Andreas Malm e l'antisemitismo verde
- di Sylvaine Bulle - 11 settembre 2024 -
«La prima cosa che abbiamo detto in quelle prime ore non sono state tanto parole quanto grida di giubilo. Quelli di noi che hanno vissuto la loro vita con e attraverso la questione della Palestina non potrebbero reagire altrimenti alle scene di resistenza che hanno preso d'assalto il checkpoint di Erez: questo labirinto di torri di cemento, recinti e sistemi di sorveglianza, questa consumata installazione di cannoni, scanner e telecamere – certamente il più mostruoso monumento al dominio di un altro popolo in cui io sia mai entrato – improvvisamente tra le mani dei combattenti palestinesi che avevano sopraffatto i soldati di occupazione e strappato la loro bandiera. Come non gridare di stupore e di gioia? Lo stesso vale per le scene in cui i palestinesi attraversano la recinzione e il muro e si riversano nella terra da cui sono stati espulsi».[*1] Queste parole, che celebrano l'atto distruttivo di Hamas del 7 ottobre 2023, sono di Andreas Malm, ricercatore in ecologia umana all'Università di Lund (Svezia). Andreas Malm, di nazionalità svedese, è un autore feticcio dell'eco-marxismo e uno dei pensatori più influenti dell'ecologia politica. Diciamolo chiaramente: per chi è interessato alle tematiche ambientali, il riferimento è diventato imprescindibile negli ultimi dieci anni. Malm è un ricercatore rigoroso e uno dei più visionari sul cambiamento climatico, uno dei più creativi, uno di quelli che ispirano le giovani generazioni di attivisti, ma anche i meno giovani, spesso marxisti o rivoluzionari. In particolare, ha contribuito alla notevole trasformazione del pensiero ecologico grazie al suo approccio metastorico e fondante all'economia fossile globale; ciò mette in luce la responsabilità economica delle industrie e degli imperi nella distruzione dell'ambiente [*2]. Ma Malm, e una nuova generazione di eco-attivisti con lui, collocano "Israele", in una dubbia mossa critica, al centro della scienza del clima e della critica ecologica. Nei suoi libri e soprattutto nelle sue posizioni pubbliche, dopo il massacro del 7 ottobre, Malm descrive ripetutamente i palestinesi come una doppia vittima dello Stato ebraico: da un lato a causa dell'occupazione, dall'altro a causa del ruolo di Israele nella crisi climatica. Perché simili generalizzazioni da parte di un ricercatore altrimenti meticoloso? Che l'autore, un marxista, appartenga al campo dell'antisionismo, le cui ascendenze sono ben identificate [*3], appare ovvio dal momento che la critica di Israele è parte di quella dell'egemonia del Nord globale. Ma collegando "sionismo" e "ambiente", e facendo della Palestina il laboratorio della resistenza climatica, compare un nuovo campo: quello che può essere definito un "antisionismo verde". In che modalità discorsiva ha avuto luogo questa evoluzione? Esaminiamo qui gli argomenti, chiedendoci se un certo movimento di ecologia politica non sia in procinto di acclimatarsi nell'anti-israelismo imperante. In effetti, è necessario cogliere il contenuto dell'inserimento di Israele nella questione ambientale perché, lungi dall'essere un fatto isolato, è indicativo dei potenti movimenti di estensione dell'"antisionismo" e della sua attualizzazione sulla base di percorsi rinnovati.
I contorni dell'antimperialismo verde
Comprendere l'antisionismo verde, o "campismo", presuppone che si riparta dall'ecologia politica. Qui, le recenti posizioni di Andreas Malm appaiono rivelatrici. Ciò perché, a differenza di altre correnti marxiane di ecologia politica, e seguendo le orme di alcuni storici chiave [*4], egli descrive con precisione la responsabilità del capitalismo fossile come strumento di accumulazione e di espropriazione, e ne chiede l'abolizione come forza volta allo sfruttamento della ricchezza e del lavoro umano. Sulla base della sua profonda conoscenza della scienza del clima, Malm dichiara di essere scettico sull'efficacia delle politiche del vivente, dell'abitabilità terrestre, o delle alleanze tra umani e non umani. Né, di certo, per limitare la catastrofe, è più sensibile alle proposte provenienti dalla sfera comunalista alternativa e da altre sfere utopiche, e ancor meno alla transizione verde. Difende coerentemente l'eco-marxismo e un comunismo di guerra, un “leninismo ecologico”[*5] sostenuto (vagamente) da uno Stato forte, se non addirittura autoritario. Qualsiasi lotta per la stabilizzazione del clima deve iniziare con la demolizione dell'economia dei combustibili fossili, e quindi con la resistenza e l'azione contro di essa. Si tratta della tesi vincente del disarmo, detta anche eco-sabotaggio, iscritta nella storia delle rivolte operaie o popolari, particolarmente attualizzata da Malm nel suo "Come sabotare un oleodotto" e ne "Il pipistrello e il Capitale"[*6]. In questo modo, si inverte il significato dato al gesto del disarmo: è l'equipaggiamento energetico a provocare danni che invece devono essere disattivati dall'atto militante di sabotaggio, essendo quest'ultimo un atto di resistenza che presuppone l'abbandono della non-violenza. Questa proposta politica, costituisce il modo di azione portato avanti da alcuni movimenti giovani come le Rivolte della Terra [*7] o Extinction-Rebellion (XR). Tutto ciò, è stato testato nella zad di Notre-Dame-des-Landes e soprattutto nella manifestazione contro il mega-bacino di Sainte-Soline, nella Francia occidentale, nel marzo 2023, che è stata pesantemente repressa [si veda: Sylvaine Bulle: "Irriducibili. Le zone autonome come conquista ecologica" in "Écologies. Il vivere e il sociale", La Découverte, 2023]. Ma come arriva Israele in questo ragionamento coerente?
Un antisionismo verde?
Malm, come storico dell'Antropocene, ha descritto nella sua opera fondamentale, "Capitale Fossile" [*8], le fasi dell'accumulo di energia fossile. Possiamo riassumere molto brevemente la sua dimostrazione relativa al Medio Oriente: a partire dall'industria del carbone, sviluppatasi nel XIX secolo, gli inglesi volevano creare un impero fossile sul territorio del Levante arabo e ottomano (Siria, Iraq, Libano, Palestina, Egitto), facendo affidamento sugli ebrei d'Europa, che, in quanto europei, sarebbero stati in simbiosi con l'impero fossile. E avrebbero fatto questo attraverso l'istituzione di industrie estrattive, attraverso l'istituzione del focolare nazionale ebraico e incoraggiando la partenza degli ebrei, o, in seguito, con il trasporto degli ebrei fuggiti dall'Europa facendo un uso massiccio di barche, e quindi di mezzi di trasporto che consumano molta energia. Non solo questo progetto della modernità imperialista britannica è stato uno dei più inquinanti, ma è stato anche diluito nel progetto sionista dell'yishuv; essendo l'uno al servizio dell'altro, ed entrambi utilizzando le risorse fossili che stanno distruggendo il Mediterraneo e oltre. Al servizio dell'Impero britannico, lo Stato di Israele avrebbe così contribuito al dominio americano del Medio Oriente e all'accesso illimitato del petrolio ad Est, così come ha accelerato l'ecocidio per mezzo della costruzione dei suoi insediamenti e del suo territorio nazionale [*9]. Qui, l'argomento, a differenza della doxa antisionista, non si basa sull'anti-imperialismo e sull'anti-capitalismo (con al centro Israele), ma sul clima. Infatti, come ha spiegato Malm nel 2017 in un articolo intitolato: "I muri del carro armato: sulla resistenza palestinese"[*10]: «il rapporto tra Palestina e cambiamento climatico [...] rappresenta più di un'allegoria o di un'analogia. I combustibili fossili sono stati parte integrante del disastro fin dall'inizio» [*11]. Questo costituisce anche il motivo per cui non basterebbe più, per fermare i disastri ambientali, smantellare gli insediamenti. Ciò perché Israele nel suo complesso, in quanto luogo la cui esistenza rende possibile l'estrazione di combustibili fossili, sarebbe responsabile della crisi climatica per l'intero pianeta [*12]. Il punto di svolta nella corsa ai combustibili fossili è stato, secondo Malm, la seconda Nakba di Gaza – vale a dire, l'attuale guerra di Gaza dopo il 7 ottobre 2023 – sostenuta dal Nord del mondo, e che fa parte della continuazione della creazione di Israele e del progetto imperiale [*13]. Ecco il ragionamento centrale. Ora, con quali mezzi, Malm riesce davvero a dimostrare la responsabilità specifica di Israele per la distruzione del pianeta? Riconosciamo che Israele ha un progetto discutibile in quella che costituisce l'artificializzazione del suo suolo e la distruzione della sua biodiversità [*14], così come in quella che è l'estrazione delle risorse idriche. Ma Israele non produce petrolio, a differenza dei paesi arabi, che non gli sono affatto favorevoli, se non ostili. Eppure, secondo Malm, il 7 ottobre è stato il risultato della traiettoria della crisi climatica che ha seguito quella di Israele. Secondo lui, questa traiettoria segue una curva: estrazione di risorse naturali, espropriazione di terreni, rifugiati climatici. Il cambiamento climatico, ci dice Malm, sta costringendo «milioni» di persone in tutto il mondo «a seguire l'asse palestinese». «L'intero pianeta sta diventando Palestina», scrive Malm, ad esempio, in "The Destruction of Palestine: Is the Destruction of the Earth". Fare di Israele il modello precursore attraverso il quale comprendere la crisi climatica globale consente a Malm di presentare la lotta contro Israele come una lotta contro il riscaldamento globale. L'autore, geografo di formazione, raramente fa riferimento a Israele quando elabora la sua storia dell'Antropocene. Preferisce l'"entità sionista" (e talvolta il popolo ebraico), composta da coloni. Questo, senza mai riconoscere l'esistenza dei tanti movimenti utopici sionisti che hanno ispirato l'ecologia sociale [*15]. Questo rifiuto di designare Israele come Stato fa parte di un gesto critico che si identifica chiaramente nell'antisionismo, che consiste nel non riconoscere la possibilità che gli ebrei siano incarnati da una forma di Stato stabilizzata, e nel lasciare il dubbio sul modo di esistere di Israele trattandolo come un'entità astratta. Inoltre, questo vago nome di "entità sionista" ha il vantaggio di non dover menzionare il rapporto con il territorio post-'48 e le sue componenti materiali e ambientali, né le forme sociali dello Stato, o il sociale stesso.
La lotta per salvare il pianeta: l'autentica terra palestinese contro l'astratta entità ebraica
Perché, allora, un autore come Malm, un teorico del materialismo storico così rigoroso nel suo ragionamento, si permette di ignorare il fatto che "l'entità sionista" abbia una tangibilità, riducendola a un'astrazione che si caratterizza solo per la sua natura ecocida e genocida? Si capisce, leggendolo, che uno Stato dai contorni astratti, sovrapposto al territorio palestinese dall'egemonia occidentale, può essere facilmente incolpato di tutti i mali planetari. In questo caso, è facile confondere diverse categorie di critica radicale (anticapitalista, antimperialista ed ecologista) in un'unica logica manichea. È a questo livello che la critica di Malm perde la sua specificità ecologica e la sua rilevanza, diluendosi in un amalgama ideologico nello stesso momento in cui lo Stato israeliano si diluisce nella lobby americana dei combustibili fossili [*16] accusata di distruzione regionale. E' una coincidenza, si chiede Malm, che il "genocidio" di Gaza (senza menzionare i massacri del 7 ottobre in Israele) stia avvenendo in un momento in cui lo Stato di Israele si trova a essere più profondamente che mai «integrato nell'accumulazione primitiva del capitale fossile», anche «grazie agli Accordi di Abramo intesi a introdurre il capitale israeliano nei combustibili fossili», e destinati a normalizzare le relazioni con Israele a favore dell'espansione delle risorse fossili? Analogamente, da parte sua, l'antisionismo verde attacca semplicisticamente la tecnologia prometeica israeliana, la quale esercita, più del carbone e dei combustibili fossili, un vero e proprio fascino su molti saggisti, tra i quali lo stesso Malm [*17]. Così, ad esempio, Malm descrive il "tecno-genocidio" (o "genocidio ad alta tecnologia") post-7 ottobre e la "macchina di morte israeliana", che commette uccisioni di massa meccanizzate e automatizzate (utilizzando l'intelligenza artificiale), che si combinano con il potere del petrolio. Tuttavia, l'autore non è realmente interessato al costo ambientale della guerra di Gaza, la quale è particolarmente devastante per la biodiversità e per gli esseri viventi nel nord e nel sud di Israele. Questo danno dovrà essere documentato e riparato. Questa omissione si spiega: ciò che importa soprattutto a Malm, per unificare i diversi poli della sua critica manichea, è mettere insieme ecocidio e genocidio; la distruzione della Palestina e della Terra che convergono sul suolo inquinato e avvelenato [*18] da parte dell'appropriazione sionista a Gaza, dove sono impigliati i rifiuti combustibili e i cadaveri delle vittime dell'Impero. Ciò che conta, per questa forma di antisionismo verde, è fare dell'"entità sionista" – descritta come astratta, globalizzata e alienata dalla tecnologia – una minaccia esistenziale per i valori di autenticità di cui i palestinesi sarebbero i portatori esclusivi, in virtù del loro legame con la natura, la terra e il lavoro manuale di sussistenza. Di conseguenza, tutto ciò che è autentico è palestinese. Come Malm sottolinea nel suo testo "The Walls of the Tank", l'unico vero Stato che resiste, contro tutta la Nakbah e contro ogni espropriazione, è quello della Palestina, l'unico vero Stato del vero "popolo" della regione. La Palestina, così feticizzata e fantasticata, è l'unica portatrice di emancipazione; Si tratta di un popolo concreto destinato a ricongiungersi con la sua terra originaria e autentica, contro questa "forza estranea, pericolosa e distruttiva" che minaccia l'intero pianeta. E viceversa, la vera ecologia non può che essere palestinese. Come progetto, Malm propone la Palestina in quanto ultima speranza politica contro la catastrofe planetaria globale. Per questo essa deve rappresentare lo spirito di emancipazione contro tutti gli ecocidi globali, dalla distruzione dell'Amazzonia ai mega-incendi, ecc. «Adottare la posizione palestinese significa, in ultima analisi, scegliere la natura come suo ultimo e più potente alleato», scrive l'autore in "The Walls of the Tank". All'interno di quest'analogia imperfetta volta a realizzare la rivoluzione climatica liberando Gaza e i Territori, è importante che i palestinesi realizzino prima il loro diritto al ritorno sbarazzandosi di un Israele ecocida e inquinante. A questa condizione, la Palestina tornerà ad essere autentica e la concentrazione di CO2 scenderà al di sotto dei livelli degli anni '80. Perché "dal fiume al mare" le emissioni di CO2 devono essere eliminate. Ma allora dobbiamo chiederci: quale concezione del gesto emancipatore può emergere da una simile critica manichea?
L'ascesa in generale: la rivolta della terra e di Hamas
Per molti eco-marxisti e attivisti ambientalisti degli anni 2020, la resistenza palestinese è diventata un modello da seguire in difesa del pianeta [*20]. Ma tutto ciò che tipo di resistenza rappresenta? Bisogna disarmare le infrastrutture, come hanno proposto gli attivisti europei, in particolare nel Regno Unito e in Francia? Malm appare più concentrato sugli episodi di sabotaggio in atto durante le rivolte arabe del 1936, con i combattenti della resistenza che, dall'Iraq, attaccavano gli oleodotti. L'autore non esita a esplorare strade più recenti, tuttavia, soprattutto quando egli celebra con entusiasmo la lotta armata, incoraggiando gli attivisti per il cambiamento climatico a prendere come esempio i metodi di Hamas. Prima del 7 ottobre, ad esempio, scriveva su "The Walls of the Tank": «Come possiamo non esprimere la nostra ammirazione per gli eroi della resistenza a Gaza, guidati da Mohammed Deif? E come possiamo non imparare le lezioni della resistenza palestinese e applicarle come modello su altri fronti?» [*21]. Dopo il 7 ottobre, è stato lui a cogliere la grandezza di Hamas con il suo esercito di aquiloni lanciati contro il muro di Gaza, un'azione che non ha precedenti nella storia della Palestina. In “La distruzione della Palestina è la distruzione della Terra”, egli esprime la sua visione: «La resistenza è chiusa nei tunnel, ed è per questo che penso che dobbiamo dirlo forte e chiaro: siamo al fianco della resistenza. (...) Izz al-Din al-Qassam, Mohammed Deif e Abu Obeida e i loro compagni d'armi della Jihad, del FdlP e del Fplp sono tuttora nei tunnel, continuando a lanciare un'operazione dopo l'altra – ed è solo grazie a questo che è possibile continuare a vivere un altro giorno». In conclusione, per Malm non ci può essere alcuna emancipazione su un pianeta morto, ma esiste invece la speranza che oggi ci sia una rivoluzione verde, della quale Hamas sarebbe il promotore. Così, gli entusiasmi dell'autore pro-Hamas si concentrano sulla vittoria eroica di quest'ultimo, senza che sia concepibile per Malm credere in un progetto comune e plurale di prendersi cura della terra e, allo stesso tempo, della democrazia, finché esista la presenza di Israele e della sua forma-Stato. Alla fine sorge una domanda. Quando Malm e, insieme a lui, alcuni sostenitori dell'antisionismo verde proclamano il loro amore per la Palestina e la loro ostilità nei confronti di Israele, ci si chiede quale conoscenza della realtà delle due società (che essi si sforzano di costruire in maniera speculare)? Dal momento che è solo un puro manicheismo astratto quello che sembra permettere di estendere l'antisionismo a questo nuovo campo: quello dell'antisionismo verde, in quanto «la lotta palestinese è parte integrante della politica ecologica globale» del XXI secolo. Naturalmente, non si tratta di celebrare il sionismo verde in modo speculare, né di ignorare i danni ambientali a livello territoriale, l'artificializzazione del territorio e il gigantesco dispendio di risorse naturali in Israele, o gli accordi geopolitici assai discutibili sulle riserve di gas nelle acque del Mediterraneo. Ma nel Nord globale, dove così tanti attivisti si concentrano sulla tragedia palestinese [*22], nessuno sembra disposto a riconoscere che anche la società israeliana produce critiche su questi temi. Eppure, per riaprire l'orizzonte della diplomazia tra il vivente e il terrestre, è necessario che una varietà di attori, israeliani e palestinesi, si impegnino nel dialogo. La situazione richiede una pluralità di linguaggi e di pratiche, dalle più anarchiche alle più riformiste, all'interno delle quali “democrazia” e “terra” non siano dissociate. Era questo, ad esempio, il progetto del socialista anarchico Gustav Landauer, oggi celebrato dagli attivisti ecologisti. Il collasso è una via d'uscita: è quanto sembra dire il visionario Malm, l'angelo nero della storia climatica. Come Walter Benjamin, dal quale in “Avis de tempête” [*23] ha preso in prestito alcuni riferimenti , egli ci precipita nelle rovine della storia industriale dell'Occidente e del Medio Oriente, per meglio evidenziare l'urgenza di entrambe le situazioni, una climatica e l'altra politica, che si sovrappongono l'una sull'altra e sono altrettanto distruttive. Ma ciò di cui A. Malm probabilmente non si rende conto è che, ritenendo di osservare gli ultimi brandelli di umanità, guardandole dalle rovine palestinesi, precipita i suoi lettori in un ragionamento semplicistico e binario nel quale non si fa altro che accelerare il caos e la tragedia. Non possiamo più ignorare i presupposti di questo catastrofismo accusatorio ma soprattutto fantasmagorico.
- Sylvaine Bulle - 11/9/2024 - Pubblicato su K -
Note
1 - Discorso all'Università Americana di Beirut l'8 aprile 2024.
2 - L’Anthropocène contre l’histoire : le réchauffement climatique à l’ère du capital, La Fabrique 2017.
3 - Si veda, ad esempio, molto recentemente: Julia Christ, "Si può essere antisionisti?"
4 - Ad esempio: Timothy Mitchell: Egypt, Techno-Politics, Modernity, Berkeley, University of California Press. 2002
5 - Si veda l'intervista per Permanent Revolution
6 - Andreas Malm, "Die Fledermaus and Capital", trad.,"Come far saltare un oleodotto. Imparare a combattere in un mondo che brucia". Ponte alle Grazie
7 - Da notare che Les Soulèvements de la Terre nella loro recentissima "Premières secousses" (Parigi, La Fabrique, 2024) non cita mai esplicitamente Malm. Si limitano a citare il FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) come se fosse un attore collettivo pioniere nell'eco-sabotaggio contro il sionismo. Nel 1969 il FPLP lanciò una campagna per sabotare gli oleodotti nel Golan, allora occupato da Israele. Al contrario, sulla scia di Malm, le Soulèvements de la Terre attaccano gli oleodotti in quanto strutture che incarnano i legami tra lo Stato di Israele, gli Stati Uniti e i regimi arabi reazionari. Il sabotaggio è quindi, ai loro occhi, uno strumento di liberazione nazionale palestinese.
8 – “Fossil capital: The Rise of Steam Power and the Roots of Global Warming”, Londres,Verso,2016. A. Malm annuncia un secondo volume sull'economia dei combustibili fossilicosì come anche il libro che sarà pubblicato da Verso nel 2024, con Wim Carton: "Overshoot: How the World Surrendered to Climate Breakdown".
9 - Nel suo blog dedicato alla distruzione della Palestina dopo il 7 ottobre, ritorna a lungo sulla storia degli ebrei in Palestina, compresa la Bibbia. https://www.versobooks.com/blogs/news/the-destruction-of-palestine-is-the-destruction-of-the-earth, blog Verso, 8 aprile 2024.
10 - Andreas Malm, “The Walls of the Tank: On Palestinian Resistance”, Salvage, 4/2017
11 - Questo punto è stato particolarmente evidenziato da Mathieu Bolton: Climate catastrophe, the "Zionist Entity" e "The German Guy": An anatomy of the Malm-Jappe dispute" (in The Rebirth of Antisemitism in the 21st Century, a cura di David Hirsh, Routledge, 2023). Bolton è stato uno dei primi a sottolineare le critiche di Malm a Israele e agli ebrei. Pubblicato in francese su Lundi.am nel dicembre 2023
12 - «Dovremmo per prima cosa considerare il ruolo dello Stato di Israele nell'attuale frenesia dei combustibili fossili». (Per Malm, Israele è coinvolto nelle piattaforme di estrazione ed esportazione di gas nel Levante), in "La distruzione della Palestina è la distruzione della Terra", blog aprile 2024.
13 - Ivi
14 - Si veda, ad esempio, Tamar Novick, Milk & Honey: Technologies of Plenty in the Making of a Holy Land, MIT Press, 2023.
15 - Si veda in particolare Martin Buber, Utopie et socialisme, trad., Parigi, L'échappée, 2018; Communité́, Paris, Ed. de l'éclat, così come Gustav Landauer, Appel au socialisme, trad., ed. Lentezza. Vedi anche Sylvaine Bulle, "L'anarchismo ebraico e le sue risorgive ecologiche contemporanee", Revue K, 2023
16 - “The Walls of the tank” et “The Destruction of Palestine Is the Destruction of the Earth”.
17 - Günther Anders denunciava il pericolo di una stretta fascinazione per Prometeo, se la tecnologia non fosse vista prima come uno strumento di socializzazione. Si veda il suo libro "L'uomo è antiquato", voll. 1 e 2, Bollati Boringhieri
18 - Si pensi all'accusa rivolta agli ebrei del Medioevo di avvelenare i pozzi, ricordata da Karsenti et al., in: "Un genocidio a Gaza? Risposta a Didier Fassin", Revue A.O.C.
19 - Moishe Postone ha mostrato chiaramente come una particolare forma di critica del capitalismo, che egli definisce "tronca", si rivolga alla dimensione astratta del capitale in nome di valori "concreti" naturalizzati (l'autenticità della terra o dell'appartenenza etnico/razziale, il gesto manuale del lavoratore sono celebrati in quanto colti come anteriori e contrapposti alla logica astratta del capitalismo). E Postone ha dimostrato il legame intrinseco tra questa critica tronca e l'antisemitismo. Vedi Moishe Postone, "Critique du fétiche capital. Le capitalisme, l’antisémitisme et la gauche", PUF, 2013.
20 - Vedi Malm nel suo blog: Quando torna la lotta, https://www.versobooks.com/blogs/news/5061-when-does-the-fightback-begin (aprile 2021).
21 - In Come sabotare un oleodotto?
22 - Malm, ad esempio, è stato fortemente coinvolto nella lotta pro-palestinese nel Movimento Internazionale di Solidarietà per la Palestina.
23 - Andreas Malm, Avis de tempête, trad., Paris, La Fabrique, 2023.
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