giovedì 11 ottobre 2018

Il perimetro del punto di vista

sciuto

Oggi in Europa viviamo in società sempre più disomogenee dal punto di vista etnico, religioso e culturale. Una situazione inedita di tali dimensioni che impone di ripensare le forme della convivenza. Secondo Cinzia Sciuto, la strada da percorrere per una convivenza capace di ospitare la disomogeneità senza violarla è quella di una visione etica e politica radicalmente laica. Ma che cosa significa essere laici? La laicità è l'insieme delle condizioni che consentono alle diverse espressioni religiose (e più in generale alle diverse visioni del mondo) di esprimersi in una società pluralistica. Condizioni che definiscono una cornice entro la quale viene garantita la libertà di religione ma che allo stesso tempo stabiliscono princìpi ai quali non si può derogare in nome di nessun Dio. La laicità dunque non come polo di una simmetria, ma come condizione prepolitica della convivenza civile in una società disomogenea. Un saggio contro le pretese velleitarie del multiculturalismo, che tenta di promuovere il riconoscimento e il rispetto dell'identità linguistica, religiosa e culturale delle diverse componenti etniche di una società, perdendo però di vista che soggetto titolare di diritti è solo ed esclusivamente il singolo individuo e non i gruppi. Sciuto capovolge l'ordine di priorità: è l'individuo a essere portatore d'identità e appartenenze, non è l'appartenenza che definisce l'individuo.

(dal risvolto di copertina di: "Non c'è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo", di Cinzia Sciuto. Feltrinelli)

Meno culture per tutti
- di Marco Bracconi -

Il multiculturalismo? La via peggiore all’integrazione. L’identità culturale? Un’invenzione. Nel saggio di Cinzia Sciuto i meccanismi che trasformano il “rispetto” per le religioni in forme di tolleranza verso pratiche contrarie ai valori universali. Perché i diritti comunitari non esistono, quelli dell’individuo sì. Ma come difenderli davvero? Ci sono belle parole che a saperle leggere tanto belle non sono. Ma ci sono anche parole veramente belle alle quali non sappiamo ancora dare un degno significato. Alla prima categoria, secondo la tesi non esattamente politically correct di Cinzia Sciuto e del suo Non c’è fede che tenga, appartiene il termine “multiculturalismo”; alla seconda, sempre seguendo la direzione tracciata da questo bel saggio edito da Feltrinelli, si iscrive il vocabolo-chiave di un approccio democratico al delicato tema della convivenza nelle società fortemente disomogenee: “laicità”. Pigiare l’acceleratore sul primo a scapito del secondo, secondo l’autrice, è un errore di metodo e di prospettiva nel quale colpevolmente cadono i guru dell’identità e gli ideologi del “rispetto culturale”. Intanto perché dietro queste posizioni, magari inconsapevolmente, si cela il grande equivoco di un mondo sociale che dimentica quanto i portatori di diritti siano gli individui e non le comunità religiose, qualsiasi fede esse professino. E poi perché, una volta sottoposte ad analisi rigorosa e al di là di ogni loro buona intenzione, le tesi dei fautori del multiculturalismo rischiano di cadere in una sorta di razzismo al contrario: quello che stabilisce quale aspetto delle culture sia “vero e autentico”, quale insomma vada promosso e dunque tutelato, anche tramite eccezioni legali o arretramenti sul piano dei valori universali nei quali tutti dovremmo riconoscerci. Uno dei (molti) pregi dell’indagine di Sciuto è delimitare il perimetro e il punto di vista. Il perimetro è l’Europa, oggi più che mai alle prese con una disomogeneità culturale e religiosa crescente; il punto di vista quello della laicità, appunto, condizione ex ante per tutti, cattolici o islamici, testimoni di Geova o pastafariani, perché il tema della rigida separazione normativa tra fede e cittadinanza, Stato e religione, riguarda tutti ed è la via maestra – se non la sola – per attivare efficaci meccanismi di integrazione. Dal burkini agli obiettori di coscienza cattolici, dunque, l’approccio multiculturale finisce per creare nello Stato tanti “stati di eccezione” motivati da un malinteso principio di tolleranza, che tra l’altro si trasforma troppo spesso nel suo contrario: il “rispetto” per le altre culture, concepite come identità sociali e politiche, non consente più di esercitare il diritto di critica (o divieto) e consente a quelle stesse culture di perseverare nelle loro eventuali pratiche di oppressione. È qui che il saggio di Sciuto entra nel vivo, anche della sua scomoda radicalità: se la laicità è precondizione di ogni convivenza civile democratica, e se ogni individuo va rispettato nelle sue personali convinzioni e credenze, le diverse culture non vanno invece rispettate in quanto aggregati capaci di informare e condizionare lo spazio pubblico. Al contrario, questa possibilità dovrebbe essere negata in partenza alle “multiculture” religiose, compresa la nostra cultura cattolica, perché ciò che deve guidare i processi è l’universalismo dei diritti dell’individuo e non la negoziazione con le comunità in nome delle loro specificità. In questo contesto Non c’è fede che tenga dedica, come è ovvio, molto spazio alle criticità che l’Islam pone al nostro Occidente. Ma non solo. Se, con lodevole audacia, Sciuto difende il diritto alla blasfemia di Charlie Hebdo, lo stesso discorso può valere per una trasfusione negata da una famiglia di Testimoni di Geova al proprio bambino.
In gioco, allora, non ci sono le identità culturali, che non esistono se non in quanto schema costruito artificiosamente dal multiculturalismo (come il popolo dei populisti, del resto); la vera posta sul tavolo è il permanere di uno spazio di cittadinanza realmente condiviso da cittadini resi tali da un sistema normativo universale, fondato solo sui diritti inalienabili della persona. E, naturalmente, sulle sue altrettanto cogenti responsabilità.

- Marco Bracconi - Pubblicato su Robinson del 7/10/2018 -

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