mercoledì 11 novembre 2020

Ora !

«La rivolta anarchica viola le frontiere statuali, denazionalizza i presunti cittadini, li svincola e li estranea, li rende provvisoriamente apolidi, li invita a proclamarsi stranieri residenti».
Emarginata dalla riflessione, presentata come un evento caotico e fosco dal racconto mediatico, la rivolta è un tema incandescente nello scenario globale. In questo libro Donatella Di Cesare ne tocca per la prima volta i diversi aspetti, politici e filosofici, offrendo un quadro suggestivo e puntuale dell’attualità. Come la migrazione, anche la rivolta lascia intravedere ciò che accade «fuori», al di là dell’ordine stato-centrico, ai bordi dell’architettura politica, intorno ai confini sorvegliati dello spazio pubblico. In un elogio della rivolta, e del suo voltafaccia al potere, Di Cesare si interroga anche sui fenomeni contigui, sulla rivoluzione perduta – nei molti sensi di questa espressione – e sulla resistenza. Se i movimenti che occupano le piazze, sottolineando il declino della rappresentanza, chiedono il diritto di apparizione e l’ingresso nello spazio pubblico, la rivolta va oltre: anziché accettare il conflitto interno, mette in discussione le cornici stesse di quello spazio. I protagonisti sono molti: dai nuovi disobbedienti a coloro che praticano l’anonimato nel web, dai segnalatori d’illeciti a quanti si dichiarano «invisibili». Il tempo della rivolta fornisce un’interpretazione politica della maschera e parla di «zone d’irresponsabilità»; nascondersi per mostrarsi è una sfida allo Stato che condanna ogni maschera che non sia la propria, al potere finanziario senza volto, all’economia disincarnata, noncurante dei propri effetti; si svela così l’enorme dissimmetria, si mette allo scoperto la disparità di forze, si denuncia la sorveglianza planetaria. La rivolta non è un evento effimero, bensì un passaggio anarchico che si compie nel disimpegno dall’architettura politica.

(dal risvolto di copertina di: Donatella Di Cesare, "Il tempo della rivolta". Bollati Boringhieri)

La rivolta è un fiume carsico (e anarchico) che affiora nel deserto dell'ingiustizia quotidiana
- di Marco Revelli -

Il tempo della rivolta è «ora». Ma si può anche dire che sia «sempre». Solo un filosofo, anzi una filosofa che respira nell'oggi e insieme conosce la storia (non solo quella della filosofia), poteva tracciarne un profilo così nitido. Non ce ne accorgiamo, in questo tempo «spogliato di promesse… occupato dal regno incontrastato e iniquo del consumo e della comunicazione» che ha sradicato ogni idea di rivoluzione, ma la rivolta (a differenza di quella) accompagna la nostra quotidianità. Frammentaria e frammentata ma tendenzialmente onnipresente. Nemmeno la pandemia l'ha fermata, se si pensa alle città americane quest'estate, incendiate dalla reazione all'omicidio di George Floyd. O alla mobilitazione mai spenta di Hong Kong. E prima c'erano stati i Fridays for Future, la Barcellona indipendentista, le piazze di Algeri e di Atene, di Santiago e di Portland oltre, senza soluzione di continuità, agli indignados spagnoli, alle primavere arabe, al Chiapas zapatista. Ma anche, e prima ancora, affossate nella storia del Novecento, altre fiammate: gli Spartachisti nella Berlino agli albori di Weimar, i disperati del ghetto di Varsavia, il '68 mondiale…
Donatella Di Cesare, in questo suo ultimo «scandaloso» libro ribelle, ce ne offre una fenomenologia amplissima, ma soprattutto ci propone un comun denominatore della rivolta che ne riconduca a unità il polimorfismo. La rivolta, ci dice, è una «pratica d'irruzione»: una fenditura aperta nella superficie compatta dell'esistente, attraverso cui «irrompe» e prende forma la denuncia dell'iniquità e dell'insopportabilità dell'ingiustizia e del nonsense che la governance ufficiale nasconde e comprime. È una domanda perentoria di riconfigurazione dello spazio pubblico da parte di quanti da quello spazio sono stati estromessi e confinati («gli ingovernati che irrompono sulla scena»). In questo senso - e anche a ciò allude il titolo - evoca un «tempo altro» da quello, lineare, della storia (è «sospensione del tempo storico», per dirla con Furio Jesi, nella «sua esasperata esperienza del tempo»). E nel contempo destituisce la politica politicante del suo preteso monopolio della realtà in quanto, mostrando «lo Stato dalla finestra dei quartieri periferici, la fa vedere con gli occhi di chi è lasciato fuori o di chi si chiama fuori». Per queste ragioni essa ha uno straordinario «potere destituente» (della sovranità, dell'autorità costituita) a differenza della Rivoluzione che invece rivendicando dalla sua la forza della Storia si candida a esercitare un potere costituente. E insieme una altrettanto forte potenza conoscitiva: «dimensione peculiare del disordine mondiale, la rivolta offre la chiave di lettura di un'epoca sempre più indecifrabile» in tempi di quasi assoluta opacità di una storia scompaginata dalla globalizzazione e di una società diventata difficilmente leggibile nonostante l'abbondanza di dati e statistiche. Solo un' imperdonabile «amnesia interpretativa» può trascurare questa funzione «rivelatrice» delle insorgenze, e farcele liquidare nel repertorio basso dell'impolitico o della devianza sans phrase.
C'è molto Benjamin, «malinconica sentinella messianica», con la sua rivalutazione dell'istante (della rottura) che spezza il tempo rivelando il futuro attraverso le sconfitte del passato, molto Agamben con la sua teoria dello «stato d'eccezione» (e delle forme della sua neutralizzazione), molto Camus col suo «mi rivolto, dunque siamo», e anche molto Spinoza «strenuo difensore della libertà d'espressione», in questo libro. Molta «filosofia dell'alterità» sedimentata. Ma c'è anche molta «filosofia critica» elaborata nel pieno dell'esistente attuale. Per comprenderlo è utile riferirsi al precedente libro di Donatella Di Cesare, Virus sovrano? (Bollati Boringhieri 2020) in cui nel parlare del «virus dell'asfissia» (il SarsCov2, appunto), ne paragonava gli effetti mortali a un'altra asfissia, quella provocata dal poliziotto assassino a George Floyd col suo disperato I can't breathe, simbolo a sua volta di un'altra più generale asfissia, ambientale questa, sistemica. Ovvero all'«asfissia capitalistica» contemporanea, di un mondo che appunto non lascia intravedere vie di uscita, piste di trascendimento, e in cui «ogni istante è invivibile» e tuttavia non è permesso immaginare un altrove. Ed è appunto questo lo scenario in cui la rivolta - meglio: le rivolte - del XXI si originano e traggono il loro novum. Soprattutto si distinguono dalle tradizionali forme della disobbedienza civile, dalle tante «lotte per il riconoscimento» del passato in cui l'ingiustizia denunciata spesso rivendicava una qualche forma di inclusione.
I nuovi ribelli, come quelli di Anonymous (gli Anon), del Comitato Invisibili, dei cyber riots serpeggianti nel web a rivendicazione dell'«inservitù volontaria», o ancora gli Assange, gli Snowden, le Manning con le pratiche del doxing (resa pubblica di documenti riservati) e defacing, usano dichiaratamente gli strumenti della maschera e del travisamento di sé con l'obiettivo della costruzione di «zone di irresponsabilità» dislocate attraverso i confini delle sovranità estenuate. Lavorano per sottrazione di sé a un potere riconosciuto come totalitario e totalizzante, per dar vita a una forma di antagonismo «nomade, transitoria, frammentaria» come è appunto l'esistenza contemporanea, e per questo tanto più efficace, perché capace di sottrarsi alla pretesa di impossessamento integrale delle esistenze da parte di un potere altrettanto mascherato, invisibile, dissipativo. Un «oltre», dunque, in cui i «ribelli» di Hobsbawm, i «briganti» di Christopher Hill, le «canaglie» di Jacques Derrida, i «nemici di tutti» di Daniel Heller-Roazen ricompaiono trasfigurati dietro la maschera uniformante di Guy Fawkes (il mancato dinamitatore di Westminster nel 1605) diventata la «divisa» di «V» (come «vendetta»). E lo «sberleffo» di Anonymous trascolora nel «lazzo» di Pulcinella (col suo «segreto»), il quale nella caduta di ogni speranza va ripetendo, dietro la maschera che egli stesso è, che «nella commedia della vita, non vi è un segreto, ma solo, in ogni istante, una via d'uscita».

- Marco Revelli - Pubblicato il 7/11/2020 su Tuttolibri -