Nel corso della storia, ogni età ha creduto di disporre di maggiore conoscenza rispetto alla precedente. Gli umanisti rinascimentali vedevano il Medioevo come un periodo di oscurità; gli illuministi cercarono di spazzare via la superstizione con la ragione; e, nel mondo contemporaneo interconnesso, sembra che su richiesta si possa accedere a un numero illimitato di informazioni. Ma cosa ne è stato della conoscenza perduta nel corso dei secoli? Come possiamo spiegare i negazionisti del cambiamento climatico? Siamo davvero meno ignoranti dei nostri antenati? In questo testo di grande leggibilità, Peter Burke esamina la lunga storia dell'ignoranza dell'umanità attraverso religione e scienza, guerre e catastrofi, affari e politica, e ci rivela storie straordinarie dei promotori e degli avversari dell'ignoranza, dai politici che arbitrariamente ridisegnarono i confini dell'Europa nel 1919 a quanti oggi segnalano illeciti nell'interesse generale. Il risultato è una vivida esplorazione della conoscenza umana attraverso le epoche e dell'importanza di riconoscerne i limiti.
(dal risvolto di copertina di: Peter Burke, "Ignoranza. Una storia globale", Raffaello Cortina, p 384, €25)
L’ignoranza non è mai innocua in politica e religione provoca catastrofi
- Ogni epoca ha ritenuto di avere conoscenze superiori rispetto alla precedente (spesso sbagliando); una “storia mondiale del non sapere”, dal Medioevo all’Ancien Régime alla contemporaneità iperconnessa -
di Massimiliano Panarari
Durante gli ultimi decenni, l'accademia e gli ambienti intellettuali hanno moltiplicato i settori di ricerca. Tra i quali è comparso così anche il filone degli «Studi sull'ignoranza», definita in termini di assenza di conoscenza. A cimentarsi sul tema, con un libro molto interessante (e leggibile), è Peter Burke, uno dei maggiori intellettuali europei, professore emerito di Storia culturale a Cambridge. A lungo, l'ignoranza quale campo di studi è stata «ignorata». Scandagliata unicamente dagli scrittori - da George Eliot (alias Mary Anne Evans) a Henry James - interessati a restituire quel vasto campionario di tratti che è racchiuso nella psicologia umana, e di cui l'ignoranza costituisce una manifestazione. E, al più, da figure come Sigmund Freud ne L'interpretazione dei sogni (1899), George Simmel (che rifletteva intorno alla «nescienza» all'inizio del Novecento), e Friedrich von Hayek (1978). Sull'onda della rivoluzione epistemologica portata dai Women's studies degli studi di genere, i contributi sul tema, inizialmente isolati, di medici, filosofi e psicologi cominciarono a incrociarsi, e alcuni riuscirono a incontrarsi nell'ambito di un congresso dell'American Association for the Advancement of Science nel 1993, dando il via a un approccio finalmente multidisciplinare - dalla sociologia all'antropologia, dall'economia al diritto, dalla letteratura alla politici - all'«agnotologia» (la scienza che si occupa, giustappunto, di spiegare perché così tanti individui si rivelano ignoranti e manipolabili). A spiegare la diffusione di questo campo di ricerca è sicuramente la crescita dell'interesse - a ogni livello - degli studiosi per il dibattito sula «società della conoscenza»; da quello per cui anche ciò che ne costituisce l'antitesi e, per così dire, l'anamorfosi. E, contemporaneamente, anche una serie di preoccupazioni rispetto all'attualità nutrite dagli accademici che hanno deciso di lavorare in questo settore. In primis, le maggiori inquietudini della nostra epoca, e la questione del possesso (o meno) della consapevolezza introno alle tragedie recenti, dagli attentati dell'11 settembre 2001 alla pandemia di Covid. E, ancora, come scrive Burke, «la spettacolare dimostrazione di ignoranza offerta da capi di Stato come Donald Trump e Jair Bolsonaro».
A balzare agli occhi è un dato di fatto : lungo la storia, ciascun epoca ha ritenuto di detenere una conoscenza superiore a quella precedente. Secondo l'umanesimo e il Rinascimento, il Medioevo coincideva con la fase delle tenebre. L'illuminismo innalzava i lumi della ragione contro la superstizione e l'oscurantismo dell'Antico regime. Ma l'ignoranza nelle religioni e quella in politica contribuirono a determinare catastrofi, come durante la Conferenza di pace di Parigi del 1919 dove spopolò quella del primo ministro britannico David Lloyd George, che scambiò Ankara per La Mecca, non sapeva chi fossero gli slovacchi e non aveva idea di quale fosse la composizione dell'Asia orientale. Nella contemporaneità della connessione permanente e del Villaggio globale si ha l'impressione del disporre, su richiesta, di un numero illimitato di informazioni, con la prospettiva della potenziale messa al bando dell'ignoranza. E, difatti, il «so di non sapere» di socratica memoria appare decisamente passato di moda nell'egotica ed egolatrica età postmoderna, che mette spesso gli esperti autentici sul banco degli imputati e tracima di «opinionisti» invariabilmente pronti a pontificare su qualsivoglia campo dello scibile umano (con il correlato trionfo, a ogni piè sospinto, della dox sull'episteme). Ma a dire il vero, sottolinea Burke, ciascuna epoca è un'età dell'ignoranza, e per tre ragioni di fondo. La prima è che la formidabile crescita collettiva della conoscenza di cui ha beneficiato l'umanità nel corso degli ultimi due secoli non è «sgocciolata» in maniera significativa. Ovvero, la gran parte degli individui ha acquisito un numero di conoscenze superiori ai suoi predecessori piuttosto limitato. Il secondo motivo riguarda la constatazione per cui l'allargamento di alcune conoscenze si rivela sovente accompagnato dalla perdita di alcune altre. L'esempio portato dall'autore concerne la riduzione del numero di idiomi parlato nel mondo, che fa da contraltare alla larghissima diffusione di certe lingue come l'inglese, il mandarino e lo spagnolo. Ossia, un caso eclatante di «perdita di Khun»: quando un paradigma si sostituisce a quello precedente, viene a perdersi la capacità di spiegare alcuni processi e fenomeni, perché ogni modello ripone la sua attenzione e facoltà di interpretazione esclusivamente su una porzione limitata della realtà. La terza motivazione investe il fatto che la considerevole espansione dell'informazione verificatasi nel corso degli ultimi anno non coincide con quella della conoscenza (che prevede l'analisi e la classificazione dei dati).
Un'affascinante storia del non sapere, che si apre con una dedica assai emblematica agli «insegnanti di tutto il mondo, eroi ed eroine dei tentativi quotidiani di porre rimedio all'ignoranza».
- Massimiliano Panarari - Pubblicato su TuttoLibri del 25/11/2023 -
Nessun commento:
Posta un commento