Il caos, anziché l'egemonia
- Gli Stati Uniti, come potenza egemonica sono in crisi, ma il che non significa che la Cina li sostituirà. Tuttavia, le dittature autoritarie di Cina e Russia potrebbero essere il futuro del capitalismo -
di Tomasz Konicz
Se dobbiamo credere alle dichiarazioni dei vertici russo-cinesi, il XXI secolo sarà contraddistinto da un'era di egemonia cinese. A metà marzo, a Mosca , nel corso dei summit bilaterali di guerra, il presidente russo Vladimir Putin ha parlato della necessità di «costruire un ordine mondiale multipolare più giusto», il quale porrebbe fine all'era dell'egemonia degli Stati Uniti. Tale progetto, che mira a un ordine mondiale multipolare, costituisce l'ideologia di tutti gli Stati autoritari della semiperiferia, i quali cercano - attraverso il rafforzamento di un loro potere imperialista e per mezzo di politiche di guerra - di succedere agli Stati Uniti in declino, e ottenere così un'analoga supremazia, o dominio, a livello regionale se non - come nel caso della Cina - addirittura globale; simile a quello che gli Stati Uniti avevano nella seconda metà del XX secolo. L'attuale aumento dei conflitti regionali tra Stati, in una fase di crisi globale in cui non esiste più effettivamente alcuna potenza mondiale egemone, è l'espressione di tale disordine mondiale multipolare.
Che si tratti degli imperialisti russi, dei mullah iraniani o dei neo-ottomani turchi, quel che motiva il loro antiamericanismo ideologico è soprattutto l'invidia per i mezzi di potere degli Stati Uniti, sempre più ridotti. La diminuzione di potere è dimostrata soprattutto dal dollaro USA, il quale, come valuta di riserva mondiale, ha permesso agli Stati Uniti di accumulare degli enormi debiti; non da ultimo quello per finanziare la propria macchina militare. E così, avviene che diversamente da quel che avviene negli Stati Uniti, quando ad esempio il presidente turco Recep Tayyip Erdogan decide di mettersi a stampare banconote, l'inflazione nel Paese semplicemente aumenta. Ecco perché oggi stanno facendo scalpore gli ultimi accordi di politica monetaria tra Cina, Russia e diversi Paesi della semi-periferia. A metà marzo, durante una visita di Stato a Riad, il presidente cinese Xi Jinping ha promosso un cambiamento relativo al commercio di petrolio con l'Arabia Saudita, che permetta di usare lo yuan cinese, in modo da contrastare così la «crescente trasformazione del dollaro in armi». Simili accordi bilaterali relativi alla valuta, sono in discussione anche tra Cina e Brasile, e tra Cina, Pakistan e Venezuela. A marzo il Financial Times ha avvisato i leader occidentali, dicendo che dovrebbero prepararsi a un futuro «ordine monetario mondiale multipolare», sebbene il dollaro rimanga chiaramente e comunque la valuta più utilizzata nel commercio internazionale. Questa tendenza alla de-dollarizzazione può essere ben compresa solo nel contesto del declino imperiale degli Stati Uniti, visto nell'ambito del processo di crisi globale. Tuttavia, ciò chiarisce anche perché la Cina, in quanto potenza egemone, difficilmente potrà succedere agli Stati Uniti.
Nel suo libro, "Adam Smith a Pechino", il sociologo italiano Giovanni Arrighi ha descritto la storia del sistema mondiale capitalista come una successione di cicli egemonici: una potenza in ascesa, in una fase di ascesa caratterizzata dall'industria produttrice di merci, conquista una posizione dominante nel sistema; in modo che così, dopo una «crisi di egemonia», inizia la discesa imperiale della potenza egemone. In questo processo, il settore finanziario acquista sempre più importanza. Finché, alla fine, la vecchia potenza egemone viene sostituita da una nuova, con maggiori mezzi di potere. Questa sequenza può essere tracciata empiricamente, sia riguardo al Regno Unito che agli Stati Uniti. Il Regno Unito e il suo impero, divenuti l'officina del mondo nel contesto dell'industrializzazione del XVIII secolo, nella seconda metà del XIX secolo sono poi diventati il centro finanziario mondiale, per essere sostituiti, nella prima metà del XX secolo, a causa dall'ascesa economica degli Stati Uniti, i quali a loro volta hanno vissuto la propria crisi egemonica durante la stagflazione degli anni Settanta. A ciò ha fatto seguito la deindustrializzazione degli Stati Uniti, cosa che ha portato al dominio economico del settore finanziario statunitense. L'indebitamento, della potenza egemone discendente nei confronti della potenza imperiale ascendente, del quale si è occupato anche lo stesso Arrighi, è visibile sia nella situazione dell'indebitamento della Gran Bretagna rispetto agli Stati Uniti, sia nel crescente disavanzo commerciale degli Stati Uniti rispetto alla Cina. Il dollaro americano aveva conquistato la sua posizione globale nel contesto del boom fordista del dopoguerra, quando il Piano Marshall stabilì l'egemonia degli Stati Uniti anche nella parte occidentale dell'Europa devastata. Ed è stata proprio questa fase duratura del boom fordista, che ha costituito la base economica dell'egemonia statunitense. Con la fine del boom postbellico - nella fase della stagflazione, della finanziarizzazione e dell'implementazione del neoliberismo - la base economica del sistema egemonico occidentale è cambiata. Nell'aggravarsi della crisi sistemica di sovrapproduzione, gli Stati Uniti, sempre più indebitati, sono diventati, in un certo senso, il «buco nero» del sistema mondiale, che ha finito così per assorbire tutta la produzione in eccesso di quegli Stati orientati all'esportazione, come la Cina e la Germania Ovest, attraverso i loro deficit commerciale; a spese dell'avanzamento della deindustrializzazione e dell'indebitamento. Il regime cinese (come il governo tedesco) aveva pertanto tutte le ragioni per tollerare l'egemonia statunitense, e il dollaro come valuta di riserva mondiale, dal momento che senza il mercato di vendita statunitense, l'ascesa della Cina fino a nuova «officina del mondo» non sarebbe stata possibile.
Tuttavia, a causa del dispiegarsi della crisi socio-ecologica globale del capitale, sembra assai poco probabile che il XXI secolo inauguri un'era di egemonia cinese, e che lo yuan possa succedere al dollaro statunitense. La fase ascendente della Repubblica Popolare, segnata dal dominio della produzione industriale di materie prime, si è svolta nell'ambito dei già menzionati circuiti di deficit globale, nei quali il debito in Occidente ha generato la domanda per l'economia di esportazione cinese. Questa fase si è conclusa con lo scoppio della crisi del 2008: con lo scoppio delle bolle immobiliari negli Stati Uniti e in Europa, le eccedenze estreme delle esportazioni cinesi sono diminuite (con l'eccezione del commercio con gli Stati Uniti), mentre i giganteschi pacchetti di stimolo, che il governo di Pechino ha lanciato in quel periodo per sostenere l'economia, hanno cambiato la natura dell'economia cinese: le esportazioni hanno finito per perdere importanza, mentre l'industria edilizia nazionale, e il settore immobiliare finanziato dal credito sono diventati i principali motori della crescita economica. In tal modo, è diventato pertanto evidente come la Cina si sia già lasciata alle spalle, nel 2008, la sua crisi che segnalava la transizione verso un modello di crescita guidato dai mercati finanziari. La crescita della Cina, ora dipende quindi anche dal credito, e la Repubblica Popolare è fortemente indebitata, allo stesso modo in cui lo sono i centri occidentali in declino del sistema globale. L'economia deficitaria cinese, produce degli eccessi speculativi anche maggiori di quelli degli Stati Uniti, o dell'Europa occidentale; come è stato dimostrato, nel 2021, dalle crisi del mercato immobiliare cinese gonfiato. Dal punto di vista economico, il declino dell'egemonia della Repubblica Popolare, a causa della crisi sistemica globale, è già iniziato, per quanto non sia ancora recuperato il ritardo sul piano geopolitico.
Ciò appare particolarmente evidente nelle ambizioni di politica estera della Cina, che con la «Nuova Via della Seta» ha avviato un ambizioso progetto di sviluppo globale, sul modello del Piano Marshall, e che ha causato alla Repubblica Popolare la prima crisi del debito internazionale. Secondo il Financial Times, dei circa 838 miliardi di dollari, che la Cina ha investito fino al 2021, per costruire un sistema economico e di alleanze - incentrato su di essa - nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, nel corso della crisi attuale (a causa della pandemia e della guerra in Ucraina) sono a rischio di default circa 118 miliardi di dollari. Al momento, non c'è alcuna ripresa economica globale in vista, ma solo sovra-indebitamento e inflazione. La Cina appare quindi essere in declino ancor prima di aver raggiunto l'egemonia, e questo a causa delle sue impressionanti montagne di debiti in patria e all'estero. A ciò si aggiunge il limite esterno ed ecologico del capitale, dal momento che nel corso della sua modernizzazione capitalistica di Stato, la Repubblica Popolare è diventata il maggior emettitore di gas serra; il che rende estremamente dubbio, dal punto di vista ecologico, un percorso di sviluppo analogo per gli altri Paesi del Sud Globale; e questo a causa della minaccia di una catastrofe climatica (e ciò sebbene sia assolutamente osceno predicare al Sud Globale la rinuncia, da parte dei centri, senza essere in grado di indicare un percorso di sviluppo alternativo). Al ciclo storico di egemonia del sistema globale capitalista, ora si sovrappone pertanto il processo di crisi socio-ecologica del capitale stesso, che interagisce con esso e mette in atto una fusione tra l'ascesa e il declino dell'egemonia cinese. Eppure, sullo sfondo della crisi socio-ecologica, il conflitto tra l'Eurasia russo-cinese e l'Oceania degli Stati Uniti, nella quale l'Ucraina e Taiwan costituiscono rispettivamente il campo di battaglia attuale e quello futuro, può certamente anche essere considerata come una contrapposizione tra il futuro e il passato. Si tratta di una lotta tra la fine dell'era della gestione neoliberale della crisi e l'imminente era del dominio apertamente dispotico e autoritario, in cui mobilitazione reazionaria e disintegrazione sociale interagiscono, già paradigmaticamente visibile nell'oligarchia statale russa e nel dominio mafioso.
- Tomasz Konicz - Pubblicato su Jungle World, 20.04.2023 -
Nessun commento:
Posta un commento