sabato 6 ottobre 2018

Nature Storiche

antropocene

La traiettoria dell'«Antropocene»
- Scienza, «natura» ed emancipazione ovvero: per una critica immanente delle scienze naturali -
di Daniel Cunha

E' stato Paul Crutzen a rendere popolare il cosiddetto Antropocene, in un articolo pubblicato nel 2002 sulla rivista Nature, definendolo come «l'epoca geologica dominata, sotto molti aspetti, dall'uomo». Nell'epoca immediatamente precedente, l'Olocene, ed in tutte le altre epoche, lo stato del sistema planetario era determinato dalle forze naturali, come le eruzioni vulcaniche, le variazioni dell'orbita terrestre, o dagli effetti dell'evoluzione biologica, come la comparsa dei primi organismi fotosintetici (produttori di ossigeno). In questo contesto, gli scienziati del sistema terrestre ci avvertono che alcuni parametri che mantenevano quella che era la stabilità dello stato dell'Olocene - al quale la civiltà moderna si è adattata - hanno già superato i limiti che venivano considerati sicuri, come il ciclo dell'azoto e la diversità genetica; e ci stiamo avvicinando ad altri limiti, come quelli relativi al ciclo del carbonio (regolatore del clima) [*1]. Come punto di partenza dell'«Antropocene», Crutzen ha stabilito l'invenzione della macchina a vapore di James Watt, avvenuta nel XVIII secolo, che da allora in poi ha intensificato la combustione dei combustibili fossili.
Al concetto di «Antropocene», basato sul falso presupposto di un'umanità realizzata, sono state mosse diverse critiche: le asimmetrie di classe, le asimmetrie fra il centro e le periferie, di genere, di «razza», ecc., rendono assai poco convincente la responsabilizzazione dell'«umanità» in generale per quel che riguarda le perturbazioni dello stato del sistema terrestre. Più di questo, è il concetto stesso di «dominio», o di «controllo» sul sistema planetario, che dev'essere messa in discussione. Poiché non c'è stata intenzione, o piano, da parte di nessun individuo, classe o Stato nazionale, per esempio, relativamente al riscaldamento globale, all'acidificazione degli oceani, o alla perturbazione del ciclo globale dell'azoto. Quello che qui è centrale, è il concetto di feticismo, o di alienazione, in quella che in Marx è la sua relazione con la teoria del valore. Nell'ultimo capitolo dei Grundrisse - dedicato al valore - Marx afferma che «lo scambio comincia (...) là dove le comunità naturali cessavano di esistere, entrando in contatto con l'esterno.» [*2]. E' il valore che apre "Il Capitale" - nel metodo dialettico, è la conclusione del modo di investigazione che apre il modo di esposizione. Ne "Il Capitale" la critica è immanente, vale a dire, viene dimostrato che lo scambio mercantile assume centralità nella forma sociale capitalistica. Questo vale a partire già fin dal livello dell'individuo, il quale, nella società della merce, ha bisogno di scambiare perfino al livello più elementare della sua riproduzione. La modernità capitalista dissolve la comunità e l'aliena nel valore, il quale assume il carattere di mediazione universale della vita sociale. Questa dissoluzione della comunità dissolve, a sua volta, anche l'unità fra «lavoro» e oggetto del «lavoro», costituendo le astrazioni reali di «Società» e di «Natura». In questa forma sociale determinata dalla valorizzazione del valore - come viene brillantemente esposto da Moishe Postone - si viene a produrre una forma di sviluppo storico alienato, contrassegnato dalla crescita della composizione organica del capitale. Nella misura in cui i capitali individuali competono fra di loro e cercano una maggiore efficienza nella valorizzazione del valore, la produzione si basa sempre più sul capitale costante e sempre meno sul capitale variabile (lavoratori), fino ad arrivare al punto che - come viene anticipato da Marx nei Grundrisse - l'attività necessaria alla produzione finisce per essere quella di mera supervisione di ciò che riguarda il macchinario (capitale fisso), rendendo così il tempo di lavoro una ben misera unità di misura dell'immensa ricchezza prodotta dalle forze produttive sviluppate. Com'è stato sottolineato da Jason W. Moore, però, in generale i lettori di Marx assumono come vera solo la componente del capitale fisso (macchinario), tralasciando tutta la componente del capitale circolante (materie prime)[*3]. Il capitale circolante svolge un ruolo importante nella traiettoria della composizione organica, con la produzione di «nature storiche» configurate in special modo per la produzione di capitale circolante a basso costo. Le piantagioni di canna da zucchero nel Brasile coloniale ne sono un esempio, così come lo sono le piantagioni di cotone nel sud degli Stati Uniti nel XIX secolo. Entrambe usavano il lavoro degli schiavi e si appropriavano della fertilità naturale del suolo in quella che era la frontiera delle merci, la frontiera nella quale ci si appropria della natura non capitalizzata e la si fa diventare parte del circuito del capitale [*4]. Le piantagioni di cotone che producevano capitale circolante a basso costo sono state parte costituente e fondamentale della rivoluzione industriale, intesa come processo storico-mondiale (e non britannico), intesa come condizione della possibilità per l'incremento del capitale fisso nelle fabbriche tessili inglesi.
Abbiamo quindi una dialettica fra controllo e mancanza di controllo. Il capitale produce «nature storiche» a sua immagine (e questo può includere la frusta), così come in egual misura esercita il «dispotismo della produzione» (Marx) nelle fabbriche. Tuttavia, considerata la dissoluzione della comunità e la sua alienazione nel valore come mediazione universale, la totalità è segnata dalla mancanza di controllo [*5]. Non esiste nessun piano per riscaldare il pianeta; si tratta semplicemente dello sconsiderato risultato derivante dalla valorizzazione sul mercato globale di molti capitali individuali. Pertanto, dal momento che si tratta di una situazione contrassegnata dal determinanti storicamente specifici, Jason W. Moore ed altri propongono che quest'epoca deve essere chiamata del «Capitalocene», abbandonando qualsivoglia elemento di a-storicità; cosa che di fatto appare essere più corretta [*6].

La scienza durante il Capitalocene, quindi, è una scienza sviluppata al fine di soggiogare la natura in quanto «substrato del dominio» [*7]. Il capitale promuove lo studio e la comprensione delle «leggi» della natura (chimica, fisica, biologia, ecc.) in modo da poterli applicare alla produzione delle merci, in maniera regolare, controllata e prevedibile. In questo processo, come viene descritto da Marx, man mano che le forze produttive avanzano, si viene a costituire l'«intelletto generale», la forza produttiva sociale che si realizza in quanto conoscenza ed attività di supervisione del macchinario, anziché come processo immediato di lavoro [*8]. Ne consegue che affinché il capitale possa impiegare le «leggi della natura» per la produzione di merci, esso si trova costretto ad affrontare la «resistenza della materia», materia che, al contrario del valore di scambio che predomina la produzione capitalistica, non è fruibile, ma è dotata di specifiche proprietà sensibili. La «scienza» che riduce la natura a «substrato del dominio», pertanto, contiene in sé, in germe, la possibilità di una forma differente di relazione con la «natura». Ciò si esprime perfino nell'«applicabilità» di queste scienze; la scienza che permette la costruzione di macchine a vapore e di motori efficienti, ad esempio (la termodinamica), è la stessa scienza di base che ci permette di comprendere il riscaldamento globale. Lo sfruttamento del suolo per mezzo dell'agricoltura capitalista ha prodotto lo sviluppo della scienza del suolo e dei metodi di rigenerazione della fertilità [*9]. In questo modo l'«intelletto generale» ha consentito un monitoraggio del sistema terrestre che continua a sorprenderci: stazioni metereologiche, satelliti, boe oceaniche di monitoraggio, metodi di analisi e modelli matematici di ogni tipo che girano su super-computer che ci permettono di tracciare e plottare con relativa facilità lo status del sistema planetario nei suoi diversi comportamenti (atmosfera, oceani, biomasse...) e le loro interazioni su scale diverse.
Avviene che questa «conoscenza planetaria» sia una conoscenza separata: l'allocazione delle risorse continua ad essere determinata dal valore. Quel che abbiamo ora, sono algoritmi automatizzati che operano sulle borse e sui mercati in generale e che agiscono basandosi esclusivamente sui segnali provenienti dai prezzi. E' in questo modo che vengono allocate le risorse (produzione e distribuzione), senza alcuna mediazione con quella che è l'enorme conoscenza geosferica accumulata. Tutt'al più, si tentano delle «regolamentazioni» post-festum, per mezzo di studi dell'impatto ambientale al fine di attuare una «mitigazione» degli effetti più nocivi, a condizione che non compromettano la valorizzazione del valore. Hans-Joachim Schellnhuber - rinomato scienziato climatico tedesco ex consigliere di Angela Merkel (un conservatore) - in un interessante articolo pubblicato nel 1998, propone che i modelli matematici e i dati di monitoraggio del sistema planetario vengano usati per controllare effettivamente la totalità del sistema terrestre. E ha chiamato tutto questo col nome di «geo-cibernetica». Schellnhuber suggerisce addirittura che questo sarebbe l'emergere di un «soggetto globale» e fa riferimento al Weltgeist hegeliano. Senza dubbio, una «geo-cibernetica» comandata da governi conservatori, in Stati capitalisti, con la premessa della continuità della valorizzazione del valore, è un'idea inquietante e spaventosa. Ma Schellnhuber ha avuto il merito di percepire la mancanza di controllo della totalità planetaria e le (già esistenti) condizioni della possibilità del suo controllo. Quel che attiene ad una teoria critica, non è un rifiuto romantico o reazionario di questo tipo di proposta, bensì la sua critica immanente.

antropo STELLA-ROSSA

La fantascienza ci può offrire qualche ispirazione su come potrebbe essere usata (e riconfigurata) la scienza per andare al di là del valore. Bogdanov, nel suo libro del 1908, "Stella Rossa", immaginò un sistema statistico per la distribuzione fra tutti del «lavoro» necessario, secondo le loro attitudini e preferenze. Il sistema statistico avrebbe consentito che ogni individuo potesse essere assegnato ad un'attività di suo interesse, così come avrebbe permesso che ogni attività necessaria sarebbe stata assegnata a qualcuno interessato ad essa [*10]. Ovviamente, ciò presuppone una comunizzazione (terra e mezzi di produzione), in modo tale che non ci sia il requisito del tempo di lavoro. Sarebbe una sorta di realizzazione del comunismo immaginato da Marx ed Engels ne "L'Ideologia Tedesca", dove l'individuo potrebbe essere un cacciatore, un pescatore, un pastore o un critico, senza che abbia la necessità di dover fissare nessuna di queste attività come «professione» [*11]. Oppure, addirittura, la realizzazione dello slogan della "Critica del Programma di Gotha": «Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!» [*12]. Ma cos'è il sistema statistico immaginato da Bogdanov se non il «big data» pensato, in anticipo, con finalità emancipatrici? Cosa non sarebbe possibile con la capacità di calcolo del 21° secolo?
Con Bogdanov, ci troviamo ancora nel campo dell'ontologia del «lavoro». Oggi, la domanda che sorge è quella di andare oltre. Qui, l'altro autore che ci può ispirare è Kim Stanley Robinson, con il suo libro "2312", pubblicato nel 2012. Robinson immagina un sistema di produzione e di allocazione di risorse nel quale, dopo che c'è stata la «mediazione politica dei desideri», tutto il calcolo «economico» verrà effettuato da un super-computer [*13]. La «politica», perciò, si approprierebbe di quello che oggi è dominato dall'«industria culturale», e le questioni tecniche verrebbero risolte in maniera computazionalmente ottimizzata, dalla produzione di energia al riciclaggio, dalle forme di distribuzione a quelle di estrazione delle materie prime. Lo scenario del libro di Robinson, è il sistema solare, ma lo possiamo pensare su scala planetaria. Di fatto, data una comunizzazione della terra e dei mezzi di produzione, è perfettamente immaginabile che per la produzione e per l'allocazione delle risorse vengano utilizzati i dati del monitoraggio ed i modelli matematici del sistema planetario, anziché essere conoscenze separate; insieme alla «mediazione politica dei desideri», queste svolgerebbero il ruolo che oggi viene lasciato agli algoritmi automatizzati del mercato, l'espressione finale del «soggetto automatico» (Marx).
Concludo con due osservazioni. La prima riferita alla «scarsità», la quale motiva molti sostenitori di un'a-storica «austerità» ambientale che viene presunta come necessaria. La scarsità viene prodotta storicamente. La quantità di energia solare irradiata sul pianeta è più di dieci volte quella che viene oggi globalmente consumata. Con l'energia e con i metodi di riciclaggio (che oggi esistono) degli eventuali materiali rari, con una gestione razionale, è possibile una ricchezza materiale abbondante e «sostenibile». Infine: è in qualche modo sorprendente che le critiche marxiste e di «sinistra» del concetto di «Antropocene» siano, in generale, poco dialettiche. Senza dubbio, nella modernità capitalistica, con le sue fratture, antagonismi ed alienazioni, l'«umanità» non esiste; la critica è corretta. Non possiamo dimenticare, però, che il progetto comunista si occupa di questo ancora-non: se il capitale aliena l'essere generico (Gattungswesen), come direbbe il giovane Marx, il comunismo è finalmente la realizzazione di questo essere generico, di questa umanità. Sarebbe la riappropriazione dell'umanità alienata, ivi incluso l'«ambiente» di questa comunità (la «Natura»), che l'umanità avrebbe effettivamente e razionalmente «sotto controllo», ma con criteri assai diversi da quelli della valorizzazione del valore, producendo così «nature storiche» molto diverse [*14]. Come direbbe di nuovo il giovane Marx, «Questo comunismo è, in quanto naturalismo consumato, umanesimo, ed in quanto umanesimo consumato, naturalismo. Esso è la vera dissoluzione dell'antagonismo dell'uomo nei confronti della natura e nei confronti dell'uomo» [*15].
E' questo il nucleo emancipatorio dell'«Antropocene» il quale - anche se sembra essere definitivamente sepolto sotto il peso opprimente del Capitalocene produttore di crisi e di catastrofi - deve essere articolato politicamente.

- Daniel Cunha - Pubblicato il 12 settembre 2018 su Blogdaconsequencia -

NOTE:

[*1] - Rockstrom ed altri (2009).
[*2] - Marx.
[*3] - Moore (2015).
[*4] - Qui si tratta del problema della riproduzione allargata del capitale, così come viene elaborato da Marx nel secondo volume del Capitale, discusso da Rosa Luxemburg e attualizzato da Jason W. Moore attraverso il concetto di "frontiera della merce". Su questo si veda Moore (2000) e Moore (2015, II capitolo).
[*5] - Questa dialettica fra controllo e mancanza di controllo è stata percepita da Campagne (2017) in uno studio comparativo circa le concezioni dell'Antropocene di Moore, Malm e di Campagne stesso.
[*6] - Moore (2017); Malm e Hornborg (2014).
[*7] - Adorno e Horkheimer.
[*8] - Marx.
[*9] - Come già sottolineato da Marx, nella sua famosa discussione sull'agricoltura capitalista: «nello stesso momento in cui [la predominanza crescente della popolazione urbana] distrugge le condizioni di questo metabolismo [fra l'uomo e la terra] (...) la produzione capitalista costringe a che questo metabolismo venga sistematicamente restaurato nella sua qualità di legge che regola la produzione sociale, e che avvenga in una forma adeguata al pieno sviluppo umano.» Questa restaurazione non impedisce l'«esaurimento delle fonti durevoli di questa fertilità» (Marx), ma favorisce lo sviluppo della scienza del suolo, al tempo di Marx rappresentata dal chimico tedesco Justus von Liebig, che Marx aveva letto attentamente. In genere, i marxisti che enfatizzano questa «rottura metabolica» trascurano lo sviluppo dei metodi di ripristino della fertilità cui allude Marx, che il capitale è costretto a sviluppare a causa della resistenza della materia.
[*10] - Bogdanov.
[*11] - «... nella società comunista, dove ciascuno non ha un campo esclusivo di attività, ma può perfezionarsi in tutti i rami che più gli aggradano, la società regola la produzione generale e mi conferisce, quindi, la possibilità di fare oggi questo, domani quello, di cacciare la mattina, pescare la sera, la notte dedicarmi all'allevamento, e dopo cena criticare, esattamente secondo quella che è la mia volontà, senza mai che per questo io diventi cacciatore, pescatore, pastore o critico» (Marx).
[*12] - Marx.
[*13] - Robinson.
[*14] - Si veda la sezione sul lavoro alienato (o estraniato) in Marx. Sulla continuità fra la teoria dell'alienazione nel giovane Marx e la teoria del valore/feticismo nel Capitale, si veda, per esempio, Colletti (1975).
[*15] - Marx.

Bibliografia:

Adorno, Horkheimer. Dialettica dell'Illuminismo

Bogdanov, A. La Stella Rossa. Sellerio

Campagne, Armel. 2017. Le capitalocène: aux racines historiques du dérèglements climatique. Divergences, Paris.

Colletti, Lucio. 1975. Introduction. Trans. T. Nairn. Pp. 7-56 in Early writings, K. Marx. New York: Vintage.

Crutzen, P. 2002. The geology of mankind. Nature 415, 23.

Cunha, D. 2015a. O Antropoceno como fetichismo. Continentes 4(6), 83-102.
_____. 2018. The Rise of the Hungry Automatons: The Industrial Revolution and Commodity Frontiers. Area Paper. PhD in Sociology, Binghamton University.

Kurz, R. La crisi del valore di scambio [può essere letto qui].

Malm, A. e A. Hornborg. 2014. The geology of mankind? A critique of the Anthropocene narrative. The Anthropocene Review 1(1), 62-69.

Marx, K. 2004. Manuscritos econômico-filosóficos. Trad. J. Ranieri. Boitempo, São Paulo.
_____. 2011.  Grundrisse: manuscritos econômicos de 1857-1858. Trad. M. Duayer e N. Schneider. Boitempo, São Paulo.
_____. 2012. Crítica do programa de Gotha. Trad. R. Enderle. Boitempo, São Paulo.
_____. 2013. O capital: crítica da economia política. Livro I. Boitempo, São Paulo.
Marx, K. e F. Engels. 2007. A ideologia alemã. Trad. R. Enderle, N. Schneider, L. C. Martorano. Boitempo, São Paulo.

Moore, J. W. 2000. Sugar and the expansion of the early-modern world-economy: commodity frontiers, ecological transformations and industrialization. Review XXIII (3), 409-433.
_____. 2015. Capitalism in the web of life: ecology and the accumulation of capital. Verso, New York.
_____. 2017. The Capitalocene, part I: on the nature and origin of our ecological crisis. The Journal of Peasant Studies 44(3), 594-630.

Postone, M. 2014. Tempo, trabalho e dominação social: uma reinterpretação da teoria crítica de Marx. Boitempo, São Paulo.

Robinson, K. S. 2012. 2312. Orbit, New York.

Rockstrom, Johan et. al. 2009. A safe operating space for humanity. Nature 461, 472-475.

Schellnhuber, H.-J. e J. Kropp. 1998. Geocybernetics: controlling a complex dynamical system under uncertainty. Naturwissenschaften 85, 411-425.

Nessun commento: