Leonardo Sciascia e la questione della scrittura, della lettura e dell'interpretazione: dal momento che il primo presupposto è sempre quello del dubbio, allora bisogna dubitare anche della forma scritta, del messaggio, dei molteplici sensi stimolati dai segni:
1) - Già il suo capolavoro del 1966, il romanzo "A ciascuno il suo", comincia con una lezione di scrittura e lettura: una lettera anonima, le cui parole sono state ritagliate da un giornale e incollate su un foglio, viene recapitata al farmacista Manno. Ed è qui che abbiamo la prima lezione: osservando il foglio di carta in controluce, sul retro del ritaglio il professor Laurana riconosce una parola in latino: UNICUIQUE; ed è una parola che può provenire unicamente da L'Osservatore Romano, un giornale a diffusione estremamente limitata se riferito alla cittadina siciliana in cui si svolge la vicenda (e da qui, il titolo del romanzo: «unicuique»: «a ciascuno» il suo»).
2) - Abbiamo a che fare con l'espansione (la trasformazione) di un tema pirandelliano - Pirandello è un continuo riferimento per Sciascia -, quello del dubbio e del gioco degli specchi, il tema del falso che si maschera per travestirsi da vero, e viceversa ( o per dirla con Fernando Pessoa, morto nel 1935 e contemporaneo assoluto di Pirandello -morto nel 1936: fingere che sia dolore un dolore che in realtà si sente davvero). Si tratta di una espansione che Sciascia preleva dal metafisico/psicologico, spingendola in direzione archivistica/filologica: abbiamo sempre qualcuno che ha a che fare con un manoscritto, con un articolo di giornale, con un'impressione discutibile (l'esempio migliore, è forse quello de "Il consiglio d'Egitto", un breve romanzo del 1963, in cui alla fine del 18° secolo padre Giuseppe Vella falsifica una storia dell'occupazione araba della Sicilia).
3) - In sintesi, nella sua opera, al di là di quelli che sono i casi specifici, Sciascia ci mostra come sia necessario anche saper leggere tra le righe delle storie che vengono raccontate - come nella nota che chiude "Il giorno della civetta", del 1961, in cui Sciascia sottolinea ironicamente come sempre, in Sicilia, ogni caso di giustizia sia un racconto fantastico. Tornando al romanzo "A ciascuno il suo", e tenendo bene in mente questo pensiero, ecco che salta subito agli occhi l'epigrafe di Edgar Allan Poe presa di peso da "I delitti della Rue Morgue": «ma non pensate che io stia per rivelare un mistero o scrivere un romanzo». Insieme al dubbio, ciò che sostiene la poetica di Sciascia e la preoccupazione permanente per l'archivio, per il fatto e per la Storia (e l'irriducibile inaccessibilità a tutti e tre!).
fonte: Um túnel no fim da luz
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