Un secolo fa, tutti erano convinti che le persone fossero predestinate dalla loro razza, sesso e nazionalità a essere più o meno intelligenti, educate o aggressive. Ma il professor Franz Boas della Columbia University, esaminati i dati raccolti, decise che non era per niente così. Le categorie razziali erano finzioni biologiche. Le culture non venivano fornite in ordinate confezioni etichettate come «primitive» o «avanzate». Una famiglia, un buon pasto o persino il buon senso erano un prodotto della storia e delle circostanze, non della natura. In questo libro, una magistrale narrazione di idee radicali e vite appassionate, Charles King mostra come le intuizioni di Boas e delle sue allieve abbiano dato il via a un fondamentale ripensamento della diversità umana. Le allieve in questione erano delle esuberanti e sconosciute visionarie: Margaret Mead, l’autrice di L’adolescenza in Samoa, uno dei libri di scienze sociali più letti di tutti i tempi; Ruth Benedict, il grande amore della Mead, la cui ricerca contribuì a definire il Giappone dopo la Seconda guerra mondiale; Ella Deloria, l’attivista sioux che preservò le tradizioni degli indiani delle Pianure; e Zora Neale Hurston, i cui studi con Boas sono entrati direttamente nel suo romanzo, divenuto un classico, I loro occhi guardavano Dio. Tutti insieme mapparono civiltà, dal Sudamerica al Pacifico meridionale e dalle isole dei Caraibi alle strade di Manhattan. Le loro scoperte rivoluzionarie avrebbero ispirato le fluide concezioni di identità che conosciamo oggi.
(dal risvolto di copertina di: Charles King, "La riscoperta dell'umanità". Einaudi.)
Quel gruppo di scienziate ribelli che smontò i falsi miti della razza bianca
- di Marco Aime -
Tutto inizia nel 1884, quando un giovane ebreo tedesco, tanto geniale quanto arrogante, presuntuoso, ma ambizioso e ricco di iniziativa, lascia la Germania per trasferirsi negli Stati Uniti. Franz Boas non è un immigrato come tanti, è di famiglia agiata, si è laureato in Fisica, ma è alla ricerca di qualcosa che appaghi la sua sete di conoscenza e che gli consenta di diventare famoso. Aveva trascorso molti mesi sull’isola di Baffin, per studiare il rapporto tra gli inuit che la abitavano e il loro ambiente, Negli Stati Uniti, dopo varie peripezie, nel 1901 fonda il dipartimento di Etnologia alla Columbia University, che sfornerà studiosi del calibro di Alfred Kroeber, Robert Lowie ed Edward Sapir, per citarne alcuni.
A cavallo tra i due secoli negli USA è quanto mai vivo il dibattito sulla razza, la paura dell'inquinamento genetico (la storia si ripete!), le teorie degenerazioniste dominano (anche perché legittimano la schiavitù), tutto concorre a confermare la superiorità della «razza» bianca. È in questo contesto che inizia quella che Charles King chiama «La riscoperta dell'umanità», l'avventura di un gruppo di studiosi e studiose che non solo fonderanno l'Antropologia culturale americana, ma che condurranno per tutta la loro esistenza una strenua lotta contro i pregiudizi di ogni genere.
Con il piglio del romanziere King racconta le vicende di questi protagonisti, immergendole nel contesto sociale, culturale e politico dell'epoca, disegnando un quadro ricco e affascinante, dove l'aneddoto si mescola al dato scientifico. È una storia di ribellione e sfida a molte delle credenze dell'epoca, spesso travestite da dati scientifici. Al determinismo razziale dominante Boas contrappone un relativismo culturale non certo popolare per l’epoca: affermare che ogni cultura va valutata sulla base del proprio sistema simbolico e non adottando il metro dell'etnocentrismo, non era certo cosa facile, ma soprattutto era scomoda. Alle innovazioni antropologiche Boas poi aggiungeva le sue idee radicali che da un lato lo spingevano a difendere i diritti degli afroamericani, ma anche ad assumere posizioni filo-tedesche all'alba della I Guerra Mondiale. Ma ciò che più lo rendeva inviso ai più era il fatto che chiedeva agli statunitensi di abbandonare l'idea di essere superiori a tutti gli altri.
Le discriminazioni non riguardavano solo il colore della pelle o l'essere ebreo, ma anche il genere e il fatto che il suo dipartimento fosse pieno di donne era un'altra sfida al sistema. Ruth Benedict, futura autrice de "Il crisantemo e la spada" e "Modelli di culture", fu la sua prima assistente, portando avanti le sue teorie con coraggio, trasgredendo anche molte delle regole morali che condizionavano la vita delle donne, inquadrandole nello schema che lei definì «signorina, moglie, prostituta». In questo suo cammino di liberazione, in cui si mescolavano i riscontri scientifici delle sue ricerche, che conduceva sempre di più ad affermare come siano le culture a modellare gli individui e non la natura (leggi razza), incontra una giovane studentessa, destinata a divenire celebre: Margaret Mead. Il rapporto con la Mead, di 14 anni più giovane, fu un misto di attrazione scientifica e sessuale, in linea con lo spirito ribelle delle due. Entrambe sposate, con matrimoni non certo entusiasmanti, le due donne diedero vita a un rapporto che durò nel tempo, nonostante le avventure maschili non mancassero di certo. Nella turbolenta vita della Mead irromperà poi un altro grande nome dell'antropologia: Gregory Bateson, per il quale abbandonerà Reo Fortune, altro antropologo oceanista. E poi ancora donne, come Zora Hurston, afroamericana, che compì importanti ricerche sul folklore dei neri negli stati del sud ed Ella Cara Deloria, di origine lakota, che approfondirà le conoscenze delle lingue native.
Il libro offre un appassionante racconto della nascita di una delle più importanti scuole di antropologia culturale, quella che poi verrà definita «cultura e personalità», destinata non solo a fornire un fondamentale apporto alla storia della disciplina, ma anche a rivoluzionare gran parte del pensiero dominante, gettando le basi per una profonda presa di coscienza del popolo statunitense. Il coraggio di rifiutare i luoghi comuni, primo fra tutti quelli dei razzisti, l'idea che l’antropologia potesse essere anche uno strumento politico furono le grandi lezioni che Franz Boas impartì ai suoi allievi, che finirono per chiamarlo «papà». Non senza contraddizioni, che spesso emergevano tra la teoria e la pratica: non era facile sottrarsi del tutto all'uso dei corpi degli indigeni per sperimentazioni, studi del cervello, misure antropometriche o alle esibizioni in veri e propri zoo umani come le grandi esposizioni o i circhi. La bravura dell'autore sta nel dipanare l'intreccio tra approccio scientifico e biografie personali: senza le seconde è difficile comprendere il primo: curioso che a dare vita alla prima vera scienza dell'umanità siano stati perlopiù donne e immigrati.
- Marco Aime - Pubblicato su Tuttolibri del 14/11/2020 -
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