Fin dalle prime righe, l'ultimo romanzo di Aleksandar Hemon - "The World and All That It Holds" [Il mondo e tutto ciò che contiene], pubblicato nel 2023 - presenta una singolare commistione di lingue: il protagonista è Rafael Pinto, il quale, pur avendo studiato a Vienna, a causa della morte del padre, deve tornare a Sarajevo per occuparsi della farmacia di famiglia. Fin da Vienna, racconta il narratore di Hemon, Pinto scriveva poesie in tedesco; scriveva anche in bosniaco, ma lo faceva solo quando parlava di Saravejo. Aveva anche provato a scrivere in Spanjol, ma gli sembrava sempre che, quando lo faceva, a scrivere fosse qualcun altro: tutto quanto suonava sempre come se fosse un antico proverbio (p. 4).
Lo "Spanjol" - che compare qui per la prima volta e che verrà citato innumerevoli volte nel corso del romanzo - è la lingua dei Sefarditi (o ladino), discendenti degli ebrei originari del Portogallo e della Spagna che in seguito all'Editto di Granada del 1492 vennero espulsi dalla penisola iberica ("Sepharad"). Il narratore ce ne dà un esempio traendolo dai tentativi di poesia di Rafael Pinto: «Bonita de mijel, koransiko de fijel; Kazati i veras al anijo mi lo diras», e così via. "APOTHEKE PINTO", dice la scritta della farmacia; durante l'orario d'ufficio, Rafael risistema la poesia adattandola alle diverse lingue: «Light changes the world», pensa, e poi la riformula in tedesco: «Das Licht ändert die Welt», e così via (p. 8).
Hemon non solo torna al paesaggio della sua giovinezza e di ciò che forma gran parte dei suoi altri libri, ma riprende anche quelli che continuano a essere anche dei legami inter-testuali, fondamentali non solo per la sua opera ma anche per tutta una parte della letteratura del Novecento: ritroviamo gli echi della nostalgia del crollo dell'Impero, raccontata da Joseph Roth nei suoi romanzi ("La cripta dei cappuccini", "La marcia di Radetzky"); ritroviamo la vita in trincea e gli orrori della Prima guerra mondiale, sulla falsariga di quanto è stato stabilito, come criterio, da Ernst Jünger in "Tempeste d'acciaio"; ritroviamo anche l'ironia poliglotta di autori come Vladimir Nabokov, Charles Simic e Joseph Brodsky.
fonte: Um túnel no fim da luz
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