mercoledì 24 maggio 2023

«Totalità interna»

Capitalismo, Stato e Dissociazione: tre dimensioni centrali della società capitalista-patriarcale
-di Jordi Maiso -

L'obiettivo del capitalismo non è quello di soddisfare i bisogni, bensì di valorizzare il capitale:la sua unica finalità è valorizzare il valore, e di conseguenza fare, col denaro, sempre più soldi; era in questo senso, che Marx parlava del capitale come di un «soggetto automatico». Il solo scopo dell'economia capitalista è la massimizzazione del valore - nella sua forma di denaro - in quanto fine in sé: il suo obiettivo non consiste nello sviluppare le forze produttive, in modo che così si possa riuscire a dominare meglio la natura, ma si tratta piuttosto di investire 100 euro per arrivare a ottenerne 120, e poi continuare a ripetere, in un processo senza fine, tale meccanismo di valorizzazione. Di conseguenza, la sua logica è astratta e implacabile: non tiene in nessun conto quale che sia la realtà concreta del mondo sociale ed empirico in cui si svolge un simile processo, e neppure delle condizioni che lo rendono possibile. La riproduzione della realtà materiale e sociale non è affar suo, e il capitalismo non riconosce che ci possa essere alcuna restrizione alla logica della valorizzazione vista come fine in sé. Se potesse farlo, non si impadronirebbe solamente dell'intero pianeta, ma dell'intera galassia e di tutto l'universo. Ed è in tal senso che la logica del capitalismo finisce per essere predatoria e antisociale: rispetto ai processi sociali, esso agisce come un corpo estraneo, il quale ha finito per imporsi in tutte le sfere della vita, vampirizzandole e sottomettendole all'obiettivo astratto della valorizzazione come fine in sé. Tuttavia, per poter funzionare come relazione sociale, il capitalismo non può esistere senza che si diano alcuni presupposti, senza i quali la logica della valorizzazione, da sé sola, non può produrre.

È in tal senso che il capitale è dipendente: esso non è in grado di poter reggersi da solo sulle proprie gambe. La sua logica è assolutamente anti-sociale, eppure, senza alcuni presupposti sociali l'accumulazione del capitale non può aver luogo. Storicamente, le due sfere che hanno garantito queste condizioni, sono servite a formare un quadro in cui, senza di esse, il processo astratto di valorizzazione non può funzionare. Queste due sfere sono quelle della dissociazione del valore e dello Stato. La «dissociazione del valore» fa riferimento a tutte quelle attività, forme di comportamento - pratiche sociali di cura e forme di espressione simbolica e affettiva - che non sono disciplinate dalla logica produttivistica del lavoro astratto, ma che tuttavia rendono possibile, nel capitalismo, la riproduzione della vita sociale. Si tratta di quelle attività sociali necessarie e fondamentali, che ciononostante la logica del capitalismo esclude dalla vita pubblica, svalutandole e relegandole alla vita privata, e assegnandole alle donne: cura, affetti, funzioni riproduttive. Questo non si limita solamente al lavoro domestico, o alla cura e all'assistenza nell'ambito della sfera familiare, bensì si estende a tutte le funzioni che consentono di «lubrificare» e ammorbidire il funzionamento sociale di una logica di valorizzazione del valore, che in sé è distruttiva e indifferente a qualsiasi realtà concreta. In questo, rientrano anche quelle dimensioni affettive ed emotive che il capitalismo contemporaneo ora cerca di rendere funzionali anche dal punto di vista produttivo, attraverso delle attività di management e grazie a nozioni come quella dell'«intelligenza emotiva».

Da parte loro, le sfere dello Stato e della politica hanno reso possibile il funzionamento del capitalismo in quanto relazione sociale. Assai spesso, l'attuale sinistra appare scissa e divisa, tra un'idea di Stato, il quale viene visto come sfera «repressiva», da una parte, e soggetto a una visione più «paternalistica», dall'altra. Dove la prima si riferisce, ad esempio, al fatto che, storicamente, sono sempre state le strutture dello Stato a garantire la sottomissione alle condizioni del lavoro astratto (ad esempio mettendo sotto tutela i «poveri»). La visione "paternalistica", invece, ha più a che fare con quello che, nella retorica auto-esaltatrice del sistema, noi conosciamo come «Stato sociale».  Si tratta di strutture statali che, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento (soprattutto per volontà di Otto Bismarck), e in particolare dal 1945 in poi, hanno istituzionalizzato e monetizzato tutta una serie di ambiti della vita sociale, i quali prima erano deputati alla dissociazione del valore (senza però mai superare la gerarchia nelle relazioni di genere) o alla beneficenza. In tal modo è nato lo «Stato sociale», in quanto sistema burocratizzato di ridistribuzione che offriva protezione dal carattere distruttivo e asociale delle relazioni capitalistiche primitive. Tuttavia, nel momento in cui si verifica un caso di crisi, quelle funzioni sociali che mitigano «la brutalità dei processi economici vengono de-statalizzate e demonetizzate, e vengono riconsegnate nuovamente, a un livello micro, alle donne». È questo ciò che sta accadendo oggi: le protezioni statali che dovevano proteggere la popolazione dalla cruda violenza delle leggi di mercato vengono destabilizzate, e ciò cui assistiamo è un abbandono delle funzioni di «ammortizzamento» dello Stato.

Tuttavia, per il capitalismo, la centralità dello Stato, in quanto relazione sociale, non può essere ridotta a questi ruoli repressivi o protettivi: la sua importanza è assai più fondamentale. Il carattere antisociale del capitalismo, il quale persegue la valorizzazione fine a sé stessa in un regime di concorrenza, fa sì che, a livello micro, prevalga la logica particolaristica dell'homo economicus: ciascuno cura soltanto il proprio interesse, cercando di ottenere un saldo positivo in quella che è la bilancia costi/benefici. Tuttavia, il capitalismo, come relazione sociale, ha bisogno di un attore che vada ben oltre, e superi, la lotta degli interessi particolari, adottando il punto di vista della società nel suo complesso; cosa che rende così possibile il livello macroeconomico. Si potrebbe però dire che il matrimonio felice tra vizi privati e virtù pubbliche non è poi così tanto evidente nel capitalismo. Lo Stato è quell'istanza sociale che permette di andare oltre il perseguimento di interessi particolari, in modo da rendere possibile un quadro d'azione. In tal modo, con gli strumenti del diritto e della politica, lo Stato crea il quadro funzionale necessario all'accumulazione del capitale. Innanzitutto, stabilisce le norme giuridiche che regolano i rapporti di proprietà e rendono possibile il gioco economico. Inoltre, lo Stato è responsabile della creazione e del mantenimento delle infrastrutture e dei sistemi di formazione necessari al corretto funzionamento dell'economia, la quale non può essere guidata esclusivamente da una logica orientata al profitto. D'altra parte, esso è anche responsabile della strutturazione delle relazioni monetarie e della garanzia della moneta, che amministra attraverso la banca centrale, stabilendo i tassi di interesse per rifinanziare il sistema bancario, controllando la quantità di moneta fiduciaria creata, regolando l'acquisto e la vendita di moneta in conformità con la politica monetaria, ecc.

In definitiva, lo Stato permette la costruzione della sfera dell'«economia nazionale», il mercato interno a cui la scienza del capitale (che non si presenta come scienza dell'economia mondiale, ma come «economia politica», Volkswirtschaft o, nella famosa formula di Adam Smith, come «la ricchezza delle nazioni») non si riferisce invano. Lo Stato permette quindi a un determinato territorio di agire come se fosse una «totalità interna», all'interno della quale il capitalismo può funzionare come relazione sociale. Ciò che esso garantisce, è una fragile armonia tra gli interessi particolari e quelli generali, tra homo economicus e homo politicus, tra il borghese - l'individuo privato che cerca di realizzare i propri interessi in un regime di concorrenza - e il cittadino - il soggetto astratto del diritto in relazione alla nozione di uguaglianza. Homo economicus e homo politicus sono le due metà dissociate che costituiscono l'essenza schizofrenica del capitalismo, che arriverà a funzionare nel quadro degli Stati, in modo tale che nel XIX secolo assumeranno il significato simbolico-culturale del concetto di nazione. Questa precaria armonia tra cittadino e borghese attraverso lo Stato-nazione, costituisce la sfera fondamentale del rapporto capitalistico. È questa sfera che, attraverso le sue norme giuridiche e i suoi meccanismi di ridistribuzione, filtra gli imperativi del mercato globale, dove la logica dell'homo economicus non ha alcuna forma di generalità per poterla controbilanciare. D'altra parte, queste norme e questi meccanismi permettono al mercato globale di apparire come uno spazio addomesticato: come relazioni di scambio e commercio tra nazioni sovrane distinte, con le loro «totalità interne».
 
- Jordi Maiso,  da «Il nuovo volto del capitale globale. L'analisi del capitalismo globalizzato nella Critica del valore di Robert Kurz», che verrà pubblicato su Jaggernaut n° 6, secondo semestre 2023 -

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