Omaggio a Paul Auster
- di Roberto Brodsky -
La domanda non è più chi ha le mani pulite e chi no. La vera domanda sorge nel momento in cui ci si mette sulla difensiva, con la forte sensazione che il patto tra il lettore e lo scrittore sia stato rotto, o si è incrinato. Vale a dire, quell'accordo che aveva sospeso l'incredulità e la complicità - senza il quale la lettura perde il suo fascino e la scrittura diventa una pratica noiosa e indesiderata - è venuto meno, è evaporato. Cosa fare quando si arriva a questo punto? Quand'è che i segni condivisi hanno smesso di essere tali, e gli universali hanno cominciato a reggersi l'un l'altro, solo in quanto rovine di ciò che erano?
In letteratura, la domanda - il suo tono e la sua sincerità, il suo abisso, se così si può dire - non è nuova, ma si rinnova con particolare forza nella corrispondenza tra J. M. Coetzee e Paul Auster (morto alla fine di aprile) che ha avuto corso tra il 2008 e il 2011. Tra Adelaide e Brooklyn - luoghi di residenza dell'uno e dell'altro interlocutore - la questione relativa al senso e all'urgenza (o meno) della letteratura, intreccia una possibile risposta lungo i tanti temi secondari affrontati in "Qui e ora", il libro-dialogo tra Coetzee e Auster pubblicato una decina di anni fa. Rileggere oggi quell'epistolario è forse un modo sobrio ma indelebile di rendere omaggio all'autore della Trilogia di New York e del Leviatano, considerato da molti il più europeo degli scrittori americani di oggi, lettore di Kafka e di Edmond Jabès, complice di Perec e amico di Vila-Matas. E non a caso, il tema del libro è proprio quello dell'amicizia. Perché ci sono così pochi libri significativi che trattano questo argomento, essendo della massima importanza nella vita di ogni individuo e nel carattere dei personaggi immaginari? In che modo le persone scelgono i loro amici in gioventù? Può un uomo essere amico di una donna senza aver mai prima condiviso il letto, visto che nell'aria rimarrebbero tante cose "non dette", come suggerisce uno dei primi scambi di e-mail in Qui e ora? Per quale motivo la gente si innamora della propria amica o del proprio amico?
Il libro ha inizio proprio con Coetzee che solleva questo genere di dubbio in un suo primo messaggio che fa tornare in mente il romanziere Ford Maddox Ford - il quale per mezzo di uno dei suoi personaggi ci ha assicurato che gli uomini vanno a letto con le donne solo per poter parlare con loro: il primo passo è quello di diventare amanti. La seconda cosa, invece, ed è l'unica che conta, è diventare amici, guadagnare la fiducia dell'altro. Al che Auster risponde rimarcando quale sia la differenza tra amicizia e matrimonio, e lo fa a partire da una citazione assai appropriata di Joubert: «non scegliete come moglie una donna che non scegliereste come amico, se lei fosse un uomo». Cosa questa che - nelle attuali circostanze di ibridazione e bisessualità, transessualità e intersessualità - andrebbe letta con in mano un dizionario, e dopo aver assunto un buon avvocato. Sottolineando le differenze generazionali, Coetzee si mostra stupito per la consuetudine che hanno i giovani oggi, i quali sono prima amanti e poi amici, cosa che in contrasto con la sua educazione sentimentale, gli sembra che apra la strada a un concetto forse superiore di amicizia, vista come qualcosa di permanente e lontano dall'elemento misterioso che la domanda erotica suppone.
Sull'argomento, Georges Bataille ci ha lasciato un trattato filosofico, ma Qui e ora si attiene in modo leale al suo titolo, e lo fa in un continuo disperdersi e distrarsi rispetto alla questione che si trova al centro del carteggio: come affrontare la rottura dell'ordine simbolico che legava la lettura di un testo alla sua scrittura. Auster esemplifica il problema attraverso la richiesta - da parte di un lettore o di un editore capriccioso - che viene fatta all'autore, di non sostenere nella sua opera narrativa delle cause politicamente scorrette. Come se gli scrittori di gialli fossero dei potenziali serial killer, o gli autori che amano un buon hamburger non dovrebbero inserire nelle loro creazioni dei personaggi vegani? La stessa cosa si può dire riguardo l'antisemitismo di alcuni personaggi solitari, o dei giovani che indossano un foulard palestinese e che dovrebbero diventare degli eroi per i governanti morali del nostro tempo. Per l'autore di Moon Palace, l'immaginazione non deve cedere un solo millimetro della sua libertà nel creare quei personaggi e quei modelli plausibili che il mondo celebra e che lo scrittore parodizza. Dopo essere passato attraverso Beckett, lo sport, la reazione alla critica, Philip Roth, la linea mobile che separa estetica ed etica, il carteggio Auster-Coetzee concentra il suo interesse proprio sulla questione del linguaggio e della sua familiarità. «Si può avere avere una propria prima lingua, e tuttavia non sentirsi a casa propria; cioè, si può avere una prima lingua, ma non una lingua madre», scrive Coetzee. «La lingua è sempre la lingua dell'altro. Visitare una lingua costituisce sempre un'intrusione».
L'affermazione non potrebbe essere più precisa, visto che si tratta di Coetzee, il cui ultimo romanzo, Il Polacco, è stato pubblicato prima in spagnolo (El Hilo de Ariadna, Buenos Aires 2022), e solo successivamente è apparso nella sua versione inglese. In questo libro, l'autore sudafricano emigrato in Australia sembra rispondere alla questione sollevata nella sua corrispondenza con Auster a proposito di che cosa fare una volta rotto il patto che univa la narrativa di un autore con l'universo mutevole del lettore. Scritto nello stile che in Qui e Ora egli descrive definendolo come lo stile tardo di un autore anziano, Il Polacco è una storia d'amore e di amicizia tra Witoldo, un pianista di una certa fama che suona Chopin, e la sua padrona di casa spagnola, Beatriz, che lo riceve per il suo concerto nella sala Mompu nel Quartiere Gotico di Barcellona. Lui ha 72 anni e vive da solo, lei ne ha poco più di 50 ed è perfettamente sposata. Entrambi hanno i figli già cresciuti. La struttura del racconto è quella di un taccuino, diviso in sei brevi capitoli con delle brevi annotazioni all'interno di ciascuno di questi capitoli. Quasi come se il lettore assistesse a un concerto, con i suoi posti numerati, in cui Witoldo esegue ogni piccolo brano per un pubblico tanto impassibile quanto attento. Sebbene il testo possa essere letto come un romanzo, a rigor di termini è un romanzo poliziesco. E pertanto si gusta come tale. L'enigma inizia con la prima frase della prima riga del primo capitolo, che si chiude su sé stesso: «La donna è la prima a metterlo in difficoltà, seguita poco dopo dall’uomo». Fine della prima nota. E poi la seconda: «All’inizio gli è molto chiaro chi è la donna». Sorge spontanea la domanda su chi sia mai questo "altro" che viene menzionato con il pronome. A chi è che causa problemi, prima la donna e poi l'uomo? Indubbiamente, non è Witoldo, anche se la disposizione cerca di essere ambigua. Chi parla dietro le parole del narratore e si incarica di narrare, lui, il narratore, mentre si maschera e si rende confuso per tutta la storia? Nella quarta nota il romanzo poliziesco si fa esplicito: «Da dove vengono l’alto pianista polacco e l’elegante donna che cammina scivolando leggera»? chiede il narratore - quell'altro che ha delle serie difficoltà nel narrare i suoi personaggi, secondo quella che è la versione del narratore del narratore nella prima voce. Con il pretesto della semplicità, le trappole abbondano e si moltiplicano. È un gioco, certo. Ma un gioco che si interroga sul romanzo, sulla sua condizione attuale, sul narratore e sul suo oggetto, sul cadavere che emerge dai suoi silenzi e sulla resistenza che lo contrappone all'impazienza del lettore, sempre più distratto e ipocrita (Flaubert dixit).
E tutto ciò perché, nelle mani di Coetzee, il narratore è e non è - allo stesso tempo - coinvolto con la sua materia; quella materia che è Witoldo e Beatrice, due esseri impossibili uniti da incomprensioni, dai dubbi di un'amicizia improvvisa, dalla nostalgia fisica di corpi logorati dalla maturità, da confessioni che non commuovono, e persino da poesie che si correggono alla ricerca di una perfezione perduta. Tutto è sotto gli occhi di tutti, come ne La lettera rubata di Poe, eppure è impossibile trovare un appiglio in mezzo alla fragilità che attraversa il pathos dei personaggi dall'inizio alla fine. A un certo punto, verso la fine, e di fronte al ritrovamento delle poesie lasciate da Witoldo dopo la sua morte improvvisa, Beatriz pensa a Dante e alla sua amante immaginaria – lei stessa – come a un grande equivoco: il polacco ha usato il mito sbagliato, riflette. Lei, Beatrice, non è Beatrice; non è una santa, dice a sé stessa. «Quale sarebbe stato il mito giusto? Orfeo ed Euridice? La Bella e la Bestia?». L'amore è una finzione che abbraccia e brucia, conclude. Una finzione romantica, come i preludi di Chopin, e di cui si prende cura con malcelata nostalgia allorché, al momento dell'addio, scrive una poesia a Witoldo. Ed ecco che, a quel punto, la presenza fantasmatica del narratore del narratore è del tutto scomparsa nella vita reale dei personaggi che abitano la finzione, ripristinando così la legittimità della narrazione e la sua verosimiglianza. Dove la letteratura vacilla e muore, inizia la finzione; sembra dire Coetzee in questo nuovo giro di vite che riscatta il romanzo attraverso una passione scomoda. Una volta che la storia d'amore con il lettore è stata interrotta, ecco che non si può chiedere di più a un quaderno di appunti trasformato in una brillante difesa della narrativa. È anche la fede che Auster nutre in una delle sue ultime e-mail - in Qui e ora - quando commenta la buona salute di un pugno di romanzieri americani a proposito di "Tempi d'oro per i morti", un pulp-fiction di Charles Willeford con un titolo molto appropriato per lo stile tardo di Doctorow a 80 anni, di Coover a 79 anni, di Roth a 72, e di DeLillo a 74; al momento di chiudere lo scambio di e-mail con Coetzee, erano tutti quanti attivi e pieni di appetito immaginario. "Tempi d'oro per i morti", ripete Auster come se fosse un mantra. L'anno è il 2011 e, in una frase d'addio al suo amico, il narratore del narratore annota: «Meaning: New Hope for Us». Vale a dire, una nuova speranza per noi.
- Roberto Brodsky - Pubblicato nel giugno del 2024 su Rialta - fonte: Comunizar -
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