mercoledì 5 marzo 2025

“Eliminazionismo” !?!!

In che modo i marxisti si sono sempre opposti al sionismo
- Un estratto di “Dove falliscono gli schematismi e le semplificazioni”, un testo scritto da Jacob Gorender nel 1998 come prefazione alla prima edizione di “Marxismo ed ebraismo”. -
- di Jacob Gorender -

In effetti, come suggerisce il titolo di questo libro ("Marxismo e Judaismo"), l'approccio del marxismo alla questione ebraica non è stato facile. Accanto a una raccolta di studi illuminanti, indubbiamente preziosi, il marxismo registra anche non pochi scivoloni, quando teorici e ricercatori adepti del suo metodo cercarono di spiegare che cosa fossero e siano gli ebrei, le cause dell'antisemitismo, e le proposte socialiste per la questione ebraica. Frutto di una tesi di master, approvata con lode dal Dipartimento di Storia dell'Università di San Paolo in Brasile, il lavoro di Arlene Elizabeth Clemesha offre un'escursione straordinariamente interessante che attraversa le sinuose complessità della materia. Il testo, snello e accessibile, si distingue per erudizione e un frequente uso di fonti originali (ad eccezione di quelle in lingua yiddish), ivi compresa una bibliografia aggiornata e ricca. Il punto di partenza dell'escursione è relativo alla prima manifestazione di Marx sull'argomento: un'opera del 1843 intitolata "Sulla questione ebraica". Quando la scrisse, Marx non aveva ancora dato una formulazione conclusiva alla teoria del materialismo storico, poi associata al suo nome. Ma il suo lavoro procedeva bene e “Sulla questione ebraica” è stato considerato come uno dei più importanti contributi alla rivoluzione, che il suo autore ha dato nel campo delle scienze storiche. Il libro ha poi acquisito anche un altro significato; cosa che lo rende ancora più importante, se visto nel contesto della ricerca di Arlene Clemesha. Alcuni autori lo considerano un'espressione di antisemitismo, e lo vedono persino come una proposta genocida, la quale anticiperebbe addirittura la "soluzione finale" nazista. E visto che Marx stesso era di origine ebraica, questi autori spiegano il suo antisemitismo come se fosse stato una reazione psicologica estrema di ripudio delle radici della sua identità.

 L'autrice si impegna così a dimostrare quali sono gli equivoci e gli errori grossolani di una simile interpretazione. Marx, infatti, svolge una dura critica dell'ebraismo in quanto religione, caratterizzandolo come la religione che assegna priorità alla necessità pratica, all'interesse egoistico. Simultaneamente, egli afferma anche che la società borghese ha assorbito lo spirito dell'ebraismo, dando anch'essa priorità alla necessità pratica. Nella società borghese, il cristianesimo si era giudaizzato. In questo modo, l'emancipazione civile degli ebrei, sebbene costituisse un importante passo progressivo, non li avrebbe liberati dalle limitazioni e dalle oppressioni insite nella condizione borghese. Il fine supremo, pertanto, non avrebbe potuto essere l'emancipazione civile, bensì l'emancipazione umana. L'articolo si concludeva con l'affermazione secondo cui emancipare socialmente l'ebreo, equivale a emancipare la società dall'ebraismo. Vale a dire, liberarlo dai suoi vincoli con l'egoistico bisogno pratico immanente ai rapporti mercantili. Ora, come ci avverte H. B. Davis, Marx non dice nulla sulla religione ebraica che non dica anche della religione cristiana. Creatore della concezione filosofica materialista più radicale, Marx è stato un critico intransigente di tutte le religioni. Il periodo storico in cui ha vissuto Marx ebbe a segnare, nell'Europa occidentale, un forte declino dell'antisemitismo. Gli ebrei lasciarono i ghetti, e cominciarono a godere dei diritti civili e politici. Dopo l'articolo sopra citato, Marx allora non era più tornato a trattare la questione ebraica, in una sua qualche opera particolare. Si era limitato a fare alcuni riferimenti scarsi e occasionali, come quello che si legge nella prima delle "Tesi su Feuerbach", in cui critica il filosofo tedesco per aver concepito la prassi in una forma in cui essa si manifesta in modo eccessivamente ebraico. In questo passaggio egli ribadisce l'idea di una necessità pratica egoistica quale fondamento della religione ebraica. Essendo sopravvissuto a Marx per dodici anni, Engels fu testimone dell'ascesa dell'antisemitismo sul finire del XIX secolo. Anche se non vi dedicò uno studio speciale, Engels espresse più volte il più deciso ripudio dell'antisemitismo, sottolineando in particolare lo schiacciante sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori ebrei a Londra. Da allora in poi, il movimento socialista europeo non poté fare a meno di dover affrontare la questione ebraica.

   L'antisemitismo è un'ideologia di destra, che non ha bisogno di essere dimostrata come tale. Tuttavia, esiste anche un antisemitismo di sinistra, e uno dei meriti di questo libro è il concentrarsi su di esso; cosa che forse sorprenderà molti lettori. L'identificazione dell'ebreo con l'usuraio, con il più spietato sfruttatore mercantile (personificato in Shylock, nel dramma di Shakespeare Il mercante di Venezia), è stata interiorizzata dalla massa dei lavoratori, ed è stata assunta dai partiti operai, come se fosse un approccio socialista. Arlene Elizabeth Clemesha cita l'antisemitismo di Fourier, di Proudhon e di Bakunin e registra il rifiuto dei socialisti francesi, guidati da Jules Guesde, di partecipare alla campagna a favore della liberazione del capitano Dreyfus e, di conseguenza, anche alla lotta contro l'antisemitismo, in quella che era stata la sua prima manifestazione esplosa nell'Europa occidentale. Sarebbe spettato a Jean Jaurès, come avrebbe detto poi Rosa Luxemburg, assumersi la missione di salvare l'onore del socialismo francese. La Seconda Internazionale si mostrò enfatica nella sua condanna dell'antisemitismo, ma anche questa posizione non venne assunta senza ambiguità. Pertanto, sarebbe stato sintomatico che Victor Adler, uno dei principali teorici della Seconda Internazionale, ed egli stesso di origine ebraica, sostenesse una posizione contraria sia all'antisemitismo che al filo-semitismo, ponendoli entrambi in termini equivalenti. Karl Kautsky e Otto Bauer, invece, superarono questa esitazione e non ebbero riserve nel condannare l'antisemitismo. Entrambi hanno dato un contributo primario all'analisi della situazione degli ebrei nel groviglio etnico europeo, in particolare rifertendosi all'Impero austro-ungarico. Tuttavia, anch'essi ritenevano che la cosiddetta questione ebraica sarebbe stata risolta tramite il processo di assimilazione, e si rifiutarono sempre di concedere un'autonomia culturale alle popolazioni ebraiche. Questo non poteva non scontrarsi con le pretese delle numerose e dense popolazioni ebraiche delle regioni della Polonia, della Russia e della Galizia, quest'ultima appartenente all'Impero Austro-Ungarico.

   Lenin fu un avversario radicale e appassionato dell'antisemitismo, insistendo più volte sul suo contenuto ultra-reazionario. Tuttavia, Lenin ebbe a polemizzare con il partito socialista ebraico noto come Bund (Unione Generale dei Lavoratori Ebrei di Russia, Polonia e Lituania); (in yiddish il termine può essere tradotto come "unione", "associazione"), il quale rivendicava l'autonomia culturale per i lavoratori ebrei, e che venisse riconosciuta la loro identità all'interno della lotta del proletariato. Lenin assunse il punto di vista secondo cui la questione nazionale doveva essere subordinata agli interessi di classe, e quindi il proletariato dell'Impero russo non poteva essere suddiviso a partire da quelle che erano caratteristiche nazionali. Il leader bolscevico, inoltre,  adottò anche l'opinione secondo cui il problema ebraico sarebbe stato risolto a partire dal processo di assimilazione, che era già in corso nella stessa Russia. Non si rese conto del fatto che l'antisemitismo ostacolava tale processo di assimilazione e che gli ebrei dell'Europa centrale e orientale stavano creando, proprio in quel momento, una letteratura di alto livello estetico in lingua yiddish. La storia dell'Unione Sovietica dimostra, o quanto meno suggerisce, come il socialismo non possa essere una soluzione automatica alla questione ebraica. La dittatura del proletariato, non implica necessariamente l'estinzione dell'ideologia antisemita. I pregiudizi millenari non si dissolvono solo con il cambio di regime. L'adozione di soluzioni corrette, dal punto di vista degli stessi principi marxisti, richiede una conoscenza fattuale e una profonda elaborazione teorica, che non sempre è disponibile. A causa della loro dispersione, della loro integrazione, in varia misura, in molte nazioni, delle loro tradizioni e della loro cultura, gli ebrei non possono essere compresi mediante schemi e semplificazioni, dalle quali il marxismo non sempre è esente. A questo proposito, Arlene Clemesha cita Abraham Léon, autore di un saggio sulla questione ebraica, egli stesso ebreo polacco e aderente al trotskismo, assassinato all'età di 26 anni ad Auschwitz. Risalendo all'antichità e al Medioevo, Léon mostra come l'antisemitismo abbia rappresentato una stigmatizzazione degli ebrei a causa della loro specializzazione commerciale e usuraia, in mezzo a popolazioni agrarie che producevano principalmente beni d'uso. Con uno sguardo al futuro, il giovane saggista sostiene la libertà degli ebrei di decidere senza coercizioni tra l'assimilazione e la conservazione della propria identità.

   Pur dedicandosi con impegno allo studio della questione ebraica, i marxisti vennero sorpresi da due eventi interconnessi e imprevisti: l'Olocausto e la creazione dello Stato di Israele. L'Olocausto non viene affrontato da Arlene Clemesha, le cui ricerche si fermano alla Prima Guerra Mondiale. Ma annuncia che la cosa sarà oggetto di ulteriori studi, promettendo di concentrarsi su di essi, ponendo la questione sotto il prisma della possibilità o dell'impossibilità di spiegarlo attraverso la concezione secondo cui la storia sarebbe fondamentalmente la storia della lotta di classe. Alla luce di ciò che lei ci offre in questo libro, dobbiamo aspettarci un nuovo contributo sostanziale alla comprensione di questa tragedia paradigmatica del XX secolo. I marxisti si erano sempre opposti al sionismo e, fino alla seconda guerra mondiale, la cosa aveva coinciso con il sentimento della maggioranza degli ebrei in tutto il mondo. I marxisti vedevano nel sionismo un'ideologia nazionalista borghese, e consideravano inammissibile l'ambizione di creare uno Stato ebraico in un territorio già abitato da secoli da una popolazione araba, giudicando l'intera proposta sionista come un'utopia che per definizione era irrealizzabile. Non c'è dubbio che rimasero sorpresi dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948, legittimato da una decisione dell'ONU condivisa dall'Unione Sovietica e dai paesi socialisti dell'Europa orientale. Dal momento che Israele ha costituito, nei cinque decenni della sua esistenza, un centro di guerre e tensioni costanti in Medio Oriente, e oggi molti marxisti rimangono perplessi e disorientati o fuorviati dalla giovane entità politica; la stragrande maggioranza dei partecipanti alla Conferenza Tricontinentale, tenutasi nel 1967 a L'Avana, approvò una risoluzione che raccomandava l'estinzione dello Stato di Israele. Come si può vedere, quando si tratta degli ebrei, c'è una propensione alle soluzioni finali eliminazioniste. A destra e a volte anche a sinistra..

- Jacob Gorender - 1998 - fonte: Blog da Boitempo -

[Nota]: La presente edizione di "Marxismo ed ebraismo", oltre a essere stata completamente rivista, amplia l'ambito temporale dello studio fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, includendo un capitolo sugli ebrei nelle brigate internazionali della guerra civile spagnola (1936-1939), e un altro sulle idee di Leon Trotsky (1879-1940).

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