La fantascienza conformista di Varoufakis
- di Stavros Mavroudeas [*1] -
In un recente articolo (ampiamente diffuso negli ambiti sistemici, e non solo), Yanis Varoufakis, riferendosi alle attuali turbolenze bancarie internazionali, ha lanciato il presunto slogan radicale: «lasciamo che le banche brucino».
Com'è noto, questo autore non è certo famoso per la coerenza delle sue analisi economiche: tanto che, come si è descritto egli stesso, è un creatore di favole che si spaccia per economista. E l'articolo citato rientra a pieno titolo in tale categoria.
Inoltre, le opinioni politiche di Varoufakis variano - assai spesso simultaneamente - in una gamma che va da radicali (senza essere mai veramente di sinistra) a dichiaratamente conservatrici. Recentemente, per delle ragioni puramente opportunistiche di carattere elettorale, ha proclamato di aver compiuto una svolta «a sinistra». In questa sua recente mascherata, ha trovato solo pochi complici – volenterosi, e altrettanto opportunisti – per cui il suo successo elettorale continua a essere a rischio. Appare ovvio che - come nelle sue analisi scientifiche - l'«ambiguità creativa» (sinonimo di opportunismo e di inaffidabilità) continua a essere il tratto distintivo della sua presunta svolta politica radicale.
Cosa propone Varoufakis con il suo appello a bruciare le banche?
Rintracciare la sua prospettiva teorica, è cosa è un po' complicata (ma non difficile). Tralasciando una sua vecchia e falsa auto-descrizione, secondo cui egli sarebbe un «marxista erratico» (sembra però essere un po' troppo erratico per essere un marxista), ancora una volta dimostra di essere un keynesiano superficiale. Mescolando tale prospettiva keynesiana all'errata teoria della finanziarizzazione (la tesi secondo cui oggi esisterebbe un nuovo capitalismo dominato dai banchieri, i quali sfrutterebbero in modo usuraio sia i lavoratori che gli imprenditori), ecco che, nei suoi modi caratteristici, facendo riferimento a una classe solitaria e rapace, sostiene che sarebbe proprio questa «classe dei creditori e delle banche» a stringere il cappio intorno al collo della società nel suo complesso. Così, passa ad attribuire tutti i problemi finanziari contemporanei alla politica governativa che avrebbe pertanto «avvelenato il denaro dell'Occidente», senza mai sbagliare una volta. Non occorre avere profonde conoscenze politico-economiche per sapere che, a livello di politica economica, non è mai esistito un unico tasso di interesse nominale; ma che gli Stati conducono la loro politica monetaria intervenendo sullo spettro dei tassi di interesse.
A livello di teoria generale, potrebbe essere interessante se Varoufakis chiarisse in che modo - secondo lui - si dovrebbe determinare un tasso di interesse di equilibrio del mercato, nel capitalismo. Si tratterebbe di una quantità puramente monetaria che farebbe coincidere l'offerta di moneta con la peculiare domanda keynesiana di moneta (la quale, a sua volta, dipende dalla domanda di liquidità determinata psicologicamente)? O si tratta di un tasso di interesse naturale, come sostengono i neoclassici? Oppure consiste in un equilibrio tra domanda e offerta di capitale a prestito, però limitato dal tasso di profitto, come sostiene il marxismo?
Ma per questo economista, queste domande sono questioni di poco conto.
Sulle questioni più pratiche, l'opinione di Varoufakis, secondo la quale le banche dovrebbero essere lasciate fallire, non è una novità. Anche i seguaci di Hayek, dogmaticamente neoliberisti, continuano a sostenere una simile tesi.
Poi, andando avanti, come di consueto, egli si lascia andare a dei veri e propri progetti di fantascienza riformista. Propone di chiudere le banche private (!?). Sostiene che, da parte della Banca Centrale, dovrebbe essere creata una moneta digitale (nel caso europeo, com'è noto, sia per la BCE che per Varoufakis, uscire dall'euro sarebbe un disastro che solo una realistica disobbedienza europea può salvare!!!). Suggerisce anche di creare un portafoglio digitale basato sulla tecnologia blockchain (ma noi non dovremmo dimenticare il suo precedente coinvolgimento con lo sporco mondo delle cripto-valute). Seguendo tutte queste nuove istituzioni, ecco che allora i cittadini potranno avere dei depositi completamente garantiti. E se volessero ottenere un ritorno sui loro depositi, potrebbero - assumendosi il rischio di fallimento - metterli in banche d'investimento (!?). Un sistema bancario di questo tipo, secondo Varoufakis, dovrebbe così essere in grado di «rispettare le regole di un mercato ordinato» (ed è in questo che possiamo vedere come il radicalismo varoufakisiano può spingersi solo fino a un certo punto).
Ovviamente, egli ignora che nel capitalismo il sistema finanziario esiste per convogliare il capitale verso i capitalisti, e non per servire i piccoli depositanti. E che inoltre il capitale monetario non svolge gratuitamente questa mediazione. Ma anche nel caso che la Banca Centrale si dovesse impegnare nel raccogliere fondi, di certo non lo farebbe comunque gratuitamente. Da dove trarrà i suoi profitti per poter acquistare beni pubblici (come ci suggerisce benevolmente, ma oscuramente, Varoufakis)? Se (come premio di rischio) dovesse fissare un tasso di interesse più basso - e/o dovesse imporre un signoraggio più alto - sfrutterebbe comunque i depositanti. L'accesa discussione che ne consegue, sul "grande fratello” e sulla proposta di supervisione monetaria, tra Varoufakis e i cripto-monetaristi più liberisti, non è a mio avviso una discussione seria; ma indegna. E l'epilogo dell'articolo è eloquente: Varoufakis equipara i minatori ai banchieri, considerandoli dei nocivi beneficiari di sussidi sociali. Un'eccellente prospettiva di classe, la sua!
Ma il problema essenziale della fantascienza di Varoufakis, risiede nella sua ignoranza (?) di quella che è la relazione tra ll sistema finanziario, da una parte, e la produzione reale e l'accumulazione, dall'altra.
Per Varoufakis, nella terra del furbissimo cuculo che canta la finanziarizzazione, il tasso di interesse sarebbe pura usura che non ha nulla a che fare con il tasso di profitto.
Al contrario, il marxismo mostra giustamente come l'interesse sia parte del plusvalore creato dai lavoratori, di cui si appropriano i capitalisti industriali, e che viene poi ridistribuito tra questi e i capitalisti monetari.
Le attuali turbolenze finanziarie sono invece dovute al mancato aumento della redditività, che a sua volta limita il reddito del sistema finanziario, e porta al collasso della struttura capitalistica del debito e del capitale fittizio. Il capitalismo risponde a tale problema sostenendo il capitale strategicamente importante (come le grandi banche) e aumentando lo sfruttamento del lavoro.
Per il movimento operaio e la sinistra reale, è questo il fronte principale, e non il perseguimento di riforme bancarie utopiche che causano solo confusione e disorientamento.
Contro l'«ambiguità creativa» dei compagni di viaggio della politica borghese, il programma di transizione della vera sinistra deve dare risposte chiare e adeguate.
- Stavros Mavroudeas - 18 aprile 2023 -
NOTA:
[*1] Professore di Economia Política dell'Universita Panteão, Grécia. Articolo pubblicaro sul blog dell'autore.
fonte: Economia e Complexidade
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