sabato 6 ottobre 2018

Formulare la realtà

primolevi

Leggere Primo Levi
- di David Grossman -

Le opere di Primo Levi mi accompagnano da quando ho letto per la prima volta Il sistema periodico. Mentre leggevo sentivo che, pagina dopo pagina, il libro di questo autore, di quest’uomo, analogamente ad altri tre o quattro, mi indicava un modo unico e particolare non solo di osservare la vita, ma di viverla.
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni fatte di recente nel rileggere Se questo è un uomo, il primo libro di Levi, in cui racconta dei quasi dodici mesi trascorsi nel campo di sterminio di Auschwitz. Si potrebbe parlare ore e giorni di quest’opera, del turbamento che suscita nel lettore proprio a causa dello stile sobrio e limpido dello scrittore anche quando descrive gli orrori più terribili mai patiti da esseri umani, il processo di distruzione e della perdita di ogni sembianza umana non solo da parte dei nazisti e dei loro sottoposti ma anche delle vittime. Ma poiché il tempo non basterebbe, ho scelto di parlare dell’unico, cruciale, contatto umano, che Levi ebbe ad Auschwitz con un uomo di nome Lorenzo.
La storia della mia relazione con Lorenzo”, scrive Primo Levi, “è insieme lunga e breve, piana ed enigmatica; essa è una storia di un tempo e di una condizione ormai cancellati da ogni realtà presente, e perciò non credo che potrà essere compresa altrimenti di come si comprendono oggi i fatti della leggenda e della storia più remota. In termini concreti, essa si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una sua maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso”.
E prosegue Levi: “Infatti, noi per i civili siamo gli intoccabili. I civili, più o meno esplicitamente, e con tutte le sfumature che stanno fra il disprezzo e la commiserazione, pensano che, per essere stati condannati a questa nostra vita, per essere ridotti a questa nostra condizione, noi dobbiamo esserci macchiati di una qualche misteriosa gravissima colpa. Ci odono parlare in molte lingue diverse, che essi non comprendono, e che suonano loro grottesche come voci animali; ci vedono ignobilmente asserviti, senza capelli, senza onore e senza nome, ogni giorno percossi, ogni giorno più abietti, e mai leggono nei nostri occhi una luce di ribellione, o di pace, o di fede. Ci conoscono ladri e malfidi, fangosi cenciosi e affamati, e, confondendo l’effetto con la causa, ci giudicano degni della nostra abiezione. Chi potrebbe distinguere i nostri visi? Per loro noi siamo Kazett, neutro singolare”.
Leggo la descrizione di Primo Levi su come le guardie, i Kapos e i civili vedevano i detenuti ebrei, e su come il semplice operaio Lorenzo vedeva lui, e penso a quanto è grande la forza dello sguardo, a quanto è cruciale il modo in cui osserviamo una persona. Una persona che potrebbe essere il nostro partner, un nostro figlio, un collega, un vicino, chiunque abbia una certa rilevanza nella nostra vita e, naturalmente, anche un perfetto sconosciuto, e talvolta persino un nemico.
Un semplice operaio italiano di nome Lorenzo guardò Primo Levi come si guarda un uomo. Si rifiutò di ignorare la sua umanità, di collaborare con coloro che la volevano cancellare e, così facendo, gli salvò la vita, niente di meno. Quanto semplice e grande fu quel suo comportamento.
Penso alla forza di uno sguardo benevolo nella vita di una persona. Non solo nelle circostanze di follia estrema di Auschwitz ma nella vita normale, di tutti i giorni. E questo mi porta a ripensare a una donna che ho conosciuto, la quale, quando chiese all’uomo di cui era innamorata di sposarla, gli promise che lo avrebbe sempre guardato con occhi benevoli: “Gli occhi di un testimone pieno d’amore”, gli disse. E l’uomo pensò che mai in vita sua gli avevano detto qualcosa di tanto bello.
Ho l’impressione che chi ha il privilegio di avere un testimone amorevole nella propria vita, o anche “ solo” un testimone che cerca il bene dentro di noi per farlo emergere, ha buone possibilità di diventare una persona migliore, forse anche un po’ più felice. Se abbiamo il privilegio di avere qualcuno nella nostra vita che ci guarda con occhi pieni d’amore ecco che quello sguardo ci dice che forse in noi c’è qualcosa di meglio di quel che pensavamo. Di quel che osavamo credere.
Un testimone amorevole ci può anche mostrare come ritornare sulla giusta via nel caso ce ne fossimo discostati, o ci fossimo un po’ persi, e, senza muovere rimproveri o accuse, ci può ricordare l’“ Io” dal quale ci siamo allontanati e il fatto che ci siamo abituati a condurre un’esistenza parallela a quella che potremmo, o vorremmo vivere.
Lorenzo, un semplice operaio italiano, insistette a guardare Primo Levi con gli occhi di un uomo, e si ritrovò davanti un uomo. Non un Muselmann privo di identità, non un morto che camminava con un numero tatuato sul braccio al posto del nome e del cognome. Lorenzo si rifiutò di assecondare la pretesa dei sovrani- tiranni di vedere i prigionieri secondo il loro punto di vista. Guardò Primo Levi come si guarda un uomo e, così facendo, stravolse la natura della situazione in cui si trovavano.
Nel momento in cui occhi benevoli, che credono in noi, ci suggeriscono una possibilità di tipo diverso, celata persino a noi perché repressa da altri, da noi stessi, o dalle circostanze avverse della vita, una possibilità nella quale non osiamo più sperare e che forse abbiamo completamente dimenticato, ci sono più probabilità che questa possibilità si trasformi in realtà. E noi abbiamo più probabilità di riscatto.
Nei Salmi 27,12 è scritto: Non darmi in balia dei miei nemici, perché sono sorti contro di me falsi testimoni. Com’è bello questo versetto. Dice semplicemente: non lasciare che io veda me stesso come mi vedono i miei nemici perché loro mi guardano con occhi di testimoni falsi, ostili.
Stranamente, infatti, e non di rado, noi stessi ci associamo a uno sguardo ostile, critico, destabilizzante e rovinoso nei nostri confronti. Uno sguardo che possiede un terribile potere distruttivo: quello di mettere in dubbio noi stessi e tutto ciò che siamo.
E Primo Levi scrive anche di questo, della collaborazione fra vittime e tiranni nel processo di annichilimento. “I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l’hanno sepolta, sotto l’offesa subita o inflitta altrui. Le SS malvage e stolide, i Kapos, i politici, i criminali, i prominenti grandi e piccoli, fino agli Häftlinge indifferenziati e schiavi, tutti i gradini della insana gerarchia voluta dai tedeschi, sono paradossalmente accomunati in una unitaria desolazione interna”.
Quando leggiamo questa descrizione la nostra ammirazione per il coraggio di un operaio italiano, di un uomo, e per la sua eroica rivolta contro la macchina di sterminio e di annientamento messa a punto dai nazisti, aumenta. E si potrebbe proiettare lo spirito di rivolta di quell’operaio nella realtà della nostra epoca che, ovviamente, è del tutto diversa da quella creata dai nazisti, rivendicando così il nostro diritto a una libertà di sguardo, a un’ottica del tutto personale nei confronti degli esseri umani, sia in ambito personale che pubblico o “nazionale”. Eppure, benché al giorno d’oggi uno dei modi più ovvi di esercitare la nostra libertà sia quello di formulare la realtà secondo i nostri criteri e non in base a cliché e a rappresentazioni vuote e manipolatrici che governanti, politici, comandanti di eserciti o i mezzi di comunicazione di massa.

- David Grossman - Pubblicato su Repubblica del 5 novembre 2017 -

* La dedica: David Grossman dedica queste parole al dottor Pietro Bartolo e al suo costante e instancabile impegno nell'aiutare le persone che, costrette a lasciare i loro Paesi e le loro case, arrivano a Lampedusa.

Nessun commento: