lunedì 30 novembre 2020

Bivi

Conosciamo l’antica Grecia e i sumeri, ma che cosa sappiamo di altre grandi civiltà ritenute secondarie? Molte culture del passato sono rimaste avvolte dall’oblio, altre invece hanno lasciato tracce che, se percorse, dischiudono mondi inimmaginabili. Grazie a recenti ritrovamenti archeologici e a nuovi studi genetici e linguistici, Harald Haarmann ci fa scoprire venticinque culture dimenticate o trascurate dalla storiografia tradizionale. L’autore va alla ricerca di insediamenti preistorici sul Lago Bajkal, getta nuova luce sulle popolazioni pelasgiche e svela il mistero delle guerriere del Mar Nero. Dalle mummie bionde ritrovate a Xinjiang, nel deserto cinese, alla sofisticata civiltà della valle del Danubio, dotata di una scrittura fra le più antiche al mondo, fino agli abitanti dell’Isola di Pasqua, decimati da una crisi ecologica che essi stessi avevano provocato. Questa esplorazione alternativa nella storia dell’uomo ci introduce anche a sensazionali scoperte, come quella di antichi insediamenti urbani in una regione dell’Amazzonia da sempre creduta semi-spopolata. Percorrendo i possibili sviluppi dell’umanità e le sue strade scartate, Haarmann non solo restituisce voce a chi l’aveva persa, ma esorta anche a riflettere sulla nostra civiltà, perché soltanto il riconoscimento del diverso ne dispiega il vero potenziale.

(dal risvolto di copertina di: Harald Haarmann, "Culture dimenticate. Venticinque sentieri smarriti dell’umanità". Bollati Boringhieri)

Le civiltà
- di Patrizia Garibaldi -

Harald Haarmann, autore del libro Culture dimenticate (Bollati Boringhieri) ritiene che alcune civiltà del passato siano state trascurate soprattutto perché non presentavano connessioni evidenti con gli sviluppi all’origine dell’Europa moderna. Altre culture, ritenute più significative in una prospettiva eurocentrica, hanno avuto maggiore fortuna: l’Egitto e la Mesopotamia, dove comparvero Stato e scrittura; Israele, in cui trova le sue radici il monoteismo; la Grecia, culla della democrazia, della filosofia e del teatro; l’Impero romano, che ci ha lasciato la lingua, la tecnologia e i fondamenti del diritto. A questo modello, radicato nelle nostre menti e nei manuali di storia, lo studioso tedesco contrappone 25 culture: cenerentole «dimenticate perché i vincitori o le civiltà successive le hanno rimosse, tacendone, cancellandone o vietandone la memoria». Dal Paleolitico europeo all’ultimo millennio, Haarmann ricostruisce gli aspetti cruciali di queste culture, facendo ricorso alle più recenti acquisizioni delle scienze linguistiche e culturali, dell’archeologia, della storia delle religioni, degli studi genetici, dell’analisi di immagini satellitari. Emergono tracce, interrelazioni e conquiste che hanno influenzato il nostro passato, anche se talvolta sono state attribuite ad altre società, più conformi a una prospettiva eurocentrica.
Per esempio l’indagine sul mondo concettuale di Homo heidelbergensis prende avvio dalla scoperta delle più antiche armi da caccia del mondo, otto lance fabbricate fra 337 mila e 300 mila anni fa, rinvenute in Germania presso Schöningen. Le caratteristiche delle lance e i resti delle prede abbattute dimostrano che i cacciatori erano in grado di fabbricare e utilizzare armi estremamente efficaci e sofisticate e di pianificare cacce collettive molto fruttuose, attività che richiedono forme di pensiero concettuale indispensabili anche per lo sviluppo di elaborazioni religiose. I cacciatori collocarono le lance accanto ai crani dei cavalli abbattuti, sistemando intenzionalmente questi elementi in un insieme che richiama manifestazioni rituali.
L’ipotesi che Homo heidelbergensis, estinto da circa 100 mila anni, conoscesse rituali legati alla magia della caccia, possedesse una concezione animistica sull’interrelazione di tutte le forme di vita e avesse elaborato credenze in fenomeni soprannaturali collocherebbe la comparsa di manifestazioni religiose in una fase molto antica nella storia dell’evoluzione umana.
In un periodo più recente, i manufatti di «arte dell’era glaciale» scoperti in Siberia presso il lago Bajkal e databili 35 mila anni fa svelano aspetti sorprendenti dell’immaginario della nostra specie Homo sapiens durante quello che Haarmann definisce il momento iniziale delle tradizioni eurasiatiche nel campo dell’arte e della mitologia. La statuina di un orso nella località di Tolbaga, intagliata su un osso di rinoceronte lanoso 33 mila anni fa, sarebbe la più antica raffigurazione animale finora nota. Numerose statuine femminili sono state associate, in base alla tipologia, all’idea della fertilità o alla concezione animista dei numi tutelari insiti in tutti gli esseri viventi in natura. Nelle comunità dei cacciatori euroasiatici dell’era glaciale, organizzate in clan o tribù, la donna aveva una funzione centrale e di connessione della rete sociale. Motivi sacrali, totemismo, concezione animistica e ruolo degli sciamani come intermediari tra il mondo terreno — visibile — e quello degli antenati — invisibile — sono fra gli elementi della mitologia euroasiatica sopravvissuti attraverso le vicende e i trasferimenti di donne e uomini che durante l’era glaciale avevano vissuto al confine con i ghiacci. I motivi e le forme dell’arte figurativa, la tradizione orale dei miti, l’immaginario e il repertorio dei rituali sciamanici sembrano avere mantenuto continuità di significato all’interno dell’eredità culturale dei discendenti dei cacciatori del lago Bajkal e nello sciamanesimo della Siberia. Sopravvissuto nella società siberiana di oggi, infatti, lo sciamanesimo rappresenta l’istituzione di famiglia e di clan più arcaica, più antica e più duratura dell'emisfero settentrionale.
Passiamo nel Nuovo Mondo. Il primato nell'attraversamento dell'Oceano Atlantico prima del viaggio di Cristoforo Colombo è da tempo questione controversa. Recentemente è stata avanzata l'ipotesi che cacciatori paleolitici solutreani (detti così dal sito archeologico di Solutré, in Francia) abbiano raggiunto la costa occidentale americana dall'Europa nel corso dell'ultima era glaciale. L'ipotesi poggia su elementi e informazioni emerse in differenti ambiti di ricerca. Sono ststi riconosciuti, infatti, collegamenti tra le lingue algonchine dei nativa americani e il basco, le cui origini sono fatte risalire all'era glaciale, e corrispondenze tra gli strumenti in pietra della cultura americana di Clovis e l'industria scheggiata dei gruppi solutreani. Inoltre, è stato individuato in alcune aree dell'America un insieme di caratteristiche genetiche presente nelle popolazioni dell'Occidente europeo, ma non tra i gruppi umani che arrivarono nell'attuale Alaska dall'Asia.
Sarebbero stati, dunque, gruppi di cacciatori specializzati nella caccia alle diverse specie di foche che frequentavano il bordo dei ghiacci nell'Atlantico settentrionale ad attraversare per primi quest'oceano. Avanzarono gradualmente verso ovest sul bordo esterno della calotta polare alla ricerca di nuove aree di caccia, adattando tecniche e stile di vita all'ambiente marino e alla banchisa. In questo modo, accampandosi sul ghiaccio e senza dover affrontare il mare aperto, alcuni raggiunsero la costa orientale del continente americano di allora e crearono insediamenti i cui resti oggi si troverebbero sott'acqua, a decine di metri di profondità. Dai contatti e dalle mescolanze tra i discendenti di questi cacciatori e quelli dei gruppi arrivati dalla Siberia hanno avuto origine le culture amerinde.
Le evidenze raccolte da Haarmann sulle «culture dimenticate» indicano come molte cose di esse non fossero caratterizzate da strutture sociali gerarchiche, ma piuttosto da forme di suddivisione equilibrata del lavoro e di uguaglianza tra donne e uomini. È il caso delle civiltà dell'Indo, in cui mancano prove di controllo statale o di amministrazione centralizzata. In vari casi le figure femminili sembrano avere rivestito un ruolo particolare, ad esempio nell'immaginario degli abitanti di Catalhoyuk (nell'attuale Turchia) o nella prima civiltà avanzata della storia umana, quella sviluppata dagli agricoltori del Danubio seimila anni prima della nostra era. Essa compredeva comunità unite da relazioni pacifiche ed essenzialmente egualitarie, sparse su un vastissimo territorio corrispondente alla superficie degli attuali Paesi balcanici, più l'Ungheria e l'Ucraina. I collegamenti all'interno di quella cultura erano facilitati dal Danubio e dalla rete dei suoi affluenti; un insieme di scambi e contatti allargati connetteva la civiltà danubiana all'Europa occidentale, all'Anatolia e all'Africa settentrionale.
L'analisi di strutture organizzative tanto sorprendentemente efficaci da rendere possibile la convivenza e coesione di questa cultura europea durante tre millenni potrebbe schiudere prospettive importanti. Ad esempio renderci più consapevoli dell'utilità cruciale di forme organizzative che potremmo ricondurre a termini quali unione, responsabilità, equilibrio, partecipazione e bene comune che, evidentemente, sono parte del patrimonio della nostra specie.

- Patrizia Garibaldi - Pubblicato sulla Lettura del 22/11/2020 -

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