Il 21 agosto 1939, qualche minuto prima di mezzanotte (ora tedesca), la radio di Berlino interruppe un programma musicale per diffondere il seguente comunicato del Deutsches Nachrichtenbüro: «Il governo del Reich e il governo sovietico hanno stretto un accordo per stringere un patto di non aggressione. Il ministro degli Esteri arriverà mercoledì 23 agosto a Mosca per la conclusione dei negoziati». […] L’annuncio produsse clamore: «Una bomba è scoppiata ieri sera, verso le 23.00, a Berlino» – scrisse l’ambasciatore francese in Germania Robert Coulondre al ministro Bonnet.
Il 23 agosto 1939, la Germania e l’Unione Sovietica stringono un patto di non aggressione conosciuto come Molotov-Ribbentrop, che suscita scalpore internazionale, e firmano un «protocollo aggiuntivo» segreto sulla spartizione dell’Europa orientale. Evocato durante il processo di Norimberga e pubblicato negli Stati Uniti in base a copie non certificate, il protocollo scatenò una controversia che prese nome dall’opuscolo I falsificatori della storia. Da quel momento le interpretazioni in Occidente e in Urss si sono divaricate: per il campo occidentale il protocollo era «vero»; per quello sovietico era «falso». Il ritrovamento, nel 1992, del «plico» che lo conteneva, invece di ricongiungere la storiografia russa a quella occidentale, ha dato inizio ad un processo di restaurazione delle tesi dei Falsificatori della storia che arriva, con Putin, fino ai nostri giorni.
(dal risvolto di copertina di: "Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia", di Antonella Salomoni. il Mulino, pagg. 276, € 22)
Oltre il patto Molotov-Ribbentrop
- Al celebre accordo del 1939 tra Urss e Germania seguirono le firme di protocolli segreti che fissavano le sfere d’influenza dei due Paesi -
di Raffaele Liucci
«Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato», scrisse George Orwell in 1984. Un adagio che potrebbe fare da sottofondo al libro di Antonella Salomoni, capace di restituire la cifra di un’epoca seguendo le vicissitudini archivistiche e interpretative di un singolo documento. Quello da lei prescelto è, in apparenza, notissimo. Si tratta del patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica, stipulato a Mosca il 23 agosto 1939 dai rispettivi ministri degli Esteri, Joachim von Ribbentrop e Vjaceslav M. Molotov, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Nella notte tra il 23 e il 24 agosto fu però firmato anche un «protocollo aggiuntivo» segreto, che fissava le future sfere d’influenza dei due Paesi. Poi, il 1° settembre 1939, la Germania invase la Polonia occidentale, il 17 settembre l’Armata Rossa si insediò nella Polonia Orientale e ai primi di agosto 1940 Lituania, Lettonia ed Estonia passarono sotto il dominio sovietico. Probabilmente anche la Finlandia avrebbe fatto la stessa fine se non avesse messo in atto un’eroica resistenza («la guerra d’inverno» di cui Indro Montanelli in Italia fu il testimone più popolare, sulle colonne del «Corriere della Sera»). Il patto Ribbentrop-Molotov resterà in vigore sino al 22 giugno 1941, allorché Hitler invase l’Unione Sovietica.
In realtà, i protocolli segreti (il 28 settembre 1939 se ne erano aggiunti altri due complementari) non furono mai davvero segreti. Notizie su accordi riservati iniziarono infatti a circolare da subito negli ambienti diplomatici dei principali Paesi. Ma dopo la primavera del ’45 l’Urss - uno dei vincitori della guerra - aveva tutto l’interesse a oscurare la vera natura di un patto che non era stato soltanto difensivo, ma anche e soprattutto offensivo, ossia di spartizione dell’Europa orientale, in forza del quale la Polonia («mostruosa creatura generata dal Trattato di Versailles», secondo Molotov) aveva cessato di esistere. In quest’opera di disinformatia, Mosca aveva un vantaggio, essendo rimasta in possesso dell’unica copia cartacea sopravvissuta, mentre gli Alleati avevano fortunosamente recuperato dai tedeschi una copia microfilmata, additata dai sovietici come una contraffazione (alla stregua dei famigerati Protocolli dei savi di Sion). I protocolli riemersero al processo di Norimberga (1945-46), quando l’avvocato dei gerarchi nazisti Rudolf Hess e Hans Frank evocò un «accordo segreto» dal quale discendeva quantomeno la corresponsabilità di Stalin nella guerra di aggressione hitleriana. Ma il Tribunale negò valore probatorio ad atti e testimonianze che avrebbero potuto creare «pregiudizio nei confronti di uno degli accusatori» (leggi Urss).
Con l’avvio della Guerra fredda, i protocolli si ritrovarono al centro di una «guerra di documenti» che rispecchiava due opposte visioni del mondo. Da un lato l’Occidente, in cui incontrarono vasta diffusione, sottoposti al vaglio della libera ricerca storica, persuasa dell’autenticità. Dall’altro lato l’Unione Sovietica, che per quasi cinquant’anni ne negò ufficialmente l’esistenza, secretando la sola versione originale superstite e accusando l’Occidente di «falsificazione borghese della storia». Il tema scottante delle relazioni fra Urss e Germania fu ridotto da Mosca a un solo argomento: Stalin era stato costretto a stipulare un accordo difensivo con Hitler a causa dell’ostilità di Inghilterra e Francia. Nelle sue memorie, Nikita Kruscev rievocherà l’imbarazzo che quel patto suscitava nel Paese della Rivoluzione d’ottobre: «Molti non avrebbero potuto accettare che noi, dei comunisti, le cui idee erano opposte a quelle del fascismo, potessimo avere una sorta di accordo con Hitler».
Dopo l’ascesa di Michail Gorbaciov (1985), la glasnost irruppe anche nel paludato mondo degli studi storici. Le due questioni più spinose da affrontare erano i protocolli riservati (1939) e il massacro di Katyn (1940). Nel 1987 fu creata una «Commissione di scienziati dell’Urss e della Polonia per lo studio della storia delle relazioni fra i due paesi». Ma, nonostante questi buoni propositi, i protocolli - ormai tacitamente ammessi da tutti - continuavano a rimanere segreti. Gorbaciov, che aveva potuto prendere visione della copia originale, decise di non condividerne il contenuto e di non informare nessuno. Soltanto nel 1989, scrive Salomoni, pur restando blindati nella cassaforte del Cremlino gli scabrosi documenti ottennero «per la prima volta ampio spazio nel dibattito politico e istituzionale». Fu istituita una commissione ad hoc: decretò che il patto del ’39 s’era distaccato dai «principi leninisti di politica estera» e aveva violato la «sovranità e indipendenza» di altri Paesi. Un’ammissione che aprirà la strada alla secessione di Estonia, Lettonia e Lituania. I protocolli furono ufficialmente ritrovati nell’archivio presidenziale di Gorbaciov nel 1992, quando l’Urss non esisteva più e a capo della Russia c’era Boris Eltsin, il quale ne dispose la pubblicazione.
Dunque, tutto è bene quel che finisce bene? No, perché a questa breve fase di apertura seguì una lunga restaurazione. Le conquiste degli storici della glasnost, ribellatisi allo stesso Gorbaciov, furono infatti neutralizzate da Vladimir Putin, che si pose in piena continuità con il periodo sovietico. Le cause della Seconda guerra mondiale vennero retrodatate al Patto di Monaco (1938), o addirittura al Trattato di Versailles (1919), e il patto del 1939 di nuovo spacciato per meramente difensivo. Putin riprenderà quest’annosa propaganda in un opuscolo pubblicato il 22 luglio 2022, per celebrare l’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda guerra mondiale. Da qualche mese, aveva lanciato un’«operazione speciale» in Ucraina che ricordava quella attuata nel settembre 1939 dall’Unione Sovietica nella Polonia orientale per «tendere una mano ai fratelli ucraini e bielorussi» ivi residenti.
- Raffaele Liucci - Pubblicato su La Domenica dell'8 gennaio 2023 -
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