“‘Ti prego, dimmi cos’hai in quel sacco!’
Max Schulz esitò. Poi disse lentamente: ‘Denti d’oro’.
‘Denti d’oro’ bisbigliò Frau Holle.
‘Sì’ disse Max Schulz.
‘E cosa ne vuoi fare?’ domandò Frau Holle.
‘Cominciare una nuova vita’ rispose Max Schulz”.
Ecco a voi Max Schulz: poveraccio ariano, occhi da rospo e naso a becco, figlio di padre ignoto. Il suo migliore amico: Itzig Finkelstein, biondo, occhi azzurri, ebreo, figlio di un ricco barbiere.Nel Terzo Reich, Max Schulz fa carriera: SS, brigate nere, specialista sterminatore in Polonia. In Polonia, nel Terzo Reich, Itzig Finkelstein e famiglia vengono sterminati. A guerra finita, Max Schulz dribbla abilmente russi e partigiani e torna a Berlino.Ricercato dal nuovo governo come criminale di guerra, cambia identità. Si fa tatuare un codice di Auschwitz sul polso, si fa circoncidere. D’ora in avanti, sarà Itzig Finkelstein, barbiere ebreo. Campione di giravolte opportunistiche, rivendica persino gli aiuti destinati alle vittime dell’olocausto, e partecipa alla fondazione di Israele.Un capolavoro di provocazioni, terribile e dolce, in grado di scorticare la realtà.
“I primi capitoli fanno male. Più avanti si capisce il perché: non fa malissimo, ciò che in effetti è accaduto? Poi si assiste al miracolo: il romanzo prende il volo, dispiega una poesia sobria e pacata. E se mai ci si dimenticherà di chi si è arricchito vendendo denti d’oro, non si potrà mai scordare Itzig Finkelstein che passeggia in terra d’Israele, nel ‘bosco dei sei milioni’”. Heinrich Böll
(dal risvolto di copertina di: Edgar Hilsenrath, "Il nazista & il barbiere". marcos y marcos, pp.368, € 20)
Che eroe quel nazista
- Torna la farsa di Edgar Hilsenrath, ebreo di Lipsia, che costruì, forse pensando a Chaplin, la folle vicenda di uno sterminatore SS poi scambiato per reduce dal lager -
di Alberto Anile
Nel 1973, quando uscì in Italia da Mondadori, Il nazista & il barbiere aveva in Germania la strada sbarrata. Il suo autore, Edgar Hilsenrath, era un ebreo di Lipsia fuggito nel ’38 con la madre in Romania, e poi internato in un ghetto in Ucraina; liberato dai russi, partecipò al movimento sionista in Palestina per poi stabilirsi negli Stati Uniti; alla fine tornò in Germania, a Berlino, dove i suoi romanzi avevano incontrato più difficoltà a essere pubblicati che in qualsiasi altra parte del mondo. Il nazista & il barbiere, che ora marcos y marcos ripubblica nella collana “Gli alianti”, uscì nella sua lingua originale solo nel 1977, quattro anni dopo l’Italia e sei dopo gli Usa, e grazie a una campagna di stampa a cui parteciparono lo Spiegel e lo Zeit, sostenuti dalla prestigiosa firma di Heinrich Böll. Non scandalizza e non stupisce: le grottesche avventure di uno sterminatore SS riciclatosi come ebreo sopravvissuto ad Auschwitz non erano e in parte ancora oggi non sono di facile digestione in terra alemanna. Non è la classica commedia nera su un opportunista paradossale ma una cupa immersione nelle fogne della Storia, dipinta con i colori accesi di Otto Dix e George Grosz, raccontata in prima persona (inclusa la morte del protagonista narratore), fra realismo estremo e costruzione onirica, con solide basi su eventi cardine del Novecento.
Come suggerisce il titolo, Il nazista & il barbiere si basa su una coppia di individui che si confondono in un’unica identità. Max Schulz e Itzig Finkelstein, il primo arianissimo ma di colorito olivastro e capello scuro, il secondo di famiglia ebrea ma di chioma bionda e occhio ceruleo. Abbrutito da un’infanzia che sarebbe eufemistico chiamare infelice, Max frequenta il coetaneo Itzig, imparando dalla sua famiglia il mestiere di barbiere, ma nella Germania degli anni Trenta diventa subito nazista, fa carriera nelle SS e uccide circa diecimila ebrei; riuscito rocambolescamente a mettersi in salvo e a sopravvivere anche grazie a un sacco di denti d’oro appartenuti ad ebrei dei campi di concentramento, si appropria dell’identità di Itzig, prospera a Berlino con la borsa nera, quindi s’imbarca verso la Palestina diventando un eroe della guerra sionista per la fondazione dello stato di Israele. Quando alla fine proverà a raccontare l’incredibile verità nascosta per decenni, non sarà creduto.
Per Hilsenrath, testimone diretto dello sterminio degli ebrei, l’Olocausto e l’antisemitismo sono naturalmente lo snodo centrale, il peccato originale, la scena primaria, il putrido cuore pulsante del romanzo, come indicato da alcune massime sparse per il libro: «L’antisemita è come una persona che ha un cancro; un male così profondo che non si può estirpare», oppure «Non vogliamo continuare a morire! E se non possiamo morire... allora tanto vale vivere!». Ma il libro di Hilsenrath va oltre la Shoah, toccando nella seconda parte lo spinoso tema del “ritorno” degli ebrei in Palestina, degli sbarchi clandestini di profughi armati, delle azioni “terroristiche” contro le truppe britanniche che vi governavano dal 1920, proseguendo una danza di sangue che pare inarrestabile. In un simile contesto, la parabola di Max/Itzig, contemporaneamente nazista spietato e patriottico barbiere ebreo, travalica gli eventi più sanguinosi del Novecento per farsi riflessione più ampia sui disastri della Storia, il dramma fra responsabilità individuale e condizionamenti del destino, i complessi di colpa e una natura umana intimamente malvagia, e il conseguente giudizio, inevitabilmente umoristico, su tanto agitarsi nei dissesti provocati dai sommovimenti bellici e politici. Max/Itzig non è ovviamente un personaggio positivo, né qualcuno che si possa comprendere o compatire, ma è arduo trovare in questo romanzo personaggi che siano sostanzialmente positivi, a parte forse un paio di figure femminili (una ballerina e una cassiera muta) traumatizzate e traviate dalla violenza; Hilsenrath non risparmia niente e nessuno, mettendo in bocca al protagonista anche una serie di battute icastiche contro la religione cristiana, rese ancora più paradossali dal fatto che a pronunciarle sia un tedesco che finge di essere nato nella sapienza della Torah. Nella storia del nazista scambiato per un ex deportato di Auschwitz c’è probabilmente un’eco del Grande dittatore di Chaplin, dove un barbiere ebreo è sosia perfetto del dittatore Hynkel e salva pure la vita a un ufficiale di nome Schultz (una “t” in più rispetto al personaggio di Hilsenrath). Ma se il contesto storico e i tanti colpi di scena sarebbero adatti a una trasposizione cinematografica, Il nazista & il barbiere è troppo torbido e amaro perché lo Zelig protagonista possa esserlo anche su grande schermo - se non per un film strettamente “d’autore” il cui titolo ideale, all’opposto di quello di Benigni, sarebbe senz’altro La vita è brutta.
- Alberto Anile - Pubblicato su Robinson del 28/1/2023 -
Nessun commento:
Posta un commento