La magia del denaro
- di Paul Mattick Jr. -
È confortante sapere che nel mezzo di questa crisi economica, medica, politica, ed ecologica nazionale e globale, la scienza economica non se ne sia stata lì a girare i pollici. Nei primi giorni della pandemia di Covid-19, hanno cercato di calcolare il valore in dollari delle vite umane che avrebbero potuto essere perse a causa dell'epidemia, o salvate grazie alla chiusura delle industrie inquinanti. Ora sembra che venga posta una domanda ancora più importante, che cerca di capire se i 600$ del sussidio settimanale di disoccupazione, conclusosi a fine luglio, abbia dissuaso i lavoratori [*1] dall'accettare un lavoro, dando loro così tanto reddito da non voler tornare ai lavori a basso salario. La domanda non è del tutto accademica, visto che le diverse risposte forniscono munizioni per lo scontro in atto nel Congresso, tra repubblicani e democratici, circa la possibilità di reintrodurre il beneficio come parte di una nuova legge multimiliardaria di incentivi. Il fatto che la possibilità di usare la depressione in corso per ridurre ancora dell'altro i salari. tagliare le indennità di disoccupazione, e peggiorare le condizioni di lavoro venga discussa per mezzo di una controversia socio-scientifica - discutendo se una misura a breve termine sia un disincentivo a lavorare in un momento in cui sono scomparsi 30 milioni posti di lavoro - ci dice più sulla natura dell'economia, di quanto non dica sulla motivazione al lavoro. Questo ci fornisce un ulteriore supporto, se ce fosse mai stato bisogno, alla descrizione dell'economia, data dallo storico della scienza Jerome Ravet, come «folk science» [scienza popolare], vista come «un corpo di conoscenze che viene accettato, la cui funzione non è quella di fornire una base per un ulteriore progresso, ma piuttosto dare conforto e rassicurazione ad un corpus di credenti» [*2].
In questo caso, i credenti includono in maniera preminente il popolo dei piccoli imprenditori, per i quali, come riporta il New York Times, «l'argomentazione dei repubblicani, a livello viscerale ha senso», e che sembrano essere - insieme ai vari suprematisti bianchi e agli entusiasti della teoria della cospirazione (senza queste siano le categorie esclusive) - i principali sostenitori del voto all'attuale governo americano. Ma i problemi che vengono posti a partire dal crescente deficit federale, sembrano avere un ruolo solo nell'essere usati come argomento per limitare il sostegno ai disoccupati, e non per rifiutare ulteriori sgravi alle imprese, e certamente non per ripristinare aliquote fiscali più elevate per le imprese e per i ricchi, cosa a cui anche i democratici sono ugualmente disinteressati. In altri termini, lo spettro che aveva ossessionato i responsabili delle politiche economiche dell'ultima Grande Depressione - vale a dire, la paura di un debito nazionale andato fuori controllo - ha smesso di turbare il loro sonno, e ciò nonostante il fatto che il debito sia destinato a ad eguagliare e ad eccedere, da un giorno all'altro, il Prodotto Interno Lordo americano.
Si temeva che ci sarebbe stato un debito pubblico elevato, poiché gli economisti si aspettavano che si sarebbe scatenata un'inflazione dannosa, con un'impennata del tasso di interesse ed una perdita di fiducia nel dollaro. Tuttavia, queste piaghe non hanno ancora fatto la loro comparsa. Di conseguenza, senza che ci sia molto da dire sul perché, gli economisti hanno cominciato a mostrarsi allegri in proposito. Per esempio, Oliver Blanchard, ex membro del Fondo Monetario Internazionale ed ora Senior Fellow al Peterson Institute for International Economics, e favorevole al libero scambio, ha dichiarato: «In questa fase, ritengo che nessuno sia molto preoccupato per il debito. Mi sembra chiara che probabilmente possiamo andare dove stiamo andando, vale a dire con un tasso di indebitamento superiore al 100% [del PIL] in molti paesi. E questa non è la fine del mondo» [*3]. Secondo Kenneth Rogoff, un esperto di Harvard sul debito pubblico e sulla crescita economica, il cui lavoro è stato spesso citato a sostegno della riduzione del deficit sotto l'amministrazione del Presidente Obama, «Qualsiasi politica sensata ci porterà per molto tempo ad accumulare deficit, se possibile. Se dovessimo aumentarlo di altri 10mila milioni di dollari, non batterei ciglio a tal riguardo» [*4]. Una tale dissonanza cognitiva, è stata forse esemplificata nel modo più chiaro dalle recenti osservazioni di Maya MacGuineas, il presidente del Comitato per un Bilancio Federale Responsabile, che ha esortato a che «Noi dovremmo pensare e preoccuparci molto del deficit, e a renderlo ancora più grande» [*5].
Appare ovvio il motivo per cui anche gli ex «falchi del deficit» stanno sposando il debito-al-livello-del-PIL, sebbene la scienza economica non abbia niente a che fare con tutto questo. L'alternativa è quella di una colossale crisi finanziaria mondiale, insieme ad un improvviso sprofondamento in un immiserimento di massa su una scala alla quale le autorità non sono ancora preparate, anche se sono chiaramente preoccupate più per la crisi finanziaria che per la povertà. Malgrado si continui ad asserire che l'attuale recessione è il risultato degli sforzi per contenere la pandemia, l'economia mondiale si trovava già benissimo sulla strada della crisi prima che venisse colpita dal Covid-19 [*6]. Lo stimolo ha fallito nello stimolare; la "ripresa a forma di V" sperata all'inizio, non si è materializzata; la disoccupazione è di nuovo in aumento mentre le imprese continuano a chiudere o non riaprono; la fame e i senzatetto sono in aumento fino ad arrivare a raggiungere i livelli classici della depressione, mentre le città e gli Stati, affamati a causa delle tasse, stanno tagliando selvaggiamente i loro stanziamenti. Ecco perché Loretta Mester, presidente della Federal Reserve Bank of Cleveland, ha comunicato ai giornalisti che le sue previsioni per la ripresa economica dipendono in parte da un continuo sostegno fiscale, e che senza di esso gli Stati Uniti potrebbero avere delle difficoltà a superare le chiusure e ad imboccare un percorso di crescita durevole. Benché la signora Mester abbia detto di non essere «una di quelle che pensa che il deficit non conta», nel bel mezzo di una ripresa nascente, gli Stati Uniti non possono preoccuparsi di accumulare debiti. «Non è questo il momento giusto per questa conversazione»[*7], ha detto.
Quale sarebbe allora il momento giusto? Finora nessuno a detto quale sarebbe. Presumibilmente quando la ripresa sarà davvero in atto, la quale, il credo economista può solo dire che arriverà presto. Nel frattempo, il deficit può essere aumentato dell'altro, così come viene fatto con la moratoria sugli sfratti appena istituita che li rimanda a gennaio, senza alcuna cancellazione degli affitti non pagati e non pagabili, o addirittura degli interessi.
Se, da un lato, è richiesta la continua espansione del debito, necessaria per prevenire un'ulteriore contrazione dell'economia (anche se questo viene educatamente descritto come un sostegno alla ripresa economica), dall'altro i dirigenti politici si sentono liberi di potersi permettere di rovesciare il tavolo qualora non si manifesti l'inflazione da tempo annunciata. Si tratta di chiedersi perché, da quando il cattivo odore emanato dalla teoria della spesa pubblica anticiclica, vale a dire, del keynesismo, ha smesso di odorare di santità a partire dalla fine degli anni '70 a causa dell'elevato tasso di inflazione che la spesa aveva cominciato a produrre in quei bei vecchi tempi, quando perfino Nixon proclamava, «Siamo tutti keynesiani ora.»
Fondamentalmente, gli economisti mainstream credevano, seguendo il buon senso comune, che l'inflazione fosse dovuta a «troppi soldi in cambio di troppo pochi beni». La spesa pubblica - soprattutto l'assistenza sociale - mette il denaro in mano ai consumatori, la cui spesa fa salire il prezzo delle merci attraverso la concorrenza. Quest'idea, naturalmente, non risponde alla domanda che chiede perché l'aumento del potere di acquisto non abbia portato ad un aumento della produzione dei beni e dei servizi disponibili, ristabilendo così l'equilibrio tra domanda e offerta.
Malgrado ciò che possono credere gli economisti, a determinare la scala della produzione, non è né il bisogno umano di beni e servizi, né la quantità di denaro che si trova nelle mani dei consumatori, bensì la redditività delle transazioni monetarie o delle attività commerciali a pagamento. Nel capitalismo, i beni non vengono prodotti perché le persone ne hanno bisogno, ma solo quando possono essere venduti con un soddisfacente profitto. Quello che viene segnalato da una recessione economica, è un calo della redditività, cosa che rende gli imprenditori disinteressati nei confronti di ulteriori investimenti su una scala che sia sufficiente ad impiegare la potenziale popolazione di salariati. L'idea keynesiana era quella secondo cui i governi avrebbero potuto acquisire (attraverso la tassazione), o prendere in prestito, il denaro che non veniva speso dagli imprenditori per espandere la produzione per procurarsi dei beni o per assumere direttamente dei lavoratori. Una tale spesa aggiuntiva, incrementando la domanda, farebbe fare un «balzo in avanti» ad una economia rallentata, portando ad un ritorno alla prosperità. E in condizioni di prosperità, l'espansione di una produzione redditizia produrrebbe denaro disponibile per la tassazione e servirebbe a pagare il debito pubblico del governo.
Come si sa, non è andata così e tutto questo non è successo. La spesa pubblica, di per sé, non ha fatto aumentare la redditività del capitale privato, dal momento che il denaro in mano al governo - servito a pagare le imprese per produrre cose come aerei da guerra e bombe - è stato prelevato, per mezzo della tassazione o attraverso dei prestiti, dai profitti aziendali già esistenti. Il massimo che una simile spesa avrebbe potuto realizzare, rimettendo in circolo i fondi non investiti, era quello di riuscire a ridurre le condizioni di disagio sia per le imprese che per i lavoratori, nel mentre che, fondamentalmente, i processi del ciclo economico (inclusa la liquidazione del debito aziendale non pagabile), insieme alla diminuzione del costo del lavoro e dell'aumento della disoccupazione, aprivano la strada ad un aumento della redditività ed al ritorno del benessere. Nel frattempo, il pagamento del debito, con i relativi interessi, richiedeva la tassazione dei profitti aziendali, oppure un ulteriore indebitamento sul mercato del capitale, che avrebbe portato all'aumento dei tassi di interesse, che sarebbe stato un costo per le imprese. Le imprese difendevano i loro profitti alzando i pressi; i lavoratori lottavano per avere salari più alti in modo da difendere il loro standard di vita, di solito più lentamente di quanto si incrementassero quei prezzi a cui loro stavano reagendo. I prezzi aumentavano in ogni settore dell'economia, man mano che i differenti settori economici lottavano per far pagare agli altri i costi del debito: la temuta inflazione indotta dalle misure di stimolo.
Nonostante l'insistere di Ronald Reagan circa il carattere malvagio della spesa pubblica, la costante debolezza dell'economia capitalista non ha consentito di porvi fine; infatti, sotto Reagan il debito pubblico ha raggiunto livelli record. Ma la modalità governativa di intervento economico si è evoluta in direzione del sovvenzionamento diretto di alcune corporazioni selezionate, con poco riguardo al mantenimento della «piena occupazione (un numero che in ogni caso viene continuamente visto al rialzo)». Il nemico era l'inflazione. In tutto il mondo, i governi hanno reagito al continuo declino della prosperità capitalistica tagliando i finanziamenti statali per la sanità, al welfare, all'istruzione, insieme ai sussidi per la disoccupazione, sia direttamente che attraverso il dispositivo della «privatizzazione», trasferendo alle imprese private alcune funzioni statali come la consegna dei pacchi e l'istruzione al settore privato.
Simultaneamente, la continua meccanizzazione della produzione ha portato al declino del settore manifatturiero in percentuale rispetto all'attività economica, un effetto particolarmente marcato nei paesi capitalisticamente sviluppati , dal momento che la capacità produttiva si è spostata verso aree a basso salario, come l'America centrale, la Cina, il Sud-Est asiatico e l'Europa orientale. Al suo posto, la speculazione finanziaria si è ampliata, come un'arena per far soldi, in tutta una serie di attività. La crescita della speculazione è stata regolarmente interrotta da vari tipi di crisi, bancarie, immobiliari, borsistiche ed altre; quando esse sono arrivate a minacciare la stabilità politica e sociale di importanti centri di affari, i governi e le agenzie internazionali si sono attivati iniettandovi direttamente denaro. Sperimentata dalla Banca del Giappone, in risposta all'insorgere di condizioni di quasi-depressione negli anni '90, questa è diventata l'arma principale utilizzata dalle banche centrali negli Stati Uniti, in Europa, in Cina per combattere la Grande Recessione del 2008. A differenza di quella che era la classica spesa per il deficit, tuttavia, il denaro utilizzato per quello che viene chiamato «quantitative easing» non è stato acquisito attraverso la tassazione - ciò perché in tal caso avrebbe fallito lo scopo di supportare il business - o attraverso il prestito proveniente da proprietari privati di ricchezza. Invece, le banche centrali - nel caso degli Stati Uniti, la Federal Reserve - hanno semplicemente ampliato la loro possibilità (hanno «stampato soldi» [*8]) per acquistare obbligazioni, sia del Tesoro che del debito privato, per esempio obbligazioni garantite da ipoteche, dalle istituzioni finanziarie private. Questo ha iniettato immediatamente denaro nel sistema finanziario e ha fatto aumentare il prezzo delle obbligazioni, cosa che, abbassando i rendimenti delle obbligazioni, ha spinto gli investitori verso il mercato azionario. In sostanza, tutto questo non costa niente al business, mentre l'aumento dei prezzi delle azioni apporta sproporzionatamente dei benefici alla piccola minoranza dei super-ricchi che posseggono obbligazioni in maniera sproporzionata, di modo che non c'è alcuna motivazione di aumentare i prezzi; soprattutto nelle condizioni deflazionistiche di un rallentamento globale del business, che produce un'espansone senza inflazione [*9].
È chiaro che i responsabili della politica economica sono ancora preoccupati per il lungo periodo, sebbene non vedano alternative a continuare in questo modo. Non c'è dubbio che questo sia in parte dovuto alla mancanza di una teoria su cui tutti gli economisti sono d'accordo, e significa che nessuno si sente sicuro di che cosa accadrà. Naturalmente c'è una teoria per razionalizzare la nuova normalità, la dottrina di fine XX secolo chiamata Chartalismo, ora rinata come Teoria Monetaria Moderna (MMT). La dimostrazione teorica della MMT, secondo la quale i deficit possono essere espansi all'infinito, è stata accolta con entusiasmo dalla sinistra democratica, che ha vista in essa il presupposto teorico per una politica di assenza di tasse e spese, la quale potrebbe superare alcuni degli effetti della disuguaglianza economica, senza redistribuire seriamente il reddito. Proprio come Keynes aveva fornito una teoria (non molto convincente) per spiegare le politiche che erano già state messe in atto da Hitler e da Roosevelt, così anche la MMT è passata dalla marginalità ad una seria attenzione da parte delle attuali politiche delle banche centrali, anziché il contrario. Tuttavia, sembra improbabile che il denaro possa essere stampato e distribuito indefinitamente senza alcun problema.
Questo sospetto da parte degli esperti di economia e dei funzionari governativi si basa sul fatto che il sistema finanziario cui è rivolta la maggior parte dei loro sforzi è parte di un'economia che deve continuare a produrre beni materiali e servizi. Ultimamente, la redditività della finanza si basa sul successo che hanno le imprese capitaliste nel realizzare profitti reali provenienti dalle vendite di questi beni, alcuni dei quali di questi profitti possono essere investiti per espandere il sistema, mentre gli altri vanno a finire ai detentori di varie forme di debito. Se i capitalisti non possono guadagnare abbastanza soldi per poter pagare abbastanza i loro lavoratori, in modo che essi paghino per esempio gli affitti o i mutui delle loro case, ecco che allora le obbligazioni che si basano sulle ipoteche e sugli investimenti in capitale nel settore immobiliari non si trasformeranno in profitto [*10]. E oltre alla circolazione di denaro attraverso il sistema con l'obiettivo di accumularlo nella mani dei proprietari di capitale, c'è anche la questione dell'esistenza fisica della classe operaia, vale a dire del 99%, sempre più incapace di pagare per il cibo, per l'alloggio e per le cure mediche, perfino quando le operazioni di stimolo messe in atto dalle banche centrali depositano il denaro di nuova creazione in dei conti selezionati. I Democratici vogliono continuare ad inviare, ancora per qualche mese, assegni da 600$, mentre i Repubblicani si limitano a 200$ o a 300$. Ma entrambi gli schieramenti non fanno altro che limitarsi semplicemente ad assumere che la situazione si risolverà presto, con un ritorno alla prosperità, mitigata in qualche modo da quelle azioni del governo che dovrebbero servire a scongiurare le profonde perturbazioni sociali prodotte dalle precedenti depressioni. La natura autocontraddittoria del discorso politico, stretto tra la Scilla del debito in crescita all'infinito ed il Cariddi del collasso sociale, riflette l'incapacità della scienza economica che non riesce nemmeno a spiegare gli attuali eventi, e tanto meno a dominarli ed a plasmarli. Se fosse in grado di spiegarli, dovrebbe anche concludere che al riguardo non si può fare molto: la Società dovrà affrontare le miserie che le vengono imposte dal funzionamento della macchina economica, dovendo scegliere tra il soffrire decenni di distruzione per guadagnare una nuova piccola proroga temporanea, ed abolire finalmente le relazioni sociali del lavoro salariato e del capitale su cui si basa il meccanismo.
- Paul Mattick Jr. - Pubblicato su The Brooklyn Rail nell'ottobre del 2020 -
NOTE:
[*1] - Patricia Cohen, “Do Jobless Benefits Deter Workers? Some Employers Say Yes. Studies Don’t” New York Times, September 10, 2020.
[*2] - Jerome Ravetz, Scientific Knowledge and Its Social Problems (New York: Oxford University Press, 1971), p. 366.
[*3] - Matt Phillips, “We Have Crossed the Line Debt Hawks Warned Us About for Decades,” New York Times, August 21, 2020.
[*4] - Jim Tankersley, “How Washington Learned to Embrace the Budget Deficit,” New York Times, May 16, 2020.
[*5] - Jim Tankersley, “Federal Borrowing Amid Pandemic Puts U.S. Debt on Path to Exceed World War II,” New York Times, September 2, 2020.
[*6] – Si veda Paul Mattick, “Their Money or Your Life,” Brooklyn Rail Field Notes, May 2020,
[*7] - ivi Tankersley, “Federal Borrowing.”
[*8] - A differenza dello stampare denaro, come fece il governo tedesco di Weimar per ripagare il debito pubblico, gonfiato da risarcimenti insostenibili, qui si tratta di stampare denato per incrementare il debito statale, in modo che possa pompare l'economia.
[*9] - Questo non è del tutto corretto, dal momento che i prezzi dei beni scambiati all'interno del sistema finanziario, come le azioni, le proprietà immobiliari, e l'arte sono esageratamente gonfiati.
[*10] – Si veda Nathan Eisenberg and Richard Hunsinger, “The Rent Is Too Damn High,” Brooklyn Rail Field Notes, September 2020.
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