Fine della corsa...
- di "Temps critiques" -
Continuità e discontinuità
Come si è detto nei nostri precedenti opuscoli, la lotta contro il decreto pensioni - così come il movimento dei Gilet Gialli, o le lotte contro i cosiddetti «grandi progetti» - rappresenta un imbarazzante ritorno della «questione sociale», e lo fa in un momento in cui i «problemi della società» vengono posti - da parte poteri forti, dai media e da alcuni gruppi di opinione - come se fossero le questioni più urgenti da risolvere. Ma questa riapparizione, oggi sta avvenendo in forme nuove e più varie, e contrariamente a quanto pensano alcuni, queste varie forme di protesta, o movimenti, non costituiscono affatto delle «sequenze» (una parola, che in questo momento sembra essere di moda) in un processo lineare che, da un lato, andrebbe in maniera unilaterale verso un «sempre più»: vale a dire, sempre più sfruttamento e sempre più dominio sugli esseri umani e sulla natura, e verso sempre più repressione (ma anche sempre più «resistenze»); mentre dall'altro andrebbe invece verso un «sempre meno»: sempre meno diritti, sempre meno progresso, sempre meno uguaglianza... A tal punto che – se davvero così fosse - è inevitabile chiedersi cosa mai riesca a far stare in piedi un «sistema» talmente apocalittico. La risposta - per cui si finisce per vedere questa situazione solo come nient'altro che il risultato di un potere che si basa esclusivamente sulla forza delle baionette («lo Stato di polizia») - appare assai povera, politicamente. E di fatto, una simile risposta si riesce a imporre solo se accettiamo il rischio di non tener conto delle situazioni concrete, e di quelle che sono le reali differenze di trattamento da parte delle autorità. Così vediamo che la repressione contro i Gilet Gialli o quella che è stata messa in atto ai grandi bacini del Deux-Sèvres non equivale in alcun modo a quella attuata invece nel conflitto pensionistico, e non c'è bisogno di essere dei grandi esperti per capirne il motivo. La scommessa che è stata fatta sulla salvezza e la riproduzione del rapporto sociale capitalistico, è molto più importante, e la posta in gioco è assai più alta! Relativamente a quelle che sono le due parti, si assiste a un tira e molla tra continuità e discontinuità; tura e molla che costituisce una delle caratteristiche della dinamica del capitale. L'abbiamo detto più volte: per noi non esiste alcun «piano» del capitale, e questo dal momento che, e nella misura in cui, esistono dei conflitti tra le diverse frazioni del capitale; e oggi sono proprio questi conflitti a essere predominanti rispetto a quell’antagonismo capitale/lavoro che prima dava il ritmo alla lotta di classe. Ed è questo movimento di andirivieni a riguardare, in senso stretto, le trasformazioni del capitale; ma che riguarda anche le relazioni con la natura e con la forma dello Stato.
Sulla forma Stato
Traiamo spunto dal modo in cui Henri Lefebvre ha definito lo Stato: una «forma di forme»; vale a dire che lo Stato viene visto come il potere di dare forma a delle forze, dei movimenti, delle ideologie che, se non contraddittorie, sono quanto meno antagoniste. A partire da questa ipotesi, si potrebbe dire che nell'attuale momento politico a essere in conflitto sono due forme: la forma sindacale, associata a una forma di opposizione parlamentare, da un lato, e dall'altro lato la forma esecutiva che è quella del governo/legge/Stato nazionale. Fin dall'inizio, l'antagonismo tra queste due forme ha inglobato tutti quanti gli interventi politici e ideologici in gioco sul tema delle pensioni; e lo ha fatto nella misura in cui esso non ha rimesso al centro la questione del lavoro in generale. Pertanto, parlare di antagonismo è quindi esagerato, dal momento che la dimensione del rifiuto del lavoro che si è espressa qua e là, soprattutto attraverso i riferimenti alla «faticosità», è rimasta limitata alle richieste intorno a tale «faticosità», ma non tanto per porvi rimedio, bensì piuttosto per negoziarla all'interno della riforma delle pensioni; come se l'obiettivo fosse quello di ricreare dei nuovi «regimi speciali» che potessero prendere il posto di quelli vecchi, dei quali si stava annunciando la progressiva abolizione.
Ragion per cui, non sorprende che fin dall'inizio di tutta la vicenda l'opposizione alla legge sulle pensioni sia rimasta connotata dalla forma sindacale (ossia, da quella intersindacale) e pertanto segnata da un conflitto che rimane nella sfera politica; per l'esattezza in quella strettamente giuridico-legale. Grazie e attraverso la forma sindacato, lo Stato sa così di avere un interlocutore (sebbene rifiuti temporaneamente il dialogo), ed è questa determinazione ad appesantire e a conformare tutta la conflittualità attuale, rispetto a un antagonismo che - come abbiamo visto con l'articolo 49.3 - viene trasferito nella forma politico-giuridica: la speranza in una decisione favorevole da parte del Consiglio Costituzionale, che come contrappunto ha l'odio che si sviluppa contro Macron, Darmanin e la sua polizia. Come al solito, a partire da quella che abbiamo chiamato la «rivoluzione del capitale», la CFDT è stato il sindacato più abile nel riuscire a cogliere fin dall'inizio il quadro di una situazione ben definita - se non addirittura limitata - ribaltando la vecchia posizione leninista del sindacato in quanto cinghia di trasmissione verso il partito; una strategia di cui ora invece la CGT non sa proprio più che farsene, visto che il partito è diventato un partito di massa. Non c'è alcun rischio di «tradimento» dei sindacati nei confronti della loro «base», dal momento che la temperatura è stata subito quella di un livello basso e fluttuante di scioperanti; ma non c’è neppure il rischio che possa tracimare parte di questa stessa «base», visto che la situazione sul campo ha rapidamente rivelato il fatto che i sindacati non costituiscono più la retroguardia della lotta, dal momento che si sono dovuti frenare per non trovarsi loro malgrado all'avanguardia. Ne sono prova, tra l'altro, gli slogan relativi agli scioperi ripetibili -proposti da un sindacato "Solidaires", i cui membri sono sinceramente «movimentisti» - ma che però sono rimasti lettera morta dato che sono stati proposti come se fossero una ricetta miracolosa, senza alcuna analisi ragionevole rispetto alla situazione della mobilitazione e allo stato dei rapporti di forza. Questa ritualizzazione di alcune nuove forme (lo stesso vale per il «blocco») che erano già state sperimentate in precedenza e altrove, non ha fatto altro che nascondere malamente quella che è l'impossibilità di uno sciopero generale, il quale avrebbe integrato sia l'estensione degli scioperi rinnovabili sia quei blocchi intensivi efficaci che impedissero le requisizioni da parte di un potere che rimasto ancora abbastanza sicuro di sé. Viceversa, ricordiamo come lo Stato, riguardo la vicenda dei Gilets jaunes, sia invece in quel caso rimasto per un certo periodo un po' disorientato, dal momento che niente e nessuno nel movimento poteva costituire un interlocutore (un «rappresentante credibile») per lo Stato, per i partiti politici, per i sindacati, per i media, ecc. Di qui, relativamente ai poteri dello Stato, il grande divario tra il movimento attuale e quello dei Gilets jaunes. I Gilets jaunes hanno attaccato i principali luoghi in cui si esercita il potere statale: un ministero, le prefetture, gli uffici dei rappresentanti eletti, i giornalisti e i canali mediatici, ecc. Nulla di simile nel movimento attuale, e questo a causa della determinazione statalista/antistatalista delle manifestazioni. Non stiamo vedendo i sindacati, e i loro (deboli) servizi di sicurezza, guidare i manifestanti ad attaccare una prefettura! E per una buona ragione: almeno dal secondo dopoguerra, la forma sindacale è stata una componente potente della gestione statale delle relazioni sociali, e questo anche se in Francia rimane ancora una dimensione di protesta difficilmente riscontrabile in altri Paesi europei. In questo senso, anche se si sono indeboliti, sia in termini numerici che di rappresentatività, persistono come forma, piuttosto che come forza. Così, si sono rifatti una verginità, e persino una reputazione occupando un posto di opposizione che né i partiti politici, né i gruppi di sinistra, né i vari tentativi di coordinamento di base sono stati in grado di occupare. Una situazione che ha portato gradualmente all'occupazione delle strade (o precedentemente delle rotonde) in quanto unica forza di coloro che non rappresentano niente e nessuno se non la lotta.
La protesta a ogni costo
Le manifestazioni contro la riforma delle pensioni di Macron, anche se rientrano nell'azione della forma sindacale, realizzano un compromesso con delle forze minoritarie che non hanno più un interlocutore più o meno istituzionale che le rappresenti... o che non vogliono più essere rappresentate. Questo diventa assai chiaro se guardiamo la testa di un corteo, che appare più come un ambito favorevole all'azione, in un mix iconoclasta di quello che rimane dei Gilets jaunes, delle frazioni di sinistra e dei sindacati irriducibili. Ed è altrettanto evidente anche per la testa di un corteo che detta il ritmo della manifestazione in base a degli «obiettivi» casuali che appaiono lungo il percorso. Quel che di fatto si impone è un vagabondaggio erratico che disorienta i sindacati, per i quali invece esiste solo un punto di partenza e un arrivo senza intermezzi, e che dev’essere raggiunto il più rapidamente possibile; prima di disperdersi poi altrettanto rapidamente. Quelli che vengono attaccati quindi, sono soprattutto i simboli che, malgrado le intenzioni iniziali, non causano alcun cambiamento nei rapporti di forza, e questo perché ci troviamo nel regno del performativo velleitario. Si crea così una sorta di sfogo della rabbia - in parte per delega – visto che c'è un pubblico per fare questo, ma è uno sfogo vano. In questo senso, quel che stiamo facendo è solo giocare a essere contro lo Stato. Bisogna perciò mettere in discussione la strategia dei Black Bloc, dal momento che essa si mostra e appare solo come un metodo di confronto, e non come un gruppo che sviluppa un orientamento o una strategia politica. Al di là della copertura protettiva, data loro dalla testa del corteo [*1], è chiaro che sono loro a determinare gli obiettivi, i quali sono essenzialmente obiettivi finanziari, e che il più delle volte essi evitano gli scontri diretti con la polizia; cosa da cui proviene la sgradevole impressione di un'alleanza oggettiva con i manifestanti cui si lascia gestire l'interno della manifestazione, dato i Black Bloc non si trovano più alla testa del corteo, ma costituiscono invece come una sorta di movimento nomade, il quale durante la vicenda dei Gilet Gialli non esisteva. Dal momento che i Black Bloc, e a maggior ragione i vari gruppi anti-fa, non erano il riferimento, o comunque non erano il riferimento principale, essendo che il «quasi-soggetto» del movimento erano i Gilet Gialli. Lo slogan «tutti odiano la polizia» oppure l'ACAB (All Cops Are Bastards) - importato dai Paesi anglosassoni – si focalizza sull'avversario che ci fronteggerebbe: uno Stato di polizia. E questo in un momento in cui possiamo constatare che la repressione della polizia è certamente dura, ma meno di quanto lo sia stata quella esercitata contro i Gilet Gialli. Fiorisce perciò un discorso contro lo Stato e la sua polizia che però contraddice l'idea di milizia del capitale che è stata espressa dai manifestanti più politicizzati. In effetti, gli organismi e le associazioni padronali, nel migliore dei casi, si limitano a un'adesione di facciata alla riforma, sostenendola senza parteciparvi. E non sentono la stessa necessità che ha il governo di scavalcare i sindacati dei lavoratori, per quanto cogestiscano le pensioni integrative, accompagnino i cosiddetti "senior" nelle forme di progressivo disimpegno dal lavoro basato sulla contrattazione aziendale, e non sull'imposizione di una riforma rigida applicabile ovunque e per tutti. Quello che i padroni cercano è assai più la fluidità e la flessibilità. Quanto agli esperti e agli altri economisti mainstream come Patrick Artus, le cui parole dominano la scena mediatica, non si mostrano calorosi sostenitori della riforma a tutti i costi e, in ogni caso, non di questa riforma, e tra loro sono ben pochi quelli che in Francia sostengono che ci fosse una reale necessità di finanziare la spesa pubblica a basso costo, ora che la BCE non pratica più l'interesse a tasso zero. Inoltre, i Black Bloc, e gli altri insurrezionalisti, sollevano solo marginalmente [*2] la questione del confronto politico o militare con lo Stato e con le forze dell'ordine. La manifestazione di Sainte-Soline contro i bacini è un caso emblematico. Quindi - contro la riduzione dello Stato alla sua forza di polizia - è necessario riaffermare che il carattere autoritario di un potere politico e delle sue forze dell'ordine è inversamente proporzionale allo stato di consolidamento e alla capacità di dinamica del rapporto sociale capitalista che lo sottende.
A partire da questo punto di vista, oggi in Francia, la riproduzione di tale rapporto sociale è altrettanto problematica di quanto lo fosse quella che riguardava l'Italia negli anni Settanta (giudicata all'epoca come l'anello più debole del capitale [*3]). Problematica, perché il livello di conflittualità globale - se ci riferiamo all'evento dei Gilets jaunes da un lato, e alla volontà del potere politico dall'altro, di fare a meno delle vecchie mediazioni senza averne proposte di nuove (tralasciando le caricature del «grande dibattito») - rimane alta, senza che essa però prenda la forma di una lotta di classe. E così non sono tutti ad odiare la polizia, tutt'altro; la logica dello slogan andrebbe addirittura rovesciata, come dimostrano le indagini sul campo su questo corpo dello Stato. In tal senso, lo slogan «la polizia odia tutti» sembra assai più appropriato. Lo Stato - quando lo descriviamo come uno Stato-rete - non si riduce alla sua polizia, e il capitale non si riduce agli uffici bancari e ai cartelloni pubblicitari. Così facendo, in tal modo, il rapporto sociale capitalista nelle sue fondamenta viene ampiamente risparmiato. Per esempio, attaccare le filiali bancarie e i bancomat non mette in discussione la mercificazione e la monetizzazione del nostro rapporto quotidiano con il mondo, e non mette neppure in discussione il processo di smaterializzazione e virtualizzazione del denaro. Non c'è più nulla di cui riappropriarsi, e il saccheggio tumultuoso si riduce a essere solo la sua espressione più semplice. Così, nei cortei, l'anticapitalismo, spesso mescolato all'antifascismo, rimane enfatico e impreziosito da azioni spettacolari contro alcune delle sue emanazioni (banche, immobili, pubblicità), senza che ci sia un vero attacco al potere politico (prefetture, municipi [*4]), o un tentativo massiccio di bloccare fabbriche e impianti. Pertanto, la manifestazione muscolare può essere vista solo come un surrogato dello sciopero del passato (il quale poteva costare al capitale assai più delle vetrine), ma che però, per alcuni partecipanti, è quasi diventata una guerriglia esistenziale (almeno così dimostriamo di essere contro il sistema). Ma per gli strati di lavoratori salariati, e attraverso le strategie sindacali, si tratta solo di continuare a rimanere visibili e di ridefinirsi in relazione alle trasformazioni del rapporto sociale capitalistico. È per questo che Berger della CFDT si accontenta di un «Abbiamo fatto quello che dovevamo fare per dimostrare che esistiamo ancora»... nel «nuovo mondo», potremmo aggiungere. Una resistenza ridotta a «resilienza», in qualche modo, se vogliamo. «Dal rifiuto alla rivolta», abbiamo titolato un nostro precedente intervento. E il riferimento sindacale alla manifestazione del 1° maggio può essere considerato, in questo senso, un «gesto forte» di seppellimento. Le azioni durante le manifestazioni esprimono questo desiderio di esorcizzare un forte senso di impotenza nei confronti di un mondo che sembra sfuggire a ogni controllo. Un fenomeno, questo, che era già evidente nei movimenti precedenti, ivi compreso il «non movimento» contro il green pass sanitario. Questa dimensione catartica [*5] è stata particolarmente evidente dopo le manifestazioni durante la sera del 49.3, poiché prima si trattava di cortei sindacali tradizionali nei quali c'era perfino qualche difficoltà a prendere la testa del corteo; dato che i giovani non erano ancora particolarmente presenti visto che si tratta di una preoccupazione che era assai lontana da loro. Questo aumento dell'intensità negli scontri con la polizia ha dato alle manifestazioni un ritmo e una cadenza che hanno avuto un effetto formativo. Una esercizio che ha in qualche modo ridotto le separazioni tra i partecipanti iscritti a un sindacato, o a un'organizzazione politica e i singoli manifestanti, o i Black bloc. Il significato di queste pratiche durante le manifestazioni - che alla fine sono state piuttosto ripetitive e senza alcuna vera novità - è stato quello di una collettivizzazione delle aspirazioni e della rabbia, piuttosto che la ricerca di una comunità di lotta, o a maggior ragione di una comunità di vita, anche se temporanea o parziale. Nessuno spazio pubblico è stato occupato, e tanto meno appropriato, per farne un luogo di lotta e di vita comune. Questa è una differenza storica fondamentale rispetto alle manifestazioni dei Gilets jaunes e alla loro appropriazione delle rotonde. L'aspirazione alla comunità era profonda, tra i Gilets jaunes. Potremmo anche citare la ZAD di Notre-Dame-des-Landes come modalità d'azione analoga (tranne che per il fatto che il contenuto politico era estraneo agli uni e agli altri); per non parlare di Lip, Larzac e di molti altri momenti. C'è un immenso rifiuto, ma non di questo mondo di cui facciamo parte, e del quale riproduciamo in maniera contraddittoria la sua sopravvivenza; bensì di «questo mondo» che vediamo come se fosse esterno a noi, perché un numero crescente di persone non riesce a immaginare nulla di concreto come manifestazione di tale rifiuto. Così la gente dice di non volere questo mondo, ma non riesce nemmeno a creare qualcos'altro, e poi qualcos'altro per cosa? Attualmente, molti dei manifestanti stanno sviluppando un discorso generale assai catastrofico. Tra di loro sono molti quelli convinti che sia tutto assai peggio di prima, che il nostro universo individuale e collettivo si stia restringendo, e che il corso del mondo stia andando verso il peggio. Tuttavia, non è esattamente questo ciò che possiamo vedere intorno a noi quando ci rendiamo conto che le mobilitazioni non sono solo scandite dall'«agenda» sindacale, ma piuttosto da quella delle vacanze scolastiche o dai crediti abitativi.
La forma dello Stato-nazione è in crisi
In un testo redatto alla fine del movimento dei Gilet gialli [*6], si rileva una crisi di legittimità dello Stato. A partire dal fallimento della politica, che oggi colpisce uno Stato nazionale in profonda crisi, questa situazione prende una nuova strada. Non era stato previsto - in maniera particolare in Francia - che a partire da tutto ciò sarebbero diventati compatibili, da un lato, la verticalità della decisione politica di origine giacobina, che Macron incarna in modo caricaturale e, dall'altro, quei nuovi dispositivi, o quelle intermediazioni territorializzate che si attivano in base alle nuove condizioni sociali, e che, nel processo di riassorbimento, sostituiscono progressivamente e sempre più le istituzioni centrali. Ma oggi è invece proprio questa compatibilità, quella che viene cercata, in un mix di iniziative pubbliche (i cosiddetti «grandi progetti») e private, di piattaforme, di consigli e di comunità digitali che operano anche negli spazi più «privati» di quelle che sono le relazioni sociali e l'intersoggettività. Ad esempio, sembra che i rappresentanti dei sindacati di polizia in quanto tali siano direttamente o indirettamente coinvolti nella definizione delle modalità di intervento durante le manifestazioni. Inoltre, e ad esempio a Sainte-Soline, sembra che l'intervento dei Quad (quadricicli fuoristrada) fosse stato previsto, ma senza permettere che venissero usati gli LBD (flashball, proiettili in gomma); solo gas lacrimogeni ... Associazioni, agenzie, gruppi professionali e tecnici, e le società di consulenza non sono degli intermediari, bensì, piuttosto, dei veri e propri dispositivi interni alle politiche statali. Ciò tuttavia non significa che dovrebbe essere riattivato il concetto di Stato sociale che era stato avanzato in "Tempi critici n. 10" («Lo Stato verso la totalità sociale»), dal momento che è la relazione sociale stessa che tende a perdere il suo carattere istituito, e che se non è virtualizzata viene immediatizzata.
Simultaneamente, assistiamo anche a una certa autonomizzazione della politica, rispetto a quello che era la sua funzione tradizionale all'interno del II livello, vale a dire quello del vecchio Stato nazionale in crisi; come se il potere esecutivo volesse trasportare questo problema di riproduzione direttamente al livello dell'ipercapitalismo di vertice (I livello), grazie alla priorità che viene data alle restrizioni di bilancio, al debito e al rispetto delle regole di convergenza europee. Tuttavia, questa tendenza viene a essere contraddetta dalla necessità di dover prendere in considerazione il cambiamento climatico, che rende il II livello un asse essenziale dell'azione statale; come è stato dimostrato dall'importanza assegnata alla questione dei « grandes bassines » e, oltre a questa, alla questione dell'acqua, già sollevata a Sivens, e quella dell'alimentazione, per non parlare dell'arma alimentare. Il ridispiegamento dell'azione statale in questi settori in relazione alla crescita dell'agro-business (cfr. la nuova figura della FNSEA - Fédération nationale des syndicats d'exploitants agricoles) ridefinisce le articolazioni tra locale e globale, tra nazione, regioni e territori, tra istituzioni e reti. [*7]
La difesa della "vera" democrazia
Stiamo assistendo anche al ritorno di una difesa della democrazia, la quale sarebbe stata disattesa da un governo che non si pone più alcun limite, e che non rispetterebbe più né il parlamento né «la strada», sciogliendo in tal modo quello che era un tacito contratto sociale. Questa favola democratica, propone un ritorno alla «repubblica sociale» dei Trent'anni gloriosi, la quale però sfruttava comunque i lavoratori fino all'ultima goccia del loro sudore, in condizioni di lavoro che oggi sono difficilmente calcolabili: una vita media dei lavoratori compresa tra i 59 e i 62 anni, a seconda della qualifica... e una pensione a 65 anni. E infine, una repubblica sociale conclusasi sotto il segno di un « decennio che era durato anche troppo », in un bellissimo mese di maggio 1968. Di questa favola, ne possiamo trovare un esempio archetipico nell'ultimo intervento di Jacques Rancière, ripreso da "AOC (Analyse Opinion Critique)" e pubblicato da "A contretemps" [*8] il 21 aprile 2023, col titolo: «L'ordine repubblicano di Macron». A nome di «un soggetto chiamato popolo» - il quale verrebbe ignorato dalle autorità - Rancière propone e prospetta l'«opinione pubblica» vista come autentica espressione della volontà popolare. Un potere che si è ridotto a uno Stato di polizia ci starebbe conducendo verso una «controrivoluzione conservatrice», alla Thatcher; si tratterebbe di «un programma bellicoso di distruzione di tutto ciò che ostacola la legge del profitto: fabbriche, organizzazioni dei lavoratori, leggi sociali, tradizioni di lotta operaia e democratica.» Rancière ragiona come se il capitalismo fosse ancora industriale e operaio, con le sue «fortezze operaie», coni suoi quartieri e con le sue « banlieues rouges »; insomma, come se il filo rosso delle lotta di classe non si fosse mai spezzato, e che per ristabilirlo ora fosse necessario richiamarsi a un modello di riferimento rappresentato dal Consiglio Nazionale della Resistenza (CNR), sotto influenza stalinista. Ed è stato sotto tali auspici che il governo ha potuto riassumere l'iniziativa con i suoi « 100 giorni per la Francia », mentre allo stesso tempo tra i manifestanti si sviluppavano azioni che assumevano la forma di concerti di casseruole. È stata questa forma di protesta, che ha segnato la fine delle ostilità, anziché attivare nuove modalità. Essa sembra esprimere un ultimo risentimento e lo fa per mezzo di un rituale carnevalesco [*9]. Del resto, se gli spostamenti dei ministri vengono ostacolati dai manifestanti, le autorità e Macron non possono non registrare la dimensione codina di simili azioni. Infatti, a fare paura, non è più l'offensivo « vi si viene a cercare » dei Gilet Gialli, bensì un difensivo « vi si renderà difficile la vita ». Una dichiarazione, questa, di cui avremmo fatto a meno.
- Temps critiques, 30 aprile 2023 - fonte: mondialisme.org
NOTE:
[*1] - Quindi, le manifestazioni sono composte da una testa del corteo, poi dai Black bloc, e infine dai sindacati.
[*2] - Si veda «Perché i poliziotti sono tutti dei bastardi? Sciogliere la polizia», articolo di Serge Quadruppani & Jérôme Floch su Lundi matin #306: https://lundi.am/pourquoilespolicierssontilstousdesbatards . Negli Stati Uniti, questo punto è stato discusso, però dal punto di vista del carattere razzista della polizia, e non del suo rapporto con il capitale. Inoltre, il fatto che la principale forza di polizia era quella locale, piuttosto che quella federale, permetteva che ci fossero minacce occasionali e localizzate di de-budgeting, le quali possono essere applicate solo con difficoltà nei confronti di una forza di polizia nazionale di tipo francese; originariamente associata all'idea di un servizio di pubblica sicurezza che è stato istituito dopo l'epurazione ed è stato accompagnato dalla creazione delle «Compagnies républicaines de sécurité».
[*3] - Su questo punto, il confronto tra l'attuale situazione francese e quella italiana degli anni Settanta deve limitarsi alla questione della debolezza del rapporto sociale capitalistico, e alla sua problematica riproduzione. Poiché, infatti, le modalità dell'azione politica, le forme dei raggruppamenti politici, il contenuto delle proteste, l'estensione della lotta in tutti gli ambiti della vita quotidiana, ecc. sono molto diversi.
[*4] - A Lione, Sia il Municipio che i municipi del 1° e del 4° arrondissement hanno subito danni molto lievi, ma la cosa non ha avuto alcun senso collettivo, dal momento che molti partecipanti che si sono rifiutati di prendere parte all'operazione hanno espresso l'idea che si stesse attaccando un servizio pubblico locale...
[*5] - L'uso di questo termine, permette di connotarlo come una valvola di sfogo per la frustrazione dei manifestanti, la cui rabbia e le cui richieste non vengono nemmeno prese in considerazione dalle autorità. C'è come il desiderio di esorcizzare una frustrazione che riguarda il senso di impotenza in relazione ad agire sulla storia, la quale sembra avvenga senza di loro.
[*6] - I Gilet gialli e la crisi di legittimità dello Stato: http://tempscritiques.free.fr/spip.php?article417
[*7] - Si veda il recente sondaggio del quotidiano Le Monde sull'agricoltura bretone pubblicato dal 4 all'8 aprile 2023.
[*8] - "L'ordine repubblicano di Macron": https://acontretemps.org/spip.php?article982
[*9] - Questa pratica, che consiste nel battere su pentole e padelle o su oggetti sonori, accompagnata da fischi e schiamazzi davanti al luogo in cui si trova un potere che si vuole umiliare e prendere in giro, è simile alle antichissime tradizioni rurali dello Charivari: un rito collettivo che, attraverso il rumore e il clamore davanti alla casa di un uomo di potere che si ritiene colpevole, mirava a fargli pagare le sue indecenze o i suoi eccessi di autorità.
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