lunedì 2 novembre 2020

Storie

L’Edipo re di Sofocle: il capolavoro tragico che nel corso del tempo è stato decisivo punto di riferimento per pensatori come Aristotele e Freud. La storia è nota: Edipo, re di Tebe, deve trovare e punire l’assassino di Laio, il vecchio sovrano, perché solo così la città sarà liberata dalla pestilenza. La verità da conoscere è lì, evidente, eppure nessuno la vede. È questo silenzio, questa rimozione collettiva, che affascina il lettore. E anche l’angosciosa ricerca del protagonista, che ha il coraggio di guardare dentro sé stesso e i propri segreti. Alla fine il giallo si scioglie: è lui il colpevole, ha ucciso Laio senza saperlo suo padre, per poi sposarne la vedova Giocasta, sua madre. La vicenda di Edipo si eleva così a parabola della fragilità umana, dell’azione cieca del destino, del dolore e della tragicità del conoscere.

Voi che abitate Tebe, la mia patria, guardate Edipo
che risolse l’enigma famoso e fu l’uomo più potente,
invidiato da tutti i cittadini: guardate in quale abisso
di sventura è precipitato.
Perciò non chiamate felice nessuno che attende
il suo ultimo giorno,  prima di aver visto se attraversa
il confine della vita senza aver provato dolori.

(dal risvolto di copertina di: GIULIO GUIDORIZZI, "Sofocle, l'abisso di Edipo". Il Mulino.)

È Edipo l’eroe vero del coraggio si tuffò nell’abisso più tetro: se stesso
- di Giulio Guidorizzi -

Ero un giovane studente quando incontrai l’Edipo re. Allora lo tradussi per la prima volta, e da allora molte altre volte, sempre scoprendo angoli inattesi, e mi sembrava ogni volta che il testo si muovesse. Non ho mai pubblicato quelle traduzioni, che anzi sono disperse non so dove, ma ora mi è parso che valesse la pena di farlo con una nuova, e insieme di spiegare, a chi vorrà leggerlo, perché mi sono portato dietro un compagno di strada tanto ingombrante e perché Edipo continua ad incrociare il cammino della nostra civiltà. La lingua di Sofocle ha una bellezza enigmatica: è sfuggente, com'è sfuggente il classicismo greco, in apparenza composto e razionale, ma dentro percorso da una misteriosa inquietudine sotterranea che lo rende inafferrabile, come le sculture di Fidia. Stare davanti all'Edipo re è una sfida della lingua e del pensiero; ci sono parole intraducibili, perché appartengono all'antropologia della lingua greca, ma più che altro Edipo re esprime, simbolicamente, più di tutte le altre opere antiche, l'ambiguità della parola in sé, dato che nessun personaggio qui appare veramente padrone di quello che sta dicendo.
L'opera di Sofocle non è una semplice opera letteraria, ma un groppo di problemi e anche un modello di umanità, in cui io credo che la nostra civiltà abbia ancora bisogno di riconoscersi. Sin dalla prima lettura, non si può non rimanere intrappolati da questa tragedia. Edipo è intrappolato dal suo destino, e noi siamo intrappolati da Edipo. Qui troviamo tutti insieme i grandi temi che rendono attuale la tragedia greca - come il destino, la volontà, le passioni, lo scandalo dell'ingiustizia e del dolore; e siccome una delle prerogative di un capolavoro è quella di trovare le parole per dire l'indicibile, l'Edipo re rivela per la prima volta una cosa fondamentale: l'esperienza umana non è regolata da una legge, qualsiasi essa sia, ma è una matassa inestricabile di fili di cui non si può trovare il capo. Dalla nostra intelligenza e dalla nostra volontà non dipendete tutto, - dice Edipo - e forse neanche molto. Perché proprio in quel momento cambia tutto, secondo un meccanismo che sfugge, ma di cui si percepisce l'inesorabilità? È una scoperta devastante, quella di Edipo; e nasce da una pestilenza (evento simbolico e oggi anche terribilmente attuale) che smantella una città e le certezze dei protagonisti. A partire dalla peste tutti gli abitanti di Tebe incominciano a guardarsi in modo diverso, così come noi, con immensa stupefazione, abbiamo imparato che basta un frammento di materia vivente per mettere in crisi la nostra vita. Non ci renderà migliori, la nostra epidemia, come quella di Tebe non rese migliori Edipo e i suoi concittadini. Anche Atene, poco prima che Sofocle scrivesse il suo dramma, aveva visto una terribile epidemia. I cittadini morivano a mucchi, nessuno soccorreva l'amico o il parente, per paura. Tutto dunque è così precario? La ricchezza, il successo, il potere, anche la vita? Sull'orlo di questo crepaccio cammina appunto il nostro Edipo.
Può essere una pestilenza, una malattia, una guerra, il Covid: qualcosa di inesorabile da cui il peggio filtra e si diffonde, per raggiungere ogni essere umano nella sua più profonda fibra; da allora il mondo non sarà più quello di prima, perché è avvenuto qualcosa di definitivo, da cui non si torna indietro. Questo dice il nostro eroe, e non potrebbe dirlo se non fosse un eroe greco e se non parlasse attraverso il mito.
Edipo è il primo eroe della mitologia ad osare un viaggio dentro sé stesso: dentro, non fuori come Ulisse. La sua unica impresa fu quella di risolvere un enigma, con la forza della ragione. Un eroe dell'intelligenza, che cosa straordinaria! Non conquistò città, non uccise nemici in duello; l'unico uomo che uccise fu suo padre, in una rissa, senza saperlo. La sua non era l'intelligenza pragmatica e avventurosa che rende Ulisse così affascinante, e anche invincibile: Edipo invece era un uomo che tra rabbie e angosce ebbe il coraggio di tuffarsi verso il tetro fondo di sé stesso e e sprofondò dentro il suo personale abisso. Non era scaltro: non riuscì, come aveva fatto Ulisse, a evitare la sua Cariddi o uccidere il suo Ciclope. Questi mostri non li poteva sconfiggere perché li portava dentro, e non lo sapeva. Così l'eroe dell'intelligenza, d'un tratto, nel corso del dramma, diventa l'eroe del coraggio, quello di cercare la propria natura. Tutti nascondono, tacciono, cercano di depistare: Edipo no, va avanti anche quando è evidente che sta per venire alla luce la sua mostruosità, un parricidio e un incesto. Chi era al culmine della felicità cade rovinosamente, e cosa ancora più terribile, fa tutto da solo. Grandezza e miseria dell'essere umano, la luce e il buio mescolati: questo dice Edipo, e questo dicono gli altri eroi della mitologia greca.
Compagni inseparabili, per me: se un giorno tornando a casa li incontrassi sul mio pianerottolo non mi stupirei. Sono loro a darmi le parole, basta che sappia aspettare il momento in cui hanno voglia di parlare. Prima viene un'immagine o un'intuizione, poi si amplia e si definisce; tutto avanza un po' caoticamente, mescolato insieme, e infine si ferma, come l'acqua di uno stagno agitata da un sasso dopo un po' si quieta. Allora vengono le parole. Scrivere - per me - significa ogni volta passare dal caos all'ordine: non esiste una pagina bianca da riempire, ma immagini mentali che si collegano, sinché tutto assume il suo senso.
Io credo che la scrittura abbia sempre qualcosa di mitico: anzi, per quanto mi riguarda, senza il mito, inteso come dimensione della mente, non può esservi scrittura. I classici, da Omero e Sofocle, lo sapevano: per questo continuavano a raccontare le stesse storie e parlavano degli stessi eroi e ogni volta venivano parole nuove. Anche per loro questi eroi erano compagni di strada. Quando una storia è stata raccontata non appartiene più a chi l'ha raccontata. Per quanto mi riguarda, quando finisco di scrivere un libro, non lo apro più. Non è più mio, e faccio fatica a parlarne.

- Giulio Guidorizzi - Pubblicato sul Tuttolibri del 3 ottobre 2020 -

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