Arringa per il Precettore
- Un assaggio di Politica dell'Istruzione -
di Hans Magnus Enzensberger
A scuola non ci sono mai andato volentieri, e Joseph neppure, per non parlare di Edith. Tucker la marinava spesso. Albert Kuchen, detto Hundekuchen ["biscotto per cani"], non ne ha mai avuto voglia, Gerlinde ha smesso prima della maturità, Rolle Gruetz ha ripetuto due volte, Milly Guggemoos odiava tutti i professori, nessuno escluso. Solo Rainer si trovava bene al liceo, ma quello è sempre stato un secchione; e se parliamo di Rummelein, la scuola era per lui una specie di rifugio, dato che a casa lo picchiavano e a scuola, perlomeno, nell'intervallo gli davano qualcosa da mangiare. Senza contare che le aule erano riscaldate.
Durante l'ultimo incontro al vertice tra la Commissione delle Regioni federali e il Consiglio dei Ministri delle Finanze, questi ultimi hanno sostenuto caparbiamente, com’è noto, che per l'anno 1985 saranno disponibili per l'intera voce « istruzione » solo gli 85 miliardi di marchi da loro stanziati, e non un centesimo in più. Pare che i colloqui siano stati interrotti senza risultati. Se si rimanesse alle cifre del piano, i circa 570.000 posti di insegnante attuali dovrebbero venire ridotti entro il 1985 a 520.000.
Già la sera del venerdì il vice-preside Vogel comincia a sospirare, pensando al lunedì mattina. Bernd Bonitz sostiene fermamente che i suoi 3.400 marchi netti al mese sono denaro sudato, che la scuola media è un vero e proprio gulag e che lui certamente non ci resisterà ancora per molto; la signorina Zimmerle si è messa in malattia, la sua collega Wildgruber tira avanti solo a forza di pillole, il dottor Wartman è deluso, il dottor Gross amareggiato, la moglie di Koegler vuole la separazione e Fritz Bauriedl ha detto recentemente durante il consiglio di classe: « Se sento ancora parlare di "quota di riduzione", mi metto a urlare! ».
Da che cosa può dipendere tutto questo? Nessuno, a quanto pare, lo sa. Tutte le indagini condotte, per quanto approfondite, tutti i progetti di riforma, tutti gli accordi presi dal Consiglio dei Ministri per la Cultura, tutti gli studi sulle particolarità comportamentali, tutte le esperienze pilota, tutte le commissioni di riforma, tutti i modelli di differenziazione dell'obbligatorietà del voto, tutti i « design » didattici, tutte le ricerche sui criteri di valutazione, tutti i progetti generali per l'istruzione e le direttive-quadro programmatiche, non hanno fatto altro che prorogare il lungo lungo lungo stato miserando della scuola.
Quasi mi vergogno a dirlo: la risposta io la conosco, la soluzione del problema è a portata di mano, ho la formula salvifica sulla punta della lingua. Temo che ciò venga considerato uno scherzo o una provocazione. Un profano totale, e scrittore per di più, pretenderebbe forse di avere in tasca la soluzione di un enigma sul quale si sono rotti la testa migliaia di esperti qualificati, psicologi della scuola, studiosi di « curricologia », pianificatori scolastici? È proprio così. Spero che gli addetti ai lavori aprano gli occhi e passino con gioia le consegne, non appena avranno ascoltato la buona novella.
Il principio in base al quale è stata, e resta tuttora, aperta la scuola pubblica, spicca, in tutta la sua innocenza, sotto lo scolorito quadretto di Gesù appeso sulla porta delle piccole scuole di campagna: « Lasciate che i pargoli vengano a me! ». E per quanto esotica possa sembrare questa citazione biblica ai risoluti membri dell'attuale Sindacato Educazione e Scienza, sicuramente essa determina, oggi come allora, i criteri direttivi di tutta la politica scolastica statale. Tradotto in linguaggio amministrativo, l'antico detto suona più prosaicamente:
« Par. 18, comma I. Qualora chi sia soggetto all'obbligo scolastico non partecipi senza giustificato motivo alle lezioni, ovvero ad altre attività scolastiche obbligatorie, il direttore didattico può richiedere l'esecuzione coattiva dell'obbligo scolastico stesso. Tramite i propri delegati, l'autorità amministrativa distrettuale può condurre coattivamente a scuola il soggetto sottoposto all'obbligo scolastico... »
« Par. 19, comma I. Può essere errogata una pena pecuniaria a colui ...che, sottoposto all'obbligo scolastico, non partecipi alle lezioni o alle altre attività scolastiche obbligatorie ».
Fin qui la legge generale sull'obbligo scolastico della Baviera; tutte queste disposizioni ricalcano le leggi del Reich del 1920 e 1938 relativa all'obbligo scolastico; chi volesse saperne di più, può leggere i relativi regolamenti dalle allettanti sigle ASchO e EBASchOG.
A scuola, non ci sono mai andato volentieri. Però ho sempre imparato volentieri qualcosa di nuovo. Anche Edith e Tucker, del resto. Per quanto riguarda Milly Guggemoos, non ne sono troppo sicuro. In ogni caso, ho in antipatia gli slogan del famigerato Padre Illich - « Istruzione? no grazie! » -, né vorrei assolutamente spendere parole a favore dell'Anti-pedagogia che, come dice già il nome, non è altro che il rovescio del terrore pedagogico. Anzi, troverei quanto mai piacevole se la popolazione della Repubblica Federale, ivi compresi tutti i politici, i manager, i giornalisti, fosse in grado di parlare tedesco e possibilmente addirittura di scriverlo. Sarei ben lieto se piccoli e grandi ne sapessero di più di quanto non sappiano, se le loro capacità e inclinazioni non andassero perdute, come accade regolarmente; a farla breve, se ciascuno sapesse quanto potrebbe sapere. Dirò di più: il nostro ordinamento costituzionale liberal-democratico non correrebbe pericoli neppure se si arrivasse a un'improvvisa esplosione di buone maniere.
Dubito solo che tali o analoghi traguardi pedagogici possano raggiungersi fin quando noi o i nostri figli verremo « portati a scuola coercitivamente ». E non mi è dato assolutamente di capire perché la montagna debba essere obbligata per legge ad andare dal profeta, quando la procedura inversa sarebbe di gran lunga più ovvia, più semplice, più razionale. Propongo perciò che in un tempo non troppo lontano, al posto dei dieci milioni tondi di scolari esistenti nel nostro paese, si mettano le gambe in spalla i summenzionati 570.000 insegnanti e vadano alla ricerca delle proprie pecorelle. Bisogna infatti tener presente che non gli studenti sono fatti per i professori, bensì i professori per gli studenti: questa è in effetti la motivazione basilare della mia proposta. Considerandola bene, ne deriva che l'unico vero maestro è il precettore, cioè il maestro-in-casa.
È vero che il precettore, così come lo conosciamo dai romanzi, dai lavori teatrali e dai diari di una volta, è una vecchia figura patetica, ma per nulla veneranda. Sono il primo ad ammetterlo. Per molti secoli quel povero diavolo, che a tavola aveva sempre l'ultimo posto, ha svolto il suo faticoso compito senza un sicuro trattamento economico, senza diritto a pensione, senza garanzie contro il licenziamento, per non parlare di indennità di residenza o di assegni familiari, di integrazioni di cattedra o di funzione, di conguagli. Di una sola cosa poteva essere certo: dell'umiliazione e dell'ingratitudine da parte dei suoi « protettori ».
Assieme a questa malinconica figura è tuttavia scomparso, con la statalizzazione della scuola, anche l'innegabile principio in base al quale quel povero disgraziato svolgeva il suo lavoro: i giovani, ai quali doveva inculcare qualche nozione, apprendevano nel loro ambiente abituale, tra le loro quattro pareti, là, nella loro casa, e non su di un territorio estraneo, inospitale, in un ghetto per la gioventù e per i suoi domatori, in un edificio che si presentava loro ostile, come una stalla, una gabbia, una prigione o una caserma.
La scuola pubblica è sempre stata, fin dagli inizi, territorio sovrano di un'amministrazione lontana, un luogo di oppressione, non certo escogitato da scolari o maestri, a proposito del quale né gli uni né gli altri potevano mai mettere bocca. I suoi edifici erano e sono architettura autoritaria. Una volta assomigliavano a degli scadenti istituti per cadetti, oggi hanno il sinistro aspetto di Stammheim. Lo si vede al primo sguardo che, come i manicomi e gli istituti di rieducazione, sono stati costruiti per custodire uomini e imporre loro un disciplina. Quei locali da tecnocrati, fusi in cemento armato, sono assolutamente inadatti per lo studio. Il vandalismo dei bambini, che rivela una sorprendente resistenza, non è altro che un imprescindibile tentativo di sbarazzarsi di questi ambienti pericolosi per tutti.
Colpisce invece il fatto che ben raramente capita di sentire di bambini che imbrattano la loro abitazione, o vi appiccano il fuoco o lo riducono a fuscelli. Perfino nella più angusta casa popolare i piatti si conservano generalmente integri. Evidentemente, i bambini di dieci anni non pensano affatto a fracassare il frigorifero o a gettare dalla finestra il televisore.
Mi si dirà: ma lei non parla sul serio! Qui, al n. 16 della Siegfriedstrasse, quinto piano a sinistra, dagli Schneidewind. in una comunissima casa d'affitto, dovremmo lustrar maniglie? Niente panico, cari pedagoghi! Spero ancor sempre di convincervi dell'eccellenza della mia idea. Per prima cosa, nessuno pretende da voi che, come l'infelice Jakob MichaelReinhold Lenz, siate a disposizione soltanto per i figli dei privilegiati. Non è assolutamente il caso degli Scheinedewind. In secondo luogo, non dovrete lavorare per avere un tozzo di pane dalle mani dei ricchi, come nei tempi andati, bensì, proprio come avviene ora, per avere uno stipendio dignitoso di mano del contribuente. E, terzo, non occorre temiate che il piccolo Schneidewind debba starsene rintanato da solo nella sua cameretta aspettando l'arrivo del maestro. Voi sostenete giustamente che non è bene isolare gli uni dagli altri i bambini di sei o di dieci anni, e che i ragazzi hanno bisogno della compagnia di ragazzi. Questa è una fortuna. Sarebbe infatti difficile trovare dieci milioni di maestri, uno per ciascun marmocchio, e ancor più difficile sarebbe pagarli. Da fonte competente ho saputo che il numero ideale per un « gruppo suscettibile di interazione » (è in termini così bizzarri che usano esprimersi le scienze sociali) va dalle cinque alle sette persone.
Da quanto ho detto sopra scaturisce spontaneamente il seguente ordinamento sperimentale. Verso le otto e mezzo del mattino la signora Zimmerle si mette sbadigliando alla guida della sua Volvo e si avvia verso la Siegfriedstrasse. Strada facendo, prende a bordo il piccolo Falk, che abita un po' fuori, in un quartiere nuovo. Altri tre ragazzi, che abitano subito dietro l'angolo, si sono già riuniti dagli Schneidewind.
È un piccolo appartamento di tre locali. Dato che i sedili per il nuovo informale angolo-conversazione sono stati sì ordinati, ma non ancora consegnati, l'ospite, la piccola Helga Schneidewind di sette anni, è andata a prendersi uno sgabello in cucina. Appena il circolo è completo - cinque scolari e una maestra - si comincia col fare colazione in tutta tranquillità. Poi può iniziare il lavoro.
La signorina Zimmerle non ha più bisogno di perder tempo col leggere, scrivere, far di conto, poiché questi ragazzi, a sette anni, se ne sono già impadroniti da parecchio. Si tratta dopo tutto di abilità che ogni essere umano, sopra i quattro anni e sotto i settanta, può acquisire in un paio di settimane senza sforzi particolari, a meno che non sia andato a scuola; qui, la cosa può durare anche vari anni, a seconda delle circostanze. Favoriscono l'apprendimento la mancata sorveglianza da parte di un superiore qualsiasi e l'assenza di un programma di studio, È il gruppo stesso a scegliersi le proprie letture. Libri e mezzi didattici vengono pagati attingendo a una piccola cassa portatile che la signorina Zimmerle ha sempre nella cartella. Al secondo o terzo anno si può cominciare gradatamente con la prima lingua straniera. È sbalorditivo vedere con quale rapidità un ragazzo di sette anni è in grado di capire un fumetto americano. La grammatica tedesca si può studiare utilizzando i rotocalchi « Bild » e « Frau am Spiegel », la signorina Zimmerle prima segna gli errori con la matita rossa, poi i testi vengono tradotti collettivamente in tedesco e redatti correttamente. Ma si possono anche utilizzare i giocattoli dell'ospite o dare un'occhiata alle figure nel "Libro d'oro del fai-da-te" del signor Schneidewind. Poiché le lezioni si svolgono ogni giorno in un'abitazione diversa, è garantito anche un certo svago. Gli Stachowiak, tanto per fare un esempio, hanno una terrazza, la famiglia Krieger ha addirittura un giardino con piscina e tennis da tavolo. Mamma Falk è francese, e papà Falk si è procurato di recente un video-registratore. Da loro viene proiettato di tanto in tanto un filmato televisivo in francese; se la vicenda è troppo complessa, la signorina Zimmerle provvede a un commento simultaneo. Ai ragazzi piace recarsi ogni giorno in una casa diversa; il che, volendo , può anche essere chiamato sociologia pratica. Quando gli scolari hanno fame, vanno insieme a fare la spesa, cucinano e rigovernano.
Talvolta il gruppo trova troppo insulso starsene seduti nelle abitazioni stipate di mobili. Allora i ragazzi sussurrano all'orecchio della signorina Zimmerle: « Vogliamo uscire! »E così, alle gite scolastiche faticosamente programmate, si sostituisce un tipo d'istruzione ambulante che, a seconda delle condizioni metereologiche e dell'estro, va a cercarsi le proprie mete. Si può dire che non esista luogo semi-pubblico al quale i cinque ragazzi non possano avere accesso: stazioni radio, fattorie, centri meccanografici, fabbriche di automobili, tipografie, conventi, alberghi di lusso. Invece di un'orda di cinquanta scimmioni urlanti e ostili, il pubblico avrebbe a che fare con cinque-sei esseri assolutamente normali - una manna per i frequentatori di musei.
Può anche darsi che i ragazzi costringano la loro insegnante a visitare una palestra. Il loro stimolo al moto non ha notoriamente limiti, ed è possibile che essi si sentano attratti da quelle gabbie pedagogiche per scimmie, dove c'è puzzo di sudor panico e dove, a comando, si può armeggiare alla spalliera o alle parallele, ci si può arrampicare su e giù per le pareti o gingillare con i manubri. Oppure i ragazzi insistono per avere un paio d'ore di sport impegnativi da cronometro e fischietto. Ma stento a crederlo, perché solo in minima parte i ragazzi sono masochisti, e per quanto riguarda la signorina Zimmerle, lei non sopporta addestramenti sadici. A creature dotate di istinti quasi normali non spuntano certamente sulle labbra termini come « educazione fisica » o « invigorimento corporeo ». Perciò i ragazzi urlano a squarciagola: « Facciamo una gara di corsa fino alla gelateria Rodelheim! Costruiamoci una capanna! Giochiamo alle bocce, a tennis da tavolo, a flipper! Andiamo sui prati lungo il fiume a giocare al pallone! Facciamo volare aquiloni! Fabbrichiamoci una zattera! ». E via di questo passo. Un circo ambulante pedagogico di tali modeste dimensioni non ha neppure bisogno di una particolare organizzazione. Può muoversi spontaneamente e liberamente. In caso di necessità, quando la metropolitana non sia a portata di mano, può perfino supplire la vecchia Volvo della signorina Zimmerle.
Il ritmo di apprendimento risulterà esclusivamente dalle attitudini e dalle esigenze del gruppo. Se l'insegnante vale qualcosa - e chi ne dubiterebbe nel caso della signorina Zimmerle? - e se i ragazzi e i genitori offrono la loro collaborazione, i progressi sono sorprendentemente rapidi. Non esistono « anni scolastici », la « maturità media »si ha quando si ha. Vacanze se ne fanno soltanto quando garba a tutti i partecipanti. Le date si possono concordare con un paio di telefonate. E con questo si elimina da solo il conclamato problema dell'« equalizzazione ». Non è poi detto che tutti gli scolari, gli insegnanti e i genitori della Germania debbano languire contemporaneamente nelle code delle autostrade Monaco-Salisburgo.
Anche l'orario quotidiano di lavoro per i ragazzi e per la signorina Zimmerle viene stabilito spontaneamente. Ogni casa ha un proprio andamento giornaliero, in base al quale ci si può regolare. È ovvio che, complessivamente, per la signorina Zimmerle le « ore di lezione » risultino più numerose di prima, ma ciò non vuol dire gran che. Anzitutto, ella non ha più a che fare con un'orda di trenta-quaranta dervisci urlanti, ma soltanto con cinque singole persone che conosce a fondo. In secondo luogo, si è scrollata di dosso gli interminabili consigli di classe, le sorveglianze durante gli intervalli, la burocrazia, gli intrighi e le beghe nella sala professori. E in terzo luogo non ha più quaderni da correggere alla sera, poiché i compiti domestici si sono per così dire auto-eliminati dal momento che tutti i compiti vengono fatti a casa.Una tragicommedia nazionale con milioni di protagonisti è stata spazzata via inesorabilmente dall'oggi al domani, e nessuno ci verserà sopra una sola lacrima. Nello stesso modo è sparito lo spregevole racket delle « ripetizioni private ».
Scuolabus e tessere mensili non esistono più. Il tragitto per la scuola si riduce a tre-cinque minuti di percorso a piedi.Ogni anno sulle strade vengono arrotati un duemila ragazzi in meno. L'anonimità della scuola è acqua passata. Tutti i partecipanti, genitori compresi, sanno esattamente con chi hanno a che fare. Le difficoltà vengono eliminate per tempo. In caso di conflitto, il ragazzo o l'insegnante può cambiare di gruppo. La parola « classe »suona piuttosto anacronistica. Il gruppo non si forma in base a una chiamata tipo leva, ma per aggregazione spontanea.
« Le schiere di burocrati che in passato avevano il compito di vessare scolari e insegnanti con circolari, programmi di studio, norme e istruzioni, questionari, disposizioni di massima e per gli esami, ora possono tranquillamente essere rispedite a casa o indirizzate ad attività produttive. Il sistema del precettorato rende in massima parte superfluo l'apparato statale di vigilanza. La necessità di un controllo istituzionale è infatti altrettanto irrazionale della paura di fronte all'anarchia. Come si regolino da sole certe patenti situazioni sociali, lo si può vedere nella sala arrivi di un qualsiasi aeroporto. L', quando la quintessenza della proprietà privata, la propria valigia, un oggetto considerato addirittura sacro, procede solennemente sul nastro trasportatore seguito dagli sguardi cupidi di centinaia di viaggiatori, non c'è alcun sorvegliante pubblicamente abilitato pronto a impedire il reato incombente. Il semplice controllo sociale sostituisce la repressione. Il violento viene tenuto a bada, l'avaro deriso, il pauroso tranquillizzato, lo spaccone preso per i fondelli. In un piccolo gruppo di scolari e di genitori si fa presto a passare parola che un insegnante è svogliato, incapace, o terroristico più di quanto si possa sopportare. Un pedagogo del genere perderà ben presto i suoi clienti. »
Lo so bene che nella nostra comunità ad avanzare una proposta si passa per ingenui. L'idea che qualche cosa possa essere diversa da quella che è, viene ritenuta folle da tutti coloro che hanno qualcosa da dire, e di conseguenza la follia può regnare sovrana e incontrastata. Però, dal momento che ho deciso per una volta di essere ragionevole, almeno nei limiti e nelle finalità di questa arringa, devo essere pronto a rintuzzare qualsiasi possibile obiezione fondata, anche se nessuno la dovesse sollevare. Ma chi pagherà tutto questo?, potrebbe domandarmi ad esempio uno che mi prendesse sul serio, quindi una persona immaginaria. Ha pensato ai costi?
Sì, ho pensato ai costi. Coloro che debbono ben saperlo, affermano che il sessanta per cento tondo della spesa pubblica per l'istruzione è costituito dalle « pure spese per il personale ». Il restante quaranta per cento è assorbito quasi totalmente dalla costruzione e manutenzione degli edifici scolastici. Salvo alcune trascurabili eccezioni, questo enorme importo può essere risparmiato. Ci sono poi da aggiungere le sovvenzioni per l'inutile trasporto di dieci milioni di scolari e le spese per una burocrazia che non serve ad alcuno scopo palese.
Gli edifici esistenti, come ho detto sopra, sono idonei a finalità umane solo in misura limitata- Le costruzioni scolastiche migliori potrebbero forse essere utilizzate come case di riposo per anziani come asili per senza-tetto; la stragrande maggioranza si dovrà invece farla saltare in aria. Così, se non altro, si libereranno aree di grande valore al centro di zone abitate dove, trovando architetti all'altezza del compito, si potrebbero costruire case popolari. Qualche scuola, una per circoscrizione e una per quartiere, si potrebbe anche lasciarla. Ogni tanto, diciamo una volta al mese, servirebbe da luogo tra scolari e insegnanti dei vari gruppi, per scambiarsi esperienze e fare confronti. Gli incerti e i disertori potrebbero cambiare gruppo:qualcosa a metà tra le festa e la Borsa. E se lo Stato, sempre preoccupato per il nostro bene, vuole avere a ogni costo i suoi esami, che li tenga, per amor di Dio, sia pure per un certo periodo di transizione, tra le spoglie pareti all'ombra delle quali sono nati.
Il 40% di 60 miliardi di marchi è una bella sommetta. Basterebbe largamente per reclutare senza difficoltà tanti insegnanti quanti ne occorrono per le quotidiane visite domiciliari. Le forze lavorative non dovrebbero scarseggiare. I nostri instancabili compilatori di statistiche hanno scoperto che per i prossimi anni dovremo contare su oltre centomila insegnanti disoccupati. Vorrei inoltre fare presente che nessuno, nemmeno i nostri più solerti programmatori scolastici, è in grado di sapere quanta gente in questo paese ha la capacità di insegnare qualcosa a qualcuno. Gli esami di Stato non forniscono naturalmente nessun criterio a questo proposito. Determinate qualità e attitudini umane hanno più peso per l'« abilitazione all'insegnamento » di tutte le roboanti ciance strombazzate dalle cosiddette scienze pedagogiche. Sarebbe auspicabile in tutta sincerità una certa « sprofessionalizzazione » del magistero. Non si capisce neppure perché ciascun futuro precettore debba diventare impiegato a vita. Non a tutti piace la sentenza « vita natural durante », e non tutti ci tengono poi tanto. Si dovrebbe piuttosto guardarsi intorno, alla ricerca di maestri zoccolanti o part-time che, con o senza diploma, siano disposti ed abbiano voglia di assumersi un compito del genere. Dopo un paio di mesi, si vedrà pure se valgono qualcosa, e dopo un paio d'anni si potrà discutere se siano degni di avere una pensione a nostro carico.
Sarà. Per la scuola elementare, tutto ciò potrebbe anche andare. Ma come la mettiamo con le scuole di alto grado? Con i licei, con gli istituti tecnici, o addirittura con gli istituti superiori e con le università? Vuol far saltare in aria anche questi? Come se lo immagina? Forse che la cucina di Helga Schneidewind dovrà ora servire anche da centrale elettrica, da biblioteca universitaria e da laboratorio di fisica?
Rispondo: mio caro, autorevole e perciò inesistente interlocutore, io non ho detto affatto questo! Io non propongo mica un piano pedagogico generale in sostituzione di un altro qualsiasi piano pedagogico generale. Lasciamo quindi la scuola nel suo guscio. Con un progetto come il mio (o, dal momento che siamo ormai in due, forse mi è concesso dire: come il nostro), con un progetto come questo, dico, si dovrebbe cominciare dal poco. Diciamo: da qualche parte nel distretto di Eschwege, in zona periferica, in un paio di villaggi, oppure in qualche città media della Ruhr, con duecento ragazzi divisi in gruppi di cinque, ragazzi che non si deporterebbero più, come avviene ora, giorno dopo giorno a scuola. Occorrono quaranta insegnanti, o diciamo pure cinquanta, per caso che l'uno o l'altro si ammali o voglia tornarsene al solito tran-tran. Quanto a minare gli edifici scolastici, possiamo anche attendere finché vedremo come si sarà avviata la nostra scuola ambulante. Se le cose si mettono bene, allora proseguiremo su scala più vasta; se vanno male, vedremo di indagare dove stanno le deficienze. Nei genitori, ad esempio. Che esistano genitori vanitosi, autoritari, ambiziosi, lo sa ogni insegnante e ogni ragazzino. Mirano per lo più a un solo risultato, al « successo scolastico », che di solito vanificano con le loro stesse mani mediante i brontolamenti nevrotici. All'idea di un'istruzione non basata sul terrore reagirebbero probabilmente con sospetto. Ma non appena si evidenziasse che i loro figli, senza sforzi particolari, imparano a ritmi mozzafiato (come nelle mie previsioni), la loro resistenza si sgonfierà rapidamente. Forse si trasformerà addirittura in un entusiasmo esagerato: allora bisognerà spiegare con tatto ma con fermezza che i loro figli non sono gli unici geni esistenti sulla faccia della terra, ma che tutti noi siamo incredibilmente dotati. Altri genitori, com'è noto, sognano ancora « un'educazione adeguata al proprio rango ». Questi sono i peggiori. Sarebbero pronti a chiudere subito i loro figli in un ghetto sociale affinché possano godere di ciò che gente simile chiama « relazioni giuste ». Il loro sogno sarebbe un precettore che radunasse intorno a sé solo figli di dentisti di sei anni, in modo che in nessun caso vengano a sapere qualcosa della realtà. È difficile immaginare un destino peggiore.
Del resto, finora nessuno ha inventato un progetto didattico in grado di scardinare la società classista. Una soluzione definitiva del problema non è a portata di mano. Dovremo affidarci alla furbizia, alla curiosità e alla testardaggine dei ragazzi, che in genere hanno poca voglia di tener d'occhio, mentre ancora giocano con la sabbia, le smanie carrieristiche coltivate dai loro genitori - e all'abilità del precettore di convincere anche l'ultimo dentista, mescolando pazienza, saggezza e oculata pressione, che un ambiente sociale omogeneo produce degli idioti.
Un po' alla volta, quando i ragazzi cresceranno, quando sapranno di più e vorranno sapere di più, dovremo darci da fare per trovare degli specialisti, precettori che non lavoreranno più, un giorno dopo l'altro, sempre con lo stesso gruppo, ma alternativamente una volta qua una volta là, inserendo una giornata dedicata alle scienze naturali, analizzando un'impresa economica, insegnando la loro materia in inglese, fosse anche meteorologia. E via di questo passo. Tenga presente che il precettore è sempre più mobile e più flessibile del maestro di scuola, che non ha a che fare con una classe numerosa, ma con un piccolo gruppo; che anche gli scolari possono muoversi più agevolmente e, con un minimo di mezzi e di organizzazione, scegliersi i luoghi id cui hanno bisogno, anche il gabinetto di fisica, anche la biblioteca universitaria, anche la centrale elettrica.
E tutto questo, come andrà a finire? Caro amico, lo si vedrà col tempo. E l'università? Ah, l'univeristà... per quella proprio non sarebbe un gran male. Se Lei in questi ultimi anni ha messo piede in uno di quei baracconi di cemento, ammetterà che nessun essere umano vi può più resistere. Anche i professori preferiscono starsene a casa loro. Possiedono per lo più abitazioni molto accoglienti in luoghi privilegiati, in case antiche o in ville, grandi a sufficienza per accogliere un piccolo seminario di quattro o sei partecipanti.
Ho l'impressione che Lei si sia proposto l'obiettivo di privatizzare del tutto l'istruzione.
Se vuole esprimersi così... Ciò che propongo, lo chiamerei piuttosto socializzazione; tempo solo che parole come questa non significhino più gran che.
E che cosa si riprometterebbe, se un'intera regione decidesse di attuare la Sua assurda proposta?
Vediamo: per Milly Guggemoos, non saprei dire. Joseph ci starebbe subito, Edit anche; solo per Rummelein vedrei qualche difficoltà. « Hundekuchen » farebbe in compenso salti di gioia. Il vece-preside Vogel andrebbe in pensione anticipata. Bernd Bonitz ci farebbe presto l'abitudine, la collega Wildgruber potrebbe scaraventare le sue pillole nel water, e Fritzi Bauriedl mi pare proprio di sentirlo esclamare con invidia: « Mi mangerei il fegato a pensare che ai miei tempi non c'era una cosa del genere! ». E io... già, io sarei d'accordo in tutto e per tutto con Fritzi Bauriedl.
- Hans Magnus Enzensberger -Plädoyer für den Hauslehrer - 1982 -
- traduzione di Claudio Groff -
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