«L’anarchia coniugata al capitalismo è possibile e desiderabile: questo afferma l’anarco-capitalismo. Si tratta di una corrente di pensiero ricca, che fa riferimento a teorie politiche ed economiche tra le più avanzate del nostro tempo. Riabilitando sia il valore del capitalismo sia la possibilità fattuale dell’anarchia, l’anarco-capitalismo rinnova il vecchio sogno libertario e l’ideale liberale […] Sebbene incompiuta e talvolta caratterizzata da qualche incoerenza, nell’ambito delle sue diverse scuole, l’anarco-capitalismo rimane una dottrina di immenso potere attrattivo, perché impone un ripensamento radicale delle teorie collettiviste, stataliste ed egalitariste che tanto hanno caratterizzato il XX secolo […] Si limiterà a questo oppure si può sperare che il progresso dell’umanità e della civilizzazione condurrà, un giorno, all’unione dei grandi ideali moderni che sono l’anarchismo e il liberalismo?» (Pierre Lemieux) anarch.
(dal risvolto di copertina di: Pierre Lemiex: L’anarco-capitalismo, Liberilibri)
Lo «stato minimo» degli uomini relazionali
- di Benedetto Vecchi -
L’uomo è un animale relazionale. Per questo, stabilisce legami con i suoi simili al fine di garantire la sua riproduzione come specie. Per questo, stipula contratti con i suoi simili affinché i suoi diritti di animale relazionale siano garantiti. Al di là della declinazione maschile del termine uomo, questa tesi del filosofo statunitense Robert Nozick è individuata dal francese Pierre Lemieux come uno dei capisaldi dell’anarco-capitalismo, corrente filosofica, economica e politica considerata ormai egemone negli Stati Uniti. Pierre Lemieux l’analizza nel volume L’anarco-capitalismo (Liberilibri, pp. 160, euro 16) che ha il pregio di ricostruire una genealogia eccentrica di questa ideologia.
La sua radice, leggendo il libro, sta infatti a ridosso di quel grande disordine europeo che è stato il 1848, con le sue rivoluzioni e la scesa in campo, in quanto forza politica, di uno spettro, il comunismo, che disturbava il sonno di borghesi, poliziotti e giudici, re e regine. Capostipite è il liberale francese Gustave de Molinari, agit prop del libero mercato e del libero commercio nonché autore di alcuni pamphlet che suscitarono un discreto consenso alla loro pubblicazione. È lui che indica nello Stato nazionale un ostacolo da abbattere affinché gli spiriti animali del capitalismo si potessero diffondere nel mondo. Certo, c’erano stati filosofi ed economisti liberali ben più solidi di lui – John Locke, Adam Smith, per esempio – ma è de Molinari che sviluppa un pensiero politico coerente dove l’utopia anarchica viene piegata o contaminata con il culto del libero mercato. L’anarco-capitalismo di Lemieux è stato scritto negli anni Ottanta, quando la pubblicistica corrente affrontava il tema del neo-liberismo, cercando di individuarne le caratteristiche. Pochi affrontavano l’ideologia californiana, degna erede dell’anarco-capitalismo.
Troppo radicali erano le proposte che metteva in campo – tutto doveva rispondere alla logica del libero mercato, dall’amore alla sanità, dalla scuola al lavoro, dalla sicurezza alla giustizia, prospettando lo sviluppo di una società che faceva a meno dello Stato anche per la gestione dell’ordine pubblico, della giustizia, di un parlamento e dalla difesa militare da nemici esterni.
Lo stato nazionale è considerato dagli anarco-capitalisti come una vasta organizzazione criminale, mentre la democrazia altro non è che la messa in forma della costrizione in schiavitù dell’individuo da parte della collettività.
Esemplificative del credo anarco-capitalista sono le parti del volume dove l’autore affronta le tesi di John Locke, Ayn Rand, Murray N. Rothbard, Robert Nozick, tanto diverse tra loro, ma che contribuiscono, ognuna a modo suo, a sviluppare appunto il pensiero politico anarco-capitalista, che va distinto nettamente dal punto di vista degli economisti liberali e neoliberisti come Ludwig Von Mises e Frederich Von Hayek. Questi ultimi, infatti, credono comunque della necessità di uno «stato minimo» (questa considerata sarcasticamente alla stregua di una ipocrita e immacolata concezione dello Stato), mentre gli anarco-capitalisti vogliono sostituire allo stato una società retta da arbitrati gestiti da organismi in concorrenza tra loro.
Nessun accenno viene dunque fatto dall’ideologia politica dei libertariani di destra statunitensi, della fitta rete di think-thank lautamente finanziati da capitalisti che hanno favorito l’egemonia del neoliberismo sia negli Usa che in Europa nella sua versione più vicina a quella anarco-capitalista.
La Cina e altre esperienze nazionali seguono altrettanti sentieri e hanno ulteriori caratteristiche accomunante comunque da un ruolo determinante dello Stato nella sua vocazione «pastorale».
I governi, così come le forze sociali ed economiche neoliberiste hanno decretato la sconfitta degli anarco-capitalisti, ma hanno fatto sue alcune idee di fondo. La sacralità della proprietà privata, l’esaltazione della figura dell’individuo proprietario, una antropologia filosofica vitalista dove gli uomini e le donne sono proprietari di alcuni capitali – quello relazionale, quello sociale, quello intellettuale, quello sessuale – da valorizzare e appunto incrementare nelle relazioni sociali, nel lavoro, nella vita sentimentale.
Certo, il neoliberismo non gode più di ottima salute, ma non è certo disponibile ad abbandonare il centro della scena pubblica. Gioca le sue carte, vuoi che si chiamino fondamentalismo religioso, populismo, stato di sicurezza nazionale, ma comunque attingendo a piene mani nella retorica gaudente degli anarco-capitalisti, dove il desiderio, la felicità e la libertà svolgono un ruolo centrale, espropriando di queste tre parole così il loro vero nemico, quel Karl Marx che Gustave de Molinari aveva indicato come la bestia nera del suo progetto di società.
- Benedetto Vecchi - Pubblicato sul Manifesto del 29.3.2018 -
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