra parte non sappiamo nulla di quello che sarà di loro nel paese ospitante. In questo crogiolo che sono le migrazioni odierne, spesso si evidenziano solo i conflitti nelle divisioni naturali derivanti dalle nazionalità, religiose e/o etniche, che riproducono una socializzazione frammentata dell'origine, o nella divisione artificiale introdotta dai paesi ospitanti tra rifugiati e migranti economici, o sociali tra ricchi e poveri. Poco si parla di questa socializzazione, forse effimera, che può essere tessuta, anche in forme molto elementari, solo tra i migranti della stessa origine, o tra migranti di tutte le origini: tale socializzazione, e che non può che scaturire dalla condizione comune in cui si trovano. Esiste ma nessuno ne parla, appartiene al gesto delle relazioni umane. Questa domanda potrebbe essere sorta in passato, ad esempio per i migranti che attraversano l'Atlantico per raggiungere gli Stati Uniti. Ma era molto meno un problema per la migrazione nazionale o intereuropea, che spesso era più individuale. Questa socializzazione effimera può estendersi anche al paese ospitante, ma anche qui si tratta di un territorio inesplorato e può essere solo menzionato. In ogni caso, queste forme transitorie di socializzazione saranno assorbite nella socializzazione globale del capitale nelle sue forme nazionali.

La fine del viaggio: l'integrazione del migrante come forza lavoro nel "paese ospitante"
Una volta che il migrante si è in qualche modo stabilito in un campo o in un qualche tipo di alloggio in un paese ospitante, viene creata un'altra forma di industria per l'alloggio, il cibo, l'assistenza e la riqualificazione professionale. Ma non tutti sono sulla stessa barca. Qui vediamo riapparire la grande divisione, artificiale ma reale, tra rifugiati (migranti politici) e migranti economici. I primi sono gli unici che possono "beneficiare" del diritto d'asilo, cioè di poter soggiornare più o meno a lungo in un paese definito. In linea di principio, la loro "accoglienza" non è affare delle ONG, ma in caso contrario devono anche trovare fornitori con il minimo di sussistenza. La diversità delle situazioni ci permette di citare solo alcuni esempi, a parte i casi relativamente frequenti in cui il migrante è assistito attraverso relazioni familiari o di vicinato di origine (un caso frequente tra i migranti latini negli Stati Uniti). Esempi di queste "soluzioni di emergenza": a Vienna, in Austria, una famiglia di tre persone alloggia in un hotel di fascia bassa trasformato in un centro di accoglienza; l'affittante riceve dallo Stato 19 euro al giorno a persona per fornire loro un alloggio minimo, tre pasti al giorno, e quindi intasca 65.000 euro al mese per ospitare almeno 150 migranti arrivati nella Terra Promessa in uno squallido albergo. Dappertutto, nei paesi che ospitano i rifugiati, esistono una moltitudine di formule simili previste per un periodo più o meno lungo, con complementi, in particolare per l'apprendimento delle lingue, o per altre forme di formazione. Ma è difficile quantificare le somme che vengono spese per i rifugiati, da tutte le autorità pubbliche, soprattutto perché i profughi sono spesso dispersi. Quasi ovunque in Europa, tali soluzioni di alloggio temporaneo esistono, e talvolta diventano un affare succoso, come dimostrano molti esempi. Accatastare cinque o sei migranti, pagando ognuno 20 euro al mese, mettendoli in una stanza singola per la quale si ricevono 30 euro al mese di sussidio locale è un affare "interessante" per qualsiasi albergatore, al punto che in Germania l'offerta alberghiera si è prosciugata fino al punto di ostacolare l'occupazione regolare degli alberghi (viaggiatori vari e turismo). In Svezia, a Skarn (10.000 abitanti), nel 2014, un ex sanatorio trasformato in centro di accoglienza ha ricevuto 12 milioni di euro di sovvenzioni, e ha realizzato un profitto del 10%; Questo gruppo, gestisce nel paese altri 32 centri. In tutto il Paese, 250 centri di accoglienza hanno ricevuto 191 milioni di euro. Gli stessi gruppi, di cui abbiamo parlato in relazione ai vari campi, sono coinvolti anche in questa fornitura di "servizi ai rifugiati" (*34). In Danimarca, si è parlato di far pagare il soggiorno al migrante costringendolo a rinunciare a tutto ciò che era riuscito a conservare dei suoi beni (denaro, gioielli, ecc.), oltre i 1.340 euro; Non è noto se questo progetto sia stato realizzato. Naturalmente, i migranti economici o coloro che sono esclusi dal diritto d'asilo vengono lasciati a sé stessi, o alla solidarietà degli autoctoni. Si affollano insieme ai senzatetto, si accampano qua e là, occupano abusivamente e condividono, di sgombero in sgombero, tutti questi luoghi molto precari. Alcuni finiscono per trovare un lavoro in nero, e persino un alloggio. Oppure sono lasciati alle buone cure delle associazioni che devono compensare le carenze del governo in questo settore, nel mentre che subiscono una significativa riduzione dei sussidi pubblici, a causa dell'austerità. Il controllo sanitario dei migranti, reintrodotto in vigore sotto Sarkozy, con la trasformazione dell'Agenzia nazionale per l'accoglienza degli stranieri e la migrazione (Anaem) in Ufficio francese per l'immigrazione e l'integrazione (OFII), aumenta ulteriormente la precarietà. Alloggi meno precari. A seconda del paese, questi migranti possono vivere in situazioni di quasi schiavitù, o altrettanto pericolose di quelle che hanno affrontato durante il trasferimento. Così, coloro che entrano in Gran Bretagna, clandestinamente o meno, possono finire per ritrovarsi in una vera e propria schiavitù moderna, nell'agricoltura, nella pesca, negli ospedali o nell'edilizia (*35). Altri continuano a radunarsi ai valichi di frontiera come Calais. Il loro costo per la comunità ospitante, è principalmente quello del  dispiegamento della polizia, o delle altre risorse per espellerli o impedire loro di raccogliersi, o mantenerli nei centri di detenzione. Ma ciò che è importante sottolineare è l'impatto spesso positivo che l'accoglienza dei migranti può avere sull'attività capitalistica locale, al di là della speculazione mediatica. Dobbiamo smettere di considerare il problema dei migranti a partire dai vari aspetti che abbiamo menzionato, e concentrarlo solo sui suoi aspetti economici, e al di là di questo, sulla relazione che si può instaurare tra le migrazioni moderne e quelle del passato. Concentrarsi sugli aspetti umanitari e/o politici, maschera le realtà economiche: in Francia, quasi un terzo della popolazione è di origine immigrata. Questa vecchia immigrazione risalente al periodo tra le due guerre, è praticamente invisibile per la popolazione nel suo complesso. Lo stesso non vale per gli immigrati recenti, in particolare nordafricani o neri, che, pur essendo riusciti, a volte con difficoltà, a integrarsi economicamente, però si scontrano con una discriminazione persistente, che rende difficile l'accesso a determinati servizi. Si può presumere che la Francia non faccia eccezione su questo punto, e che queste discriminazioni, più o meno forti e/o venate di razzismo, non esistano ovunque nel mondo. Mentre alcuni hanno sottolineato la riluttanza dei rifugiati siriani a scegliere la Francia come paese di asilo, non possiamo che opporci al fatto che, nel 2015, 80.000 rifugiati hanno chiesto asilo, che nel 2013 si stimava che ci fossero 235.000 immigrati clandestini (di cui 15.000 espulsi e 95.000 in transito), e il che dimostra che, anche moderatamente, La Francia rimane un paese di immigrazione. Per gli Stati Uniti si parla molto delle barriere alla frontiera messicana, ma quando Obama mette in moto nel novembre 2014 – con difficoltà – un progetto per regolarizzare le condizioni di 5 milioni di immigrati irregolari, sugli 11 milioni di clandestini presenti sul territorio degli Stati Uniti (un numero rimasto stabile negli ultimi anni),ciò  significa un riconoscimento dell'utilità che anno, per il capitale americano, questi milioni di emigranti i quali, a causa di questa attrazione, si affolleranno al confine (*36). Gli Stati Uniti, che nel 2015 hanno immagazzinato 46 milioni di migranti negli ultimi settant'anni, restano la destinazione più importante per i migranti; anche se ridotta, questa emigrazione raggiunge ancora le 200.000 persone all'anno, con una migrazione netta che tiene conto delle deportazioni (400.000 nel 2014). La Gran Bretagna dà l'impressione, a causa della fissazione di Calais, di una chiusura totale ai migranti; tuttavia, il paese ha registrato 260 000 migranti tra giugno 2013 e giugno 2014 e, nel periodo 2010-2012, 643 800 migranti hanno attraversato la Manica (*37).

L'impatto economico della migrazione
Recentemente, un laboratorio di ricerca inglese ha condotto uno studio prospettico e multisettoriale (demografico, economico, antropologico, ecc.) per vedere cosa accadrebbe se tutte le frontiere venissero aperte. I risultati sono chiari: tutti ne trarrebbero beneficio, anche l'economia del sistema capitalista. Si tratta di una questione vasta, i cui vari elementi possono comportare molta incertezza, a causa della clandestinità e dell'illegalità, e le cui innumerevoli controversie, spesso su base puramente nazionale e con spiccate intenzioni politiche, distorcono un approccio globale, sia sull'intero globo che su tutti gli elementi, dalla partenza del migrante al suo utilizzo come forza lavoro. Nel periodo precedente gli anni '70, quando il capitale aveva bisogno di questa immigrazione per il suo progresso globale, i grandi movimenti di popolazione erano stati assorbiti senza particolari problemi, e avevano contribuito all'ascesa di quei paesi: 150.000 ebrei russi in Europa intorno al 1900, 700.000 repubblicani spagnoli in Francia nel 1939, un milione di pieds-noirs algerini nel 1962 in Francia, dove nel 1973 vennero accolti anche 170.000 "boat people" provenienti dal sud-est asiatico. Vogliamo innanzitutto considerare l'impatto poco discusso sull'inizio del fenomeno migratorio, cosa che oggi il più delle volte comporta una "mobilitazione" finanziaria, vale a dire la conversione in denaro (a parte i gioielli che possono essere negoziati lungo il cammino) dei diversi possedimenti familiari che consistono in terreni, edifici, e in qualsiasi altra struttura o materiale che fino ad allora aveva permesso la sopravvivenza. Questa conversione di capitale fisso e di capitale monetario, non è priva di impatto: da un lato, porta nuovo capitale nei circuiti finanziari. Una piccola parte viene spesa per il consumo di quei prodotti necessari al lungo viaggio. Lo stesso vale anche durante tutto il viaggio, dove il denaro o gli oggetti di valore portati con sé dal migrante percorrono ogni fase della catena, con un'incredibile redditività per i predatori. Una parte non piccola di questi asset non finisce nei canali di consumo, quanto piuttosto nei circuiti di riciclaggio del denaro, e finisce per accumularsi nelle casse delle banche. Se questa operazione può essere considerata redditizia per il capitale, solo in questa fase della partenza e del trasferimento del migrante, è invece difficile stimare le conseguenze negative che questa liquidazione di beni materiali (terreni, fabbricati, aziende varie) può avere sulle strutture economiche e sociali del paese; ma è probabile che contribuiscano alla destabilizzazione politica nei vari paesi africani, ad esempio. o come in Siria, dove le migrazioni interne distruggono l'equilibrio ancestrale delle campagne, avendo l'effetto boomerang di provocare nuove migrazioni. Per poter arrivare in Europa da sé soli, i migranti spenderebbero 1 miliardo di euro all'anno, e i paesi interessati spenderebbero circa la stessa cifra per cercare di fermarli. Se questi miliardi non finiscono nelle stesse tasche (il che non è nemmeno certo), sono fonte di succosi profitti, i quali poi ricadono nei circuiti finanziari internazionali (*38). In questi paesi che sono serbatoi di migranti, cosa rappresenta nel bilancio economico il denaro inviato dai migranti alle loro famiglie di origine? Nel 2015 tali trasferimenti sono ammontati a 600 miliardi di EUR, in tutto il mondo (*39). Ma per i "paesi ospitanti", quale può essere l'equilibrio della migrazione nel contesto nazionale? Nel 2014 la migrazione globale nei paesi dell'OCSE comprendeva 4,3 milioni di migranti, 800.000 dei quali hanno presentato domanda di asilo, mentre per gli Stati Uniti, dal 2006 al 2104, il numero annuale di migranti non è mai stato inferiore a 4 milioni (*40). Tutti questi elementi possono fluttuare molto per diversi motivi, il che rende più difficile affrontare la questione: dal 2006 al 2013, in Germania, il numero di arrivi è aumentato del 101% (i dati mostrano che già nel 2009 la Germania aveva optato per un aumento del numero di migranti in ingresso, e il suo atteggiamento attuale non è il completamento di una politica deliberata e un'invasione incontrollata). Questo aumento per lo stesso periodo è stato del 26% per la Francia, e del 51% per la Corea del Sud. D'altro canto, altri paesi europei hanno registrato un calo dell'immigrazione nello stesso periodo: -15 % nel Regno Unito, -57 % in Italia, -72 % in Spagna, -37 % in Portogallo e -67 % in Irlanda (*41). Per quanto riguarda i siriani di recente emigrazione, a predominare sono i più giovani e i più istruiti (*42). Il problema deve essere considerato in periodi diversi: quello a breve termine, quello a medio termine e quello a lungo termine, la cui commistione dà spesso delle valutazioni contraddittorie, le quali consentono polemiche di strumentalizzazione politica. A prima vista, il breve periodo va visto come del tutto deficitario, almeno per quei soli rifugiati che possono beneficiare di misure di accoglienza (alloggi precari, alloggi e talvolta un piccolo viatico) adottate senza indennizzo, ma per un tempo limitato dalle autorità pubbliche. Per quanto riguarda i migranti economici "illegali", che se la cavino da soli o con la solidarietà delle ONG e/o delle popolazioni locali! Il loro costo è quello della loro caccia, della loro eventuale detenzione e della loro espulsione (che può portare all'assurdo, come, in Francia, l'operazione che consiste nel trasferire nel centro del paese, o addirittura il confine spagnolo in aereo, una manciata di migranti "rifugiati" che vogliono attraversare la Gran Bretagna . Se il costo della recente migrazione in Germania raggiungesse i 23 miliardi, ciò provocherebbe uno stress finanziario, così come avverrebbe in qualsiasi altro paese le cui entrate siano gravate dalla crisi (*43). Le turbolenze politiche che questa emorragia finanziaria può causare, possono essere accompagnate da disordini sociali assai più gravi. In Sudafrica, le rivolte razziali anti-migranti sono recentemente arrivate fino ai linciaggi, mentre in Germania incendiare i centri di detenzione è diventato il passatempo preferito e frequente dei gruppi neonazisti. La giungla di Calais è spesso afflitta da questi commando notturni che rapiscono e linciano gli sfortunati migranti che si sono trovati sul loro cammino di violenza. La stessa violenza si può riscontrare anche tra gli stessi gruppi nazionali di migranti. Spesso, l'intera politica interna dei paesi ospitanti, e quella del transito possono essere seriamente perturbate in tal modo, ma è molto difficile quantificarne l'impatto economico e/o finanziario. Il medio termine, vale a dire gli anni successivi alla penetrazione del migrante nello spazio nazionale, può aver mantenuto questi stessi problemi, tanto più che il breve termine è costantemente rinnovato dall'arrivo di nuovi migranti di tutte le categorie. «Sia a breve che a lungo termine, l'effetto dei flussi migratori negli ultimi due decenni è stato positivo... Tutte le variabili economiche prese in considerazione, hanno sempre un effetto positivo per la Francia, anche a breve termine.»(*44). A lungo termine, prima del 1972, la questione delle conseguenze positive dell'immigrazione non si poneva; I migranti sono stati responsabili della costruzione e dello sviluppo del potere americano, della rinascita del capitale francese durante i "gloriosi Trenta" e della ricostruzione della Repubblica Federale di Germania dopo la seconda guerra mondiale. Potremmo moltiplicare gli esempi. Oggi è infatti più difficile fornire alcune cifre. Per la Germania, ad esempio, i circa 800.000 migranti accolti all'anno costano 20 miliardi di euro, pari allo 0,6% del PIL. Al contrario, si prevede che nel 2020 la loro presenza garantirebbe una crescita compresa tra lo 0,3% e lo 0,7% del PIL. Queste sono solo speculazioni, e si accompagnano con le incertezze del caos del Medio Oriente e dell'Africa, con l'evoluzione della crisi che alimenta il serbatoio dei migranti e che prosciuga il serbatoio della forza lavoro necessaria. Non dobbiamo quindi trascurare i cambiamenti nel processo migratorio globale: il declino del settore Sud-Nord e lo sviluppo dei settori Sud-Sud (*45).

Mutazioni e migrazioni: tendenze originali sotto la copertura capitalistica
Come avviene in molti altri campi, il capitalismo crea, con il suo semplice funzionamento e la sua necessaria espansione, dei fastidi che è impossibile fermare e risolvere. Il processo che abbiamo appena descritto è – in parte – il risultato del funzionamento del sistema, il quale a sua volta cerca di utilizzarlo per il suo funzionamento; con crescente difficoltà a causa dell'attuale fase della sua espansione globale. Dietro tutti questi accidenti della dominazione capitalistica e dello sfruttamento del lavoro, non è che forse, in fondo, si tratta solo di una corrente migratoria ancestrale, che oggi sta semplicemente assumendo le forme imposte dal capitale? Ad esempio - anche prima del capitalismo - il cambiamento climatico, qualunque sia la causa, che abbiamo menzionato a proposito del Medio Oriente, ma che sta cominciando a manifestarsi in tutto il mondo, ha causato dei movimenti di popolazione. Sembra che queste correnti riguardino l'evoluzione globale della popolazione e delle economie mondiali; tutte cose che il capitale non controlla (chi può dire, senza entrare in oziose speculazioni, perché, a parte la Francia e l'Irlanda, l'Europa si sta spopolando?). Rispetto al continente africano e a tutto il Sud-Est asiatico e all'Asia orientale - che hanno una popolazione più giovane e più povera - la popolazione europea rimane stagnante a circa 500 milioni. Nel 1900 l'Europa rappresentava il 25% della popolazione mondiale, oggi è appena il 7%. Entro il 2010, l'Africa avrà 2,5 miliardi di abitanti, con potenze reali come la Nigeria e l'Egitto. Questa evoluzione è il risultato del tasso di natalità e dell'estensione dell'igiene e dell'assistenza sanitaria, oltre che dovuto alle migrazioni interne o interstatali in Africa. Ci sarà, come sta avvenendo in Cina o in India, anche un corrispondente boom economico? A lungo termine, c'è un altro aspetto della migrazione che viene raramente menzionato: la trasformazione degli esseri umani e delle società nelle quali questi milioni di migranti si stabiliscono. Gli Stati Uniti e, in misura minore, l'Argentina possono dare una risposta a questa importante domanda. Dopo più di un secolo di afflusso di migranti di ogni tipo, principalmente dall'Europa, oggi possiamo vedere un tipico americano che parla una lingua derivata dall'inglese, ma che da esso differisce, e che ha addirittura un modo specifico di parlarlo, con abitudini alimentari ben caratterizzate, con una cultura, soprattutto musicale e cinematografica, altrettanto ben identificata. È il prodotto del melting pot che ancora oggi è questo paese, con una nuova mutazione dovuta all'ascesa dei "latinos", i quali presto formeranno più della metà della popolazione. In altre parole, le migrazioni portano a delle mutazioni nella specie umana. Che ne sarà dell'Europa, che è da mezzo secolo impegnata in un processo del genere? Una risposta molto parziale può darla la Francia, con la fusione di un'immigrazione quasi esclusivamente europea del periodo tra le due guerre, al punto che oggi non si può che distinguere altro che per cognome l'origine di individui nei quali si potrebbero forse rilevare nuovi tratti derivanti da una mutazione (il fatto che leader politici come Nicolas Sarkozy, Manuel Valls e Anne Hidalgo, tutti con un background di immigrati, possano accedere alle più alte cariche dello Stato sono solo un piccolo esempio di questo cambiamento). Questo crogiolo, che si svolge in un quadro nazionale, andrà oltre i confini per creare un essere umano europeo? Per quanto sia stato facile concepire una simile evoluzione con i migranti bianchi provenienti dai paesi vicini, di tradizione religiosa cristiana e di una cultura comune, è più difficile concepire quello che sarebbe un crogiolo di arabi, neri, ognuno con non solo il suo colore, la sua religione e i suoi costumi di vita, le sue diverse radici culturali. In alcuni settori, ad esempio la musica, questa fusione sta già prendendo forma. Da un lato, è deplorevole che la globalizzazione del sistema capitalistico standardizzi tutto, facendo sparire tutta la ricchezza delle particolarità nazionali, etniche, culturali o religiose. Ma d'altra parte, possiamo anche vedere che in questa uniformizzazione sorgono altre particolarità. Quel che è certo – e spesso difficile da rilevare durante la loro gestazione – è che tutti gli elementi che compongono le condizioni di vita e di sopravvivenza della specie umana sono in continuo movimento,di cui le migrazioni sono solo un piccolo aspetto, una goccia nel mare di questa evoluzione. Un commentatore ha detto: «Quello che ci interessa non è il 3% dei migranti nel mondo, ma il 97% delle persone sedentarie e vedere come si evolvono». La maggior parte delle migrazioni del passato ha portato con sé le ideologie e le culture materializzate in credenze e religioni di ogni tipo. Oggi possiamo mettere in discussione l'impregnazione religiosa delle varie correnti che alimentano le contestazioni e i conflitti all'interno del capitalismo, le guerre aperte o altro. Anche qui, una certa realtà può nasconderne un'altra: mentre questi conflitti si concentrano su coloro che, dagli ebrei ai musulmani, procedono tutti dallo stesso dio, quello della Bibbia, altri conflitti molto reali ma poco pubblicizzati contrappongono in Asia questi stessi esegeti della Bibbia e del suo dio guerriero tutte le varianti del godibile e pacifico Buddha (più della metà dell'umanità di oggi). Il che ci riporta alle migrazioni intorno a questi conflitti dell'Estremo Oriente. La discussione su tutte le questioni che abbiamo sollevato è aperta.

Henri Simon - Pubblicato l'8 febbraio 2025 su Spartacus -

NOTE

(1) Per alcuni (come Eric Williams [1911-1981, storico e primo ministro di Trinidad e Tobago] nel suo libro "Capitalismo e schiavitù", pubblicato da Présence africaine, 1968) il capitalismo è nato nella società delle piantagioni e nel commercio triangolare. Questa è in definitiva una forma molto moderna di capitalismo, se leggiamo i legami più che stretti tra mercanti di schiavi, banchieri, corsari e proprietari di industrie e che a volte erano persino la stessa persona. Alcune banche avevano persino speculato sul prezzo degli schiavi: «Anticipando l'abolizione della tratta degli schiavi, [la Ship Bank] speculò su larga scala sull'acquisto di schiavi. La legge, tuttavia, non è mai stata approvata. Gli schiavi dovevano essere vestiti e nutriti, il loro prezzo era notevolmente ridotto e le malattie li portavano via a centinaia. L'azienda fallì nel 1795 e fu il più grande disastro finanziario che Glasgow avesse mai visto. Williams dimostra anche che i profitti del commercio triangolare furono utilizzati per finanziare le industrie metallurgiche (il motore a vapore, per esempio) o altre industrie britanniche (l'industria dell'ardesia, del cotone). I profitti sono stati anche l'occasione per l'ascesa delle compagnie di assicurazione (Lloyd's).

(2) "La Germania dibatte su come l'immigrazione influisce sulla criminalità", Financial Times, 17 gennaio 2016, e "Il gioco dei numeri dell'immigrazione", Financial Times, 1° dicembre 2014.

(3) Indagine dell'Institut für Wirtschaftsforschung (Ifo), un'organizzazione con sede a Monaco di Baviera specializzata in campo economico, «German employer pessimistic about the chances of finding work for low skilled refugees», Financial Times, 27 novembre 2015.

(4) "Il gioco dei numeri dell'immigrazione", Financial Times, op. cit. Citazione..

(5) "Re del traffico di esseri umani. Gli schiavi brasiliani affrontano minacce di morte e debiti", Financial Times, 8 dicembre 2015.

(6) "Le 'navi fantasma' nordcoreane si arenano sulle coste giapponesi", Financial Times, 4 dicembre 2015 (https://next.ft.com /content/a0d56d1e-9a63-11e5-bdda-9f13f99fa654).

(7) Partner Relief & Development, 19 marzo 2014. La Thailandia sfrutta 2 milioni di migranti provenienti dalla Birmania nelle peggiori condizioni e nei lavori più duri (edilizia, pulizie, domestici, prostituzione), di cui 200.000 provenienti dal paese Shan, situato nel nord-est della Birmania, al confine con Cina e Thailandia. Molti di questi migranti sono illegali e non hanno diritto a nessuno dei servizi sociali riservati ai thailandesi.

(8) "Il popolo più perseguitato del mondo", Le Figaro, 11 maggio 2015. I Rohinghya sono un gruppo etnico musulmano nel sud-ovest del Myanmar, nel distretto di Arakan, una regione costiera montuosa vicino al Bangladesh. Sono stati privati della nazionalità birmana dalla giunta militare e tutte le azioni contro di loro mirano a controllare questa regione ricca di petrolio. La pulizia etnica li costringe all'esilio in Bangladesh o in Malesia, da dove vengono deportati, così come dalla Malesia, dall'Indonesia e dall'Australia (nel 2015, in tre mesi, 25.000 persone sono state respinte in mare). 140.000 di loro sono ammassati in campi in condizioni atroci, oggetto di ogni tipo di traffico. In Malesia, sono state scoperte 139 fosse comuni in 29 campi di transito. ("I dannati del mare, Libération, 17 maggio 2015, Wikipedia, Euro News 25 maggio 2015.)

(9) In Sudafrica sopravvivono 5 milioni di immigrati clandestini (il 10% della popolazione), tra cui 3 milioni di zimbabwesi. L'aumento della disoccupazione, della disuguaglianza, della povertà, dell'inquinamento e della corruzione ha peggiorato la condizione dei nativi neri con la crisi globale. Come spesso accade, la tensione sociale viene deviata verso lo scontro contro gli immigrati e in particolare contro i cittadini dello Zimbabwe. I disordini razziali dell'aprile 2015 hanno causato 7 morti e 300 arresti. Più di 300 negozi di migranti sono stati bruciati e dozzine di case in rivolte razziali che alcuni considerano pogrom (Wikipedia, UN Dispatch, 16 aprile 2015. Per il Sud Sudan, "Le storie allucinate dell'inferno sud sudanese", Le Monde, 31 ottobre 2015.

(10) A parte il caso estremo della prostituzione, la migrazione delle donne – soprattutto africane, ma lo vediamo anche in Guyana con le donne brasiliane – comporta il matrimonio con un'europea. Nelle capitali del Sud si possono osservare giganteschi Internet cafè occupati da donne che "adescano" il marito tramite siti di incontri e social network. Più aneddotici ma simbolici, questi casi si possono trovare nei reality show, ad esempio su TF1. Vediamo così una prospettiva di "liberazione" (dalla sua condizione di povertà in particolare) delle donne africane attraverso una posizione "antifemminista" agli occhi delle donne europee, quella della donna docile e sottomessa al marito.

(11) Con la caduta di Gheddafi, i villaggi ciadiani, ad esempio, si sono trovati in una situazione catastrofica perché hanno perso l'infusione finanziaria fornita per anni dalla diaspora stabilita in Libia. Il ritorno dei ciadiani dalla Libia (grazie in particolare all'organizzazione della loro evacuazione da parte dell'OIM) ha avuto un doppio effetto catastrofico: la cessazione dei trasferimenti di denaro, l'assenza di nuove bocche da sfamare e i conflitti sociali: molti dei migranti hanno scoperto al loro arrivo che i loro investimenti e le loro proprietà nei villaggi erano stati saccheggiati dai loro vicini, le loro famiglie, ecc.

(12) Quali che fossero i miglioramenti (accorciamento del percorso, leggi sull'igiene e sulle condizioni di trasporto, ecc.), la permanenza al timone di una nave rimaneva difficile, come testimoniò Edward Steiner nel 1906, in Sulle tracce dell'immigrato (ried. BiblioLife, 2008): "La disposizione della timoneria non varia molto, né la sua posizione: sempre collocata al di sopra delle vibrazioni delle macchine, è cullata dal frastuono a scatti dei rottami metallici in movimento e dallo scricchiolio delle cime di ormeggio. Vi si accede da una scala stretta, con gradini viscosi e scivolosi. Una massa di persone, cuccette maleodoranti, gabinetti ripugnanti: questo è il timone che è anche un sospettoso assemblaggio di odori eterogenei: bucce d'arancia, tabacco, aglio e disinfettante. Non il minimo comfort, nemmeno una sedia. Il cibo mediocre, portato in enormi lattine, veniva servito in ciotole fornite dalla Compagnia. I profitti realizzati dalle aziende con questo trasporto di immigrazione erano enormi a causa del loro numero e la concorrenza era feroce. »

(13) I "vagabondi" sono lavoratori itineranti che attraversano gli Stati Uniti in cerca di lavori saltuari e di buoni trucchi. Sono uno dei risultati dei profondi cambiamenti che hanno interessato la società americana all'inizio del XX secolo. Cercarono di fuggire dalla povertà, viaggiando su strada o clandestinamente su treni merci. L'immagine del vagabondo è inseparabile da quella del treno. Molti vagabondi si incontrano lungo le linee ferroviarie in punti di accoglienza più o meno improvvisati. Lì si scambiano informazioni su dove trovare lavoro e condurre una vita stabile. Quando non parlano tra loro di persona, i vagabondi lasciano simboli disegnati con il gesso o il carboncino. Questo sistema di simboli ha lo scopo di informare o avvertire gli altri (luoghi in cui prendere un treno per dormire, presenza frequente della polizia, pasti caldi, cani pericolosi, ecc.). Questo linguaggio è un insieme di segni che a volte si trovano incisi nella pietra degli edifici cittadini e che indicano che la casa è accogliente o che, al contrario, i cani sono lasciati liberi.

(14) Ad esempio, il crollo del prezzo del petrolio potrebbe de-dichiarare paesi che vivono di rendite petrolifere come l'Algeria o la Nigeria e gettare in esilio migliaia di persone vittime della fine dei sussidi per i prodotti alimentari di base e della conseguente inflazione.

(15) «A Lesbo i migranti continuano ad arrivare», Le Monde, 9 gennaio 2015

(16) Cfr. "Mura", Scambi n°153 (autunno 2015) e "I paria attaccano la fortezza settentrionale", Scambi n°148 (estate 2014).

(17) Dall'inizio dell'anno [2015], quasi 4.000 richiedenti asilo hanno fatto una lunghissima deviazione attraverso l'estremo nord per attraversare il confine tra Russia e Norvegia, membro dell'area Schengen se non appartiene all'Unione europea. Ce n'erano solo dieci nel 2014", un estratto da "Migranti: attrito tra Norvegia e Russia con l'ascesa della rotta artica", dispaccio dell'AFP del 10 novembre 2015 ripreso da molti siti di stampa. Una triplice barriera, di cui una alta 7 metri, protegge le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, ma ogni mese 1.000 migranti riescono ancora ad attraversarla mentre 80.000 sperano di fare lo stesso. Europa 1 (19 gennaio 2014). Tra il Messico e gli Stati Uniti, una barriera alta 5 metri con 1.800 torri di controllo e popolata da 18.000 "pattuglie di frontiera", adornata su ogni lato da due barriere parallele di filo spinato alte 2 metri, con una passerella e un fossato che impediscono l'accesso alle auto, può essere attraversata da più di 200 tunnel. Per i farmaci vengono utilizzate catapulte o droni.

(18) Alcuni esempi: Istanbul-Lesbo, prezzo medio 2.800 euro per migrante (Financial Times, 16 giugno 2015). Una famiglia siriana di tre persone dovrà pagare 5.000 euro per raggiungere la Germania (Financial Times, 22 aprile 2015). Secondo il Financial Times (11 ottobre 2015), l'industria delle traversate tra Siria e Balcani è stata "organizzata" e razionalizzata per aumentare la sicurezza (cioè per così dire), evitare incidenti di ogni tipo (soprattutto con le autorità e i media) con un minimo di trafficanti (meno di dieci) che presentano un'offerta diversificata (anche in aereo per i più ricchi) e un prezzo medio di 7.000 euro (con un dimezzamento per i figli dei poveri) meno di otto anni). Mentre per andare dalla Libia a Lampedusa costa solo 600 euro, ma con un rischio molto maggiore. Come ovunque, la sicurezza deve essere pagata. A capo di uno dei più grandi gruppi di trafficanti di migranti, una persona chiamata "il dottore" siede a Istanbul e organizza i passaggi da lì verso le isole greche, il cui numero può variare ogni notte da quattro a quindici, a seconda dello stato del mare e di altri problemi di controllo. Ha un piano per costruire una nave lunga 200 metri in grado di trasportare 400 rifugiati alla volta, ognuno pagando 1.500 dollari in contanti dalla Turchia alle coste italiane, dove un'armata di pescherecci li porterebbe sulla costa; una nave del genere potrebbe fare quattro o cinque viaggi al giorno ("Smuggling rings struggle to stay astanding afloat", Financial Times, 14 dicembre 2015).

(19) "Il gioco dei numeri dell'immigrazione", ONU e Financial Times.

(20) Cfr., ad esempio, https://www.ined.fr/fichier/s_rubrique/23808/fichier..peda.migrations.monde.fr.pdf

(21) "Nessuno pensava che ne sarebbero usciti vivi. I rifugiati Blue-Sky-M raccontano il loro calvario verso l'Europa", Le Monde, 4 gennaio 2015.

(22) "I mezzi della repressione migratoria", Libération, 18 giugno 2015 (http://www.liberation.fr/apps/2015/06/tmf/).

(23) "Frontex, una missione europea quasi impossibile", La Croix, 16 gennaio 2015. Frontex (Frontiere esterne) è l'Agenzia europea per la gestione della migrazione. La sua sede è a Varsavia. I suoi accresciuti poteri di controllo e intercettazione della migrazione verso l'Europa richiedono che le sue 1.500 guardie di frontiera dispiegano poteri militari con l'eventuale aiuto dei paesi dell'UE su terra, mare e aria. Finanziato per 238 milioni di euro nel 2016; Questo bilancio salirà a 322 milioni di euro nel 2020. Un progetto attualmente in discussione mira a trasformare Frontex in un corpo europeo di guardie di frontiera che avrebbe il potere diretto di intervenire alle frontiere europee senza il previo accordo dei paesi interessati, il che solleva non poche opposizioni.

(24) "Barriera di confine ungherese", Wikipedia (https://fr.wikipedia.org/wiki/Barri%C3%A8re_frontali%C3%A8re_hongroise).

(25) http://communisme-ouvrier.info/? Europa-fortezza-questi-europei.

(22) "I mezzi della repressione migratoria", Libération, 18 giugno 2015 (http://www.liberation.fr/apps/2015/06/tmf/).

(23) "Frontex, una missione europea quasi impossibile", La Croix, 16 gennaio 2015. Frontex (Frontiere esterne) è l'Agenzia europea per la gestione della migrazione. La sua sede è a Varsavia. I suoi accresciuti poteri di controllo e intercettazione della migrazione verso l'Europa richiedono che le sue 1.500 guardie di frontiera dispiegano poteri militari con l'eventuale aiuto dei paesi dell'UE su terra, mare e aria. Finanziato per 238 milioni di euro nel 2016; Questo bilancio salirà a 322 milioni di euro nel 2020. Un progetto attualmente in discussione mira a trasformare Frontex in un corpo europeo di guardie di frontiera che avrebbe il potere diretto di intervenire alle frontiere europee senza il previo accordo dei paesi interessati, il che solleva non poche opposizioni.

(24) "Barriera di confine ungherese", Wikipedia (https://fr.wikipedia.org/wiki/Barri%C3%A8re_frontali%C3%A8re_hongroise).

(25) http://communisme-ouvrier.info/? Europa-fortezza-questi-europei.

(26) "I contrabbandieri prosperano e le tragedie si moltiplicano", irinnews (www.irinnews.org/fr/report/95877/migration-les-passeurs-prosp%C3%A8rent-et-les-trag%C3%A9dies-se-multiplient). Molte testimonianze simili: "Il lungo viaggio di un giovane somalo verso la salvezza in Sudafrica", UNHCR, 20 settembre 2010; "L'inferno dei migranti dell'Africa orientale in Sudafrica", Slate Africa, 30 luglio 2012.

(27) "Viaggio nella barbarie", documentario diretto da Delphine Deloget e Cécile Allégra: "Dal 2009, 50.000 eritrei sono passati attraverso il Sinai, 10.000 sono scomparsi". Esistono diverse versioni di questo documentario, trasmesso dal canale televisivo Public Sénat e da lemonde.fr http://abonnes.lemonde.fr/afrique/visuel/2014/10/13/voyage-en-barbarie-dans-le-desert-du-sinai_4501271_3212.html, e pubblicato da Le Monde il 1° settembre 2014 e da Grands reporters.com (http://www.grands-reporters.com/Voyage-en-barbarie-2-Sinai-Deux.html); Solo quest'ultimo sito parla di traffico di organi, in base alle testimonianze che cita al condizionale. Dichiarazioni da prendere con cautela, quindi, senza escludere la possibilità. "Tra i carnefici del Sinai", Le Monde, 1 settembre 2014. "Immigrati vittime del traffico di organi in Messico", Le Monde, 7 novembre 2013.

(28) Questi sottratti di minori riguardano 124 paesi, il 40% dei quali nel Sud-Est e nell'Asia meridionale (Rapporto globale sulla tratta di persone, 2014, Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine [UNODC]).

(29) Un monde de camps, a cura di Michel Agier, a cura di. La Découverte, 2014.

(30) In Afghanistan, un altro esempio di campo attivo con emigranti locali: «A Gulan la città fiorisce sul campo», Libération, 15 giugno 2015 (http://www.liberation.fr/planete/2015/06/24/a-gulan-la-ville-fleurit-sur-le-camp_1336414). – "In Dadaab nasciamo, moriamo, per tre generazioni", Libération, 29 settembre 2015 (http://www.liberation.fr/planete/2015/09/29/a-dadaab-on-nait-on-meurt-depuis-trois-generations_1393537).

(31) "La vita in pericolo. L'immigrazione che fugge dalla violenza e dalla povertà, gli honduregni che intraprendono un viaggio pericoloso verso gli Stati Uniti solo per diventare parte di un'amara battaglia politica", Financial Times, 1 luglio 2014, oppure: "Due giornalisti del FT riferiscono da diversi lati del confine degli Stati Uniti, parlando agli honduregni in fuga dalla povertà e dalla violenza per una vita migliore in America (http://podcast.ft.com/2014/07/18/). " Il debito greco è la chiave della crisi dei rifugiati", Financial Times, 26 gennaio 2016.

(32) "Rifugiati, il ritorno della Fortezza Europa", Le Monde, 27 novembre 2015. "Dopo l'adesione all'UE un decennio fa, i paesi dell'Europa centrale e orientale hanno ampiamente aderito all'agenda di liberalizzazione dell'Unione", Financial Times, 27 novembre 2015.

(33) "Libya detention center is flip side or Europe's immigration crisis", McClatchy DC, 2 aprile 2015 (http://www.mcclatchydc.com/news/nation-world/world/article24783472.html).

(34) "Sistemi di asilo molto diseguali in Europa", www.euractiv.fr/section/justice-affaires-interieures/news/des-systemes-d-asile-toujours-tres-inegaux-en-europe/.

(35) «UK migration: Toil, trouble and tension» e «Ruthless UK employers trap migrants in 'modern-day slavery'», Financial Times, 12 agosto 2015.

(36) "Il gioco dei numeri", Financial Times, 2 febbraio 2014

(37) Ivi.

(38) "The migrants files", Collettivo europeo di giornalisti, 2015.

(39) «Migrazione regionale e rimesse, parametri di riferimento fondamentali», Economic Problems n. 3124 (gennaio 2016)

(40) "Migrazione internazionale, stato dei lavori", Problemi economici n. 3124 (gennaio 2016).

(44) "L'immigrazione, un'opportunità per l'economia", Problemi economici n. 3124 (gennaio 2016).

(45) Esodo, come la migrazione sta cambiando il nostro mondo, di Paul Collier, a cura di Oxford University Press, 2013.

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