sabato 22 giugno 2024

La Critica del Valore riduce tutto ai primi capitoli del I Libro de Il Capitale ?!!???

Non è la prima volta che viene mossa una critica di questo tipo. L' ipotesi secondo cui la Critica del Valore limiterebbe la sua analisi del capitalismo solo ai primi capitoli del Capitale è falsa. Essa " regge" in alcuni ambienti, facendolo solo per il fatto che nessuno sa veramente cosa sia la Critica del Valore, e in virtù del fatto che ciò permette ai “critici” di eludere le esigenze di un dibattito teorico più "profondo". Anziché mediare, a partire dall'analisi del reale le categorie fondamentali del capitalismo, ivi comprese quelle della circolazione e della "politica" - procedimento che viene seguito tanto da Moishe Postone quanto da Robert Kurz, seppure ciascuno in maniera differente – vediamo come questa tesi di una presunta riduzione della teoria di Marx al "Libro I" intenda semplicemente continuare a "leggere" il reale a partire dalle sue forme più immediate.

Infatti, Postone dimostra in maniera assai rigorosa che, in generale e nonostante le differenze interne - che sono molte - tutte le letture tradizionali di Marx hanno in comune il fatto di interpretare le categorie del Capitale in termini di immediatezza e vedendole tutte vincolate alla circolazione. Nella lettura che Postone fa di queste categorie, non troviamo una riduzione, bensì una mediazione. Egli qui si preoccupa dei diversi livelli di analisi e dei diversi piani di esposizione. Il suo libro mostra infatti qual è la differenza tra i rapporti di produzione, in senso stretto, e i rapporti di distribuzione; cosa importante - come dice Postone - «per comprendere LA RELAZIONE esistente tra le categorie del Libro I - come il valore, il plusvalore, il processo di valorizzazione e l'accumulazione - e quelle del Libro III, come il prezzo, il profitto e il reddito». Mentre invece, dove c'è una relazione, il "critico"  vede solo una riduzione. Tanto meno, ha senso pretendere dallo studio di Postone un'analisi immediata del mercato globale ( ivi compreso il sistema politico-statale ). Il suo approccio si sviluppa a un livello teorico assai più astratto - il che non rappresenta una negazione o una "riduzione" dell'"analisi concreta", quanto piuttosto costituisce un prerequisito per fondare teoricamente l'analisi stessa. Se da un lato, egli si interessa delle "forme fondamentali" che strutturano la società capitalistica, indipendentemente dalle particolari configurazioni storiche; dall'altro, si interessa invece della relazione tra queste forme - considerate a livello logico - e le "leggi dei movimenti" così come vengono poi descritte sulla base della dinamica storica del capitalismo [ad esempio, le varie tendenze descritte nel Libro III].

Questi due momenti della teoria non sono separati: l'analisi di Marx mostra che esiste una "relazione sistematica" tra le "forme fondamentali e l'azione sociale". Senza un immediato contesto sociale, non c'è alcun modo di pensare a tali "forme fondamentali", così come non c'è alcun modo di analizzare tale contesto sociale senza le forme soggiacenti. Tuttavia, secondo Postone, l'atteggiamento più comune è invece proprio quest'ultimo: pensare i contesti storici e l'azione sociale solo "sulla base del carattere immediato delle forme manifeste".  L'idea alla base di una "riduzione" - già sbagliata quando si riferisce all'elaborazione fatta da Postone in un'opera di "chiarimento teorico fondamentale" - diventa insensata quando si riferisce alla stessa Critica del Valore e alla sua teoria della crisi. Gli è che, a differenza del libro di Postone, il quale si pone principalmente il problema di una "reinterpretazione della critica marxiana", e non di una teoria sviluppata del capitalismo contemporaneo ( sebbene in altri suoi scritti vi siano dei "momenti" non sistematici di questa teoria ), la Critica del Valore affronta fin da subito proprio il problema della socializzazione capitalistica per come è attualmente e della sua dinamica di crisi. Negli anni '90, invece, la "moda" che ha caratterizzato la ricezione brasiliana di questa posizione consisteva in una critica opposta: Kurz veniva denunciato (ad esempio da Ruy Fausto) come colui che si sarebbe limitato a considerare solo i movimenti superficiali del mercato globale. D'altra parte, già nel saggio fondativo della Critica del Valore, "La crisi del valore di scambio", del 1986, Kurz si concentra soprattutto sulle tendenze strutturali e sulle contraddizioni annunciate nel Libro III ( tendenza alla riduzione del tempo di lavoro sociale totale, tendenza alla diminuzione della massa di plusvalore, formazione di lavoro sociale immediato, ecc.

Lo stesso si può dire riguardo alla polemica intrapresa dalla Critica del Valore nei confronti della "Nuova Lettura" [si veda, ad esempio, il dibattito tra Norbert Trenkle e Michael Heinrich], che ruota anch'essa intorno all'interpretazione di queste tendenze del capitalismo sviluppato, come quella al "capitale fittizio" e tutto ciò che nel III libro Marx designa come la «barriera reale alla produzione capitalistica». Nell'opera di Kurz, un'esposizione più sistematica della "teoria del valore" è apparsa solo DOPO la sua teoria della crisi, la quale, tuttavia, contiene già un'analisi della dinamica della crisi mediata da categorie marxiane che non erano ancora state sistematizzate. Pertanto, già il fatto di attribuire a Kurz la medesima posizione di Postone - laddove essi seguono invece percorsi assai diversi - dimostra una totale mancanza di dimestichezza con l'argomento. In sostanza, si tratta di "ridurre" gli approcci che si discostano dalle eterne ruminazioni delle letture "politiche" di Marx - già completamente fuori dalla realtà (non correrei molti rischi se scommettessi sul fatto che questo "critico" è anche un negazionista della crisi...) - a una sorta di massa indifferenziata, per poi liquidarli tutti, senza alcun criterio, in quanto "regressione". Mentre invece è proprio questa a essere di per sé una regressione.

« Ora voglio arrivare a un ultimo punto, che potrebbe forse sembrare un po'strano: la "fittiziazione" Questo termine va riferito al concetto di capitale fittizio, il quale, ancora una volta deriva  dal buon vecchio Karl Marx e dal suo famoso "Capitale". Ma lo si trova però solo alla fine, nel III volume, quello a cui tuttavia ben pochi marxisti sono arrivati, per quanto oggi le parti più interessanti siano proprio quelle».  (Robert Kurz, 1994 )

fonte: @Marcos Barreira

venerdì 21 giugno 2024

Dedicato a Claus Peter Ortlieb !!

Sul modo di conoscenza scientifica moderno
- Avvertenza: quel che segue non è in alcun modo un atto d'accusa contro la ricerca o la razionalità; a essere discussa qui è la sua declinazione calcolatrice -
di Jean-Marc Royer

La misurazione del reale e lo sviluppo del pensiero astratto in Occidente
Una comprensione di quello che è stato sviluppo del pensiero astratto in Occidente è possibile solamente se ne ripercorriamo tutta la sua lunga storia, fino a risalire alle antiche civiltà antiche ed esaminando, fino ai giorni nostri, seppur brevemente, lo sviluppo di tutta la questione. A differenza di altre culture - siano esse quelle dell'Estremo Oriente, amerindie o sudamericane - quelle Occidentali sono state precocemente ossessionate da un'astrazione razionale, poi diventata speculativa, che deve essere senza dubbio messa in relazione con l'emergere del proto-Stato faraonico e delle città-Stato della Mesopotamia, e poi del loro specifico divenire nell'area del bacino Mediterraneo [*1]. Se si deve credere a James C. Scott e a Georg Simmel, è stata prima la tassazione pro capite, e poi l'economia monetaria - introdotta nella vita pratica dai proto-Stati –, ad aver svolto un ruolo precursore in tale evoluzione. L'archeologia ci racconta che la prassi e la questione della misurazione del tempo, dello spazio e del valore divennero ben presto presenti - verosimilmente già a partire da metà del IV millennio a.C. - e vennero poi ulteriormente perfezionati nel corso dell'antichità greca, romana e araba. Del resto, se si può dire che a partire dal Neolitico la vita era ancora largamente dominata dai ritmi giornalieri e stagionali, in Occidente durante il Medioevo  le cose cominciarono a cambiare profondamente. A ricercare per primi una maggiore precisione nella misurazione del tempo quotidiano, furono i monaci cristiani, la cui vita si svolgeva seguendo una rigorosa tabella di marcia. Dall'XI secolo in poi, l'espansione del sistema monastico [*2] contribuì notevolmente alla generalizzazione di una tale divisione astratta del tempo, attraverso la fissazione di orari giornalieri per le preghiere, per i pasti e per il lavoro [*3]. Fu in questo modo che tutto ciò contribuì, anche in pieno feudalesimo, alla diffusione di ciò che Pierre Musso ha definito "l'industrializzazione dello spirito" [*4]. Questo determinerà gradualmente un nuovo rapporto con il "tempo della vita", tanto nel corpo quanto nella coscienza [*5]. Oltre a ciò, furono le numerose invenzioni che ebbero importanti conseguenze socio-economiche per l'Occidente: orologi meccanici, carte nautiche, contabilità a partita doppia, cambiali e banche, solo per citarne alcune. Tra il 1250 e il 1350, la portata di queste innovazioni verrà eguagliata solo da quelle introdotte nel corso della seconda metà dell'Ottocento. E quando Ruggero Bacone dichiara che: «La matematica è la porta e la chiave della conoscenza ricevuta dai santi all'inizio del mondo» [*6], ci troviamo ancora tre secoli prima di Galileo. Questa evoluzione medievale può essere interpretata, tra l'altro, come un punto di partenza per superare le concezioni antidiluviane dello spazio e del tempo, cosa che «aprirà le porte al Rinascimento» [*7], in modo che a questo si  sarebbe  immediatamente accompagnato uno sconvolgimento intellettuale senza precedenti, grazie all'opera di Nicolas de Cues, Copernico, Tycho Brahe, Giordano Bruno, Galileo, Keplero, Cartesio e Torricelli, ben presto seguiti da Pascal, Newton e Leibniz, per citare solo i nomi più noti nei loro campi. Comunque sia, non c'è alcun dubbio che Lutero e Calvino, ciascuno a modo suo, abbiano spinto il cristianesimo verso una maggiore razionalità, responsabilità morale individuale e pragmatismo positivista. Attraverso il Denaro (rappresentazione del valore), attraverso gli Orologi (una rappresentazione convenzionale dello scorrere del tempo) e le Carte Geografiche (rappresentazione omogenea dello spazio), vengono ampiamente sviluppati e poi imposti in Occidente la schematizzazione e il pensiero astratto: il modo di essere e di ragionare viene in gran parte stravolto, proprio quando vediamo che, per esempio,  le stesse cause non producono gli stessi effetti, come è avvenuto ad esempio, in Cina [*8]. Questo innalzamento del grado di astrazione del pensiero è stato tanto più esaltato in quanto ci ha permesso di accrescere ed estendere anche il potere sul mondo e sui suoi abitanti. Le misure astratte di valore, di spazio e di tempo suddiviso divennero il punto di riferimento per gli scambi e per il pensiero [*9] e iniziarono a strutturare l'immaginario (nel senso analitico del termine) della maggior parte delle persone.

Se la proliferazione degli orologi pubblici cambiò il modo in cui le persone lavoravano, vivevano e si comportavano in un'organizzazione sociale sempre più complessa e strutturata, la diffusione di strumenti più personali di misurazione del tempo - orologi domestici, orologi da tasca - ebbe delle conseguenze più intime e profonde: l'orologio divenne «un compagno e un mentore sempre visibile e sempre udibile» [*10]. Ricordando in continuazione al suo proprietario «il tempo usato, il tempo speso, il tempo sprecato, il tempo perso», esso divenne ben presto lo strumento di misurazione della produttività nonché un segno di distinzione. In questo modo, l'interiorizzazione della misurazione precisa di ogni cosa [*11] è stata uno dei fattori principali della strutturazione dell'immaginario occidentale attraverso quella che chiamiamo la razionalità calcolatrice. Ciò però non deve essere confuso con la "ragione calcolante" che Heidegger mette in relazione con quella che secondo lui è la posizione dominante del Discorso sul metodo, facendola diventare una sorta di pietra miliare della "metafisica occidentale", la quale si troverebbe alla base della "modernità" e all'origine di tutti i nostri mali. In realtà, è stato assai più decisivo il lavoro di filosofi, astronomi, matematici e fisici, da Copernico a Leibniz, nel cristallizzare intellettualmente la "modernità": essi hanno gettato le basi di un corpus assiomatico e teorico del sapere scientifico moderno. Inoltre, la strutturazione dell'immaginario occidentale non è stata solo un fenomeno intellettuale, tutt'altro: abbiamo argomentato sommariamente che esso aveva dei fondamenti materiali, sociali, economici e politici che possono essere rintracciati nella Storia. Per quanto riguarda il posizionamento reale di Cartesio e dei suoi testi, vale la pena sottolineare il suo atteggiamento politico molto cauto - per usare un eufemismo - che viene invece sistematicamente trascurato: ad esempio, nel novembre del 1633, appresa la notizia della condanna di Galileo, egli decise di non pubblicare il suo Trattato sul mondo e sulla luce, che pertanto sarebbe apparso solo nel 1664, e cioè dopo la sua morte [*12]. Ma, soprattutto, dare tanta importanza al Discorso sul metodo e trascurare invece il peso di due secoli di Rinascimento europeo denota una visione elitaria e idealistica nella quale i "grandi uomini" sarebbero lì a plasmare il mondo. Infine, e soprattutto, la "ragione calcolante" di Heidegger [*13] è il prodotto di un fenomeno consapevole (la ragione), mentre la strutturazione dell'immaginario occidentale da parte della razionalità calcolante non proviene da un unico filosofo (neppure francese), né tantomeno deriva esclusivamente dalla storia delle idee o dall'Illuminismo [*14], e ancor meno dalla sola filosofia greca.

Si è trattato di un lento sommovimento antropologico maturato nel corso dell'ultimo millennio in Occidente, diventato poi socialmente dominante e decisivo alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la cristallizzazione del sapere scientifico, del capitalismo termo-industriale e dei moderni Stati nazionali i quali hanno costituito di fatto quella che abbiamo chiamato la "Triplice Alleanza". Ed è da questo punto, e solo da questo punto in poi, che si può parlare dell'avvento di una nuova civiltà [*15]. (Parentesi). Questo immaginario - strutturato dalla razionalità calcolatrice - è definitivamente legato alla nostra soggettività? Tale domanda decisiva non può trovare una soluzione solo attraverso l'esame teorico. La risposta risiede nello studiare un fatto storico importante: in altre parole, dobbiamo individuare le condizioni per una "Destituzione di questo immaginario" dal momento che ciò è avvenuto già in passato [*16]. Ma non sono stati solo questi gli unici sconvolgimenti antropologici, culturali e intellettuali dell'Occidente. La riduzione in schiavitù degli africani a Sao-Tomé, avvenuta intorno al 1470, ha rappresentato l'inizio di una produzione di zucchero che nel XVI secolo ha fatto dell'isola il primo esportatore al mondo, in altre parole l'avvio di una termo-industria nel senso pieno del termine, con la sua scia di "moderne" proletarizzazioni [*17]. È così che si è progressivamente affermata non solo una visione, ma anche una "Prassi del Mondo" che ha permesso lo sviluppo – disomogeneo, ovviamente – di scambi e conoscenze basate sulle convenzioni intangibili del conteggio e del calcolo. Questa storia rappresenta una specificità occidentale, a proposito della quale che Joseph Needham ci ricorda che tale specificità non ha avuto equivalenti in Cina: laddove, nonostante l'astronomia e le tecniche fossero talvolta più sviluppate che in Occidente, non esisteva alcuna percezione matematica del cielo o del mondo, e la geometria nella sua forma deduttiva era sconosciuta; insomma, la civiltà dell'Impero di Mezzo non sfociò nell'invenzione di una modo di conoscenza scientifica [*18].

Dagli inizi del XVI secolo a quelli del XIX
Un braccio di ferro tra le concezioni del mondo ereditate dal cristianesimo e dalla scolastica medievale, da un lato, e le "Nuove Idee" che il Rinascimento avrebbe rivendicato come proprie, dall'altro. A tal proposito, ricordiamo però che tutto ciò si basava su delle realtà concrete, tra cui la stampa, il commercio tra le Città-Stato italiane, le città anseatiche e iberiche, le colonizzazioni e i saccheggi delle Americhe, tutte cose che hanno contribuito all'accumulazione primitiva del capitale [*19]. Una nascente mitologia - ben presto assimilata alla cosiddetta "Modernità" - l'ha trasformata in una titanica lotta della ragione contro la fede, della verità scientifica contro la verità dogmatica, tra leggi della natura e leggi divine, tra sperimentazione e rivelazione, e così via. Forse si tratta di "Battaglie Titaniche", ma però nel Regno delle idee...

Il XIX secolo, turbolento ma fondamentale, per molti versi
Per poter immaginare e comprendere ciò che è accaduto in questo secolo, così travagliato e fondativo, sarebbe importante, se possibile, scrivere una "Storia Totale" che comprenda le storie di tutte le attività umane. A questo punto sarebbe possibile farsi un'idea di quale sia stato l'immenso entusiasmo popolare per «le scienze e le loro conquiste» [*20]: infatti, a metà del secolo, a partire dalle esposizioni universali alle accademie, passando per i gabinetti delle curiosità, per i giornali a grande tiratura, per le riviste, per i libri e persino le fiere e per i caffè concerto dove veniva esposta "la Fata dell'Elettricità", si è affermato – in tandem con l'industria e con il sostegno degli apparati statali – il modo moderno di conoscenza scientifica, visto come un nuovo dispensatore di verità, vale a dire, come la chiave di volta principale dei rapporti sociali in via di costituzione. In Occidente bisognava assegnare il posto del religioso, vacante o largamente contestato sin dalla fine del XVIII secolo: infatti non è così facile e immediato separarsi da ciò che per millenni ha strutturato la vita, il mondo, il passato, il presente, il futuro e persino l'aldilà. Un imperativo tanto più impellente se si considera che la decapitazione del Re per diritto divino venne vissuta inconsciamente come una triplice trasgressione: Dio, il Re e il Padre non esistevano più. Lo testimoniano, a modo loro, il tentativo di istituire un "Culto della Ragione", un "Culto dell'Essere Supremo", e il fatto che nel 1804 il Codice napoleonico dedicasse diverse centinaia di articoli alla restaurazione laica della "autorità del capofamiglia" [*21] o se consideriamo, più tardi, il Positivismo [*22]. Inoltre, la proletarizzazione di massa degli individui gettati nella miseria [*23], stigmatizzati prima come "classi pericolose" e poi come rappresentanti del "pericolo di una degenerazione della razza bianca" [*24], richiedeva che si trovasse un rimedio, seppure questo significasse proporre un oppio simbolico, come affermava Marx. E, contrariamente a quanto aveva scritto Freud, le opere di Copernico e di Darwin non hanno rappresentato solo delle «ferite narcisistiche per l' Umanità», quanto piuttosto un ben più radicale scombussolamento antropologico e della civiltà [*25], le cui conseguenze abbiamo dovuto affrontare a partire dall'inizio del XX secolo. Infatti, non si trattava solo di idee o di rappresentazioni, bensì del rovesciamento di un mondo a vantaggio di una diversa strutturazione delle relazioni sociali intorno alla "valorizzazione del valore" [*26]. Nel XIX secolo, l'istituzione del progresso scientifico e tecnico infinito in quanto condizione necessaria per il progresso sociale - una visione fondamentalmente etnocentrica, unilaterale e lineare della storia - ha stabilito una vera e propria devozione laica, basata su una nuova trinità - Scienza / Grande Industria / Stato-Nazione, che chiameremo la Triplice Alleanza, con l'istruzione obbligatoria e il successo sociale come viatico; inoltre essa ha stabilito anche un vero e proprio meccanismo ontologico che legittima la civiltà (del capitale) che si è imposta alla fine del XIX secolo. In altri termini, il modo scientifico di conoscenza moderno che si è concretizzato nella seconda metà dell'800 si è imposto proprio nel momento in cui Il Socius aveva bisogno di una figura tutelare e di un riferimento alla verità e al significato. Di fatto, pertanto, è stato posto al comando. E ha trovato persino dei curatori [*27] che ne hanno sostenuto la promozione a un ruolo politico di primo piano in ogni "società moderna".

Che cosa si intende con l'espressione "modo di conoscenza scientifica moderno"?
In poche parole, si tratta in primo luogo del processo di costruzione di un'assiomatica coerente e solida [*28], a partire da Copernico a Newton passando per Galileo, per poi introdurre, sulla fine del Settecento, la "Prova Sperimentale", e giungere infine alla convalida della proposta che veniva fatta in congressi internazionali o in riviste scientifiche specializzate create nella seconda metà dell'Ottocento [*29]. Prima di questa data, parlare di modo di conoscenza scientifica moderno non farebbe altro che confondere le acque. Anche se è sempre possibile trasformarsi in un archeologo da poltrona e sostenere che ci sono stati precursori delle "scienze" a Babilonia, in Grecia, in India o nei califfati arabi, qui stiamo prendendo in considerazione un modo di conoscenza la cui cristallizzazione ha origine a partire dai tre capisaldi sopra esposti, i quali sono perfettamente noti e datati. D'altronde, il modo di conoscenza scientifica moderno può essere specificato a partire dai seguenti punti:
In primo luogo, in questo modo di conoscenza, quella che vediamo all'opera è una logica formale, riduzionista (la scomposizione in elementi semplici) e oggettivante, dalla quale derivano due conseguenze: questa logica esclude il sensibile e non ammette alcun limite [*30] ; in secondo luogo, questo modo di conoscenza si definisce anche a partire dal suo oggetto, vale a dire, dà conto del reale (o di un campo delimitato dal Reale); in terzo luogo, rende conto di questo reale per mezzo di una relazione astratta e commensurabile [*31], tipo, per esempio: S=pd2/4 ; U=RI; v2= 2 gh; d=1/2?t2 ; CH4+2O2 ? CO2+2H2O o E=mC2…

Prime osservazioni critiche
Da un lato, però, dar conto del reale in maniera esaustiva sarà qualcosa che ci sfuggirà sempre. Del resto, la misurazione consiste in una convenzione che maschera proprio tale impossibilità. Infine, questa misurazione finisce sempre per prendere la strada della "Astrazione Commensurabile" (vale a dire che ancora una volta la vita ne viene esclusa). Di fatto, la logica formale e il riduzionismo multidimensionale implicano un'intrinseca trasgressività rispetto a questa modalità di conoscenza, nel senso che inducono una negazione della vita. Inoltre, tutto ciò ha permesso l'esplorazione intima della "materia". E dal momento che non è assegnabile alcun limite di qualsiasi natura, sarà la vita stessa a diventare prima o poi oggetto di manipolazione. E questo specifica un secondo grado di trasgressività. Tuttavia, l'astrazione e la trasgressività – le quali hanno avuto origine nella Razionalità Calcolatrice – sono state anch'esse parte di ciò che ha fondato la nuova civiltà (del Capitale) formatasi alla fine del XIX secolo. Ed è stato proprio alla fine di questo secolo, su questa generica trasgressività, che si è costruito e legittimato il Movimento Eugenetico [*32], che ha portato logicamente a proporre una selezione degli esseri umani sul modello dell'allevamento animale. Ovviamente, troviamo più di una coincidenza nel fatto che i primi finanziatori dell'eugenetica americana siano stati gli allevatori di bestiame – l'American Breeders Association nel 1903 – e che siano stati condotti "esperimenti medici" sui corpi degli africani nei campi di sterminio tedeschi in Namibia, nel 1904, sotto la direzione di Eugen Fischer [*33]  -ispiratore per il Mein Kampf. maestro di Mengele e migliore amico di Heidegger prima e dopo la guerra – che collaborò a stretto contatto, per tre decenni, con i più famosi eugenetisti americani dell'epoca: Charles Davenport e Harry H. Laughlin. Il nucleo delle dottrine totalitarie che invocavano un uomo nuovo su basi astratte e trasgressive, si era già costituito all'inizio del XX secolo. È questo quello che abbiamo chiamato il «segreto di famiglia della civiltà capitalista» [*34]. Per dirla in termini antropologici, l'Immaginario, strutturato dalla razionalità calcolatrice e sostenuto dalla "Triplice Alleanza", ha avuto come ineluttabile conseguenza quella di violare il divieto di omicidio, il quale è alla base di ogni vita sociale, di ogni cultura e di ogni civiltà. Ciò spiega perché, nonostante il giuramento di Ippocrate, i medici tedeschi siano stati uno dei gruppi sociali più impegnati nel nazismo [*35].

La Guerra dei Trent'anni (1914-1945): una trasgressione di una profondità inaudita
Non ci è voluto poi così tanto prima che questa civiltà si rendesse conto della sua vera essenza. Infatti, la demolizione di tutti i vincoli, di tutte le barriere, per abolire ogni divieto fondante qualsiasi civiltà, raggiunse il suo apogeo proprio durante la "Guerra dei Trent'anni" (1914-1945) [*36]. Quella che si impose al mondo nel 1914, fu una nuova realtà; essa avrebbe spazzato via tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino, compreso il mondo dell'intelletto [*37]. Con la logistica predisposta dagli Stati, il sapere scientifico e la termo-industria diventavano i pilastri di una potenza militare senza precedenti, al servizio di una guerra industriale, totale e globale.
«Bisogna dirlo ad alta voce: oggi, la parola guerra non ha più lo stesso significato di otto anni fa. […] Non c'è una misura comune tra quest'ultima guerra e tutte quelle che l'hanno preceduta. Per la prima volta, abbiamo appena sperimentato che cos'è la guerra scientifica. […] Il 22 aprile 1915, verso le cinque di sera, una densa nube di vapore pesante, di un verde giallastro, usciva dalle trincee tedesche tra Bixschoote e Langemark, e, spinta dalla brezza, arrivò fin sulle linee alleate, seguita dai contingenti nemici... Un'intera divisione francese era stata colpita... La Germania aveva appena inaugurato la guerra del gas.» [*38] - Jules Isaac, 1922.
Il fatto che le nuove armi - e le armi di distruzione di massa provenienti dai laboratori - abbiano largamente contribuito all'annientamento di due terzi del patrimonio del nord della Francia, parte del suo ecosistema ancora classificato come "zona rossa", e milioni di esseri umani al di là dei confini, è stato poi rapidamente represso durante i cosiddetti "ruggenti anni Venti", prima di riemergere poi attraverso la follia totalitaria [*39]. Resta il fatto che dopo il 1918, i giuristi al servizio delle potenze occidentali continuarono a lavorare alla legalizzazione dei bombardamenti sui civili, vale a dire, a un'opera di legalizzazione dei crimini di guerra, e quindi alla legalizzazione della guerra totale [*40]. Più tardi, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale - ma nel silenzio degli uffici di progettazione - gli statistici e i matematici calcolarono efficacemente quale sarebbe stato il mezzo migliore per uccidere altri cinquanta o centomila civili, a un costo inferiore. Il fisico Freeman Dyson, che era un analista operativo presso il Bomber Command britannico, paragonò sé stesso a certi burocrati nazisti dopo la guerra: «Anche loro si erano seduti a scrivere memorandum e a calcolare il modo più efficace per uccidere, per uccidere le persone, proprio come me. Ma la grande differenza era che loro erano stati messi in prigione o impiccati come criminali di guerra per quello che avevano fatto, mentre io ero libero. […] Fino alla fine rimasi seduto nel mio ufficio, calcolando attentamente i metodi più economici per uccidere altri centomila uomini.» [*41] Tutti i sentimenti di umanità vennero profondamente repressi, a favore dell'efficienza criminale, come ammette il fisico, senza mezzi termini. Sfortunatamente, la sua osservazione sarebbe stata ulteriormente confermata dallo sviluppo e dall'uso del napalm nel 1943, e della bomba atomica nel 1945. Sebbene la realtà dei crimini sia radicalmente diversa, è sempre lo stesso filo quello che collega Guernica, Londra, Amburgo, Auschwitz-Birkenau, Dresda, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki: il naufragio di una civiltà sotto il dominio di una razionalità calcolatrice sistemica, portata all'estremo del suo potere. A Los Alamos, alcuni degli scienziati del Progetto Manhattan sono stati i vincitori di premi Nobel, o quanto meno dei "ricercatori acuti" e rinomati nei rispettivi campi; essi costituivano l'élite del modo di conoscenza scientifica dell'epoca, accomunati dallo stesso "ideale" [*43]. Dire che questa modalità di conoscenza scientifica moderna conduce inesorabilmente verso un'esplorazione intima della materia, significa indicare un approccio radicalmente diverso rispetto a quello di qualsiasi tecnica [*44], passata, presente e futura.

In altre parole, nonostante tutte le tecniche necessarie alla loro invenzione, gli OGM o i telefoni cellulari non esisterebbero senza quella modalità di conoscenza scientifica che ha permesso, tra le altre cose, di rivelare la struttura molecolare della materia. Questa osservazione fondamentale, vale per quasi tutte le tecniche attualmente implementate: poche di esse potrebbero esistere senza l'apporto di questa modalità di conoscenza. Da questo punto di vista, la parola "tecno-scienza", che è puramente descrittiva, ha l'enorme svantaggio di schivare la critica di tale modo di conoscenza, e di prestarsi a un'istituzione della tecnologia in quanto oggetto socialmente autonomo; cosa che in realtà non è mai stata [*45]. Si tratta di due punti principali. Vale a dire, il «ragionamento della natura attraverso la tecnica» - così tanto caro a Heidegger - è solamente una Doxa letteraria che rimane sulla superficie delle cose e che ha la conseguenza di eludere il punto principale, vale a dire, la critica di ciò che in realtà si trova alla radice degli sconvolgimenti bi-secolari che stiamo subendo, e che renderanno questa nuova civiltà una delle più brevi che l'umanità abbia mai conosciuto. «In passato, era l'uomo che aveva il primo posto; in futuro, sarà il sistema che dovrà averlo» 1912, Frederick W. Taylor [*46]. «Il primo, se non l'unico, scopo del lavoro umano e del pensiero umano è l'efficienza; il calcolo tecnico è sotto ogni aspetto superiore al giudizio umano; non ci si può fidare del giudizio umano perché esso è viziato da lassismo, ambiguità e inutile complessità; la soggettività è un ostacolo alla chiarezza del pensiero; ciò che non può essere misurato, o non esiste o non ha valore; gli esperti sono nella posizione migliore per guidare e gestire gli affari dei cittadini». 1993, Neil Postman [*47].

Reale, Simbolico e Immaginario, di cosa stiamo parlando?
Le definizioni del Reale, del Simbolico e dell'Immaginario hanno origine a partire dal significato lacaniano, senza però conformarsi pienamente a esso. Il Reale è ciò che è. Il Simbolico (le parole, per semplificare) corre dietro a un Reale che appartiene a un'altra categoria, che gli è estranea. Ci sarà sempre uno scarto tra queste due istanze, ma fortunatamente l'immaginario ci permette di mettere insieme una realtà più attraente. Una realtà, per dirla altrimenti, che copriamo con le nostre proiezioni. Essa irriga anche il linguaggio, il quale fa parte anch'esso di una di quelle convenzioni che ci permettono di poter vivere insieme [*49]. Ma come abbiamo detto, l'immaginario occidentale, che possiede questa particolarità di essere strutturato dalla razionalità calcolatrice, non è privo di conseguenze riguardo all'apprensione della realtà, degli scambi, del modo di vivere, ecc. Infatti, questo tipo di razionalità ha la proprietà di sgomberare il sensibile a favore dell' elencazione, della classificazione e dell'astrazione e - non irrigando più le parole con la sua defunta "fantasia individuale" - determina un impoverimento, un inaridimento del linguaggio e delle relazioni umane, a volte fino a interromperle [*50]. È quanto avviene nei totalitarismi moderni (democratici o meno), come analizzò chiaramente a suo tempo Victor Klemperer [*51]. La cosa è diventata ancora più problematica allorché, una dopo l'altra, prima la Relatività e poi la Fisica delle Particelle misero in discussione la nozione di "verità scientifica", riferita a  delle "leggi" intangibili, che fungevano da moderna chiave di volta delle rappresentazioni e delle relazioni sociali della nuova civiltà (capitalistica). E sebbene oggi i più cauti aggiungano, di tanto in tanto, che è una nozione contingente - che non si tratta di una "verità" ma solo di una certezza temporanea, che si restringe a un campo, e che il dubbio fa parte del metodo - la cosiddetta "verità scientifica" continua a essere mantenuta contro ogni previsione, anche se viene fatto in un modo adatto al pubblico. Vale a dire che essa occupa ancora il posto di uno degli ultimi riferimenti che assicuri l'intelligibilità dell'edificio sociale, pur partecipando di fatto alla sua disgregazione. In effetti, l'istituzione di una nuova verità – che il XIX secolo aveva imposto con la forza - si è inevitabilmente accompagnata a un'intrinseca deprivazione di senso e di soggettività, vale a dire e in ultima analisi, da un'anomia intellettuale, morale e politica. Il desiderio di farvi riferimento, e persino la volontà di sottomettervisi, ha fatto sì che le nuove discipline nate nel XIX secolo venissero chiamate "scienze umane", esattamente come qualche anno fa sono state create le "digital humanities".

Ancora oggi, la radicalità intrinsecamente ossimorica di questi nomi non viene percepita come tale. Infatti, a partire dal paternalismo [*52] e dall'igienismo, dal controllo e dalla gestione delle masse proletarie nelle fabbriche, dal censimento e dalla gestione delle popolazioni da parte dei moderni Stati-Nazione, dalla divisione ford-taylorista del lavoro, dalla «gestione delle risorse umane», tutti questi contatori che racchiudono le nostre realtà quotidiane in un'economia pervasiva hanno estromesso la domanda di senso, e hanno approfondito la proletarizzazione di ciascuno di noi; vale a dire, lo spossessamento degli esseri umani. D'altra parte, questa razionalità calcolatrice ci allontana quotidianamente gli uni dagli altri: nella corsa allo scalpo, l'altro ha solo un'esistenza antagonistica, addirittura scomoda o astratta. Inoltre, tale competizione generalizzata a quelli che sono tutti i livelli dello scambio elimina le preoccupazioni morali , il che ovviamente raddoppia l'esclusione del senso [*53].

Conclusione provvisoria
L' accanito lavoro di scardinamento di una trasgressività paradigmatica, che non è stata ancora riconosciuta come tale, rappresenta una grande frattura nella storia dell'umanità ed è visibile a tutti i livelli delle relazioni e delle attività umane: le frontiere devono essere allontanate, i limiti devono essere infranti, sempre più in alto, sempre più lontano, nessun ostacolo è accettabile dal momento che «tutto ciò che può essere fatto va fatto», scrive un biologo [*54], ex membro del Consiglio Nazionale dell'Etica francese. E poi, «non si può fermare la scienza», o il cosiddetto progresso... Attualmente, questa razionalità calcolatrice «oggettivizza le scelte» ed esonera le persone da qualsiasi responsabilità [*55] - proprio come fa anche la divisione infinitesimale del lavoro - al punto che l'orizzonte del significato fissato da manager e politici consiste ormai solo in un cambiamento delle curve della disoccupazione, della crescita, della spesa pubblica, delle vittime di pandemie, ecc. Tutto ciò rende radicalmente deleteria la strutturazione dell'immaginario tramite la razionalità calcolatrice e trasgressiva . Di conseguenza, la vita di ciascuno di noi - oggetto di un potente calcolo continuo - si avvia a diventare un'astrazione, un frammento che viene algoritmato in un centro dati [*56].

Appendice – Scomparsa
«Nel momento in cui la vita elementare del paese non viene più assicurata... e siamo sull'orlo della paralisi», allorché la quasi totalità di una società si ferma, dal momento che non può più funzionare come faceva prima, ecco che allora l'Immaginario di tutti, il quale, solitamente, ne sostiene il funzionamento, collassa poiché in una società bloccata non c'è più alcuna efficienza; diventa persino un'inezia. È questo l'unico modo di spiegare la causa dell'entusiasmo comunicativo, creativo e festoso che si è diffuso rapidamente in tutta la società e che sopravvive da molto tempo. Il rovesciamento del vecchio immaginario - strutturato dalla razionalità calcolatrice - ha risuonato come un tremendo "tuono sociale" che si è diffuso rapidamente. La sua diffusione assunse le proporzioni di un fatto sociale totale che penetrò nel profondo del subconscio, oltre i confini del Paese e per i decenni a venire. A essere scossi sono stati i fondamenti stessi di quest'ordine, cosa che molti non riescono ancora a vedere, capire o accettare e che costituisce una grande questione politica, teorica e antropologica ancora sottovalutata.

Il lavoro silenzioso della repressione
Fondamentalmente, ciò che da più di mezzo secolo stiamo cercando di sradicare dalla coscienza delle persone consiste nell'idea che, se i consueti meccanismi politici, economici e ideologici venissero ancora una volta deliberatamente bloccati, questo modo di depauperamento massiccio dell'immaginario potrebbe di nuovo riproporsi. Ecco perché nella critica dei disastri previsti il luogo e la definizione dell'immaginario sono fondamentali. Non che questo sia sufficiente, ma è un punto di passaggio necessario e spesso trascurato.

Jean-Marc Royer, 21 settembre 2023. Testo letto dall'autore agli Incontri Technologos 2023 sul tema "La scienza in crisi?" presso la Paris Climate Academy il 21 e 22 settembre 2023.

NOTE:

[1] - Cfr. James C. Scott, Homo domesticus. Une histoire profond des Etats, Paris, La découverte, 2019, Georg Simmel, Philosophie de l'argent, Paris, Flammarion, 2009 e gli archeologi Marcel Otte, Jean-Paul Demoule, Laurent Olivier, Emmanuel Guy le cui conferenze sono disponibili sul sito dell'INRAP ( https://www.inrap.fr/ )

[2] - A partire dall'VIII secolo, le meridiane e le campane chiamano alla preghiera otto volte al giorno. Un secolo dopo la fondazione di Cîteaux, quest'ordine contava più di mille abbazie e più di seimila granai sparsi in tutta Europa e che arrivavano fino alla Palestina. Cfr. anche, Pierre Musso, "La religion industrielle. Monastère, manufacture, usine. Généalogie de l’entreprise", Paris, Fayard, 2017.

[3] - I monaci dell'abbazia di Cîteaux consideravano qualsiasi ritardo o altra perdita di tempo come un'offesa a Dio. Il rigore delle regole cistercensi nasce dalla constatazione che la grande ricchezza di diverse abbazie dell'epoca rendeva i loro monaci benestanti (e talvolta anche autentici feudatari) abbastanza lontani dalla povertà evangelica necessaria per "cercare Dio con cuore puro".

[4] - E in effetti, i cistercensi miglioravano costantemente le loro tecniche agricole, orticoltrici e pastorali, che erano oggetto di scambi durante gli incontri annuali. Poiché, inoltre, godevano di agevolazioni che la stragrande maggioranza dei contadini dell'epoca non aveva (manodopera e capitali per realizzare grandi opere di drenaggio e irrigazione, libertà di movimento, possibilità di avere depositi di vendita nelle grandi città, costruzione di strade e fortificazioni, ecc.), acquisirono anche grandi conoscenze agricole e artigianali che furono all'origine dei loro successivi successi economici. Enormi possedimenti terrieri (terreni, boschi, pascoli, vigneti, cave, opifici) furono assegnati alle abbazie, che avevano il lavoro gratuito dei fratelli conversi. Lo scambio di esperienze ha toccato molti campi, tra cui l'agricoltura, la viticoltura, la selezione delle specie... A partire dalla fine dell'XI secolo nacquero delle vere e proprie fattorie modello. L'allevamento divenne una fonte di prodotti alimentari, ma anche di letame e materie prime per l'industria dell'abbigliamento (lana, cuoio) e di manufatti (pergamena, corno) ecc. Jean Gimpel, " La Révolution industrielle du Moyen Âge", Paris, Seuil, 2016.

[5] - Il cristianesimo introdusse anche altre novità radicali: l'Apocalisse e il Giudizio Universale, che costituirono un momento di sconvolgimento che precedette la fine dei tempi, contribuirono a indirizzare lo sguardo dei credenti verso il futuro. Inoltre, la morte, in certe condizioni, non significherà più una fine definitiva; vale a dire che questo significa che anche il suo status si stava evolvendo.

[6] - Roger Bacon (1214-1294), citato da Alfred W. Crosby, "La mesure de la réalité", Paris, Allia, 2003, p. 78.

[7] - Il Rinascimento fu anche caratterizzato dalla rinascita della cultura antica nella letteratura e nelle arti, che gradualmente soppiantò la cultura dell'Europa tardo medievale (l'arte gotica, l'ideale della cavalleria e la filosofia scolastica, tra gli altri).

[8] - Prolegomeni del capitalismo nascente. Nonostante il titolo paradossale, si veda Joseph Needham, "La science chinoise et l'Occident", Paris, Seuil, 1973.

[9] Cf. Lewis Mumford, Technique et civilisation, Paris, Le Seuil, 1976.

[10] Cf. Lynn White Jr., Technologie médiévale et transformations sociales, Paris, Mouton et Cie, 1969.

[11] Cf. David S. Landes, L’Heure qu’il est : les horloges, la mesure du temps et la formation du monde moderne, Paris, Gallimard, 1987.

[12] Infatti, il ruolo assunto da Cartesio emerge da una costruzione ideologica del primo Ottocento, in particolare grazie alla critica di Kant (1724-1804) o all'apologia di Victor Cousin (1792-1867). Cfr. Samuel S. de Sacy, Cartesio per lui-même, Parigi, Seuil, 1964, p. 200.

[13] Sappiamo dalla pubblicazione dei "Quaderni neri" che dietro questa denuncia della "ragione calcolatrice" c'è la denuncia degli ebrei, ai quali essa viene ovviamente attribuita.

[14] A tal proposito, va notato che, senza negare la sua importanza intellettuale, l'Illuminismo è costantemente posto in prima linea nella critica, mentre le rivoluzioni americana e francese hanno avuto un'eco e conseguenze politiche o socio-economiche di tutt'altra portata storica, e che, inoltre, allo stesso tempo, la cosiddetta "rivoluzione industriale" ha portato a sconvolgimenti, di cui la proletarizzazione di milioni di contadini non è stato il minimo fenomeno. Ma non c'è dubbio che questa ripugnante materialità dei fatti non si inserisce nel quadro di un idealistico affresco planetario di venticinque secoli di cui il rettore di Friburgo voleva essere il pittore definitivo e insuperabile.

[15] Una "civiltà capitalista", cioè una civiltà i cui rapporti sociali erano strutturati principalmente dalla "valorizzazione del valore" e la cui immaginazione razionale/calcolatrice e trasgressiva sarà largamente dominante.

[16] Cfr. l'appendice alla fine del testo. A questo proposito, come non pensare all'opera di Cornelius Castoriadis, filosofo, economista, psicoanalista.

[17] Il cosiddetto "commercio triangolare" – un eufemismo per una schiavitù che sarebbe durata quattro secoli – fu uno dei crimini commessi contro l'umanità dal commercio occidentale. Ciò prefigurava la massiccia proletarizzazione di tutti i contadini necessaria per l'accumulazione primitiva del capitale.

[18] Joseph Needham, op. cit. D'altra parte, il minimo confronto etnografico effettuato mezzo secolo fa attestava che altre popolazioni, in Africa o in Asia, per esempio, – pur avendo subito una lunga e violenta colonizzazione – non avevano del tutto "adottato" la strutturazione dell'Immaginario propria degli occidentali.

[19] È su queste realtà coloniali – in gran parte basate sul saccheggio e sui crimini contro l'umanità – e sulla base della riscoperta della letteratura, delle arti e della filosofia dell'antichità, grazie in particolare alla civiltà arabo-musulmana, che hanno preso progressivamente piede un'altra lettura dei testi e un'altra interpretazione del mondo, con l'Umanesimo come sfondo.

[20] Su questo argomento si vedano le opere di Christophe Bonneuil, Jean-Baptiste Fressoz, François Jarrige, Thomas Le Roux...

[21] Inoltre, la morte di Luigi XVIII e le dimissioni di Carlo X e Luigi Filippo suonavano come un ricordo del trauma per una borghesia in lutto e vestita tutta di nero fino alla fine del secolo.

[22] Questo è ciò che Émile Durkheim (1858-1917) tradusse in questi termini: "Gli antichi dèi invecchiano o muoiono, e altri non sono ancora nati". Émile Durkheim, Les Formes élémentaires de la vie religieuse, Parigi, PUF, 2003. Ivi, p. 610.

[23] Bisogna aver letto la descrizione della vita degli operai tessili in diverse città della Francia che Villermé tracciò meticolosamente nel 1836, per l'Accademia delle Scienze Morali. René Villermé, Tableau de l'état physique et moral des ouvriers, Parigi, UGE, coll. 10/18, 1971.

[24] Cfr. André Pichot, La Société pure, Paris, Flammarion, 2000 su questo argomento.

[25] Di cui la proletarizzazione degli esseri e l'avvento delle folle erano caratteristiche essenziali, come indicato sopra.

[26] Espressione che si riferisce alle opere di Anselm Jappe.

[27] Tra i più noti ci sono Auguste Comte, Ernest Renan, Marcellin Berthelot, Camille Flammarion...

[28] La stampa ha svolto un ruolo importante nel facilitare la sua "accumulazione primitiva".

[29] Le riviste Nature e Science furono pubblicate rispettivamente nel 1869 e nel 1880.

[30] Cfr. Il fisico François Lurçat, La Science suicidaire, Parigi, François-Xavier de Guibert, 1999 e L'Autorité de la science, Parigi, Cerf, 1995. Michel Henry, La Barbarie, Parigi, PUF, 1987. Olivier Rey, Itinéraire de l'égarement. Du rôle de la science dans l'absurdité contemporaine, Paris, Seuil, 2003. Jean-Pierre Lebrun, Un monde sans limites, ERES, 2009 e La condition humaine n'est pas sans conditions, Denoël, 2010. Jean-Marc Royer, "La science, creuset de l’inhumanité. Décoloniser l’imaginaire occidental", Paris, L’Harmattan 2012.

[31] Scartare il sensibile, come proponeva Galileo all'inizio del XVII secolo, equivale a desostanzializzare in maniera permanente il Reale, e a costituire di fatto una trasgressione permanente della vita. In altre parole, abbiamo qualcosa di istituito che porta permanentemente alla negazione della vita.

[32] Francis Galton, considerato il fondatore dell'eugenetica, fu membro della Royal Society, ricevette la Royal Medal nel 1886, la Darwin Medal nel 1902, la Darwin-Wallace Silver Medal nel 1908, fu nominato cavaliere nel 1909, ricevette la Copley Medal nel 1910... Questo dimostra il riconoscimento scientifico dell'eugenetica nel suo paese ma anche a livello internazionale.

[33] Eugen Fischer (1874-1967), genetista medico, diresse l'Istituto Kaiser Wilhelm per l'antropologia, l'ereditarietà umana e l'eugenetica. Nel 1933 fu promosso rettore dell'Università di Berlino e formò medici delle SS. Già nel 1936, i "bastardi della Renania" furono inviati nei campi di concentramento o sterilizzati con la forza sotto la sua supervisione, il che avrebbe aperto la strada all'Aktion T4, lo sterminio e la cremazione di centinaia di migliaia di persone in sei ospedali tra il 1939 e il 1941.

[34] L'eugenetica non era solo il prodotto di pochi cervelli squilibrati, era in realtà un movimento di massa in alcuni paesi riformati, anglosassoni o nordici e ciò che non è generalmente noto è che queste leggi eugenetiche sono state abrogate solo negli anni '70 in Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia. Patrick Zylberman, "Eugénique à la scandinave : le débat des historiens", Médecine science, vol. 20, n°10, octobre 2004.

[35] Jean-Marc Royer, op. cit., vedi l'appendice intitolata "Dall'eugenetica al nazismo (1868-1939)".

[36] Concetto preso in prestito dagli storici Eric Hobsbawm ed Enzo Traverso. Un profondo disagio intellettuale venne dalla "Guerra dei Trent'anni"; è stato aggravato dall'ideologia stalinista dominante in quel momento, dalle guerre coloniali che persistevano, dall'importazione di ideali consumistici che sono arrivati con i Piani Marshall, ecc. La controrivoluzione internazionale iniziata sotto l'egida del neoliberismo all'inizio degli anni '70 e la conseguente esternalizzazione dei capitali in Asia hanno perpetuato questa "sconfitta del pensiero".

[37] Il 4 ottobre 1914 fu pubblicato "L'appello degli intellettuali tedeschi alle nazioni civilizzate" (o Manifesto del 93), firmato da premi Nobel, scienziati di spicco tra cui Max Planck, Fritz Haber, Phillipp Lenard, Walter Nernst, Wilhelm Ostwald, filosofi, artisti e medici, per i quali nel 1916 fu pubblicato il libro Mezzo secolo di civiltà francese, firmato da scienziati di fama, Paul Painlevé, George Lemoine, Emile Picard, Lucien Poincaré, Charles Richet, filosofi...

[38] Jules Isaac, "Paradoxe sur la science homicide", 1922, pubblicato nel 1923 su La Revue de Paris, pubblicato in volume nel 1936 da Rieder e di nuovo nel 1989 da Calmann-Lévy.

[39] La Zona Rossa è il nome dato in Francia a circa 120.000 ettari di campi di battaglia dove, a causa dei gravi danni fisici all'ambiente durante la prima guerra mondiale e a causa della presenza di migliaia di cadaveri e milioni di ordigni inesplosi, alcune attività vennero temporaneamente o permanentemente vietate dalla legge.

[40] Dopo il 1918, i giuristi al servizio delle potenze occidentali continuarono a legalizzare il bombardamento dei civili, cioè a legalizzare i crimini di guerra. A poco a poco, la distinzione tra civili e combattenti in tempo di guerra è stata eliminata. Era l'intera nazione ad essere considerata nemica con il seguente argomento: era necessario abbassare il morale delle popolazioni in modo che la richiesta di pace fosse il più rapida possibile, o che le vite dei soldati fossero risparmiate, una neolingua che sarebbe stata usata nell'agosto del 1945 per giustificare l'ingiustificabile. La nozione di guerra totale (non ci deve più essere un'unica area di pace per tutti i cittadini) sta gradualmente emergendo vittoriosa, "per salvaguardare la pace". Sven Lindqvist, Exterminez toutes ces brutes, Arènes, 2007 et Maintenant tu es mort ; histoire des bombes, Serpent à plumes, 2002.

[41] Citato da Yves Chemla, in Études postcoloniales, Ozoir la Ferrières, 17 aprile 2004.

[42] La notte del 9 marzo 1945, Tokyo fu trasformata in un inferno a causa dell'uso della rugiada gelificata del napalm: ci furono più di centomila morti! Ben presto il Giappone si trovò in ginocchio, ma l'annientamento con il napalm divenne in poche settimane fine a se stesso, per verificare la portata di quest'arma: il mondo vivente era allora diventato un "mondo-laboratorio" di esperimenti in vivo.

[43] Qualcuno potrebbe affermare di essere malato di mente, come altri hanno sostenuto per qualsiasi spiegazione del nazismo, che Hitler era un pazzo? C'è qualche legittimità nel dissociare questi scienziati dalla "scienza in divenire"? Ovviamente no. L'altra domanda che vale la pena porsi è la seguente: la guerra è potenzialmente diventata, sì o no, un crimine contro l'umanità nel ventesimo secolo? Evitare di rispondere significa accettare la sua futura conversione come funzionario del crimine e pianificatore di distruzione in caso di conflitto. Pensiamo alla deterrenza della Guerra Fredda: "una speranza" basata sul possibile massacro di centinaia di milioni di persone in qualsiasi momento, per non parlare della distruzione della biosfera... Bella speranza per l'Umanità.

[44] Ciò che chiamiamo tecnica, senza alcuna specificazione aggiuntiva, non è fondamentalmente altro che le relazioni che gli esseri hanno con il loro ambiente per vivere. Questo termine non va confuso – come troppo spesso accade – con le tecnologie (elettriche, idrauliche, pneumatiche, ecc.) che coinvolgono diverse tecniche.

[45] Evitiamo fraintendimenti: che l'uso di strumenti e tecniche abbia a sua volta modificato la fisiologia, le condizioni di vita, la coscienza e il modo di essere di tutte le generazioni fino ai giorni nostri non è ovviamente in dubbio.

[46] F. W. Taylor, Principes d'organisation scientifique des usines, Parigi, H. Dunod e E. Pinat, 1912. Taylor è nato in una famiglia di cultura quacchera sin dal Fiore di Maggio...

[47] Neil Postman, Technopoly: The Surrender of Culture to Technology, New York, Vintage, 1993, p. 51. In questa citazione, per aggiornarla è sufficiente sostituire la parola "esperto" con "algoritmo programmato"...
 
[48] Corollario: dal rapporto tra il Reale, il Simbolico e l'Immaginario in cui gli esseri umani sono intrappolati, che ci piaccia o no, possiamo dedurre che «la verità è un impossibile». Questo è il motivo per cui Lacan diceva che «chi non si lascia ingannare, vaga». Resta il fatto che la civiltà odierna ha notevolmente approfondito questo vagabondaggio, questa lacuna originaria, a suo mortale beneficio.

[49] Anche se ci sono ancora alcune difficoltà, come si può immaginare: ognuno di noi su questa Terra non percepisce la realtà esattamente allo stesso modo, anche quando due persone condividono la stessa cultura e lo stesso idioma. Il linguaggio, infatti, è indissolubilmente legato all'inconscio di ogni persona, ha qualcosa a che fare con la nostra storia personale, anche se condividiamo un'identica strutturazione del nostro immaginario.

[50] Ad esempio, esso viene centralizzato in maniera globale dagli Algoritmi delle aziende americane, i GAFAM.

[51] Cfr. Victor Klemperer, LTI, la lingua di III Reich, Parigi, Albin Michel, (1947) 1996. Cfr. anche Robert Merle, La Mort est mon métier, Paris, Gallimard, (1952), 1978.

[52] Fino all'inizio del XX secolo secolo, il paternalismo ha creato dei complessi residenziali operai dove il lavoro, la scuola, la chiesa, i luoghi di cura e le abitazioni sono stati progettati in un unico pezzo. Sarebbe un errore credere che questa tendenza sia finita: le startup finanziano diverse attività per i loro dipendenti, mentre li requisiscono la sera e la domenica per mezzo di una connettività ininterrotta.

[53] Leggi il bellissimo articolo di Sandra Lucbert dal titolo "France Telecom trial: che forma può assumere una guerra?", pubblicato il 18 luglio 2019.

[54] Henri Atlan, La scienza è disumana?, Parigi, Bayard, 2002.

[55] Come già avvenuto nella primavera del 2020 in ambito medico, si fa riferimento senza esitazione a una "lista di criteri" stilata dalle aziende sanitarie regionali, a modelli matematici dell'espansione pandemica e a calcoli statistici sull'aspettativa di vita per "liberare un letto di terapia intensiva" e mettere una persona anziana in un sacchetto di plastica. Per giustificare questa eugenetica, gli operatori sanitari non hanno esitato, nell'agosto 2021, a caratterizzare la loro pratica nelle Indie occidentali come "medicina di guerra". Ore 12:30 notizie su France Culture, agosto 2021.

[56] Inoltre, per la gioia dei GAFAM, si stanno diffondendo malintesi e illusioni cospirazioniste che, insieme agli schemi neoliberali, rappresentano il più massiccio e virulento fermento di disintegrazione sociale dalla "Guerra dei Trent'anni" (1914-1945).

fonte: Et vous n’avez encore rien vu…

mercoledì 19 giugno 2024

Come i denti in bocca !!

«Ai nostri giorni, alcune forme microscopiche di emorragie cardiache, sono diventate assai frequenti . E non tutte sono mortali. In alcuni casi le persone sopravvivono. È la malattia del nostro tempo. Penso che la causa sia di ordine morale. Dalla stragrande maggioranza di noi, si pretende una costante ipocrisia, la quale è stata eretta a sistema. Non è possibile che doversi mostrare, di giorno in giorno, diversi da quello che si prova non abbia conseguenze per la salute: farsi in quattro per tutto ciò che non si ama affatto, così come gioire di quello che ci porta sventura. Il nostro sistema nervoso non consiste di un insieme di parole vane, non è un’invenzione. Ma è un corpo fisico costituito di fibre. La nostra anima occupa un posto nello spazio e si installa in noi allo stesso modo in cui lo fanno i denti nella bocca. Non si può continuare impunemente a forzarla.»

- Boris Pasternak - da "Il dottor Zivago" -

martedì 18 giugno 2024

La forza delle domande…

«Dal Timeo di Platone viene quasi tutto ciò che vale la pena ricordare». Così afferma Piero Boitani fin dalle prime pagine, in procinto di incamminarsi nel percorso interpretativo di uno dei dialoghi platonici più letti e più fecondi, che qui compare in appendice nella nuova traduzione di Federico M. Petrucci. Del resto, cosa avrebbero potuto scrivere, senza il Timeo, Aristotele e Filone d’Alessandria, Agostino e Boezio, Dante e tanti altri sino all’epoca moderna? L’idea è quella di percorrere i sentieri del linguaggio figurato che da Platone portano a Dante, conducendo il Timeo, appunto, fino in Paradiso. Sentieri spesso obliqui, nascosti, mimetizzati, che arrivano all’epoca cristiana, nella quale il linguaggio «per miti verosimili» del dialogo continua ad avere fortuna, ma deve trovare una diversa giustificazione. Leggere la Scrittura con Platone si può, ma occorre cercare i modi giusti, tanto più che il Timeo affronta i nodi capitali della Creazione e della Bellezza. Boezio e la Scuola di Chartres sono gli eredi diretti di questa tradizione, con esiti sorprendenti dal punto di vista poetico e filosofico. Ma esistono anche discendenze indirette, che qui Boitani ricostruisce con maestria: Plotino, con la sua devozione al Bello; Agostino, che lotta con il problema della Creazione e fonda la nuova visione della Scrittura come umile e sublime a un tempo; Gregorio, il Papa narratore, esegeta e poeta, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e poi Dante, che si avvicina sempre più al platonismo man mano che si addentra nel Paradiso. Pagina dopo pagina prende forma l’albero genealogico dell’unico dialogo platonico conosciuto nel medioevo, con l’origine verso il basso, ma con un occhio puntato verso il tronco biblico e i rami frondosi del Bello e del Sublime. Boitani racconta questa vicenda cruciale della cultura occidentale con tutto l’entusiasmo – Platone direbbe la mania – di cui è capace, ricostruendo un’avventura intellettuale unica nella storia.

(dal risvolto di copertina di: Piero Boitani, Timeo in Paradiso, Donzelli, pagg. 296, € 35 )

L’eco del timeo arriva fino in paradiso
- Oltre Platone. Piero Boitani propone un saggio esegetico-ermeneutico in cui incastona i concetti di Creazione e Bellezza dal filosofo all’opera di Dante -
di Gianfranco Ravasi

Incipit sorprendente: «Uno, due, tre». Non è, però, il titolo omonimo del film divertente che Billy Wilder girò nel 1961 con uno spettacolare James Cagney. È, invece, l’avvio di un ben più paludato testo di un pensatore supremo, Platone, che ne svela subito dopo il titolo: «Ma dov’è il quarto, mio caro Timeo?». Sì, siamo davanti a quel grandioso dialogo che conosciamo, appunto, come il Timeo e che affiora sulle labbra di Beatrice nel IV canto (v. 49) del Paradiso: «Quel che Timeo de le anime argomenta» riguardo al loro destino escatologico “astrale”. Sulla base di quella triade sono tentato di evocare tre mini-premesse personali. La prima, credo condivisa da chi è stato alunno del liceo classico d’un tempo, è negativa: affascinati com’eravamo dal Fedone e dal Critone, al Timeo si riservava solo una sintesi («parla della cosmologia e della genesi umana») un po’ scostante. Tuttavia, quel dialogo si ripresentò anni dopo, quando per la tesi di laurea in scienze bibliche sul Libro della Sapienza, affrontai le centinaia di pagine che il francese Chrisostome Larcher aveva riservato all’identificazione del palinsesto classico sotteso a quell’opera biblica alessandrina del 30 a.C. circa, ove occhieggiava anche il Timeo. Infine, il dialogo mi si presentò recentemente in tutto il suo splendore nella mirabile edizione curata da Federico Petrucci nel 2022 per la Fondazione Valla. Subito dopo, però, giungeva in libreria uno straordinario gioiello esegetico-ermeneutico approntato da una delle figure che più ammiro nel nostro panorama culturale, Piero Boitani. Anche per questo è arduo presentare il suo saggio che nel titolo ammicca appunto a un Dante che ne intarsia tante pagine. Certo, in questo studio i nodi capitali del testo platonico, Creazione e Bellezza, brillano di luce epifanica, ma la mappa entro cui sono incastonati è di una originalità e di una ricchezza impressionante.

Boitani parla di una sorta di «albero genealogico che s’allarga in una cupola frondosa», domandandosi: «Cosa avrebbero potuto scrivere, senza il Timeo, Aristotele e Filone di Alessandra, Agostino e Boezio e tanti, tanti altri sino all’epoca moderna?». In realtà, il suo può essere comparato anche a un viaggio scandito in 34 tappe lungo un’arteria dominante ma aperta a incessanti deviazioni che, a loro volta, si distendono in ramificazioni complesse, strade laterali e sentieri d’altura. Eppure, l’autore riconduce il lettore, preso da vertigine per un orizzonte così immenso, lungo la traiettoria fondamentale che potremmo definire di Wirkungsgeschichte, ossia di storia degli effetti generati da quel vero e proprio archetipo filosofico-letterario che è il Timeo. Accanto a personaggi imponenti come quelli sopra citati e altri ancora (ad esempio Dionigi Areopagita, Alberto Magno, Bonaventura, Scoto Eriugena, Tommaso d’Aquino…), s’accostano figure in tangenza, in un continuo caleidoscopio che anima tutte quelle tappe. I temi sollecitati dal Timeo, infatti, non attraversano solo la filosofia ma anche la teologia, non solo la cosmologia ma pure l’antropologia, s’inoltrano nell’etica e nella psicologia per approdare a golfi circoscritti come l’astronomia, la medicina e persino la biologia e la teoria musicale. Per questo entrano in scena, ad esempio, anche Galileo e Keplero, Virgilio e Ovidio, Cicerone e Alano di Lilla, Tasso e Milton e così via. Anzi, è impossibile «per un poeta europeo della prima età moderna scrivere del Principio senza ricorrere al Timeo o al linguaggio che esso aveva inaugurato e trasmesso ai suoi successori».

In questa linea dei contrappunti tematici, molto suggestiva è l’interazione con vari testi biblici che Boitani sa far fiorire in armonie raffinate. Così, oltre al citato Libro della Sapienza, il motivo della bellezza – che nelle Sacre Scritture è simbolico e quindi estetico-etico-metafisico – conduce verso altri libri sacri. È ciò che l’autore riesce a compiere attraverso un’acuta e fin spumeggiante comparazione che parte con la bellezza di Rachele, la moglie amatissima del patriarca Giacobbe, inserita nel coro delle altre donne affascinanti della Bibbia, da Sara a Ester, da Rebecca a Betsabea per giungere alla protagonista del Cantico dei cantici alla quale è riservato un dolce ritratto. Lo sguardo, però, s’allarga e rimane catturato anche dalla bellezza del creato cantato dal Salmista che viene spontaneamente accompagnato musicalmente da quel capolavoro che è l’oratorio La creazione di Haydn, mentre all’improvviso sbocciano i gigli del capo, sul quale si appuntano gli occhi di Gesù. Entra in scena, in modo inatteso, anche Qohelet/Ecclesiaste con un versetto di forte intensità anche metafisicognoseologica: «Dio ha fatto ogni cosa al tempo opportuno; ha posto anche nel loro cuore il mistero del tempo, senza però che essi riescano a comprendere l’opera che Dio ha compiuto, da cima a fondo» (3,11). Questi assaggi nell’opera di Boitani non riescono a rendere ragione degli intrecci della sua pagina che è un textus nel senso etimologico “tessile” del termine. Il lettore rimarrà stupito di fronte a questo imponente spartito che ha come chiave musicale il Timeo, ma sulle cui righe si distendono infinite variazioni. Per ritornare alla metafora sopra evocata, lo studioso stende una trama con tanti fili colorati, tessuti e ritessuti, tirati, ri-tirati e alla fine ritirati. Non rimane che leggere-ascoltare scoprendo sempre squarci inediti fin nell’“epilogo” che è una nuova miniatura. Mi si affaccia, allora, alla mente come sintesi un distico della raccolta poetica Cerimoniale di Eugenio Mazzarella: «Inchìnati davanti alle domande / Ne sanno più di te».

Gianfranco Ravasi - Pubblicato su Domenica del 3/12/2023

lunedì 17 giugno 2024

«Dio è ateo», firmato Giovanni Papini !!

L'amore irrealizzabile per una nobildonna-vampiro, l'incantesimo di un serpente nei pressi di un monastero, eventi inspiegabili provocati da pratiche yoga o rituali tantrici, una guarigione miracolosa mediante una fotografia, le strane predizioni di un ex marinaio che legge nelle pietre: sono solo alcune delle storie di Mircea Eliade, narratore di mondi alternativi che trascina il lettore in regioni di confine, in cui l'ordine dell'irreale si affianca a quello del reale, incrinandolo. Quando le convenzioni spazio-temporali sono sospese, i suoi personaggi precipitano in uno stato vicino alla febbre, alla trance, al sogno o all'amnesia, in scenari in cui lo strano, l'enigmatico o il miracoloso s'intrecciano con la magia, le credenze popolari e il mito. Due brevi romanzi e dieci racconti, gran parte dei quali inediti in italiano, vengono ora presentati per la prima volta insieme, nell'edizione italiana integrale della narrativa fantastica eliadiana.

(dal risvolto di copertina di: Mircea Eliade, "I Racconti fantastici", Castelvecchi, pagg. 608, € 35)

Il senso del tempo immerso nel fantastico: Mircea Eliade
- di Armando Torno -

Una pagina di Mircea Eliade ne L’isola di Euthanasius (traduzione Bollati Boringhieri) rivela un autore adorato. Alcuni hanno sostenuto, e tra essi Gino Lupi nella Storia della letteratura romena (Sansoni/Accademia 1968), che Eliade avesse come modello Gide, ma c’è altro. Scrive: «Confesso d’aver letto ciascuno dei 30 volumi di Papini almeno tre volte (e lo confesso pur sapendo che certi idioti di spirito torneranno a gridare al mio “papinismo”). Continuo ad amare tutto quanto Papini, così com’è. Credo che non vi sia miglior elogio che si possa fare a uno scrittore che quello di confessare d’amarlo interamente, anche se da lui ci separano le idee, il temperamento e i princìpi religiosi o morali». Conclude: «Dietro quei 30 volumi c’è un uomo maledettamente vivo e integro. Le migliaia di libri che ha letto non l’hanno cambiato. Le idee che ha promosso e abbandonato una dopo l’altra non l’hanno inaridito».

L’isola di Euthanasius nasce nell’inverno 1938-39, quando Eliade raccoglie in volume articoli e saggi pubblicati su riviste romene negli otto anni precedenti. Lui stesso è già autore di romanzi e racconti. I temi scelti vanno dall’amore irrealizzabile per una nobildonna all’incantesimo di un serpente presso un monastero, da eventi inspiegabili nati da pratiche yoga o rituali tantrici a una guarigione miracolosa resa possibile da una fotografia. C’è questo e altro nel volume 1, dei due previsti, ove sono raccolti i Racconti fantastici, pubblicati insieme in Italia per la prima volta. Un’opera letteraria aperta dal romanzo La signorina Christina (1936) che sembra scaturire dal folklore romeno: è una storia di vampiri (“strigoi”) permeata da maledizioni, che un giovane saprà redimere uccidendo per la seconda volta l’infernale creatura, conficcandogli una barra di ferro nel cuore. I dieci racconti e i due brevi romanzi del primo volume offrono – come scrive Sorin Alexandrescu nella densa introduzione – percorsi per riflettere negli imprevedibili universi del fantastico e avviano una «meditazione sul Tempo».

Le problematiche? Mai scontate, come provano i due racconti del 1959 Il litomante e Dalle zingare: il primo presenta un intrigo socialmente complicato; il secondo, ricorda Alexandrescu, «introduce una poetica del morire». Eliade, magistrale storico delle religioni, fu candidato un paio di volte al Nobel per la letteratura: è vero che tale alloro non garantisce (più) l’immortalità del narratore, ma certifica la diffusione e le traduzioni delle sue opere. Avremmo desiderato leggere un saggio o un racconto di Eliade a commento dell’affermazione di Papini presente ne Il diavolo. Ricordiamola: «Dio è ateo». Forse un giorno qualcuno lo ritroverà.

- Armando Torno - Pubblicato su Domenica del 3/12/2023 -

domenica 16 giugno 2024

Buone Maniere !?!!

"Crepuscolo degli idoli", è stato il secondo di quei cinque piccoli libri che Nietzsche scrisse nel 1888, il suo ultimo anno di vita mentale lucida. Di quelle che sono le dieci sezioni che lo compongono, l'ultima è senz'altro la migliore: «Quel che devo agli antichi», un misto di commenti autobiografici e di analisi di alcuni testi degli "antichi" (Sallustio, Orazio, Tucidide). Gli appunti del traduttore Paulo César de Souza (nell'edizione portoghese di Companhia das Letras) riescono a rendere l'esperienza di lettura ancora migliore: quando Nietzsche dice di aver sempre cercato nello stile una serietà romana - "de aere perennius" – ecco che la nota subito ci informa che il passo latino («più duraturo del bronzo») proviene da un'ode di Orazio, in un verso che dice «Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo». «Una delle citazioni preferite di Nietzsche» - prosegue il traduttore - che egli poi userà sia in "Umano, troppo umano" che in "Aurora".

Ci sono momenti in cui, a volte, il traduttore fa coincidere la lettura dell'edizione brasiliana del libro di Nietzsche con la lettura delle diverse altre traduzioni della stessa opera. Così, subito, nelle note che sono alla fine del libro, ci informa del fatto di aver consultato altre otto versioni di "Götzen-Dämmerung, oder Wie man mit dem Hammer philosophirt": una portoghese, una brasiliana, una spagnola, una italiana, una francese, una americana e due inglesi. Ed è per questo motivo, che alcune note presentano anche le soluzioni date in tutte quelle altre otto versioni: traducendo "Biedermännerei" come "bom-mocismo" [buone maniere], il traduttore ci rende edotti che le soluzioni offerte dagli altri sono state le seguenti: nell’ordine, "ingenuità", "incomprensibilità della bontà umana", "la mojigatería", "l'atteggiamento benpensante", "la lourde honnêteté", "il moralismo filisteo", "il filisteismo", "il compiacimento" .

fonte: Um túnel no fim da luz

sabato 15 giugno 2024

Tempi d'oro per i morti !!

Omaggio a Paul Auster
- di Roberto Brodsky -

La domanda non è più chi ha le mani pulite e chi no. La vera domanda sorge nel momento in cui ci si mette sulla difensiva, con la forte sensazione che il patto tra il lettore e lo scrittore sia stato rotto, o si è incrinato. Vale a dire, quell'accordo che aveva sospeso l'incredulità e la complicità - senza il quale la lettura perde il suo fascino e la scrittura diventa una pratica noiosa e indesiderata - è venuto meno, è evaporato. Cosa fare quando si arriva a questo punto? Quand'è che i segni condivisi hanno smesso di essere tali, e gli universali hanno cominciato a reggersi l'un l'altro, solo in quanto rovine di ciò che erano?

In letteratura, la domanda - il suo tono e la sua sincerità, il suo abisso, se così si può dire - non è nuova, ma si rinnova con particolare forza nella corrispondenza tra J. M. Coetzee e Paul Auster (morto alla fine di aprile) che ha avuto corso tra il 2008 e il 2011. Tra Adelaide e Brooklyn - luoghi di residenza dell'uno e dell'altro interlocutore - la questione relativa al senso e all'urgenza (o meno) della letteratura, intreccia una possibile risposta lungo i tanti temi secondari affrontati in "Qui e ora", il libro-dialogo tra Coetzee e Auster pubblicato una decina di anni fa. Rileggere oggi quell'epistolario è forse un modo sobrio ma indelebile di rendere omaggio all'autore della Trilogia di New York e del Leviatano, considerato da molti il più europeo degli scrittori americani di oggi, lettore di Kafka e di Edmond Jabès, complice di Perec e amico di Vila-Matas.  E non a caso, il tema del libro è proprio quello dell'amicizia. Perché ci sono così pochi libri significativi che trattano questo argomento, essendo della massima importanza nella vita di ogni individuo e nel carattere dei personaggi immaginari? In che modo le persone scelgono i loro amici in gioventù? Può un uomo essere amico di una donna senza aver mai prima condiviso il letto, visto che nell'aria rimarrebbero tante cose "non dette", come suggerisce uno dei primi scambi di e-mail in Qui e ora? Per quale motivo la gente si innamora della propria amica o del proprio amico?

Il libro ha inizio proprio con Coetzee che solleva questo genere di dubbio in un suo primo messaggio che fa tornare in mente il romanziere Ford Maddox Ford - il quale per mezzo di uno dei suoi personaggi ci ha assicurato che gli uomini vanno a letto con le donne solo per poter parlare con loro: il primo passo è quello di diventare amanti. La seconda cosa, invece, ed è l'unica che conta, è diventare amici, guadagnare la fiducia dell'altro. Al che Auster risponde rimarcando quale sia la differenza tra amicizia e matrimonio, e lo fa a partire da una citazione assai appropriata di Joubert: «non scegliete come moglie una donna che non scegliereste come amico, se lei fosse un uomo». Cosa questa che - nelle attuali circostanze di ibridazione e bisessualità, transessualità e intersessualità - andrebbe letta con in mano un dizionario, e dopo aver assunto un buon avvocato. Sottolineando le differenze generazionali, Coetzee si mostra stupito per la consuetudine che hanno i giovani oggi, i quali sono prima amanti e poi amici, cosa che in contrasto con la sua educazione sentimentale, gli sembra che apra la strada a un concetto forse superiore di amicizia, vista come qualcosa di permanente e lontano dall'elemento misterioso che la domanda erotica suppone.

Sull'argomento, Georges Bataille ci ha lasciato un trattato filosofico, ma Qui e ora si attiene in modo leale al suo titolo, e lo fa in un continuo disperdersi e distrarsi rispetto alla questione che si trova al centro del carteggio: come affrontare la rottura dell'ordine simbolico che legava la lettura di un testo alla sua scrittura. Auster esemplifica il problema attraverso la richiesta - da parte di un lettore o di un editore capriccioso - che viene fatta all'autore, di non sostenere nella sua opera narrativa delle cause politicamente scorrette. Come se gli scrittori di gialli fossero dei potenziali serial killer, o gli autori che amano un buon hamburger non dovrebbero inserire nelle loro creazioni dei personaggi vegani? La stessa cosa si può dire riguardo l'antisemitismo di alcuni personaggi solitari, o dei giovani che indossano un foulard palestinese e che dovrebbero diventare degli eroi per i governanti morali del nostro tempo. Per l'autore di Moon Palace, l'immaginazione non deve cedere un solo millimetro della sua libertà nel creare quei personaggi e quei modelli plausibili che il mondo celebra e che lo scrittore parodizza. Dopo essere passato attraverso Beckett, lo sport, la reazione alla critica, Philip Roth, la linea mobile che separa estetica ed etica, il carteggio Auster-Coetzee concentra il suo interesse proprio sulla questione del linguaggio e della sua familiarità. «Si può avere avere una propria prima lingua, e tuttavia non sentirsi a casa propria; cioè, si può avere una prima lingua, ma non una lingua madre», scrive Coetzee. «La lingua è sempre la lingua dell'altro. Visitare una lingua costituisce sempre un'intrusione».

L'affermazione non potrebbe essere più precisa, visto che si tratta di Coetzee, il cui ultimo romanzo, Il Polacco, è stato pubblicato prima in spagnolo (El Hilo de Ariadna, Buenos Aires 2022), e solo successivamente è apparso nella sua versione inglese. In questo libro, l'autore sudafricano emigrato in Australia sembra rispondere alla questione sollevata nella sua corrispondenza con Auster a proposito di che cosa fare una volta rotto il patto che univa la narrativa di un autore con l'universo mutevole del lettore. Scritto nello stile che in Qui e Ora  egli descrive definendolo come lo stile tardo di un autore anziano, Il Polacco è una storia d'amore e di amicizia tra Witoldo, un pianista di una certa fama che suona Chopin, e la sua padrona di casa spagnola, Beatriz, che lo riceve per il suo concerto nella sala Mompu nel Quartiere Gotico di Barcellona. Lui ha 72 anni e vive da solo, lei ne ha poco più di 50 ed è perfettamente sposata. Entrambi hanno i figli già cresciuti. La struttura del racconto è quella di un taccuino, diviso in sei brevi capitoli con delle brevi annotazioni all'interno di ciascuno di questi capitoli. Quasi come se il lettore assistesse a un concerto, con i suoi posti numerati, in cui Witoldo esegue ogni piccolo brano per un pubblico tanto impassibile quanto attento. Sebbene il testo possa essere letto come un romanzo, a rigor di termini è un romanzo poliziesco. E pertanto si gusta come tale. L'enigma inizia con la prima frase della prima riga del primo capitolo, che si chiude su sé stesso: «La donna è la prima a metterlo in difficoltà, seguita poco dopo dall’uomo». Fine della prima nota. E poi la seconda: «All’inizio gli è molto chiaro chi è la donna». Sorge spontanea la domanda su chi sia mai questo "altro" che viene menzionato con il pronome. A chi è che causa problemi, prima la donna e poi l'uomo? Indubbiamente, non è Witoldo, anche se la disposizione cerca di essere ambigua. Chi parla dietro le parole del narratore e si incarica di narrare, lui, il narratore, mentre si maschera e si rende confuso per tutta la storia? Nella quarta nota il romanzo poliziesco si fa esplicito: «Da dove vengono l’alto pianista polacco e l’elegante donna che cammina scivolando leggera»?  chiede il narratore - quell'altro che ha delle serie difficoltà nel narrare i suoi personaggi, secondo quella che è la versione del narratore del narratore nella prima voce. Con il pretesto della semplicità, le trappole abbondano e si moltiplicano. È un gioco, certo. Ma un gioco che si interroga sul romanzo, sulla sua condizione attuale, sul narratore e sul suo oggetto, sul cadavere che emerge dai suoi silenzi e sulla resistenza che lo contrappone all'impazienza del lettore, sempre più distratto e ipocrita (Flaubert dixit).

E tutto ciò perché, nelle mani di Coetzee, il narratore è e non è - allo stesso tempo - coinvolto con la sua materia; quella materia che è Witoldo e Beatrice, due esseri impossibili uniti da incomprensioni, dai dubbi di un'amicizia improvvisa, dalla nostalgia fisica di corpi logorati dalla maturità, da confessioni che non commuovono, e persino da poesie che si correggono alla ricerca di una perfezione perduta. Tutto è sotto gli occhi di tutti, come ne La lettera rubata di Poe, eppure è impossibile trovare un appiglio in mezzo alla fragilità che attraversa il pathos dei personaggi dall'inizio alla fine. A un certo punto, verso la fine, e di fronte al ritrovamento delle poesie lasciate da Witoldo dopo la sua morte improvvisa, Beatriz pensa a Dante e alla sua amante immaginaria – lei stessa – come a un grande equivoco: il polacco ha usato il mito sbagliato, riflette. Lei, Beatrice, non è Beatrice; non è una santa, dice a sé stessa. «Quale sarebbe stato il mito giusto? Orfeo ed Euridice? La Bella e la Bestia?». L'amore è una finzione che abbraccia e brucia, conclude. Una finzione romantica, come i preludi di Chopin, e di cui si prende cura con malcelata nostalgia allorché,  al momento dell'addio, scrive una poesia a Witoldo. Ed ecco che, a quel punto, la presenza fantasmatica del narratore del narratore è del tutto scomparsa nella vita reale dei personaggi che abitano la finzione, ripristinando così la legittimità della narrazione e la sua verosimiglianza. Dove la letteratura vacilla e muore, inizia la finzione; sembra dire Coetzee in questo nuovo giro di vite che riscatta il romanzo attraverso una passione scomoda. Una volta che la storia d'amore con il lettore è stata interrotta, ecco che non si può chiedere di più a un quaderno di appunti trasformato in una brillante difesa della narrativa. È anche la fede che Auster nutre in una delle sue ultime e-mail - in Qui e ora - quando commenta la buona salute di un pugno di romanzieri americani a proposito di "Tempi d'oro per i morti", un pulp-fiction di Charles Willeford con un titolo molto appropriato per lo stile tardo di Doctorow a 80 anni, di Coover a 79 anni, di Roth a 72, e di DeLillo a 74; al momento di chiudere lo scambio di e-mail con Coetzee, erano tutti quanti attivi e pieni di appetito immaginario. "Tempi d'oro per i morti", ripete Auster come se fosse un mantra. L'anno è il 2011 e, in una frase d'addio al suo amico, il narratore del narratore annota: «Meaning: New Hope for Us». Vale a dire, una nuova speranza per noi.

- Roberto Brodsky - Pubblicato nel giugno del 2024 su Rialta - fonte: Comunizar -

venerdì 14 giugno 2024

Marx & Freud !!??!!

L'ipotesi freudiana dell'inconscio, non è separabile da una Critica del Soggetto, proprio allo stesso modo in cui l'analisi di Marx delle categorie dell'economia politica costituisce una critica delle oggettive relazioni sociali del capitalismo. La ricerca enciclopedica condotta da Marx in tutti i campi scientifici del suo tempo, così come le instancabili incursioni di Freud nelle discipline limitrofe - soprattutto quella che riguarda la teoria della cultura - dimostrano come entrambi fossero consapevoli dei limiti dei rispettivi approcci.

Al contrario, essi erano sensibili al fatto che il loro metodo richiedesse necessariamente un'estensione che riuscisse ad andare oltre sé stessa, a partire dalla quale, tuttavia, nessuno dei due era in grado di tracciare tutte le conseguenze. Infatti, le due critiche hanno in comune il loro tornare alla materialità della vita psichica e a quella della vita sociale;  una attraverso le formazioni dell'inconscio, l'altra attraverso le conseguenze sociali dovute alla riduzione della vita umana a mera appendice del movimento autonomizzato del valore che sta dietro le spalle del titolare della funzione.

In entrambi i casi, a emergere come vero scandalo è il problema della coscienza. Questo punto in comune non riesce a essere sintetizzato in un'unica teoria in grado di colmare il divario metodologico tra i loro due punti di partenza. Allora come è possibile mediare i due approcci? Sono forse condannati a passarsi continuamente la palla l'un l'altra, perpetuando in tal modo l'aporetica separazione soggetto-oggetto che ne è alla base? Così, malgrado la pretesa da parte di mezzo secolo di freudo-marxismo di sintetizzare Marx e Freud in un'unica teoria sociale, la questione relativa a una mediazione rimane irrisolta, dal momento che il metodo psicoanalitico si occupa di singoli processi e quello della critica dell'economia politica di processi socio-storici i quali non sono riducibili l'uno all'altro. I ponti che si è tentato di costruire trasversalmente a questo divario sono stati sempre ridotti a livello di quello che era sempre e solo l’uno o l'altro approccio, con il fine di renderli più "compatibili", e spesso a scapito di un loro rigore interno. La questione della mediazione, d'altra parte, richiede che non si dia nulla per scontato in termini di rispettiva radicalità.

La duplice propensione riduttiva a psicologizzare il soggetto dell'inconscio, da un lato, e a sociologizzare le categorie del capitalismo, dall'altro, ci condanna ad arrovellarci nella fenomenologia empirica del sintomo psicopatologico e/o della crisi fondamentale del capitalismo. Di conseguenza, non fa altro che alimentare quell'insieme di "soluzioni" ad hoc, adattive, riformiste, frammentarie e, in ultima analisi, futili che la società capitalista eccelle nel produrre. Rimanere a tale livello di analisi ci impedisce pertanto di accedere a un'articolazione più rigorosa del problema della mediazione. Allora, si tratta piuttosto di esaminare meglio da vicino il rapporto esistente tra il soggetto diviso, la forma-soggetto e la forma-sociale, ripercorrendo la costituzione storica senza però trascurare il carattere reale e operativo delle separazioni moderne.

I testi raccolti in questo volume rappresentano un tentativo di porre nuovamente la questione irrisolta dei dualismi soggetto-oggetto e individuo-società, e delle impasse che ne derivano. L'obiettivo è quello di coniugare, senza confonderli, un approccio categoriale al marxismo e un approccio categoriale alla psicoanalisi.

- Sandrine Aumercier & Frank Grohmann, "Quel sujet pour la théorie critique? Algulser Marx et Freud l'un par l'autre"(Editions Crise & Critique), pubblicato il 7 juin 2024. -