domenica 7 ottobre 2018

Guidare col freno a mano tirato

copeck

L'obiettivo socialista ed il nuovo movimento operaio
- Per una critica del modo di produzione sovietico -
di Robert Kurz

Non solo nella Repubblica Federale Tedesca, la sinistra appare essere teoricamente, ideologicamente e politicamente impoverita e smantellata, nonostante la crisi mondiale del capitalismo. La forza esplicativa e mobilitante del marxismo autentico, sebbene non sia mai stata così adeguata come lo è oggi, non può più essere realizzata. E questo forse proprio perché tutta la sinistra nel suo insieme ha accolto con entusiasmo il famigerato slogan di Bernstein, secondo cui «il movimento è tutto; il fine è nulla». In un certo senso, questo vale anche per l'ala sinistra rivoluzionaria, che non è mai stanca di elaborare innumerevoli strategie per «arrivare alla rivoluzione», ma che rimane sempre particolarmente vaga riguardo al contenuto dell'obiettivo socialista. In maniera riflessa e indiscutibile, la formazione sociale emersa dalla Rivoluzione di Ottobre è stata accettata, nel bene e nel male, come «socialismo reale». La critica ad un simile «socialismo reale» è rimasta esterna, morale oppure democratico-borghese; le posizioni apologetiche, così come quelle critiche, si sono trincerate per decenni conducendo guerre di posizione ed ora stanno marciando fianco a fianco. Ma il processo di sviluppo sociale è proseguito a livelli nuovi e più alti, alle spalle non solo dei teorici borghesi, ma anche dietro quelle dei teorici di sinistra. Il fatto che la crisi del capitalismo mondiale andasse di pari passo con la crisi mondiale del «socialismo reale» ha paralizzato la sinistra, ed ha portato ad una fuga di massa verso le ideologie reazionarie ed irrazionali della classe media. Ma un'uscita reale dalla crisi, da parte di un nuovo movimento operaio rivoluzionario, può essere trovata solo attraverso la riformulazione dell'obiettivo socialista, riformulazione che deve passare attraverso una critica materialista del vecchio movimento operaio. Quel che è all'ordine del giorno, non è un'impotente manutenzione della tradizione, né il flirt "tattico" con il movimento della classe media oggi dominante sulla superficie sociale (oppure perfino la sfortunata unione di entrambe le cose sotto forma di un NHT [*1]), ma una spietata chiarificazione della questione per cui il comunismo, nonostante uno sviluppo capitalista oltre la sua maturità, non sia ancora stato in grado di trionfare. Se la sinistra marxista vuole ritrovare la propria strada, un dibattito sull'obiettivo socialista è inevitabile.

Economia del tempo e legge del valore
Alla contrario di quella che è la percezione della convinzione popolare, i fondatori del marxismo trassero delle conclusioni concrete a partire dalla critica dell'economia politica del capitale ai fini della «costruzione del socialismo». Essenziale è l'«economia del tempo», la quale, secondo Marx, è valida per tutte le formazioni sociali storiche. A disposizione delle persone, c'è sempre una quantità limitata di risorse di tempo, sia individualmente che socialmente, e deve sempre essere distribuita fra le varie attività necessarie. Nelle società originarie, che non producevano merci, con poca socializzazione materiale del lavoro (generalmente piccole comunità gestite direttamente), questa distribuzione delle risorse di tempo veniva regolata naturalmente ed in maniera consuetudinaria, e veniva «diretta», senza alcun organismo di mediazione sociale. A livello di produzione di merci, la cosa è differente, ed implica una divisione sociale allargata del lavoro e, pertanto, una maggiore connessione sociale basata su forze sociali più sviluppate. La distribuzione delle risorse di tempo sociale rispetto ai diversi lavori parziali avviene ancora naturalmente, ma non viene più «diretta». Poiché la regolamentazione dell'intero lavoro sociale, che si trova ancora intimamente relazionata al contesto naturale, si divide in lavori privati separati, i quali, com'è noto, rivelano la divisione sociale del lavoro solo come scambio sul mercato. Dal momento che la socialità della produzione non esiste direttamente nella produzione stessa, ma può esistere solamente nello scambio e, quindi, non vi è alcun controllo sociale sullo sviluppo non sociale, il problema dell'equivalenza si pone nello scambio dei lavori privati separati. In maniera ideal-tipica, dovrebbero essere scambiate uguali quantità di lavoro medio socialmente necessario ("astratto"), che viene oggettivato nei prodotti. In realtà, tuttavia, questo avviene solo nella media e a causa dell'attrito che si verifica nel processo di scambio: la proporzionalità della relazione fra la riserva sociale di tempo ed il lavoro sociale parziale (noto in economia come problema dell'allocazione delle risorse) viene stabilito solo per mezzo della proporzionalità. La ragione di tutto ciò è che l'«economia del tempo» non appare più direttamente nella produzione di merci come avveniva nelle comunità naturali, ma solo indirettamente come un riflesso reale delle merci, l'una sull'altra. Non del tutto: in un tavolo, da un lato, e in due sedie, dall'altro lato, vi sono due ore di lavoro sociale ciascuno, tuttavia: un tavolo «vale» due sedie. Anche nelle prime fasi della produzione di merci, questa relazione ha prodotto il denaro come una «merce generale» (equivalente generale), e qualsiasi tracci di economia del tempo realmente soggiacente al lavoro sociale è stata cancellata dalla coscienza (feticismo della merce). La legge del valore come legge fondamentale della produzione delle merci non è, quindi, identica alla legge generale dell'economia del tempo applicabile a tutte le società, ma solo alla sua manifestazione storica particolare nelle società produttrici di merci. La legge del valore non significa semplicemente che il «valore» è basato sulle quantità di lavoro sociale umano astratto (teoria del valore-lavoro), ma che l'astrazione del lavoro è realmente incarnata come «astrazione reale», come un riflesso reale delle merci fra di esse e come denaro.
Il capitalismo è il proseguimento della produzione di merci con altri mezzi. Dentro le ramificazioni del lavoro sociale dove esistono lavoratori privati separati, esso promuove un nuovo livello «interno» di divisione del lavoro, la quale, da un lato, aumenta enormemente la forza produttrice del lavoro e, dall'altro lato, trasforma la stessa forza lavoro umana in merce e generalizza il carattere e generalizza il carattere di merce, precedentemente marginale, dei prodotti (distruzione della produzione di sussistenza, trasformazione dei contadini in salariati industriali, capitalizzazione dell'economia rurale). Attraverso l'uso dei macchinari mediato dalla concorrenza, questo processo viene promosso sulle basi del capitalismo sotto forme sempre più elevate. Il capitale stabilisce una contraddizione che non può essere risolta sulla base della produzione di merci: da un lato, la produzione continua a basarsi sulla legge del valore, il cui dominio arriva ad essere generalizzato; dall'altro lato, è la condizione materiale di questo stesso processo a minare la legge del valore, e dissolve il lavoro privato separato a livello tecnico-materiale e riunisce il lavoro sociale ad un livello superiore. Questo nuovo stadio della socializzazione del lavoro appare evidente a tre livelli:
1 - La divisione del lavoro fra i rami individuali di produzione viene aumentata per mezzo della divisione del lavoro all'interno dei rami della produzione stessa.
2 - I diversi rami di produzione si compenetrano l'un l'altro, i chiari confini fra di essi (ancora rigidi nel sistema delle corporazioni) si confondono e si dissolvono.
3 - La produzione totale diventa sempre più dipendente da una gigantesca infrastruttura sociale, il cui risultato non può essere compreso (faβbar) in termini di valore, ma porta ad un costante aumento della produttività del lavoro materiale (scienza, formazione, comunicazione, ecc.). Quindi la produzione basata sul valore tende a collassare, il capitale porta in sé un limite logico e storico che diventa visibile attraverso un'escalation di crisi devastanti. L'involucro capitalista deve spezzarsi.

L'essenza economica del socialismo
Il socialismo non può significare nient'altro che tener conto, anche economicamente, della socializzazione materiale della produzione guidata dal capitale. La socializzazione tecnico-materiale deve apparire anche come socializzazione socio-economica. Ciò significa il superamento della produzione parziale privata o sociale, mantenuta forzatamente e formalmente dal capitale, e la sua sostituzione da parte della collettività, come produzione collettiva, svolta e controllata dalla società nel suo insieme. Tuttavia, con ciò, la legge del valore non si presenta come se fosse una particolare forma storica dell'economia del tempo. La sostituzione della produzione sociale indiretta (produzione di merci) con la produzione sociale diretta (materialmente socializzata) richiede anche che l'economia del tempo non venga rappresentata indirettamente come «valore», come un riflesso reale reciproco delle merci fra di loro, come il denaro (e, pertanto, necessariamente alle spalle dei produttori), ma che viene adottato e maneggiato direttamente dai produttori autocoscienti della loro produzione socializzata per mezzo della quale avviene la distribuzione fra le diverse attività, secondo un piano comune, delle riserve di tempo sociale. In questo modo, la legge universale dell'economia del tempo riappare immediatamente, sebbene non più come avviene nelle comunità naturali e sulla base di un mero contesto naturale, bensì a partire dalla stessa socializzazione delle persone.
Da questo si deduce che la legge del valore ed il socialismo sono del tutto incompatibili. Delle due, l'una: o la produzione diventa realmente sociale, in modo che i prodotti non possano più essere rappresentati come «valore», né apparire in maniera fantasmagorica come denaro nella loro forma di valore, oppure la socializzazione continua indiretta, come forma valore dei prodotti, senza che esista una qualche produzione sociale comune o diretta. Il superamento della legge del valore non è il limite superiore del socialismo, la sua trasformazione in «comunismo consumato», ma è il suo limite inferiore, il suo punto di partenza. Dal punto di vista economico, l'abolizione delle legge del valore corrisponde alla rottura dell'involucro capitalistico.
Indubbiamente, una simile visione - l'unica ad essere autenticamente marxista - si trova ad essere in flagrante contraddizione con la «discussione marxista» condotta per decenni sotto il diktat  della formazione sociale sorta dalla Rivoluzione di Ottobre. Per quanto antagonistiche siano le posizioni in questo dibattito, sotto alcuni aspetti si trovano ad essere notevolmente simili: l'abolizione della legge del valore viene rimandata ad un futuro sempre più lontano, e questa formazione viene dichiarata in un modo o nell'altro come «società di transizione» che si estende per un periodo per sempre indefinito. Nella maggior parte, la validità della legge del valore e l'esistenza della produzione delle merci vengono considerate costitutive di tutta la «fase inferiore del comunismo», cioè, del socialismo. Posizioni grossolanamente revisioniste come queste, si allontanano dal marxismo. Senza dubbio, per la trasformazione economica sono necessarie misure transitorie della società, che sotto alcuni aspetti richiedono pochi mesi, e sotto altri aspetti forse un periodo di alcuni anni. Tuttavia, dopo quasi settant'anni (come in Unione Sovietica) o dopo quarant'anni (come nei paesi "democratico-popolari"), è assolutamente ridicolo pensare che la legge del valore ed il carattere di merce della produzione dovrebbero essere un'espressione del "socialismo". Alla luce della critica marxiana dell'economia politica, una simile idea è semplicemente grottesca. Questa visione non può essere giustificata neppure facendo riferimento ad una distribuzione diseguale in base a quelli che sarebbero i «residui del diritto borghese» di Marx nel periodo di transizione del socialismo (Critica del programma di Gotha). La distribuzione in base alla capacità è perfettamente possibile rispetto al tempo lavorativo, e la cosa non esige affatto la legge del valore la produzione di merci. A volte, per ignoranza o contro ogni buon senso, si afferma che Marx abbia respinto l'ipotesi di una remunerazione delle prestazioni attraverso dei "buoni lavoro" (certificati di pagamento per il lavoro sociale), come se fosse un'«utopia anarchica». E' esattamente l'opposto. Rispetto a questo, Marx stava criticando Proudhon, Gray ed altri, in quanto confondevano i buoni lavoro socialisti con il "denaro" ("denaro del lavoro"), poiché teoricamente questi ultimi non superano l'orizzonte della produzione di merci. Marx dimostra che una misurazione diretta della prestazione sociale di lavoro, in uno scambio privato separato (come aveva in mente Gray e, in seguito, in forma diffusa, Proudhon), non è possibile; tuttavia, la conseguenza non è il rifiuto della distribuzione di buoni, bensì l'abolizione della produzione di merci. Tutte le teorie che asseriscono la compatibilità della legge del valore con il socialismo (o come l'astuto Ernst Mandel che, per evitare tale difficoltà, ha creato il mostro teorico di una "società di transizione" che traghetti alla società di transizione al socialismo) non sono solo false e illogiche, ma sono allo stesso tempo un'ideologia delle circostanze reali. Quella che è la reale validità della legge del valore nel blocco orientale si riferisce all'esistenza, non meno reale, dei rapporti di sfruttamento. Non è vero che il carattere generale della merce prodotta era limitato dal fatto che la forza lavoro non era più una merce, ma piuttosto è il contrario: le merci apparivano come merci solo in quanto la forza lavoro rimaneva una merce in sé (o lo diventava, come accadde per la maggior parte della popolazione contadina all'Est). Se la forza lavoro è privata, la produzione non può essere comune. La trasformazione della forza lavoro umana in merce, ed il suo utilizzo sulla base della produzione generali di merci, rimane tuttavia l'essenza del modo di produzione capitalista, nel quale possono manifestarsi forme specifiche. Tuttavia, resta da chiarire come sia avvenuto che questo «capitalismo d'Oriente» abbia potuto svilupparsi in contrasto con le intenzioni dei bolscevichi, e come sia avvenuto che la sua forma differisce da quella del capitalismo occidentale.

Il dilemma della Rivoluzione di Ottobre
Si evince logicamente dalla teoria di Marx che, in termini economici, la rivoluzione socialista è possibile solamente a partire da un certo grado di maturità della socializzazione capitalista. Dall'altro lato, in condizioni specifiche, il proletariato può prendere il potere politico (relativo) indipendentemente da questo grado di maturazione del processo di socializzazione materiale. In questa relazione di tensione, viene risolto il dilemma della Rivoluzione di Ottobre. Lenin e i bolscevichi ne erano pienamente consapevoli. Non potevano avere dubbi sul fatto che la Russia, nel suo insieme, non avevano affatto raggiunto quello che è il grado minimo di maturazione della socializzazione capitalista della produzione. Ciò che Lenin aveva sviluppato (e, pertanto, la sua dottrina era superiore a quella della socialdemocrazia occidentale) per la prima volta, era una strategia politica internazionale della rivoluzione, che si basava su quelle che erano le condizioni della prima guerra mondiale imperialista: la rivoluzione russa, diretta contro uno zarismo totalmente superato - e visto come l'anello più debole nella catena delle classi nemiche -, avrebbe dovuto dare l'impulso iniziale alla rivoluzione proletaria  nei paesi sviluppati dell'Europa occidentale. Con l'appoggio economico da parte di un socialismo occidentale, e solo con tale appoggio, il potere proletario ad Est avrebbe potuto contare su una possibilità economica di sopravvivenza, e saltare le tappe essenziali dello sviluppo del capitalismo. Le resa dei conti si avvicinava, ma non arrivò. Lenin aveva sottovalutato l'ampiezza e la profondità del riformismo del movimento operaio occidentale, ed aveva sopravvalutato il livello di maturità del processo di socializzazione occidentale della produzione materiale, così come, prima, in parte avevano fatto anche gli stessi Marx ed Engels. In questo modo, la tragedia della Rivoluzione di Ottobre era già annunciata. Non appena divenne chiaro che l'Unione Sovietica pretendeva di far germogliare l'accumulazione originaria (industrializzazione) sulla base dei propri sforzi, senza scommettere più sulla rivoluzione degli operai occidentali, il potere socialista fu condannato a morte. Dal momento che produzione socializzata (socialista) significa gestione e controllo collettivi della produzione, e quindi anche superamento almeno delle forme più grossolane di divisione capitalista del lavoro; in caso contrario, la legge del valore non può essere superata.Tuttavia, le forze produttive sviluppate sulla base di una riserva di tempo sociale "eccedente" sono già un presupposto per questo. L'accumulazione originaria è esattamente l'opposto, vale a dire, l'assorbimento permanente di quella che è la massa di lavoro eccedente dipendente dal salario - e, in tal senso, la sua essenza era integralmente e necessariamente capitalista.
Ma non si poteva arrivare alla caduta del potere socialista in Russia per mezzo di una controrivoluzione della vecchia borghesia russa. Questa era troppo debole, a partire dalla sua dipendenza dallo zarismo e dal capitale straniero, fino alla sua completa distruzione avvenuta attraverso la Rivoluzione di Ottobre. L'inevitabile controrivoluzione poteva venire solo dall'interno, a partire da un processo di trasformazione dello stesso partito bolscevico. Questo "tornare indietro", freddamente e dall'interno, si rese possibile solo in una fase della storia sovietica, vale a dire, a metà degli '20, dopo la morte di Lenin e dopo la fine della guerra civile. Così come Lenin, quand'era vicino alla morte, durante gli ultimi anni e mesi della sua vita, aveva analizzato in articoli e bozze il proletariato industriale originario e numericamente piccolo che ormai era stato distrutto durante questa fase della rivoluzione e della guerra civile. Quando il partito dominante si trasformò rapidamente in un apparato di potere e "fluttuante", non c'era nessuna base sociale reale per la rivoluzione socialista. Sotto Stalin, questo apparato venne trasformato, nel suo carattere economico, in una macchina capitalista di accumulazione originaria. In questo senso, tutte le teorie che parlano di "restaurazione" sono fin dall'inizio sulla strada sbagliata, assumendo solo la pseudo resa dei conti, nel 1956, di Krushchev con lo stalinismo come se fosse la sinistra data di una presunta controrivoluzione. Sarebbe anche assai strano che un "potere operaio", dopo decenni di dominio, sprofondasse improvvisamente senza chiasso, né grandi urti o disordini. In realtà, in termini economici, tranne alcune sfolgoranti misure di emergenza attuate dal "comunismo di guerra", in Unione Sovietica non è mai esistito un modo di produzione socialista. Nella fase di impoverimento generale, dopo la guerra civile, la morte di Lenin e l'assenza di rivoluzioni in Occidente, il potere politico socialista venne trasformato in maniera "fredda" in una macchina di accumulazione capitalista originaria. Lo stalinismo è solamente il riflesso ideologico di questo sviluppo non compreso.

Il capitalismo di Stato sovietico
A fronte di un mercato mondiale già altamente organizzato, e a fronte dei paesi imperialisti sviluppati, in Unione Sovietica, l'accumulazione originaria doveva seguire forme differenti da quelle dell'Occidente. A causa della pressione economica esterna, quest'accumulazione non poteva svilupparsi lentamente a partire dal movimento della concorrenza del proprio mercato interno, ma doveva essere prodotta rapidamente per mezzo di un'amministrazione capitalista di Stato centralizzata. Tutte le forme designate come "socialiste" - quali il piano centrale, l'utilizzo statale centralizzato del plusvalore, l'autorità centralizzata di investimento statale, il monopolio del commercio estero, ecc. - non sono altro che componenti necessari di questa macchina capitalista di Stato. Sulla base della legge del valore e della produzione di merci, non avrebbero potuto dare diversamente. Con la formazione di questo modo di produzione capitalista di Stato, si formò inevitabilmente una classe dominante statale capitalistica di comandanti della produzione e di appropriatori statali di plusvalore. A partire da quel momento, quest'accumulazione capitalista originaria e recuperatrice divenne un modello per tutti i paesi che desideravano rompere con l'assedio coloniale, o neocoloniale, e passare ad una base autonoma di accumulazione. Da qui l'affinità dei movimenti di guerriglia - ma anche in parte dei colpi di Stato militari di "sinistra", dei dittatori, ecc. - del "Terzo Mondo" con l'Unione Sovietica. Tali sviluppi, che ideologicamente si verificavano sempre sotto questa maschera "socialista", economicamente potevano essere solamente un capitalismo di Stato di accumulazione originaria recuperatrice, la cui natura non veniva in alcun modo modificata grazie a designazioni eufemistiche quale «via di sviluppo non capitalistica». A partire dalle risorse naturali ed umane esistenti, l'accumulazione capitalista di Stato ha potuto continuare fino ad un certo punto, e fino ad oggi è stata possibile solo in grandi paesi come la Russia e la Cina, o si è dovuto ritornare ad una forma di dipendenza economica. Con l'emergere del capitalismo di Stato in Unione Sovietica, tuttavia, si sono venute a creare delle nuove contraddizioni insolubili, che sono apparse in maniera leggera nell'industrializzazione fatta dal niente. Tuttavia, una volta che questo processo si è concluso in termini generali, vale a dire, con la realizzazione della propria base industriale pesante, un rifornimento organizzato di energia ed elettrificazione, così come un sistema di trasporti e comunicazione, ecc., ha cominciato ad affermarsi questa contraddizione fra la produzione di merci e la centralizzazione capitalista. Dopo aver raggiunto l'industrializzazione, al cui fine era realmente funzionale, la burocrazia capitalistica statale doveva diventare del tutto disfunzionale rispetto al compito di partecipare in maniera competitiva al mercato mondiale e dare inizio ad un processo di sviluppo intensivo (produzione di plusvalore relativo) nel condizioni del mercato globale. Il compito di «pianificare il mercato», cioè, ogni controllo cosciente delle funzioni per natura inaccessibili da parte della società produttrice di merci (flusso dei valori di scambio, prezzi, salari), o la sua «pianificazione» sociale cosciente (niente di più che il meccanismo di pianificazione nel blocco orientale), diventa irrimediabilmente irrisolvibile. In superficie, questo è dimostrato dal fatto che il blocco orientale, a partire dagli anni '50, resta indietro in termini di produttività del lavoro rispetto all'Occidente, rifiutando di pagare le costose importazioni di tecnologia e dimostrando, perciò, la sua pura illusione di «raggiungere e superare». In questo contesto, la critica superficiale del sistema stalinista di Khruschev deve essere vista, a partire da allora, come un interminabile dibattito sulle riforme economiche, che punta sempre soltanto in direzione di un forte sviluppo degli elementi del mercato e della concorrenza. Ma le vere riforme «basate sul mercato» sono state neutralizzate per mezzo dell'espansione degli interessi del proprio apparato capitalista di Stato e della sua stessa dinamica che sviluppava nel frattempo. A partire da questo contesto, appare chiaro che il trasferimento forzato del sistema sovietico capitalista di Stato verso i paesi già industrializzati, come la Repubblica Democratica Tedesca o la Cecoslovacchia, è stato, fin dall'inizio, disfunzionale e reazionario. La grave crisi di tutto il blocco dell'Est - in quanto capitalismo guidato, per così dire, con il freno a mano tirato - deve evolvere inesorabilmente ed è probabile che, inoltre, porti a delle serie collisioni sociali.

I compiti della sinistra rivoluzionaria
Le lotte reali della classe operaia nell'attuale processo di crisi e cambiamento nel capitalismo mondiale non hanno, alla fine, spazio in questo modo di produzione; possono avere una prospettiva solo se combinate con l'orientamento strategico di una riformulazione dell'obiettivo socialista. Una simile prospettiva può essere sviluppata dalla sinistra rivoluzionaria solo per mezzo della critica dell'ideologia regressiva della classe media «critica delle forze produttive», e delle sue reazionarie implicazioni politiche nazionaliste o «regionaliste». Perché l'abolizione della produzione di merci è possibile solamente sul piano internazionale attraverso una rivoluzione operaia socialista paneuropea. Il rifiuto di tutte le fantasie reazionarie di «unificazione» a scartamento ridotto della sinistra rosso-bruna, da una parte, e la riformulazione dell'obiettivo socialista in quanto critica del vecchio movimento operaio e del capitalismo di Stato sovietico, dall'altra, sono le due facce della stessa medaglia.

- Robert Kurz - Pubblicato il 30 novembre 1984 su Gemeinsame Beilage, N. 1.

NOTE:
[*1] - La "Nuova Teoria Principale" (NHT) è stata un'elaborazione teorica nata all'inizio degli anni '80 a Gelsenkirchen (Germania), come parte del contesto di dissoluzione del Movimento M-L tedesco

fonte: Blog da Consequência

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