« In ogni traduzione c'è come un movimento amoroso, un gesto di avvicinamento che nasce a partire da un'appassionata attrazione verbale e che spinge, logicamente, al desiderio di condividere i testi tradotti. Rendere pubblico: un'espressione a partire dalla quale, la conoscenza appare come un dono. E, in questo senso, la traduzione diventa la più generosa delle attività letterarie. Attraverso una sintassi che possa essere insieme appassionata e spersonalizzata, si cercherà di cogliere il rumore del nostro tempo. E questo verrà fatto utilizzando una voce sommessa; quasi un canto timido, simile a quello di chi stia scrivendo - parafrasando Anna Ahkmatova - un «poema senza alcun eroe». Tutto il talento, tutta la sensibilità del traduttore viene messo al servizio di un altro, o meglio dell'alterità di quell'altro che è poi colui che scrive in una cosiddetta lingua originale. Come fosse qualcuno che indossa una (ulteriore) maschera, il traduttore si appropria fantasticamente di un mondo. Vale a dire, riesce a far suo tutto quello che c'è fuori, l'oscurità, l'imponderabile fascio di desideri, di ossessioni e stupori che costituisce anche il materiale di cui è fatto il poema. E a partire da lì, lavora e fa capire qual è il punto in cui la sua voce si incontra con la voce dell'altro, facendo sì che, con un cortocircuito, possa accendere una nota nuova, irripetibile, illuminante. È come ... attraversare un ponte. Ho sempre pensato che la scena in cui la protagonista del racconto Lejana di Julio Cortázar si scambia i ruoli con il suo alter ego sul ponte che unisce e divide la doppia città di Budapest potesse essere una curiosa metafora della traduzione. Ho sempre pensato che la scena in cui la protagonista del racconto scambia il suo ruolo con quello del suo alter ego, sul ponte che unisce e divide la doppia città di Budapest, potesse essere una curiosa metafora del tradurre. »
- Maria Negroni - da "El arte del error", Cardinales, 2021 -
Nessun commento:
Posta un commento