Puritanesimo e rivoluzione: le radici protestanti del radicalismo politico moderno
di Adrien Boniteau
Seguendo Max Weber, si insiste spesso su quelle che sono le radici protestanti dello spirito del capitalismo, e sul ruolo particolare che ha avuto il calvinismo per quel che riguarda la nascita dell'economia moderna. Tuttavia, non andrebbe posto un accento così forte sull'economia, al punto da far dimenticare la politica. Infatti, il protestantesimo, soprattutto nella sua parte puritana, ha contribuito a formare un'altra componente della modernità: la militanza politica e lo spirito rivoluzionario.
Oggi, il puritanesimo gode di una cattiva reputazione. Associato al neoconservatorismo americano e a una morale che viene considerata autoritaria e repressiva - in particolare nella sfera sessuale - viene criticato, spesso a ragione, per il suo rigoroso rifiuto di ogni edonismo, fino ad avvicinarsi all'ossessione patologica. Sul piano psicologico, la repressione delle emozioni messa in atto dalla morale puritana, ne farebbe un vettore di frustrazione e nevrosi. Sul piano sociale, la prescrizione di un lavoro intenso, al fine di mortificare una carne incontrollabile, avrebbe invece contribuito alla formazione di quell'ideale borghese del XIX secolo, insieme a tutti i suoi sbagli, ivi compresa la giustificazione del lavoro minorile; cosa che avrebbe favorito il successo di un capitalismo predatorio e schiavizzante. Sul piano ecologico, la diffidenza puritana verso un mondo peccaminoso avrebbe alimentato il desiderio di dominare una natura percepita come corrotta, e avrebbe coinciso con il delirio tecnicista relativo a un eccessivo sfruttamento degli esseri viventi. Neo-liberale e conservatore, moralista sebbene ipocrita, il puritano si configura attualmente come una vera e propria rappresentazione del Male - in particolare in Francia - laddove vediamo l'antiamericanismo popolare, sebbene in netta ritirata, ancora assai diffuso.
Ovviamente, il puritanesimo storico è più complesso di questa caricatura. Originariamente, l'insistenza sulla purezza che viene spontaneamente associata al puritanesimo è di carattere ecclesiale, piuttosto che morale. I Puritani erano quei protestanti inglesi del XVI e XVII secolo che volevano riformare la Chiesa del loro Paese, in modo da renderla più conforme al modello biblico, purificandola da alcuni dei suoi riti - quali l'inginocchiarsi davanti all'ostia o l'indossare il paramento ecclesiastico - che venivano volentieri assimilati a un retaggio "papista", vale a dire, cattolico romano.
Il significato storico del puritanesimo è piuttosto difficile da valutare. Moderno per molti aspetti, e all'origine di molti cambiamenti sociali in un'epoca in cui la Chiesa strutturava la società, rimaneva comunque caratterizzato da un biblicismo alla lettera, oltre che da un'insistenza sulla comunità, la quale senza dubbio conteneva la crescita e la diffusione dell'individualismo nascente. Se Max Weber ha associato il protestantesimo - in particolare quello di ispirazione puritana - allo spirito del capitalismo e all'emergere dell'imprenditore moderno, è chiaro che l'olismo e la disciplina collettiva del movimento hanno ostacolato l'indipendenza di pensiero e il senso di iniziativa caratteristici dell'individuo moderno. Pertanto, numerose analisi hanno, se non contestato, quanto meno fortemente ridimensionato l'analisi di Weber. Tra queste, quella proposta da Michael Walzer in "La Révolution des Saints. Etica protestante e radicalismo politico" (1965), che è per molti versi illuminante. Per il filosofo americano, il puritanesimo dovrebbe essere associato non tanto ai moderni principi dell'economia, quanto piuttosto a un'altra importante componente della modernità occidentale: la militanza e il radicalismo politico. Secondo Walzer, «l'emergere dell'organizzazione rivoluzionaria e dell'ideologia radicale» deve molto al Puritanesimo. In che modo perciò il puritanesimo storico avrebbe contribuito all'ideale moderno di rivoluzione?
Dal calvinismo al puritanesimo: la riforma militante
Il puritanesimo storico si presenta come se fosse una radicalizzazione del calvinismo. Assai diffuso nell'Inghilterra della fine del XVI secolo, il calvinismo ebbe una forte influenza su diverse generazioni di puritani. Il carattere disciplinare della teologia calviniana, l'insistenza sull'adozione razionale di verità enunciate e il rifiuto di ogni misticismo, fanno del calvinismo «il prodotto di uno sforzo, straordinariamente riuscito, di resistere agli impulsi personali e alle emozioni». Secondo Walzer, Calvino propone uno «stile intellettuale ma non speculativo» che finisce per formare una paradossale «teologia anti-teologica»: le speculazioni di tipo scolastico sulle gerarchie angeliche, sui disegni nascosti di Dio, o sui gradi della coscienza vengono scartate in quanto non scritte, inutili ai fini del comportamento cristiano, se non addirittura pericolose per la salvezza del credente. La teologia calvinista, e dopo di essa quella puritana, è risolutamente pragmatica. Essa cerca soprattutto di orientare l'azione del credente. Da un punto di vista collettivo, mira a determinare quelle organizzazioni sociali che meglio rendono gloria a Dio. Pertanto, essa è allo stesso tempo «pratica e sociale, programmatica e organizzativa». Calvino va perciò visto più come un "ideologo", che come un filosofo o un teologo speculativo.
Il calvinismo propone un programma rigoroso e coerente. Il credente deve fare tutto il possibile per costruire una «repubblica cristiana», a immagine della pia e ordinata Ginevra. Si tratta di riformare incessantemente il comportamento morale individuale, la Chiesa e tutte le istituzioni, in modo da renderle più conformi alle Scritture e al piano divino. E nel piano divino, ogni credente ha un suo compito specifico. Dio comanda al magistrato di riformare la Chiesa e di reprimere le eresie. In tal modo, la carica politica diventa così una vocazione religiosa. Al contrario, alla Chiesa viene affidato un compito che si potrebbe facilmente definire come politico. Dio affida ai leader ecclesiastici, sia pastori che laici, il compito di far rispettare la disciplina ecclesiastica in modo da costringere i recalcitranti a riformare il loro comportamento. Analogamente, il padre di famiglia è chiamato a fare della sua casa una «piccola chiesa», ad esempio celebrando quello che appare come un culto domestico quotidiano. Egli viene istituito da Dio come il magistrato e il pastore della sua famiglia. La visione calvinista della società corrisponde a quella di una comunità di santi, uniti dalla medesima fede, e che lavorano per la stessa causa. La coesione del gruppo si trova a essere rafforzata da una disciplina amministrata collegialmente, e relativamente decentrata. È questo ciò che distingue i credenti "rigenerati" dalla grazia divina dal resto del mondo, e tende a fare di ogni santo un «cristiano militante e attivista» (Walzer) che è stato chiamato a lottare per l'espansione del regno di Dio e il progresso della riforma.
Sulla linea del calvinismo, i puritani inglesi insistono sul carattere impersonale della causa a cui aderiscono. La loro comunità è composta da tutti i santi nominati da Dio e strappati dalle loro famiglie o dalle relazioni mondane. «Se qualcuno viene a me, ed egli non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e perfino la propria vita, non può essere un mio discepolo», ci dice Gesù (Lc 14,26). Applicando questo passo, il pellegrino protagonista di John Bunyan si tappa le orecchie in modo da non sentire le grida della moglie e dei figli che lo implorano di rinunciare alla ricerca di Dio, e di rimanere legato a loro. Il convertito viene chiamato a rompere con la propria parentela, per trovare fratelli e sorelle nella sua nuova famiglia, la Chiesa. L'organizzazione feudale della società viene così totalmente messa in discussione, a favore di relazioni consensuali. Tutti i legami personali vengono realizzati a partire dall'adesione alla causa divina. L'alleanza diventa il tipo di legame sociale puritano per eccellenza. I santi giurano collettivamente di glorificare Dio e di aiutare i loro fratelli in questo compito. La Chiesa puritana costituiva un'associazione volontaria fondata su un comune ideale e sulla medesima lotta: la riforma di sé stessi e della società. Questo prese la forma di un programma politico. Predicando davanti alla Camera dei Comuni nel 1641, il ministro Thomas Case dichiara che «la Riforma deve essere universale [...]. Riformare tutti i luoghi, tutte le persone e le vocazioni; riformare i tribunali, i magistrati inferiori [...]. Riformare le università, riformare le città, riformare le province, riformare le scuole, riformare il sabato [cioè il riposo domenicale], riformare le leggi e il culto di Dio». Il programma propugnato, sarebbe stato oggi definito rivoluzionario, per la sua portata e radicalità. La riforma totale è in ogni caso un luogo comune relativo al pensiero puritano. Nella sua Areopagitica (1644), il poeta John Milton mostra come «Dio sta organizzando un nuovo e grande periodo nella sua Chiesa, anche per riformare la Riforma stessa». La riforma viene qui presentata come un fine mai raggiunto, come un'impresa che deve ricominciare sempre, di nuovo. Mai nella storia del cristianesimo la Chiesa è stata così militante, impegnata in una costante lotta per estendere il regno di Dio quaggiù. Una militanza religioso-politica vicina a un ethos rivoluzionario, che pertanto costituisce uno dei tratti principali dell'ideologia puritana.
Teologia e psicologia: una disciplina di lotta
La teologia puritana, caratterizzata da un forte calvinismo, è per definizione radicale. La dottrina della caduta e della totale depravazione del mondo, lo attesta. In seguito al peccato di Adamo, Dio decretò che «il suolo sarà maledetto» (Gen 3,17). Secondo il teologo riformatore Lambert Daneau, la caduta corrompe quindi non solo la natura umana, ma anche la natura in generale. Generalmente, le teologie calviniste insistono su questo punto. La comunione dell'Eden viene irrimediabilmente compromessa. Le catastrofi fisiche, le malattie, la lotta per la sopravvivenza degli animali, l'inevitabilità dell'invecchiamento e della morte dimostrano quanto sia assurda ogni ricerca di un'armonia naturale. Solo la restaurazione finale vedrà il lupo mangiare insieme all'agnello, il leone mangiare la paglia come fa il bue, e il bambino giocare con le vipere (Is 11,6-8 e 65,25). Nel frattempo la creazione, essendo oggetto della «schiavitù della corruzione» (Rm 8,21),si trova a essere caratterizzata da disordine e contraddizione. Essa resiste solo sotto l'effetto della grazia divina. L'idea antica e medievale che parla di un cosmo armonioso e ordinato, viene così totalmente scartata. L'unità fragile e relativa che caratterizza l'universo, non è affatto intrinseca: viene imposta dall'alto, dalla Provvidenza. La cosmologia puritana tende a presentare un antagonismo tra una creazione disordinata in rivolta contro Dio e gli interventi occasionali, da parte del Creatore, volti a ripristinare, nella sua grazia, una parvenza di ordine.
Quel che vale per la creazione, vale anche per la società. Alla base della corruzione totale di ogni comunità umana, troviamo il peccato dell'uomo. L'ordine sociale, lungi dall'essere naturale, deve essere imposto con la coercizione. Ecco perché il compito dello Stato e della Chiesa, è quello di disciplinare i propri membri. Ogni società è il risultato di una lotta tra le forze sataniche e gli eletti di Dio. Solo la benevolenza di Dio, operante attraverso i suoi santi, garantisce un minimo di unità, soprattutto nella Chiesa. Anche il tradizionale edificio medievale, che modellava le istituzioni umane sull'ordine naturale, o addirittura sulle gerarchie angeliche, viene qui messo radicalmente in discussione. L'ordine sociale, lungi dall'essere il riflesso di un universo armonioso e coerente, è il risultato artificiale e provvidenziale di una lotta senza fine contro la rivolta che è intrinseca alla natura umana.
L'appello che viene fatto da Dio al credente, implica in realtà una lotta costante per riuscire a realizzare il suo regno in un mondo in rovina. La grazia divina opera nel cristiano, in modo da permettergli di superare il proprio peccato. La prova effettiva della giustizia e della salvezza divina, è la santificazione (Eb 12,14). L'autodisciplina è il segno che distingue il credente rigenerato. Il santo viene invitato a svolgere un'introspezione incessante e a una valutazione oggettiva, per confrontare il suo comportamento con le esigenze delle Scritture, secondo quelle che sono le parole dell'apostolo: «Esaminate voi stessi,per sapere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non sapete che Gesù Cristo è in voi? A meno che non siate dei reprobi» (2 Cor 13, 5). I segni della grazia e della salvezza o il marchio della riprovazione e della dannazione, si riconoscono a partire dalla presenza o dall'assenza dei frutti spirituali.
Una simile teologia fa dell'attività pia il segno dell'elezione del credente. Il lavoro diventa così un mezzo per autodisciplinare e trattare severamente il proprio corpo, come fa l'apostolo (I Cor 9,27). Per questo motivo, ogni forma di pigrizia, di inattività o di vagabondaggio viene condannata con fermezza. Il teologo William Perkins sottolinea come il vagabondaggio di Caino sulla terra, sia un segno della condanna e della riprovazione di Dio nei suoi confronti (Gen 4,12). Il vero riposo di Dio è stato promesso ai credenti solo al termine della loro missione terrena. In questo mondo, la vita è una lotta che richiede un costante lavoro su sé stessi. In particolar modo, si raccomanda ai credenti di studiare spesso, diligentemente e sistematicamente le Scritture, mortificare la propria carne e lasciarsi disciplinare dalla Parola di Dio che in esse si esprime. L'adozione su larga scala di tale approccio ha finito per portare a una popolarizzazione senza precedenti dei testi teologici, alla diffusione di una cultura biblica popolare e a una rapida cristianizzazione degli atteggiamenti in tutti i settori della vita, compresi quelli più umili. Il pastore puritano Dudley Fenner, scrivendo negli anni '80 del XV secolo, sosteneva che tutti i credenti avrebbero dovuto attingere al campo della teologia. Al limite, la chiesa puritana sarebbe una chiesa di teologi laici. Il puritanesimo proponeva un'etica dell'eccellenza spirituale, unita a un ascetismo intramondano che poneva grande enfasi sul lavoro. Come sottolinea Michael Walzer, «il santo, dubbioso circa la propri salvezza, era pertano portato a un'attività metodica e disciplinata». Il modello di santità attiva proposto dal puritanesimo, offriva una risposta all'ansia di salvezza degli uomini del XVI e XVII secolo. L'autodisciplina e la pietà in azione, danno tranquillità e sicurezza, purché vengano costantemente rinnovate. L'etica puritana era pertanto deliberatamente orientata all'attivismo religioso e al cambiamento sociale.
Trasformazione sociale e guerra santa: verso una rivoluzione cristiana
La fusione tra la cosmologia pessimistica del puritanesimo e la sua etica dell'attivismo, confluiva nella promozione di una guerra spietata contro le forze sataniche che erano all'opera nel mondo. Un predicatore parlamentare, Stephen Marshall, nel 1641 accennò a questa lotta: «Avete da compiere delle grandi opere, dovete seminare nuovi cieli e una nuova terra tra noi. Le grandi opere hanno [sempre] dei grandi nemici». Vista in questa prospettiva, l'Inghilterra appariva come lo scenario di uno scontro tra l'Anticristo, il «governo babilonese» e tutti i resti del «papismo», da un lato, e i soldati di Cristo dall'altro. Tre anni più tardi, Marshall ebbe a dichiarare che «in Inghilterra, l'unica questione ha a che fare col sapere se Cristo, o l'Anticristo, sarà signore e re». Questa visione binaria del mondo esclude ogni neutralità, e rifiuta il compromesso: «Che accordo esiste tra Cristo e Belial? O che rapporto esiste tra il fedele e l'infedele?» (2 Cor 6,15). La guerra spirituale è tanto intensa quanto di lunga durata.
L'opera di santificazione assomiglia pertanto a una «guerra permanente». Da un punto di vista individuale, è qualcosa di analogo all'autodisciplina. A livello di chiesa locale, la guerra viene condotta contro l'influenza nociva messa in atto da quei falsi credenti che non sono stati scelti da Dio, creando in tal modo l'immagine di una «comunità in guerra con sé stessa», secondo le parole di Walzer. La disciplina collettiva è simile a un vero e proprio «controllo sociale» che si fonda e si basa sull'associazione volontaria: ogni credente accetta volontariamente di sottomettersi a una disciplina fraterna volta a renderlo sempre più pio, più santo e più devoto. La guerra veniva condotta anche all'esterno della comunità, in modo da estendere così il Regno, e promuovere la causa della riforma. La Chiesa puritana assomiglia a un gruppo di pressione o a un'associazione rivoluzionaria che ha come Statuto la Bibbia. Le azioni dei suoi membri assunsero così quelle che sono le caratteristiche tipiche della militanza: petizioni al Parlamento o al Re finalizzate all'abolizione dei vescovi, campagne a favore di candidati santi nelle elezioni parlamentari, pubblicazione di opuscoli e libelli che chiedevano una riforma radicale della Chiesa, ecc. Tutti questi mezzi di espressione, pressione e persino propaganda contribuiscono alla formazione di una coscienza rivoluzionaria nell'opinione pubblica. Per il Puritano, l'impegno politico è la continuazione della guerra spirituale con altri mezzi.
Al contrario, la guerra è la logica estensione della militanza. L'idea della guerra santa permea il puritanesimo. Il Catechismo dei soldati delle armate di Cromwell (1644) chiede «Qual è il tuo mestiere?». La risposta coniugava confessione e professione: «Sono un cristiano e un soldato». La formula riecheggia molti trattati teologici: «un cristiano che si professa tale, è un soldato professionista», sostiene uno di essi. Spesso, ci viene ricordato che il Signore degli eserciti è un «guerriero valoroso» (Es 15,3), è il generale alla testa del suo reggimento di santi. Così come Dio comandò agli israeliti di sradicare ogni traccia di idolatria e di purificare dai cananei la terra promessa, allo stesso modo i soldati di Cristo sono chiamati a combattere una guerra totale contro il peccato e le forze dell'Anticristo. Rivestito dell'armatura di Dio (Ef 6,11-17), il credente impone a sé stesso una disciplina d'acciaio che lo prepara a combattere «la buona battaglia della fede» (I Tim 6,12). «La santa causa» di Cristo è il motivo centrale che giustifica la lotta del credente. Il pastore puritano John Owen, predicando ai parlamentari negli anni Cinquanta del XVI secolo, supplicava il suo pubblico: «Non guardate agli interessi dell'Inghilterra, ma agli interessi di Cristo».
Il forte cristocentrismo della teologia puritana si accompagnava a una costante messa in discussione dell'autorità. Il credente, per sua natura peccatore, si salva solo in virtù del sangue di Gesù Cristo che viene versato su di lui. Non può trovare in sé stesso alcuna giustizia che sia suscettibile di essere gradita a Dio. Bisogna che nasca di nuovo (Gv 3,7) sotto l'effetto della grazia divina, e che venga «crocifisso con Cristo», affinché Cristo viva in lui (Gal 2,20). Da quel momento in poi, nella sua vita è all'opera la potenza dello Spirito di Cristo, testimoniando così al mondo, in modo quasi oggettivo, che egli è l'eletto di Dio: è dai suoi frutti che si riconosce l'albero (Mt 7,15-20). Trasposto sul piano politico, questo ragionamento porta a delle conclusioni sorprendentemente radicali. Ogni magistrato che non lavora per il regno di Cristo, è un reprobo di Dio, e quindi può solo partecipare all'impresa di Satana. È perciò necessario combatterlo, dal momento che il compromesso con il diavolo è un abominio agli occhi di Dio. L'obbedienza si basa sullo scopo dell'autorità - la glorificazione di Dio - piuttosto che sulla sua natura. E quindi essa è condizionata. Ciò mina qualsiasi mandato politico. Per alcuni, solo i delegati pii e di riconosciuta santità possono essere obbediti, a condizione che siano quanto meno diligentemente coinvolti nella «causa santa». Per i più radicali, qualsiasi magistratura suprema è empia, poiché essa usurpa necessariamente la sovranità di Dio. Se solo Cristo regna sul credente, ecco che la legittimità del magistrato ne risente. Nel 1649, ad esempio, John Milton mostra come, a differenza degli israeliti, che si ribellarono a Dio chiedendo un re che li governasse (1 Sam 8), Cristo incoraggi invece gli inglesi ad abolire la monarchia, e a fare di Lui il loro unico Re: «Egli ci benedirà e ci darà il favore - a noi che rifiutiamo un re - di fare di Lui il nostro unico capo, il nostro supremo governatore». Teocrazia fa qui rima con anarchia. Infatti, «il Signore è il nostro giudice, il Signore è il nostro legislatore, il Signore è il nostro re. È lui che ci salva» (Is 33,22). I santi possono fare a meno di un magistrato: Dio è alla loro testa.
Pertanto, a costituire l'ideale puritano è il «santo coscienzioso, perennemente in guerra». Per Michael Walzer, fu il puritanesimo che «rese accessibile la rivoluzione, come mai prima, alle menti degli inglesi del XVII secolo».Tutto sommato, il puritano è un attivista assai simile al giacobino francese, o al bolscevico russo. Sebbene la sua causa differisca - l'ideale della riforma e del regno di Dio ha ben poco a che fare con la virtù robespierriana o con il comunismo marxista - tuttavia, la dedizione alla causa, la disciplina collettiva e la militanza combattiva danno forma a quello che appare come un medesimo ethos rivoluzionario. Lungi dall'essere un neo-conservatore auto-centrico, ossessionato dalla purezza della propria morale, il puritano storico è un rivoluzionario desideroso di cambiare le istituzioni in modo che esse glorifichino Dio. Ma il Regno non è certo di questo mondo (Gv 18,35). Dopo la Restaurazione del 1660, le correnti dissidenti del puritanesimo, ormai incapaci di trasformare una società che aveva trionfato e che si era imposta su di loro, arrivano a sostenere che il Regno di Cristo debba riguardare la sola sfera privata, e finirono così per propugnare una rigida separazione dal mondo basata sulla distinzione morale. Il moralismo prende il posto della militanza.
Al giorno d'oggi, la lotta del puritanesimo storico per l'avanzamento del Regno ci appare estranea e superata. Ma la sua iconoclastia rimane ancora in grado di parlare a una società delle immagini, della pubblicità e della propaganda, nella quale l'idolatria per quelle astrazioni quali lo Stato, il mercato e la tecnologia ha sostituito la pia adorazione? La lotta contro simili mostri freddi e oppressivi, non richiederebbe forse di far rivivere un'etica rivoluzionaria del genere, in grado di assegnare il primato solo a Dio, anziché al prodotto delle nostre mani? È questa la domanda che, a distanza di qualche secolo, la strana e perpetua lotta dei Puritani per la santità continua a porci.
- Adrien Boniteau - Pubblicato il 16/5/2023 su PHILITT. Philosophie, littérature et cinéma -