I nuovi media hanno sancito l’ingresso della politica nella società globale dello spettacolo. Le nostre democrazie si ritrovano sature di immagini ma povere di immaginazione, esautorate dalla governance dei “competenti”: la politica è mera amministrazione di un totale consenso neoliberale, i cittadini sono ridotti a consumatori di decisioni e lo spazio lasciato vuoto dalle utopie viene occupato da rappresentazioni inquietanti, come il mito dello “scontro di civiltà”. Per trovare uno statuto nuovo alla politica, Chiara Bottici risale alle origini del pensiero umano e decostruisce le grammatiche di sessismo, nazionalismo e colonialismo. Il suo edificio filosofico si va creando attorno alla proposta di riportare al centro del discorso politico l’immaginazione: capacità radicale di figurarsi la realtà in modo differente.
(dal risvolto di copertina di: Chiara Bottici, "La politica dell'immaginazione". Castelvecchi. Pag.360, €29)
L'immaginazione non è più al potere
- di Roberto Esposito -
Da qualche tempo le nostre società vivono una condizione paradossale. Da un lato il mondo politico è sempre più colmo d'immagini. Dall'altro i politici sembrano mancare d'immaginazione. Anzi si direbbe che tra le due cose vi sia un preciso rapporto. Quanto più le immagini dei leader riempiono gli schermi televisivi, affollano i siti, invadono i dispositivi, tanto più sembra venir meno la capacità di immaginare nuovi mondi, o quanto meno di rinnovare l'unico che abbiamo. Certo, il fenomeno non è nuovo. Risale alla modernità, quando la politica, prima chiusa nelle segrete stanze, invade la scena pubblica, mentre la fotografia consente una riproduzione infinita delle immagini. Democratizzazione e mediatizzazione sono processi di lungo periodo che da tempo procedono appaiati. Ma oggi una soglia è stata varcata. Con la nascita dei partiti personali nessun leader può fare a meno di diffondere le proprie immagini su Facebook, Instagram o X, in vista di potenziali like. Quella che Guy Debord, con singolare preveggenza, aveva chiamato "società dello spettacolo" si è estesa su scala globale, con effetti inquietanti di commistione tra realtà e finzione.
Nel momento in cui l'intelligenza artificiale può costruire a piacimento scenari immaginari senza fondamento nella realtà, è sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Cosicché si può dire che tanto più siamo saturi di immagini, tanto più siamo carenti di informazioni. Gli scontri politici, ma anche militari, si combattono, oltre che con le armi, attraverso la battaglia di immagini contrapposte che a volte ritraggono lo stesso evento da angolature diverse., funzionali agli effetti che si vogliono ottenere. A risultarne potenziati sono gli opposti fanatismi in quello che sempre più rischia di avvicinarsi a uno scontro di civiltà. In questo modo, attraverso le emozioni suscitate dalle immagini di devastazione, i giudizi tendono a polarizzarsi a favore degli uni contro gli altri, consumando progressivamente i residui spazi di mediazione tra opzioni assolute. Da qui una rassegnazione che sembra sostituire alla opportunità della storia i vincoli del destino. A venir meno, sopraffatta da immagini di morte, desolazione, disperazione, è la capacità umana di inventare soluzioni alternative, di creare nuovi scenari, di aprire spazi inediti di intervento. Come si diceva, la furia delle immagini sembra spegnere l'energia dell'immaginazione.
Questa contraddizione è adesso analizzata in un libro di Chiara Bottici, professoressa alla New School di New York, pubblicato da Castelvecchi col titolo "La politica dell'immaginazione". La sua originalità sta nell'interrogare la relazione, sempre più decisiva, tra immaginazione e politica da entrambi i lati. Nella prima parte il libro ricostruisce il modo in cui la facoltà dell'immaginazione è stata trattata da una tradizione filosofica che l'ha sempre subordinata alla sensazione e all'intelletto. Nonostante qualche eccezione, rappresentata soprattutto da Aristotele e Kant - ai quali aggiungerei quantomeno Spinoza – la facoltà immaginativa è stata generalmente relegata nell'ambito della finzione. E dunque contrapposta alla verità, scientifica o metafisica che sia. La cultura illuministica ha ribadito questa emarginazione dell'immaginario, contrapponendogli la certezza della ragione. Neanche lo strutturalismo di Lévi-Strauss e la psicoanalisi d Lacan hanno davvero ribaltato questa tendenza. Come invece ha fatto il filosofo francese Cornelius Castoriadis, oltre che nel classico "L'istituzione immaginaria della società" (ristampato da Mimesis a cura di Emanuele Profumi), con una serie di saggi adesso riuniti da Alfredo Ferrarin in un volume intitolato "L'elemento inmmaginario" (ETS).
Castoriadis ci immette nello spazio, in radicale trasformazione, della politica, al quale è dedicato la seconda parte del libro di Bottici. Il rapporto della politica con l'immaginario è sempre stato imprescindibile - basti pensare al gioco di sguardi incrociati da cui scaturisce l'immagine del principe in Machiavelli. D'altra parte, anche nella stagione successiva, è impossibile concepire la politica senza uno spazio pubblico in cui il potere cerca la propria legittimazione. Non per nulla centrale nelle democrazie moderne è l'istituto della rappresentanza, mediante la quale gli eletti rappresentano gli elettori. . In questo senso una dimensione teatrale è connaturata all'agire politico. Si può fare politica - sosteneva Hannah Arendt, sulla scorta di Kant - soltanto se si è capaci di mettersi al posto degli altri. Naturalmente le cose cambiano quando, nell'attuale politica-spettacolo, la rappresentanza diventa immediatamente rappresentazione. Allora, da strumento della politica, l'immagine finisce per sostituirla fino a esaurirne la carica vitale. Eppure, benché stressata dall'inflazione delle immagini, è proprio nella forza dell'immaginazione che la politica può ritrovare la propria potenza istituente. Non solo la capacità di dar voce alla società esistente, ma anche di immaginarne una diversa.
- Roberto Esposito - Pubblicato su Robinson del 12/11/2023 -
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