domenica 15 novembre 2020

Girandoci intorno…

Byung-Chul Han: “Noi, schiavi felici della pandemia digitale”
- Intervista di Carlo Pizzati -

"La morte non è democratica", così Byung-Chul Han, uno dei più interessanti filosofi contemporanei, descrive la nostra "società della sopravvivenza" in cui chi non può permettersi di isolarsi ha un rischio maggiore di ammalarsi e dove si è ossessionati dal salvarsi la vita, dimenticandosi cosa la rende degna d'essere vissuta. Cresce la paura, lo stato di emergenza viene visto come la nuova normalità e a guadagnarne sono i cosiddetti "uomini forti" che si ispirano a modelli autocratici come quello cinese. La Cina ora rischia di diventare un modello di regime di sorveglianza guidato da una mancanza di umanità nutrita dalla nostra paura di morire. Di questo passo, dice il filosofo di origini coreane, autore di 16 libri e docente di Filosofia all'Università delle Arti di Berlino, rischiamo tutti di diventare come il virus stesso: dei non morti che si limitano a moltiplicarsi per sopravvivere, ma senza vivere davvero.

C.P.: Ha dichiarato che nella crisi di pandemia il potere mondiale si avvicinerà sempre più all'Asia. E che la Cina, contrariamente a quanto dice il filosofo Slavoj Zizek, ne uscirà rafforzata al punto che in futuro Pechino venderà il proprio stato di polizia digitale come modello di successo nella lotta all'epidemia. Cosa possono fare le nazioni democratiche di fronte a questo spostamento di paradigma di potere?

«Sì, Zizek ha affermato che la pandemia è un colpo totale per il sistema totalitario cinese. Si era sbagliato. La Cina esce più forte dalla pandemia. Il liberalismo rivela una debolezza immunologica di fronte alla pandemia. Tuttavia, a me non viene voglia di vivere in Cina. Il liberalismo non è impotente contro il virus. La Nuova Zelanda, ad esempio, è un Paese liberale, ma ha sconfitto la pandemia per la seconda volta. Il successo dei neozelandesi sta nel mobilitare il buon senso. La premier neozelandese Jacinda Ardern ha parlato con enfasi della «squadra dei cinque milioni». Il suo appassionato appello allo spirito di comunità è stato accolto molto bene dalla popolazione, quindi c'è un'arma liberale contro il virus, vale a dire: buon senso, cooperazione e responsabilità nei confronti degli altri esseri umani. Invece di richiamare al buon senso, Trump ha diviso il Paese. La sua politica è responsabile del disastro degli Stati Uniti durante la pandemia. Più una società è liberale, più è necessario lo spirito pubblico. Altrimenti si disintegra in un insieme di egoismi e il virus si diffonde più rapidamente. Il liberalismo corre il rischio di indebolire la cooperazione e di condurre a un volgare individualismo senza responsabilità».

C.P.: Lei ha sostenuto che il Covid-19 contrassegna l'inizio di una nuova era che impone regimi di sorveglianza e quarantene biopolitiche, riducendo la libertà. Ha anche detto che lo stato di emergenza e la chiusura delle frontiere, cioè i sistemi usati in molte parti d'Europa per affrontare il virus, sono vecchi modelli di sovranità. Quale può essere un'alternativa migliore?

«La pandemia rivela i limiti del liberalismo occidentale. Non solo la Cina, ma anche altri paesi asiatici come Taiwan, Singapore, il Giappone, Hong Kong e la Corea del Sud hanno tenuto sotto controllo la pandemia con grande successo. In queste nazioni, la seconda ondata di infezioni praticamente non esiste, mentre l'Europa viene sopraffatta dal virus per la seconda volta. Qual è il motivo? Qual è la differenza tra Europa ed Asia? I paesi asiatici non sono definiti dal liberalismo e dall'individualismo, nonostante i loro diversi sistemi politici vengono definiti dal collettivismo (la Cina è una dittatura, la Corea e il Giappone sono una democrazia). In tempi di crisi una società vuole sopravvivere come collettivo, rinunciando volontariamente ad una libertà individuale. Le persone aderiscono alle rigide regole sanitarie senza alcuna resistenza, ed è proprio in questi paesi che può essere imposto un rigoroso controllo e un monitoraggio dell'individuo inimmaginabili per l'occidente».

C.P.: Per lei la pandemia è un problema sociale, non solo medico, in una «società di seconda classe» dove si scopre che «la morte non è democratica». Quali potrebbero essere le conseguenze politiche?

«Sì, la pandemia è un test del sistema. Rivela problemi sociali rimasti finora nascosti. È un indicatore dello stato di ogni Paese. In Germania sono morte meno persone a causa del virus in confronto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti, perché ha un sistema sanitario migliore. E i problemi sociali non sono così gravi come negli Stati Uniti dove i poveri e la popolazione di colore sono particolarmente colpiti dalla pandemia. Solo i ricchi possono permettersi il distanziamento sociale. Inizialmente anche in Germania il virus si è diffuso tra i lavoratori delle fabbriche di carne che lavorano in condizioni disumane e vivono ammassati in alloggi collettivi angusti. Non solo un corpo umano, ma anche un corpo sociale può resistere alle infezioni quando il sistema immunitario è intatto. L'Europa dovrebbe usare la pandemia come opportunità per rafforzare il sistema immunitario sociale e la co-immunità sociale. I politici devono garantire alla società lo sviluppo di un forte sistema immunitario. La pandemia rende quindi necessaria una politica immunologica».

C.P.: La paura è la culla dell'autocrazia. E «uomini forti» come Viktor Orbàn hanno già beneficiato del concetto di stato di emergenza come nuova normalità. Secondo lei in che modo questo nostro utilizzare gli smartphone come rosari, ovvero la nostra assuefazione digitale, ci fa rendere meno consapevoli della minaccia alla nostra libertà?

«La sola autocrazia non aiuta contro il virus. Il virus difatti dilaga anche in Ungheria e in Russia. L'Europa deve essere molto vigile e garantire che la pandemia non metta a repentaglio il liberalismo. Per la Cina la riuscita della lotta contro la pandemia è la prova della superiorità del suo sistema totalitario. Il liberalismo occidentale è minacciato non solo dalla pandemia, ma anche dal totalitarismo digitale. Lo smartphone si sta affermando come oggetto devozionale del regime neoliberista. Gli oggetti devozionali stabilizzano il dominio abituale ancorandolo nel corpo. Cliccando sul pulsante «mi piace», ci sottomettiamo al contesto del dominio. Il like è un amen digitale. Lo smartphone è un confessionale mobile. Le informazioni che divulghiamo ci controllano e ci guidano. Il governo neoliberista non sopprime la libertà, fa uso della libertà stessa. Viviamo oggi in questo paradosso dell'autosfruttamento volontario che va di pari passo con la percezione della libertà. Il potere intelligente dello smartphone non spinge a fare o a non fare le cose, ma ci rende assuefatti e dipendenti. Ci invita e ci incoraggia costantemente a raccontare le nostre vite. Il potere intelligente rende invisibile la sua intenzione di governare, apparendo molto amichevole. Il potere intelligente ci infetta con un virus digitale invisibile. Viviamo in una pandemia digitale, ma non ce ne rendiamo conto. Le corporation digitali stanno diffondendo questo virus insidioso e allo stesso tempo stanno indebolendo il nostro sistema immunitario al fine di renderci ancora più dipendenti e assuefatti, così da poterci controllare meglio. Quindi oggi non abbiamo a che fare solo con un virus, ma con due virus, che rappresentano una minaccia per il liberalismo. Il virus digitale minaccia la nostra libertà, trasformandola in controllo e guida».

- di Carlo Pizzati - Pubblicato su Robinson del 30/10/2020 - Traduzione dal tedesco a cura di Sara Dal Cengio

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io direi che siamo diventati dei non morti che non vivono davvero già da tempo, anche prima di questa pandemia.

Salvatore saluti