Hans-Jürgen Krahl: Autorità e Rivoluzione - Introduzione del traduttore
di J.E. Morain
Questa introduzione sarà breve e, francamente, un po' aggressiva. Le mie ragioni per tradurre questo pezzo qui e ora dovrebbero essere ovvie (basta controllare le notizie). La completa bancarotta morale, politica e teorica – e questa è la parola giusta, perché "fallimento" implicherebbe che hanno fatto uno sforzo – dei decani della teoria critica e "democratica" nel momento presente ricorda la debolezza dei loro antenati (e, nel caso di Habermas, quella del suo stesso passato) nell'era della guerra del Vietnam. la decolonizzazione e la Nuova Sinistra. Gli arconti del sistema accademico sono eticamente inutili e politicamente disumani come sempre; proprio come Talleyrand ha detto dei Borboni, l'accademia capitalista non ha "imparato nulla e non ha dimenticato nulla" dal loro interregno rivoluzionario, la rivolta globale del 1968. Da Manhattan a Berlino, portare l'antimperialismo all'interno dell'università è vietato. Presumibilmente, intellettuali umanisti spendono il loro tempo così prezioso a fare i pignoli sul linguaggio di coloro che protestano contro il genocidio israeliano a Gaza, mentre il Partito Democratico e il suo decrepito nonno Biden gettano tutto il loro peso dietro la polizia e lo Stato fascista dell'apartheid di Israele, facendo così in modo che la "democrazia" americana venga innalzata sul suo stesso vessillo, confermando l'affermazione di Krahl che «uno Stato autoritario significa che la democrazia può essere trasformata in uno stato di eccezione, senza soluzione di continuità nella legittimità giuridica e politica». Chi è Hans-Jürgen Krahl? Un tempo figura di spicco del Sozialistischer Deutscher Studentenbund (SDS), oggi è per lo più dimenticato. (Se volete saperne di più, leggete questo e i testi correlati nel dossier Viewpoint). Più che dimenticato, è stato rimosso e, peggio ancora, i pochi rimasti che non rimuovono il ricordo stesso della sua esistenza, sono per lo più degli "anti-tedeschi" (uno dei fondatori della tendenza, Joachim Bruhn, una volta espresse il suo disprezzo per il movimento marxista-leninista in Germania attraverso l'osservazione secondo cui «nessuno [tra loro] aveva letto nulla di Hans-Jürgen Krahl» [*1]. Lo stesso Krahl, tuttavia, pensava che il fatto che le opere di Che Guevara e di altri rivoluzionari non fossero state studiate da vicino fosse la prova del «declino della coscienza teorica» [*2]). Contro il suo oblio nell'ambito della teoria critica habermasiana mainstream, e per mezzo dello status di culto nella teoria critica della sottocultura sinistra-sinistra tedesca, i suoi testi continuano ancora a testimoniare la possibilità che le cose sarebbero potute andare diversamente. Questo è uno dei motivi per cui vale la pena leggerlo. Allora, le cose sarebbero potute andare diversamente; oggi le cose possono ancora andare diversamente. Krahl voleva passare dall'autocritica teorica della borghesia al suo tradimento pratico, e dal lutto dell'individuo borghese alla nascita di una società socialista. Il problema di come passare dall'uno all'altro costituisce il problema essenziale di tutto il suo progetto, e a tal proposito il suo progetto era personale: era figlio di una famiglia piccolo-borghese di una città di campagna reazionaria e in passato era stato membro di diverse organizzazioni giovanili e studentesche reazionarie. (Detto ciò, i suoi discorsi sul tradimento di classe, e i ripetuti scontri con la legge non hanno impedito ai suoi genitori di finanziarlo [*3]). Allo stesso tempo, però, le concezioni marxiste ortodosse della pratica e dell'organizzazione - che trovavano le loro espressioni più alte nella "Storia e nella coscienza di classe" di Lukács - gli sembravano avessero conservato alcuni presupposti borghesi, e pertanto non rappresentavano una rottura completa con le forme sociali borghesi che esse intendevano rovesciare. In questo testo, il problema è politico e organizzativo, ma, come Lukács, anche Krahl vedeva le questioni organizzative e teoriche come inestricabilmente legate. Il compito di trasformare la teoria critica in teoria rivoluzionaria, significava affrontare dei problemi organizzativi. Portare a termine questo compito nella realtà della Germania Ovest degli anni '60 e del movimento studentesco, significava per lui confrontarsi con l'accademia e con le sue autorità accademiche, in quella che era la loro esistenza concreta. In questo testo, Krahl critica due autorità accademiche che non sono riuscite a sostenere il movimento studentesco: Habermas e Adorno.
La sua critica a questi due è pungente, ma ciò che rende il testo davvero notevole è il modo in cui Krahl intreccia i problemi organizzativi dell'SDS a delle riflessioni teoriche circa la natura del capitalismo e dello Stato, riattivando alcuni concetti tratti da dei testi decisamente politici di Horkheimer degli anni '40. Lungo tale percorso, egli pone alcune questioni politiche e organizzative cruciali per le quali non abbiamo ancora una risposta convincente. (Ecco un altro motivo per leggerlo: i suoi testi sono il testamento di una mente impegnata in quegli stessi problemi che ancora oggi ci perseguitano). Prima, sopra, ho citato Habermas. La critica che Krahl gli rivolge in questo testo è fondata su una fede nel suo personaggio che oggi non è più possibile sostenere, una fede che in realtà è stata insostenibile per molti anni. La sua affermazione - in un'intervista del 2012 a "Ha'aretz" - secondo cui i tedeschi hanno essenzialmente il dovere di coprire, o quanto meno ignorare, i crimini dell'occupazione israeliana [*4] avrebbe dovuto essere più che sufficiente per porre fine ad "Habermas in quanto Istituzione". E che dire di Adorno, che pur essendo presente alla discussione riceve meno critiche di Habermas? Un po' di dietrologia potrebbe qui essere d'obbligo. Krahl si iscrisse all'Università di Francoforte appositamente per studiare con lui. I due, tuttavia, svilupparono sentimenti contrastanti l'uno per l'altro. Mentre Habermas era più aperto all'impegno pratico in politica, la sua teoria era meno radicale. Adorno era invece più radicale in teoria, ma del tutto riluttante a impegnarsi nella pratica al di là della conversazione occasionale con i membri dell'SDS. Su Krahl e Adorno [*5], ci sono due storie apocrife degne di nota. In una di queste, si racconta che Adorno abbia scritto sulla lavagna dell'Istituto per la Ricerca Sociale, dopo che Ludwig von Friedeburg aveva fatto espellere e arrestare dalla polizia gli studenti che lo occupavano [*6]: «Questo Krahl è abitato dai lupi» ovvero «Sono i lupi che ululano da questo Krahl», un gioco di parole sulla filastrocca Krahl/Saal (sala). Nell'altra, si racconta invece che Adorno avrebbe fatto un sogno in cui Krahl gli puntava un coltello alla gola. E quando Adorno protestava, Krahl gli avrebbe replicato in buon stile adorniano con qualcosa del tipo: «Suvvia professore, non dovrebbe personalizzare». C'è anche un'altra versione di questa storia, in cui Krahl per tutto il sogno è seduto, come in un incubo, sul petto di Adorno: questa versione ha sfumature libidiche assai più chiare. Il senso di quest'ultima storia è che Adorno fosse un po' infastidito dalla capacità di Krahl di distinguere e separare il politico dal personale: Krahl una volta gli si rivolse, dopo un discorso, e bisbigliò qualcosa, al punto che Adorno scrisse a Günter Grass che «sperava che non l'avesse presa male, dal moneto che si trattava puramente di politica e non doveva essere intesa personalmente» [*7]. Per Adorno tutto questo non era ammirevole, ma la prova che nella personalità di Krahl ci fosse «qualcosa di patologico» [*8].
L'insensibilità di Adorno nei confronti di Krahl, le sue accuse – fatte in malafede? – secondo cui il movimento studentesco stava per provocare una restaurazione fascista o si stava rapidamente avvicinando a una forma di "fascismo di sinistra" [*9]: cosa rispondere a tutto questo? Nella sua corrispondenza con Marcuse, Adorno ricorre al ricordo traumatico del fascismo per poter giustificare il suo stanco atteggiamento nei confronti del movimento studentesco [*10], ma gli omosessuali come Krahl oltre a essere state vittime del regime nazista, hanno continuato a essere perseguitati anche sotto la Repubblica Federale. E non c'è forse un che di ironico nell'orrore che gli suscita la capacità che Krahl ha dimostrato di saper separare il politico dal personale, da parte di qualcuno che è perennemente incapace, anzi orgoglioso della sua incapacità, di coniugare il politico e il teorico? (Adorno arrivò persino a criticare Angela Davis, un'altra sua studentessa per un certo periodo, per la sua militanza, dimostrando così che la sua riluttanza nei confronti della pratica non era affatto specificamente legata alle condizioni della Germania [*11]). Adorno aveva fondato la sua critica della prassi sul concetto di “pseudo-attività”, originariamente un concetto critico verso la società tardo-capitalista, e che Adorno in seguito utilizzò per una difesa a rovescio di quella stessa società, utilizzando molti degli stessi stereotipi utilizzati nelle canzoncine anti-sinistra dei reazionari di tutto il mondo. L'accusa, condiscendente e psicologizzante, secondo cui gli “azionisti” dell'SDS o dell'APO erano più preoccupati di fare qualcosa, qualsiasi cosa, e non di fare qualcosa di efficace, è errata. In questo testo e altrove Krahl ha affrontato simili accuse: per lui, le spettacolari azioni di protesta dell'SDS erano “forme di apparenza afflitte da dolori di crescita” (kinderkranken Erscheinungsformen) di un movimento che era ancora in una fase di costituzione, e che avrebbe voluto un giorno essere capace di «una prassi prerivoluzionaria essenzialmente corretta» [*12]. Generalmente, le critiche di Adorno nei confronti della prassi andrebbero accolte con la domanda che Krahl rivolge ad Habermas in questo testo: che funzione hanno tali argomentazioni se non si presuppone che gli SDS sono talmente stupidi da non averle già previste? Si potrebbe criticare Krahl, perché nel suo corpus ci sono, ovviamente, alcuni momenti discutibili, ma non è questo il momento, né il luogo. Il suo progetto è rimasto incompleto, sia dal punto di vista politico che teorico. Dal momento della sua morte, sono passati cinquant'anni e, in linea di massima, ci troviamo ancora nella medesima situazione. Osservazioni banali su questo presupposto errato o su quella ingenua aspettativa risulterebbero essere peggio che inutili, e per questo motivo non me ne sono preoccupato.
Un'ultima cosa: nel testo ho inserito alcune note del traduttore. Sono state inserite in paragrafi a sé stanti e racchiuse tra parentesi quadre. Queste note forniscono informazioni, riassumono lo svolgimento della discussione o indicano interiezioni. Il testo di questa traduzione utilizza il corpo principale e le note di "Costituzione e Lotta di classe", oltre che la trascrizione ristampata nel II volume di "Frankfurter Schule und Studentenbewegung: von der Flaschenpost zum Molotowcocktail 1946-1995" di Wolfgang Kraushaar (1998, pp. 458-470). La traduzione potrebbe sembrare a tratti imbarazzante, ma vi assicuro che la colpa è solo in parte mia: Le frasi di Krahl sono spesso assai ingombranti e grammaticalmente complesse.
- J.E. Morain - Pubblicato il 15/5/2024 su Critical Theory Working Group -
NOTE:
[1] https://www.ca-ira.net/verein/positionen-und-texte/bruhn-who-are-the-anti-germans/
[2] Reinicke, Helmut. Für Krahl. http://www.mxks.de/files/kommunism/Reinecke.FuerKrahlt1.html
[3] Koenen, Gerd. "Der tranzendental Obdachslose — Hans-Jürgen Krahl." p. 4
[4] Limone, Noa. "Il più importante filosofo vivente della Germania lancia un appello urgente per ripristinare la democrazia", Ha'aretz, 2012.
[5] Versioni di entrambe le storie sono raccontate nel saggio di Koenen "Der tranzendental Obdachslose"; la "versione incubus" della storia dell'incubo appare in Adorno: A Political Biography di Jäger, così come nel fumetto che ho incluso.
[6] Contrariamente a quanto può sembrare, sembra che a telefonare non sia stato Adorno, ma che piuttosto lo abbia fatto fare al ministro dell'istruzione dell'Assia Ludwig von Friedeburg dopo che Krahl e soci si erano rifiutati di andarsene «malgrado fosse stato loro chiesto per tre volte di farlo». (Jäger, Adorno: A Political Biography, tr. Spencer. Yale UP, p. 203). In ogni caso, non ha avuto alcun problema con la decisione di chiamare la polizia, e questo ha fatto seguire l'accusa di violazione di domicilio nei confronti di Krahl.
[7] Claussen, Detlev. Theodor W. Adorno: One Last Genius. tr. Livingstone. Harvard UP, 2008, p. 336
[8] Ivi.
[9] Si veda la sua corrispondenza con Marcuse sul movimento studentesco e i testi "Marginalia to Theory and Praxis" e "Resignation" in Critical Models: Interventions and Catchwords.
[11] Angela Davis, "Marcuse's Legacy", in Herbert Marcuse: A Critical Reader, a cura di John Abromeit e W. Mark Cobb (New York: Routledge, 2004), 46-47.
[12] Krahl. "Le contraddizioni politiche nella teoria critica di Adorno". Traduzione modificata. https://cominsitu.wordpress.com/2021/04/20/the-political-contradictions-in-adornos-theory-krahl-1971/#more-10079
Hans-Jürgen Krahl: Autorità e Rivoluzione (Contributo a una discussione tenutasi il 23 settembre 1968)
Autorità e Rivoluzione – di Hans-Jürgen Krahl
[* Prima del discorso di Krahl, Frank Benseler, redattore di Luchterhand e organizzatore di questa discussione, Ludwig von Friedeburg, ministro dell'istruzione dell'Assia e Kurt Lenk, un politologo, danno il loro contributo alla discussione. Krahl, nel suo contributo, non risponderà direttamente a nessuno di loro, e pertanto i loro interventi non verranno qui riassunti.]
Vorrei mettere in relazione [il mio contributo] con quello che è successo negli ultimi tre giorni. In primo luogo, bisognerà spiegare un paradosso: vale a dire, che il movimento studentesco, il quale concepisce sé stesso come antiautoritario, ha bisogno invece di tantissime autorità, sia per quanto riguarda la sua struttura [in Sachhinsicht] sua per quanto riguarda il suo personale. Chiunque abbia seguito l'ultima conferenza dei delegati dell'SDS, ha potuto constatare come la rivolta antiautoritaria sia proseguita, e in una certa misura era anche iniziata attraverso la de-mitizzazione e il disincanto riguardo alle sue stesse autorità. E questo, almeno per un movimento marxista,rappresenta un principio di organizzazione in senso enfatico, oltre che storico-filosofico e teorico-rivoluzionario; significa che un movimento ha un bisogno irrazionale di autorità, nella misura in cui non è organizzato e non ha costruito alcun tipo di struttura di qualificazione basata sulla divisione del lavoro; e che poi, in seguito, questa autorità - come aveva notato in maniera critica Georg Lukács nei confronti di Pannekoek e Luxemburg - si rivolge alla fase della propaganda, all'agitazione. Ed è significativo che gli agitatori dell'SDS, che guidano le discussioni nei teach-in, siano in qualche misura autoritari. L'opposizione extraparlamentare, soprattutto la sua fazione antiautoritaria, non ha ancora realizzato in questo senso una sufficiente divisione del lavoro, vale a dire che, da un lato, non dovrebbe esistere alcunché senza che ciò abbia una funzione qualitativa - un antico principio della divisione comunista del lavoro, il quale richiedeva a tutti una corrispondente pressione autoritaria sulla sua performance - anche oggi, in una società in cui l'abolizione [Abschaffung] del lavoro è uscita così tanto dalla dimensione dell'utopia; dall'altro lato, però, si presume che questa sollecitazione alla performance debba essere compensata dallo sviluppo di collettivi di tipo solidaristico, capaci di sublimare in anticipo quella separazione e atomizzazione degli individui che la società capitalistica promuove sulla base della sua astratta divisione del lavoro. È esattamente questa la questione posta da Georg Lukács nella sua sintesi speculativa del dibattito europeo riguardo l'organizzazione: come è possibile anticipare il regno della libertà all'interno di una forma di organizzazione comunista e assolutamente autoritaria? Oggi questa domanda viene ancora considerata in maniera insufficiente, dal momento che questo tipo di partito leninista soddisfaceva solo le condizioni di un Paese ancora in fase di industrializzazione, in cui la disciplina autoritaria del lavoro doveva, in generale, essere prima costituita, e non avrebbe potuto essere abolita nella società intera, per cui le norme in eccedenza - e quindi il tempo di lavoro in eccedenza - avrebbero dovuto essere interiorizzate.
Oggi il problema si pone in modo rovesciato: queste norme in eccesso, “l'eccedenza di repressione”, come dice Marcuse, in quanto principi autoritari di prestazione, sono diventate superflue. Anche per noi dell'SDS si pone la questione di come sia possibile sviluppare una forma di organizzazione che, in un contesto di coercizione e di violenza, generi degli individui autonomi che allo stesso tempo siano in grado di sottomettersi in modo disciplinato alle esigenze della lotta e alle condizioni della coercizione. Questo problema è completamente irrisolto. Attualmente è in corso la realizzazione di una rivolta antiautoritaria che ha lo stesso stile provocatorio di quella che abbiamo avuto nel nostro stesso liceo. Questa rivolta antiautoritaria ha come obiettivo quello di rendere possibile qualcosa di simile a un processo di apprendimento collettivo. Allo stesso tempo, non si deve consentire in alcun modo che nell'SDS si sviluppi una forma di collettivismo ostile agli individui. Inoltre, voglio discutere il ruolo rappresentato dalle autorità critiche giornalisticamente definibili. Ciò andrebbe discusso in riferimento alle due personalità di spicco presenti in sala, Habermas e Adorno. Ritengo che queste autorità definiscano in maniera falsa la loro relazione con l'opposizione extraparlamentare, soprattutto quella marxista e socialista. Jürgen Habermas, illudendosi che si possa ancora costruire qualcosa di simile a una contro-coalizione liberale che spazia da Brenner ad Augstein, e che attraverso il lavoro nelle istituzioni si possa ancora mobilitare qualcosa di simile a una contro-sfera pubblica liberale, ritiene che, in certe situazioni di azione instabile in cui abbiamo bisogno della sua solidarietà, si debbano prendere tatticamente le distanze. Con la fatale accusa di “fascismo di sinistra” - subito raccolta dalla stampa liberale, secondo la quale qualsiasi movimento plebiscitario-egalitario appare fascista già solo a partire dalla sua stessa forma, astraendo completamente da quello che è il suo contenuto - Habermas ha concretizzato per la prima volta questa sua presa di distanza tattica. Se ne è reso conto una seconda volta nel momento in cui ci ha lanciato l'accusa di pseudo-rivoluzionarismo. È un'accusa su cui non intendo nemmeno discutere se essa sia giustificata dal punto di vista del contenuto della disputa tra le diverse fazioni dell'opposizione extraparlamentare; ma piuttosto parlare di quale funzione essa abbia in quello che è un preciso momento di instabilità del movimento. Daniel Cohn-Bendit, durante la rivoluzione di maggio, parlando di un sociologo che in Francia svolge un ruolo simile a quello che Habermas ha qui [in Germania], il quale spiegava che: «Sono fortemente in disaccordo con molte delle vostre azioni, specialmente per quanto riguarda la struttura della violenza, ma in questo momento è necessario che io sia solidale con tutti voi».
Perché è necessario che portiamo sul campo con noi queste personalità? Nella società autoritaria, finalizzata alla performance nell''educazione, nella manipolazione e nell'indottrinamento esecutivo, le masse sono talmente ossessionate dalle personalità che inizialmente hanno bisogno di queste autorità - vale a dire, di coloro che si considerano come delle autorità critiche - per il loro essere illuminate. Abbiamo pertanto bisogno della pubblica, dichiarata solidarietà delle autorità critiche; esse possono, in un certo senso, contribuire a distruggere il principio di autorità nella società attraverso l'arma dell'autorità stessa. Credo che fino ad oggi né Habermas né Adorno abbiano dimostrato di avere questo atteggiamento. Con Adorno è diverso. Se ne può discutere piuttosto come una questione di teoria. Qui vorrei solo riassumerlo come un aneddoto: mentre assediavamo il consiglio [universitario] circa sei mesi fa, il signor Adorno si presentò davanti agli studenti nel sit-in come l'unico professore presente. Venne sommerso dalle ovazioni, corse subito al microfono e poi, poco prima di raggiungerlo, ripiegò verso il suo seminario di filosofia; in un attimo, quindi, si allontanò dalla prassi e ritornò nuovamente alla teoria. La situazione della teoria critica oggi è sostanzialmente questa. Razionalizza la sua rassegnata e raffinata paura individuale della prassi, [proclamando] che la prassi è in qualche modo impossibile, e perciò si deve ritornare a casa, alla filosofia. Una terza cosa. Proprio negli ultimi giorni è stato dimostrato qui, o almeno è stato formalmente segnalato, che, pur senza manifestarsi drasticamente e immediatamente nella struttura dello Stato, a partire dalla promulgazione degli atti di emergenza
[**Atti di emergenza (Notstandsgesetze). Il 30 maggio 1968 fu approvata una serie di leggi (il Grundgesetz) che diedero al governo della Repubblica Federale Tedesca il potere di stabilire uno stato di eccezione e di abrogare alcuni diritti garantiti dalla costituzione. I critici videro somiglianze tra queste leggi e le clausole riguardanti i poteri di emergenza nella costituzione della Repubblica di Weimar, che erano state utilizzate dal NSDAP e dal suo maldestro complice Hindenburg per trasformare la Repubblica di Weimar in una dittatura]
qualcosa è cambiato. Da una fiera del libro - che per definizione è qualcosa di simile al palcoscenico di una sfera pubblica critica, anche se un po' antiquata e deplorevole - siamo passati a un campo di emergenza. Abbiamo sperimentato il sistematico prendere di mira degli individui per picchiarli, [per esempio] questo è successo ieri, quando le truppe d'assalto della polizia sono uscite dalla sala mensa. In una situazione del genere, in cui la brutalità è diventata altrettanto manifesta quanto lo è il fatto che siamo soli, abbiamo bisogno della solidarietà di queste personalità. La mia tesi è di tipo teorico, riguarda i principi. Che cosa significa se, proprio nella fase finale della nostra lotta contro la promulgazione degli atti di emergenza, ripensiamo continuamente al concetto di Stato autoritario? Con questo [concetto], volevamo portare la problematica degli atti d'emergenza fuori dal quadro di riferimento della tradizionale politica di difesa nei confronti delle tendenze restauratrici in atto negli anni Cinquanta, vale a dire nei confronti della riapprovazione delle corporazioni, del riarmo e degli armamenti atomici, una politica che mirava a salvare la democrazia in senso borghese. Con il concetto di Stato autoritario volevamo proporre un quadro di riferimento diverso, un quadro di teoria rivoluzionaria. A questo proposito, vorrei anche chiedere: cosa significa per la struttura del tardo capitalismo, in termini di principio, [il concetto di] “Stato autoritario” ? Questo concetto è assurto a[lo stato di] dettato teorico, anche grazie alla tradizione della Scuola di Francoforte; mi riferisco a Max Horkheimer e Franz Neumann, ma anche ad Adorno. Nel suo saggio sullo Stato autoritario, Horkheimer non lo ha trattato semplicemente come se fosse un problema isolato dello Stato sociale [sozialstaatliches] e della filosofia del diritto, ma ha voluto intendere con [il concetto di] Stato autoritario come una modifica dell'intera costituzione del sistema stesso. Ciò significa, in linea di massima, che, con il passaggio dal capitalismo competitivo a quello monopolistico, le istanze di mediazione della società borghese, le specifiche forme associative [Verkehrsformen] come i partiti e il parlamento, hanno perso la loro sostanza economicamente portante. Il Parlamento e i partiti avevano come sostanza il libero scambio di merci da parte di proprietari di merci che sono ugualmente valide e ugualmente validanti per un altro. Il Parlamento era pensato come il mercato politico in cui le diverse fazioni della borghesia potevano negoziare politicamente i loro interessi economicamente differenziati senza violenza. Il compromesso, nel concetto di Realpolitik borghese, è la razionalizzazione politica della concorrenza economica.
Con la crescente eclissi del libero scambio da parte delle concentrazioni di mercato oligopolistiche e monopolistiche alla fine del secolo scorso, queste istanze di partiti e di parlamento, le forme di associazione della borghesia, hanno perso la loro sostanza economica; e si verificò un'avanzata dell'autoaffermazione dello Stato al di sopra e contro la società. Per la teoria marxista, la persona giuridica rappresenta la maschera del proprietario di merci; al posto del Rechtsstaat è subentrato lo Stato sociale autoritario [Sozialstaat]. Ciò significa che lo Stato ha fatto di se stesso l'oggetto della riforma sociale al fine di impedire alle masse dipendenti dal salario di organizzarsi e riunirsi. A causa di questa tendenza riformatrice dell'esecutivo autoritario, le grandi forme organizzative della classe operaia nate in passato dalla lotta per il diritto di combinazione, cioè i sindacati e i partiti, sono state progressivamente integrate nella struttura di quello stesso esecutivo autoritario. A questo punto il teorema di Max Horkheimer, secondo cui il capitalismo monopolistico è potenzialmente un fascismo, è più che giustificato. Essenzialmente, il fascismo è il risultato del riformismo sociale dello Stato autoritario. Uno Stato autoritario significa - e questo comincia a manifestarsi con gli atti di emergenza - che la democrazia può essere trasformata in stato di eccezione senza che si verifichi una rottura della legittimità politica e giuridica. Infatti, si possono distruggere le istanze democratiche - ad esempio il Parlamento - con mezzi diversi da quelli terroristici; proprio in virtù di quei presupposti teorici che ho appena citato, essi possono essere integrati in modo manipolativo nell'arsenale dell'esecutivo autoritario. Riassumo tutto questo in tre livelli:
1. Al di là della funzione che il parlamento e i partiti hanno oggi nello Stato, in cui non sono più strumenti di formazione della volontà critica, appare evidente che un'organizzazione rivoluzionaria non può adottare il concetto leninista di disciplina. Al contrario, è necessario coltivare all'interno della propria organizzazione individui autonomi che siano in grado di imporre a se stessi una pressione ad agire in senso rivoluzionario.
2. Vista la situazione attuale del movimento antiautoritario, per l'illuminazione critica abbiamo bisogno di autorità mediatiche [publizistisch-kritischen] critiche e del loro peso autoritario. Occorre la loro solidarietà concreta; la disputa teorica dovrebbe essere giocata come una disputa frammentaria, non come una critica contemplativa proveniente dall'esterno.
3. Lo Stato autoritario potrebbe far sì che la società venga trasformata in uno stato di eccezione senza che questo comporti una rottura della legittimità politica e giuridica. Nelle conclusioni riprenderò la vecchia polemica con Habermas. Egli ci ha accusato di patologia infantile; secondo lui, noi stiamo confondendo quelle che sono solo delle azioni simboliche - costruire barricate, occupare le istituzioni - scambiandole per delle situazioni concrete di lotta per il potere.
Quando qui a Francoforte stavamo occupando l'università, il ministro dell'Assia Rudi Arndt disse in proposito: «Non lasceremo che distruggano questo Stato». In tal modo, ci è stato così suggerito che noi, che siamo ancora una minoranza, saremmo in grado di distruggere immediatamente lo Stato. Lo Stato deve produrre un'ideologia tattica di lotta per il potere e comportarsi come se [la situazione] sia già caratterizzata dalla lotta per il potere politico nell'ambito dello Stato, e questo per due ragioni: la prima è che, a causa del principio di autorità nella società, non è in grado di sopportare nemmeno l' emergere di un movimento di massa. Questo è apparso chiaramente nel momento in cui il movimento studentesco ha superato per la prima volta i limiti dell'accademia e ha mobilitato un movimento di sciopero con gli operai, in particolare con i giovani lavoratori; la seconda, è che deve produrre una tale ideologia di lotta per il potere, in quanto un metodo terroristico e brutale nei confronti dell'opposizione extraparlamentare è legittimabile solo se si suggerisce in qualche modo che potremmo già immediatamente provocare il crollo dello Stato. Per questo motivo ha bisogno di una corrispondente falsificazione: dal 2 luglio conosciamo i noti topoi con cui le autorità statali trasformano i pomodori in coltelli, che si suppone vengano lanciati dai manifestanti. Quindi, signor Habermas, non siamo noi a suggerire una situazione di lotta per il potere sulla base del principio di autorità nella società, ma è lo Stato ad essere costretto a produrre un'ideologia di lotta per il potere al fine di legittimare l'attacco alle opposizioni extraparlamentari fin dall'inizio.
[*** Qui si ferma il discorso iniziale di Krahl. Dopo di lui - prima che Adorno intervenga per difendere la sua mancata tenuta di un discorso al sit-in - Karl-Dietrich Wolff, allora presidente dell'SDS, si baserà brevemente sui punti di Krahl. Adorno dichiara che doveva andare a un esame, e che uno studente lo stava aspettando già da mezz'ora. Nega anche di aver «schivato il microfono», dicendo invece che «non lo avevo nemmeno visto». Afferma la sua fiducia in una protesta non violenta e «immanente», ma rifiuta che le sue azioni possano essere giudicate come giuste o sbagliate. Quando Wolff risponde, chiedendo ad Adorno se piuttosto non sarebbe stato significativo, e simbolicamente potente per lui, marciare insieme a loro contro il divieto di protestare, Adorno chiede retoricamente se i vecchi corpulenti siano davvero quelli giusti per partecipare alle marce. Inoltre, egli afferma, è suo diritto come individuo non partecipare, e l'SDS non è – così come ha appena affermato Krahl – un'organizzazione volgarmente collettivista. Dopo questo scambio di battute, Werner Hofmann – forse lo storico dell'arte, non lo so – critica il modo di agire dell'SDS, accusandola di concepire sé stessa come una «classe sostitutiva», e insiste sul fatto che la cosa più importante è «aprirsi un varco nelle masse lavoratrici». Habermas, rispondendo al discorso di Krahl segue Adorno, definendolo un «capo di partito che richiama all'ordine gli intellettuali insubordinati», accusandolo di essere autoritario. In seguito, il filosofo marxista Hans Heinz Holz pronuncia il suo discorso, al quale Krahl non risponde e che quindi non riassumerò. Lenk poi, prima che Krahl ricominci da capo, mette in discussione il rifiuto, da parte di Krahl, dell'utilità dei partiti politici per i movimenti radicali di opposizione.]
Il signor Hofmann, contro di noi, ha usato il solito argomento: che noi, gli intellettuali e gli studenti, non dovremmo concepirci come una classe sostitutiva, ma piuttosto come un'alleanza dell'intellighenzia e che, come dice lui, ciò che è importante è «la gente che lavora». Questo argomento viene sempre portato avanti in maniera falsa. L'SDS e l'opposizione extraparlamentare, nella misura in cui si definiscono socialiste, non si concepiscono come una classe che agisce in una sostituzione blanquista. Ora, è vero che una volta abbiamo ripreso piuttosto ciecamente la formula volgare-marcusiana secondo cui solo i gruppi ai margini della società [Randgruppen] potevano essere ancora un soggetto rivoluzionario; ma poi, il 1° maggio di quest'anno abbiamo lanciato lo slogan «lotta di classe anziché partenariato sociale». In sostanza, ciò costituisce una grande svolta verso il proletariato. Noi non crediamo più che soltanto i gruppi ai margini della società possano essere un soggetto rivoluzionario di cambiamento. In tutto questo, però, a livello teorico la questione di classe nella società odierna, la questione di come siano cambiate le strutture di classe, rimane del tutto irrisolta. Tutte queste formule non sono altro che un riflesso cieco della nostra pratica, anziché una strategia riflessiva. La seconda questione teoricamente irrisolta è come sia cambiato il ruolo dell'intellighenzia critica in una società in cui la scienza è un fattore di produzione sempre più importante, se non addirittura il principale. Pongo questi interrogativi per non limitarci a formulare che dobbiamo riferirci al “lavoratore”, cosa che è più una formula espressionistica che un termine specifico di classe. Posta in termini di contenuto, la domanda significa questo: è vero che oggi l'intellettuale ha una solidarietà naturale con la borghesia, la quale almeno fenomenologicamente non esiste più, anche se di certo esiste una classe capitalista; è vero che gli intellettuali possono uscire dalla società solo in quanto individui; è vero anche oggi il ruolo che le scienze hanno assunto a livello produttivo? Se ora la relazione dello Stato con l'economia è cambiata, perché lo Stato stesso è diventato anch'esso un fattore di produzione e un regolatore elementare del processo economico, e se è cambiata questa relazione tra politica ed economia, in cui alla fine anche le classi, in quanto condizionate in sé, si costituiscono, come è cambiata la posizione di classe dei capitalisti e dei lavoratori salariati? Tutte queste domande sono teoricamente aperte, e quando si tratta di agitazione, educazione e attivazione per la classe operaia noi procediamo essenzialmente in maniera ortodossa, anche se in maniera pragmatica e con la disposizione di sperimentare le mutate strutture di classe anche nella nostra attività pratica. Il lavoro ortodosso che svolgiamo attualmente procede a tentoni: lavoriamo con un occhio di riguardo per i sindacalisti di sinistra laddove esiste ancora un centro sindacale revisionista, come a Francoforte; lavoriamo insieme ai compagni del Partito Comunista, e questo non è per nulla finito nemmeno con l'espulsione dell'ala del Partito Comunista; cerchiamo di formare le nostre cellule soprattutto con i giovani lavoratori. Tutto questo rappresenta certamente un lavoro molto ortodosso; questo lavoro di cellula corrisponde fondamentalmente alla politica dell'opposizione di ultra-sinistra tra i comunisti tedeschi all'inizio degli anni Venti. Questo lavoro di agitazione educativa va considerato nei termini e con riferimento alla classe operaia e nel contesto della disposizione pragmatica secondo cui noi stessi raccogliamo esperienze qualitativamente nuove durante questo lavoro, esperienze che [tuttavia] solo attraverso la riflessione teorica danno informazioni sulla struttura di classe, sulla costituzione fattuale della struttura di classe nella società. Altrimenti si corre il rischio, come i dogmatici ortodossi, di lavorare sempre e solo con opposizioni reificate e analitiche, per nulla mediate, della classe in sé e per sé. Ora, per quel che riguarda le parole dette dal signor Habermas: egli ha avuto l'impressione che io parlassi come il capo del partito che richiama all'ordine gli intellettuali insubordinati. Non ha affatto giustificato questa impressione, tuttavia potrebbe esserci qualcosa di corretto in essa. Nella misura in cui ci si identifica con certe funzioni presenti nella prassi della SDS e dell'opposizione extraparlamentare, può effettivamente essere relativamente naturale assumere gradualmente la modalità di comportamento reificata del capo del partito. In questo senso, l'osservazione può servire come occasione di auto-riflessione pratica. Habermas ha frainteso la mia richiesta di solidarietà incondizionata. Questo fraintendimento nasce da un approccio teorico specifico della sua stessa concezione. È chiaro ciò che egli ha dichiarato a proposito dell'azione degli ultimi giorni, ossia che essa è stata molto coraggiosa e provocatoria, ma non è stata ben preparata in termini di esplorazione. In effetti è così. Ma vorrei sapere che funzione ha un'argomentazione del genere se non si ritiene che la SDS sia talmente stupida nella sua autocomprensione organizzativa da non saperlo già da sé sola. Se ne deve dedurre che ci si sarebbe dovuti astenere dall'azione?
[Habermas interviene: "Intendo proprio questo!"]
Se intendi questo, allora devo contraddirti. In effetti è stato fatto un pessimo lavoro di preparazione di questa azione, ma il motivo è noto a tutti. Le azioni di massa contro gli atti di emergenza hanno avuto un effetto disintegrativo e caotico sulle strutture organizzative preesistenti dell'SDS. Al momento siamo veramente male organizzati. Le forme organizzative qualitativamente nuove, i quadri informali che sono stati coltivati di recente - e questo vale anche per il collegio durante l'“università politica” e durante lo sciopero in Francia e per il nostro lavoro con i giovani lavoratori - non hanno ancora potuto essere inseriti in un quadro organizzativo coordinato. Ma non è vero che si è creato solo caos organizzativo; abbiamo anche sviluppato nuove forme di organizzazione. Ma se, tenendo conto di questo contesto, prendo sul serio la sua affermazione (di Habermas), cioè che avremmo dovuto rinunciare all'azione, ciò significherebbe che l'opposizione extraparlamentare dovrebbe ritirarsi nel suo guscio di lumaca organizzativo - per così dire - e rinunciare alle azioni finché non si sarà rigenerata organizzativamente. Questo, però, sarebbe fatale per un movimento socialista e antiautoritario che si è costituito e riprodotto così tanto nell'azione e attraverso l'azione. In secondo luogo - e soprattutto per quel che riguarda l'azione contro Senghor - essa è stata mal preparata dal punto di vista dell'informazione per i motivi citati. La domanda che ci si pone è se, nonostante le reazioni fortemente negative che ci si può aspettare da questa azione, non siano proprio queste azioni a poter avviare un processo di chiarificazione. Dobbiamo innanzitutto essere noi stessi a creare il potenziale che ci fornisce questo chiarimento. L'azione stessa può avere un effetto illuminante a posteriori. Abbiamo molti esempi di questo tipo. Informare non significa rivolgersi in astratto alla popolazione, che è una massa statistica astratta, ma piuttosto rivolgersi a determinati strati rilevanti, proprio come l'opposizione extraparlamentare si è sviluppata mobilitando prima gli studenti universitari, poi gli studenti delle scuole superiori e infine i giovani lavoratori.
[Habermas interviene di nuovo: "Signor Krahl, intendevo solo dire che un'azione dev'essere giustificata in modo tale che uno possa essere ragionevolmente convinto che essi..."]
Sì, naturalmente! Se chiedete un minimo di chiarimento, ossia che coloro che agiscono debbano essere a loro volta consapevoli di ciò contro cui agiscono, allora questo è stato completamente soddisfatto. Il minimo di informazione è stato dato. È sufficiente essere informati sui mezzi che un capo di Stato usa nel proprio Paese contro il proletariato (per esempio, i paracadutisti in Francia), informati sui mezzi con cui il prodotto alimentare di base di un Paese - il riso - viene mantenuto a un livello di prezzo difficilmente accessibile per i poveri, cioè i pescatori e i contadini del Paese. Abbiamo cercato, per quanto possibile, di dare questo minimo di informazioni nei nostri teach-in e inoltre di dire qualcosa sull'ideologia che Senghor rappresenta. Credo che questi minimum informativi, per quanto imperfetti, fossero giustificati proprio nel contesto di un'azione del genere, un'azione che non era finalizzata a una campagna precisa, ma era nell'insieme un'azione singola. Nessuno pretende che le autorità critiche scendano in piazza con noi e si uniscano al canto di Ho Chi Minh. Sicuramente, però, dovrebbero essere in grado di dedicare abbastanza tempo di lavoro da essere attivi non solo con le loro penne, ma anche nel contesto delle azioni, anche se solo con un ruolo di consulenza. E poi, signor Habermas, lei avrebbe potuto davvero - e questo è di nuovo il tipico argomento - dirlo prima e non ancora una volta post festum e a posteriori. Bisogna essere decisi a partecipare all'azione in modo organizzato, anche se questa partecipazione organizzata consiste solo nell'illuminazione preventiva. Altrimenti sarete esattamente quel tipo di intellettuale di cui parlava Max Horkheimer quando diceva che la critica è legittima solo se si decide di partecipare all'organizzazione e all'azione, ma che la critica borghese della lotta proletaria è un'impossibilità logica.
[La discussione termina con von Friedeburg che accusa Krahl di demagogia per questa citazione di Horkheimer.]
fonte: Critical Theory Working Group - for collective self-clarification without consolation
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