sabato 1 giugno 2024

L'amicizia ai tempi del nazismo...

Il pomeriggio del 10 novembre 2001, un sabato, in Inghilterra, Jacques Derrida partecipa, presso l'Università di Loughborough, ad un evento intitolato "La vita dopo la teoria". Nella mattina di quello stesso giorno, aveva tenuto ivi una conferenza dal titolo "Spergiuri", nella quale, tra le altre cose parlava anche di Paul de Man. Poi, nel pomeriggio, era tornato per risponde alle domande; una delle domande riguardava l'amicizia che Derrida ha dedicato a De Man: «lui, è ancora mio amico», dice Derrida, «è morto, ma è proprio passando attraverso la morte - o dopo la morte - che viene richiesta l'amicizia, la verifica dell'amicizia». Ed è proprio quando la persona non è più presente per poter «controllare o rispondere», dice Derrida, che bisogna decidere se la fedeltà può essere mantenuta (p.28). Proseguendo, Derrida comincia poi gradualmente ad avvicinare Paul de Man alla categoria dello "Unheimlich", vale a dire, di "strano", e allo stesso tempo di "inquietante" (dal momento che la parola indica, contemporaneamente, sia ciò che è familiare [heim] sia ciò che allo stesso tempo nega proprio tale vicinanza preponendo "un". Così, Paul de Man può essere, simultaneamente, tanto l'amico quanto l'estraneo: egli è sia il familiare sia l'inquietante (e questo perché mentiva, teneva nascosto, e tuttavia rimaneva allo stesso tempo aperto e sincero): «è rimasto per me un mistero», dice Derrida (p. 34). Spiega anche che ha cercato di leggere il termine das Unheimliche non solo attraverso Freud – che è il riferimento più frequente quando si parla di perturbante - ma anche per mezzo di Heidegger: nei suoi lavori, dice Derrida, il termine è “ben presente” e lo è in quei luoghi dove la posta in gioco è molto alta. Derrida non entra nei dettagli, ma dice che nei suoi seminari ha sempre cercato di rintracciare quei momenti nei quali Heidegger usa questo termine; e si tratta sempre dei momenti più decisivi (nella prefazione gli organizzatori della raccolta insistono sul fatto che Derrida ha sempre voluto rispondere in inglese alle domande). Il fatto che tanto Heidegger quanto Freud usino il medesimo termine, osserva Derrida, è significativo: esso rappresenta il “miglior termine” per indicare ciò che resiste e si oppone alla “coerenza” e alla “identità semantica”.

(in: "life.after.theory", ed. Michael Payne e John Schad, Continuum, 2003)

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