Il 1° luglio 2024, in occasione della serata "Voci per Gaza", i comici Aymeric Lomperet e Blanche Gardin hanno messo in scena uno sketch sulla "strumentalizzazione della lotta contro l'antisemitismo". Il 19 luglio, Blanche Gardin è stata invitata su un media online a parlare del suo sketch. Nel corso di questo programma, uno degli ospiti ha invocato quella che lei chiama "la prova della Palestina". Qui, viene messa in discussione una tale idea di "prova".
La "prova della Palestina", analisi di una teoria antisemita banalizzata
- di Sender Vizel (Dessinateur de BD / militant juif de gauche)-
Per presentare questa teoria della "prova della Palestina", mi baserò sul pensiero di una delle persone che in questo momento ha contribuito maggiormente alla sua propagazione. Si tratta di Houria Bouteldja (la quale sostiene di di aver usato la formula del suo compagno Youssef Boussoumah). Precisiamo - per mandare in corto circuito gli islamofobi che sono seguaci della teoria del "nuovo antisemitismo" - che Bouteldja non ha inventato nulla; ma che piuttosto ha riciclato, in termini nuovi, una concezione del mondo precedente. Prima di lei, c'è stato Alain Soral, che ha coltivato una retorica simile e, prima di lui, abbiamo visto farlo da molteplici frange dell'estrema destra antisionista e antisemita. Va anche notato che i più ardenti difensori di questa teoria non sono quelli a proposito dei quali alcuni fantasticano, parlando dei "giovani delle periferie", o di altre fumose categorie socio-economiche, ma fanno piuttosto parte del gruppo sociale dominante in Francia. Nel suo libro del 2016, "Les Blancs, les Juifs et nous: Vers une politique de l'amour révolutionnaire", edito da La Fabrique, Bouteldja spiega chiaramente dove e in che modo prenda forma quella che lei chiama la "prova". E questo è interessante, dal momento che nel suo libro, non si parla tanto della Palestina in quanto tale, quanto piuttosto dell'"antisionismo". Per citarlo, ad esempio, "l'antisionismo (...) sarà lo spazio per il confronto storico tra voi e noi (...) tra voi e i bianchi (..) tra noi e i bianchi". (pagg. 65-66). È importante specificare che questo "voi" di cui parla è molto semplicemente, come indica il titolo, "gli ebrei". Ecco che allora possiamo cominciare a cogliere il modo in cui si articoli questa famosa "prova". Si tratta di una via di mezzo tra ciò che i seguaci di questo discorso chiamano "sionismo", e l'"antisionismo". Così, in superficie, in questo suo romantico trittico, l'autrice articola quella che sarebbe una separazione del mondo tra i "bianchi" e i "noi" (che lei chiama anche i "nativi"), dove al centro di questo dipinto troviamo "gli ebrei", che per lei ereditano il triste privilegio di dover attuare una scelta. Tale scelta si basa interamente sull'essere "sionista", o "antisionista". In ultima analisi, quindi, la "prova della Palestina" ha molto più a che fare con i suoi "noi", vale a dire "gli ebrei" e "i bianchi", che con i palestinesi in quanto tali. Tutto questo può sembrare insensato, e pertanto, grazie a un'altra citazione di Bouteldja, che vi propongo un'illustrazione della "prova"; in bianco e nero e direttamente dalla sua penna: "Sartre morirà da anticolonialista e sionista. Morirà bianco" (p. 19)
Sartre, un non ebreo, e perfettamente bianco, se non fosse stato un "sionista", non lo sarebbe stato. Ecco che qui il fattore determinante appare assolutamente chiaro. L'accettazione, o meno, della "legittimità dell'esistenza di Israele" (p.16), e quindi del "sionismo". E per rispondere in anticipo a coloro che vogliono convincere sé stessi che questo pensiero si articolerebbe riguardo al destino dei palestinesi, allora dico loro che dovrete venire a spiegarmi cosa intende l'autrice quando scrive che "la corruzione sionista non avrà mai luogo sul suolo arabo" (p. 64). No, qui non si tratta della Palestina, ma piuttosto delle fantasie di civiltà, specifiche della scrittrice e dei seguaci di questo tipo di concetti etno-nazionalisti. Detto questo, comprendiamo come la "prova" sia soprattutto un modo indiretto di giustificare una separazione globale del mondo tra ciò che viene percepito come "sionismo" - e quindi come "antisionismo" - e il suo cosiddetto "paese d'asilo" (p. 66). Infatti, se analizziamo concretamente questi due significanti, essi non servono a riflettere attivamente su una tragica situazione geopolitica, i cui eventi attuali dovrebbero giustamente suscitare indignazione. Questi termini vaghi, invece, giustificano solo un'ideologia eminentemente problematica, per mezzo della quale si cerca di spazzare via la complessità intrinseca del mondo, e lo si fa proprio usando come pretesto la situazione in Medio Oriente. Questo appare evidente proprio a partire da ciò che, per le persone che li utilizzano, questi significanti contengono. Da tempo, il termine "sionismo" è oggetto di un interesse crescente, e sempre più confuso, da parte di persone che generalmente lo scoprono senza conoscerne i dettagli e la storia completa. Se nel suo senso iniziale il sionismo definiva il desiderio di creare un focolare nazionale ebraico su quella che era una parte della Palestina mandataria, allora sotto la dominazione coloniale britannica, oggi significa soprattutto la legittimità dell'esistenza di questo Stato - Israele - quanto meno all'interno dei suoi confini così come sono stati definiti dal piano di spartizione votato all'ONU nel 1947. Tuttavia, questo significante trabocca abbondantemente dall'oggetto iniziale. E questo proprio perché viene identificato come un confine astratto e universale tra coloro che sarebbero, diciamo, "dalla parte giusta della storia", e - pertanto - gli altri. A prescindere dal fatto che sviluppare qualsiasi teoria politica intorno a un epicentro che divide presumibilmente l'umanità in due finisce per essere piuttosto mediocre, intellettualmente, la cosa risulta essere anche infinitamente problematica. E questo per la semplice ragione che qualsiasi persona di buona fede sa che il "sionismo", nella sua essenza, continua ancora a essere qualcosa di molto ebraico. E chiunque abbia una concezione non amnesica della storia delle teorie politiche europee del XX secolo, dovrebbe sapere che una simile concezione del mondo - che pone gli ebrei al centro di tutto, facendo così del concetto di "ebreo" (oppure, ora, "sionista"), e quindi delle persone che lo incarnerebbero - che attua una separazione simbolica tra il "noi" e il "tu" si chiama antisemitismo. Di solito, la via d'uscita da questa critica, sta nel rispondere che "il sionismo non sono gli ebrei". E sebbene questo non sia del tutto falso - nel senso che in linea di principio una teoria politica non è un popolo - continua a tradire malafede. Perché il sionismo rimane una delle applicazioni più coerenti nella storia delle teorie dell'autodeterminazione del popolo ebraico. Questo non è trascurabile. Perché il "sionismo" diventi questo fattore determinante, è allora necessario riuscire a trasformare quello che è un movimento ebraico di autodeterminazione in un significante astratto che serva da bussola ai non ebrei.
È stato allora che abbiamo potuto vedere Blanche Gardin, che faceva ridere tutta un'intera sala, insieme al suo collega Aymeric Lomperet, con "battute" tipo "Ecco, siamo TUTTI antisemiti!", che è stato poi spiegato da una piattaforma mediatica di idee di Bouteldjist, dicendo che in questo modo avrebbero lasciato la "bianchezza" mostrando l'"antisionismo". Eccola, la famosa "prova della Palestina". Per stare dalla "parte giusta", basta essere "antisionisti". Non importa che Gardin abbia ripetutamente fatto osservazioni anti-femministe, e che abbia dato il suo sostegno a un fumettista incriminato per le sue pubblicazioni di pornografia infantile. Non importa nemmeno che il suo "antisionismo", per il quale viene lodata, si esprima attraverso la presa in giro dell'esperienza degli ebrei francesi, facendolo in termini di antisemitismo, minimizzando così, attraverso le risate, la gravità della discriminazione che subiscono. Inizialmente, la sovversione concessa a un simile sketch, è stata formulata intendendola come se fosse "una critica alla strumentalizzazione della lotta contro l'antisemitismo". Tuttavia, la realtà concreta di tale sketch consiste nel fatto che esso partecipa a confondere completamente la lotta contro l'antisemitismo (anche quando si definisce "antisionista") con la repressione politica emanata dal governo. Il fatto che molti atti e molti discorsi antisionisti siano solo insabbiamenti, per gli antisemiti non ha più alcuna importanza. L'importante è, per i due bianchi dello sketch, farsi passare per essere vittime represse, a causa di quella famosa "accusa infame", che ovviamente li riguarda assai più che l'antisemitismo in quanto tale. Percepirsi come "vittima" del "sionismo", permette perciò alle persone appartenenti al gruppo sociale dominante in Francia di percepirsi come dominate da un potere che viene da loro sentito e identificato all'interno di questo significante "sionista". Pertanto, la "prova della Palestina" è come una lavatrice che può permettere ai "bianchi" di liberarsi dalla loro "bianchezza" (e da tutto ciò che va insieme al il senso di colpa post-coloniale interiorizzato) attraverso il semplice atto di opporsi al "sionismo". E in questo caso, opporsi al "sionismo" significa semplicemente fare uno sketch in cui di fatto minimizzava la realtà dell'antisemitismo in Francia, spacciandolo per un atto di "resistenza". Così, oggi possiamo vedere come ci siano sempre più personalità privilegiate di primo piano che si dedicano abbondantemente a sviluppare dei discorsi confusi sempre più imbevuti di concezioni assolutamente antisemite. Contro di loro vengono mossi parecchi rimproveri, ma questi rimproveri, nonostante la diversità della loro provenienza, condividono tutti il triste privilegio di essere totalmente associati alla destra e all'estrema destra. La questione dell'antisemitismo, e la lotta contro di esso, non è più una questione da capire, ma costituisce piuttosto un confine simbolico e astratto che separa le persone che sono dalla parte del "potere", dalle altre che al potere "resistono". Se tutti questi discorsi - i cui firmatari rifiutano l'introspezione e l'ascolto dai critici onesti - affermano di essere non antisemiti, ciò è perché mobilitano un'idea preconfezionata secondo la quale qualsiasi discorso identificato come "antisionista" non può essere antisemita. E che sarebbe proprio perché il loro discorso è "antisionista", che verrebbe mossa loro l'accusa di antisemitismo, solo al fine di censurarli.
Ci troviamo pertanto di fronte a un incredibile paradosso.
Mentre l'antisionismo e l'antisemitismo hanno una lunga e innegabile storia comune, ora questo stato di cose viene totalmente negato; e così l'antisionismo diventa perciò la prova del non-antisemitismo. L'antisemitismo, a sua volta, diventa un termine svuotato del suo significato e serve solo a rafforzare quelle posizioni ideologiche dietro cui si trincerano quelle persone che si immaginano vittime di quella che sarebbe invece solamente una sua "strumentalizzazione". Il contorsionismo intellettuale è arrivato al suo apice. Dal momento in cui la lotta contro l'antisemitismo viene interamente e del tutto amalgamata e associata alla repressione del discorso politico ritenuto "anti-establishment", ecco che allora, a quel punto, l'antisemitismo viene considerato inesistente in ogni dove non lo si vuole vedere, ma allo stesso tempo è anche come una sorta di "raggio paralizzante" del "sionismo" che consente alle voci "antisioniste" di continuare a esprimersi. Non solo stiamo nuotando nel mezzo dell'antisemitismo, ma tutto questo si rivela essere anche il momento clou di questa famosa "prova della Palestina". Il vero scopo di tutto questo, non è quello di mostrare un sostegno efficace alla lotta per i diritti dei palestinesi. Che cosa ha fatto Blanche Gardin nel suo sketch per i palestinesi? Niente. Il suo sketch non è servito ai palestinesi, ma solo a coloro che rifiutano di accettare la possibilità dell'antisemitismo a sinistra e che cercano legittimità per la loro convinzione secondo cui in linea di principio l'"infame accusa" sia solo uno strumento del potere, e del "sionismo", per censurarli e dominarli. Ed è qui che in tal modo ha "dimostrato" il suo valore: entrando nella categoria delle persone che lottano contro la lotta contro l'antisemitismo. Ancora una volta, basta tornare a citare Houria Bouteldja, che spiega semplicemente che il fatto di "universalizzare l'antisemitismo" - vale a dire affermare che si tratta di un fenomeno che non è né esclusivo della destra e dell'estrema destra, né esclusivo dell'Occidente, né esclusivo del XX secolo - equivale a "prendere due piccioni con una fava: giustificare la rapina alla Palestina e giustificare la repressione degli indigeni in Europa" (p. 57). E come abbiamo già visto, "gli indigeni" rappresentano tanto Bouteldja stessa, quanto Blanche Gardin... Una categoria a dir poco strana, e dalla quale non possiamo che dedurne la sostanza nei seguenti termini, per cui la "prova della Palestina" costituisce la convalida morale di qualsiasi persona che si rifiuti di riconoscere l'antisemitismo esistente nelle sue parole o azioni, la quale, negandolo, accusa le accuse, e infine identifica la sua aggressività nei confronti della lotta contro l'antisemitismo come se essa fosse una forma di resistenza al potere "sionista". Ciò che, in ultima analisi, costituisce il cuore di tutto questo meccanismo è proprio l'antisemitismo. Perché se, in Francia, una persona bianca, benestante e privilegiata può considerarsi oppressa da un potere vago identificato direttamente o indirettamente con il "sionismo", ciò è semplicemente perché questa persona ha una visione antisemita del mondo, la quale visione viene legittimata e rafforzata proprio grazie a questa famosa "prova della Palestina". Le persone che combattono effettivamente l'antisemitismo, non hanno mai deciso di censurare il necessario sostegno ai palestinesi. E tuttavia, questo sostegno è servito - e ancora troppo spesso serve - come copertura per il discorso antisemita. Una lotta contro l'antisemitismo che sia all'altezza della posta in gioco, non può chiudere un occhio su questo. Ci sono moltissime persone che riescono benissimo a lottare per i diritti dei palestinesi, senza tuttavia cadere nell'antisemitismo. Ma altri no. Impedire l'appropriazione di questa causa da parte degli antisemiti, che la svuotano della sua intrinseca legittimità, è una questione essenziale. Tanto per la lotta contro l'antisemitismo, quanto per per la causa palestinese.
- Sender Vizel pubblicato su https://blogs.mediapart.fr/sender-vizel -
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