giovedì 16 maggio 2019

Non impareranno mai!

Marx di destra?
- Sul tentativo di alimentare la gestione di destra della crisi per mezzo della teoria di sinistra -
di Gerd Bedszent

Quando la destra radicale si presenta improvvisamente come sociale, o addirittura come anticapitalista, in ogni persona ragionevole dovrebbe scattare un allarme. In fin dei conti, i politici di destra e i militanti nazisti sono noti per il loro modo di trattare barbaramente i gruppi di popolazione indesiderabili. Il furto, la rapina e l'omicidio di quasi tutta la popolazione ebraica d'Europa, durante la seconda guerra mondiale è il fatto più noto, ma certamente non è affatto l'unico esempio. Insieme ai fenomeni di crescente erosione sociale della società produttrice di merci, era logico e prevedibile che la destra radicale propagandasse tentativi di gestione violenta della crisi. Dai radicali di destra non ci si può aspettare nient'altro; è proprio per questo che essi esistono. L'ideale sociale della nuova destra che parla di un popolo etnicamente omogeneo, che è il risultato di un passato ideologicamente distorto, equivale ad un tentativo di controllare con mezzi autoritari la società borghese i disintegrazione. La propaganda diffusa dalla maggior parte dei sostenitori della nuova barbarie parla, con estenuante mancanza di immaginazione, di riattuare la dittatura della formazione fordista degli anni trenta del secolo scorso, nella quale gli anacronistici rudimenti dello Stato corporativo guglielmino [N.d.T.: guglielmino: riferito soprattutto a Guglielmo II, imperatore di Germania e re di Prussia dal 1888 al 1918, e alla sua epoca: la Germania guglielmina] sono stati sostituiti dal «Sistema Merkel», che oggi si presume dovrebbe essere eliminato. Qui, i segnali di decadimento intellettuale e morale visibili nel personale degli apparati amministrativi dello Stato-nazione sono indubitabilmente presenti, e non verranno negati in alcun modo. Il fatto che questo declino sia un fenomeno di crisi, e non la causa della decadenza della democrazia dell'economia di mercato, non viene percepito dai radicali di destra, o viene da loro nascosto. La definizione data da Robert Kurz, secondo cui «la politica, alla fine, è solo una sfera derivata, e non possiede alcuna capacità autonoma di intervento» (Kurz, 1993) non è mai stata percepita dalla destra. E ancor meno è stata percepita la conclusione secondo cui, nell'arena politica, i segnali di decadenza sono la conseguenza del declino dell'economia, e non viceversa. La cancelliera tedesca - della quale di certo non devono essere qui cantate le lodi -, nelle fantasie degli inselvaggiti razzisti sub-urbani, rappresenta l'integrazione del movimento di protesta verde degli anni '80 e '90 nell'establishment politico della Repubblica Federale Tedesca, che è diventata maggioritaria a partire dagli anni '90. Il fatto è che la lotta contro quelle che sono le peggiori conseguenze della produzione di massa fordista, combattuta dal movimento di difesa dell'ambiente, solo marginalmente ed in un contesto locale, e che ha portato ad una logica delle scienze sociali abbastanza semplice, dal momento che non ha mai messo seriamente in discussione le basi del fordismo, è stata completamente ignorata dalla destra. Inoltre, si ignora anche che il processo di imposizione del mercato mondiale capitalistico conosciuto come «globalizzazione» non è in alcun modo il prodotto delle idee multiculturali dei fondamentalisti verdi, che oltretutto ormai non esistono più, ma è dovuto alla logica interna del sistema produttore di merci. Un capovolgimento di questo processo, semplicemente non è possibile nel quadro del sistema e, comunque, non viene preso seriamente dalla maggioranza dei radicali di destra. Vogliono solo allontanare quelle che sono le conseguenze sociali di un tale processo dal territorio del proprio rispettivo Stato-nazione. I nuovi teorici della destra continuano ad affermare, sin dagli anni '60, che ora ci sarebbe bisogno di imparare dalla sinistra. Tuttavia, non hanno adottato alcun obiettivo sociale né, certamente, nessuna critica fondamentale a quella che è la moderna produzione di merci, ma solo slogan e tattiche di pubbliche relazioni con una carica mediatica. Alla fine, dopo tutto, quello di cui si preoccupa la destra non è di organizzare la resistenza contro le porcate della società produttrice di merci, ma l'imposizione e la manutenzione proprio di quella società - anche per mezzo della violenza brutale. Quasi trent'anni fa, Robert Kurz ha affermato che, per quanto riguarda i radicali di destra presi in considerazione, «i programmi economici, o non esistono o sono semplicemente impraticabili e, in generale, sono ancora più confusi e vaghi di quelli dei partiti ufficiali» (Kurz, 1993). Da allora ad oggi, in tal senso, è cambiato molto poco.

Ma qual è la differenza tra la vecchia e la nuova destra? Negli anni '30, l'eliminazione di quello che rimaneva dello Stato corporativo guglielmino era parte essenziale della politica economica del regime nazista. Sebbene avesse fallito quello che era l'obiettivo puramente militare di eliminare la concorrenza avanzata, la trasformazione fordista dell'economia tedesca attuata dai nazisti be presto divenne una condizione essenziale per quelli che sarebbero stati «gli anni del miracolo economico» tedesco. Come ha scritto Robert Kurz, i mentori del regime nazista, che in seguito sarebbero spesso rimasti disgustati dalla loro stessa realtà, avevano «nella loro aspra critica alla razionalità occidentale, alla "politica" democratica dell'economia di mercato e alla logica imprenditoriale contro la forma sociale della merce evidentemente fraintesa, dei momenti forti, che partecipavano irrazionalmente a dei momenti di verità, che nel loro linguaggio di certo arrivavano a sfiorare la critica del feticcio svolta da Marx, ma che però cercavano nel passato delle legittimazioni nazionali-ontologiche» (Kurz, 1993). In contrasto con questo, Kurz descrive il razzismo della nuova destra come una «fragile costruzione». Ora, ci si chiede, la nuova destra è ancora legata a quelli che erano i mentori della vecchia destra? Riguardo al tentare di farlo, non c'è alcun dubbio. È probabile che i nuovi teorici della destra siano arrivati alla conclusione che, quando si tratta di critica dell'economia, semplicemente non c'è niente che si possa ottenere dal proprio popolo. Persino il titolo di una recente antologia pubblicata dalla  Jungeuropa-Verlag suona addirittura come: «Marx di destra». E ci sono delle buone ragioni per andare a vedere da vicino questo opuscolo della destra radicale. Nella prefazione del libro, l'editore Philip Stein dice che la sinistra contemporanea «ha tradito completamente» la multiforme eredità di Marx e che, pertanto, è giunta l'ora di sottrarre le sue analisi «alla morsa di una sinistra che coopera con il capitalismo». Con Marx, la destra può imparare «cos'è che mantiene il capitalismo unito in quello che è il suo nucleo, e quali sono i meccanismi che hanno aiutato nella sua marcia trionfale questo gigante autogovernato» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 11). L'obiettivo perseguito, che si pretende di raggiungere con l'aiuto di Marx, da Stein viene chiamato l'obiettivo dell'«unità». Tuttavia, questa non vorrebbe significare una «riconciliazione delle classi sotto le condizioni dell'élite dominante». Si tratterebbe piuttosto di una questione di «permettere nuove forme contemporanee di "partecipazione" dei lavoratori». Stein evita di plagiare alla lettera Hitler e Goebbels, ma in questo contesto cita però José Antonio Primo de Riveira, fondatore della Falange Spagnola: «La divisione richiede odio. Ma l'odio e la divisione sono incompatibili con la fraternità. E quindi così estingue, fra i membro di un unico e stesso popolo, il sentimento di essere parte di un tutto superiore, di un'alta e completa unità storica» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 12). Solo un pazzo non penserebbe immediatamente all'imposizione forzata della formazione fordista, che venne realizzata dai nazisti a partire dall'idea di una «comunità del popolo», vista nell'ambito di un processo di modernizzazione ritardata promosso attraverso metodi barbari. Naturalmente, insorge la domanda che pone la questione di sapere se i difensori intellettuali di una nuova barbarie abbiano realmente trovato in Marx quello che cercavano al fine di chiarirsi le «questioni economiche fondamentali» (ivi, p.8). Il volume contiene due brevi contributi del filosofo francese Alain de Benoist, il più importante mentore della nuova destra. «Il resuscitato Adolf Hitler, qui parla francese», ha commentato anni fa Robert Kurz, parlando a proposito della furiosa «falsa critica irrazionale-romantica e razziale-biologica della modernità» (Kurz, 1999, p.766). Nel suo primo contributo, Benoist fa una precisa distinzione fra il lavoro teorico di Marx ed Engels, da una parte, ed il «marxismo», più tardi propagandato dal movimento operaio, dall'altra. Nella sua interpretazione della filosofia della storia di Marx, vista come se fosse una continuazione delle leggende bibliche, Benoist confonde il lavoro teorico di Karl Marx con quello di Ernst Bloch. Come faccia la società di classe di Marx, vista come una «nuova forma di paradiso» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 66s.), ad essere la fine della storia non è certamente chiaro. Sebbene Benoist parli (superficialmente) dell'economia di mercato teorizzata da Marx, sembra che non abbia alcuna idea del carattere di feticcio del capitale in quanto forza motrice di questa economia di mercato; nella migliore delle ipotesi, le sue osservazioni a proposito del settore finanziario e del sistema di credito possono essere definite come riduttive. La fine dell'articolo è del tutto stupida, quando confonde l'implementazione del mercato mondiale capitalista, nella forma della globalizzazione, con la morte dello Stato prevista da Marx. In un secondo articolo, Benoist si sente davvero tentato dal voler affrontare la critica del valore - il cui inizio colloca erroneamente  intorno all'anno 2000. Dopo tutto, sembra che abbia letto,  e in parte compreso, il Manifesto contro il Lavoro, pubblicato nel 1999, riportando in alcuni punti del suo articolo delle citazioni di  Robert Kurz, Claus Peter Ortlieb e Moishe Postone sulla critica del lavoro. Il collasso del sistema di produzione di merci previsto da Robert Kurz, però, si trasforma qui in «esaurimento del capitalismo» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 90). Le origini dell'economia di mercato che risiedono nell'assolutismo, come viene evidenziato da Robert Kurz, non si verificano; si vede che ciò viola probabilmente in maniera palese quella che è la sua comprensione stessa della storia. In qualche modo, l'ovvio interesse da parte di Benoist a voler trasformare la critica del valore in una miniera volta ad alimentare oscuri approcci teorici di estrema destra non funziona, cosa che probabilmente sa anche lui: il radicalismo della critica del capitalismo svolto dalla critica della dissociazione-valore sembra averlo sconvolto.

Il saggio del giovane filosofo italiano Diego Fusaro prende in esame l'opera giovanile (e a lungo inedita) di Karl Marx, "L'Ideologia Tedesca", e l'interpretazione che ne è stata fatta dal filosofo francese Louis Althusser. Quanto meno, nel lavoro di Fusaro si può leggere qualcosa a proposito dell'assenza di storia negli economisti borghesi constatata da Marx. Fusaro, tuttavia, si riferisce alla tesi di Francis Fukuyama, del 1992, che parla di una «fine della storia», della quale da tempo è stata fatta giustizia. Per Fusaro, la critica di Marx agli ideologhi borghesi del XIX secolo è probabilmente solo un appropriato consiglio al fine di abbattere l'implementazione del mercato mondiale capitalistico - il noto slogan marxista del "Manifesto" sarebbe stato reinterpretato come «Popoli di tutti i paesi. globalizzatevi!». Pertanto, la globalizzazione sarebbe il prodotto di una sovrastruttura ideologica errata. Di conseguenza, questo malvagio orientamento alla concorrenza del mercato globale «isolerebbe la massa dei semplici lavoratori» da quella che è una «fonte sicura di vita» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 100). Gli importanti scritti economici di Marx, nei quali vengono descritti in dettaglio i primi passi dello sviluppo verso il mercato mondiale, significativamente non svolgono alcun ruolo nel testo di Fusaro, dove non c'è alcuna critica fondamentale alla società del lavoro e alla produzione di merci. Fusaro può solo immaginare la fine del capitalismo globale come se fosse una sorta di rovesciamento  in una società precedente al capitalismo, che è uguale a quella che esiste nella sua immaginazione. Fusaro, così come altri pensatori di destra, equipara l'emergere del capitalismo con la marcia ideologica del liberalismo borghese nel XIX secolo. Nel suo contributo, il giornalista tedesco Benedikt Kaiser, attuale editore della nuova destra di Antaios-Verlag, fa diversi riferimenti a Benoist e a Fusaro. La dinamica razzista della nuova generazione colloca le origini della nuova destra nel conservatorismo prussiano del XIX secolo ed enfatizza il fatto che esso avrebbe difeso «salari equi e condivisione del potere con la classe lavoratrice» (Kaiser, Benoist, Fusaro, p. 17). Altrove. egli fa riferimento ai partiti dissidenti che nacquero dal Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi di Hitler. Nel testo di Kaiser, anche tutti i mali del mondo hanno radici nel trionfo ideologico del liberalismo, nel secolo XIX; in realtà, egli attua un'inversione del capitalismo avvenuta all'inizio del XIX secolo. Ovviamente, lo fa nascondendo quelle che erano le crudeltà sociali di quell'epoca. Dopo il collasso di un'economia basata sulle fondamenta del feticcio del capitale e della crescita economica sfrenata, potrà essere davvero possibile, come pretendono i teorici della nuova destra, tornare a quelle che erano le condizioni di una società capitalista precoce? Ovviamente no. I mentori della destra, che riducono la storia dell'imposizione del capitalismo ai conflitti violenti del XIX secolo fra la borghesia industriale ed una casta aristocratica dipendente dalla burocrazia statale assolutista, hanno una comprensione estremamente riduttiva della storia. Le origini dell'economia di mercato capitalista sono assai più antiche di quella che è l'opposizione politica fra liberali e conservatori nazionalisti riaccesa dalla nuova destra. È risaputo che Marx ed Engels reagirono con sprezzante scherno alle lacrime di coccodrillo della nobiltà terriera che piangeva sui proprio privilegi perduti e lamentava la crudeltà della nuova epoca.

Robert Kurz - che ora Benoist e i suoi discepoli tentano di scoprire per proprio conto - in un suo testo del 1993, «La democrazia divora i suoi figli», fra le altre cose, caratterizzava la nuova destra come una componente della «storia di decadenza e crisi» della democrazia dell'economia di mercato, sottomettendola allo stesso tempo ad una critica demolitrice. In realtà, secondo Kurz, i radicali di destra non sarebbero in alcun modo in opposizione a quella società borghese contro la quale presumevano di lottare. La violenza social-darwinista contro i più deboli, che fa apertamente propaganda a favore della destra, non è altro che il depravato proseguimento della concorrenza capitalistica, svolta per mezzo del più primitivo, prepotente terrore. Per Kurz, la nuova destra radicale è stata il «prodotto della decomposizione e della decadenza» della politica democratica occidentale; si è caratterizzata a partire dalla «xenofobia, razzismo e antisemitismo irrazionali», propagandati come se fossero una «funzione della crisi del razionalismo della democrazia dell'economia di mercato» (Kurz, 1993, p.45). A proposito della destra, non si dovrebbe parlare della sua «pseudo-critica fascistoide del liberalismo» (Kurz, 1999, p.765); piuttosto, la nazione, vista come «livello della forma capitalistica della società (...) dev'essere fondamentalmente scartata» (ivi, p.767). La preoccupazione della destra, tuttavia, è quella di continuare a mantenere, o a ripristinare quello che è il livello formale della nazione, che nel corso dei processi economici si sta sempre più disintegrando. Lo Stato-nazione dei secoli che vanno dal XVIII al XX, idealizzato dalla destra, è stato un prodotto dello sviluppo del capitalismo e, allo stesso tempo, uno strumento per la sua imposizione repressiva. Con la sparizione dell'economia nazionale, e con la dissoluzione in una somma di economie imprenditoriali disperse trans-nazionalmente, lo Stato è diventato, secondo Kurz, «economicamente vuoto», un «flaccido involucro politico e socio-economico che collassa» (Kurz, 2005, p.103). Ragion per cui, la teoria della nuova destra non è altro che l'aggrapparsi disperatamente ad uno strumento che ha perso ogni fondamento del suo funzionamento. Le strategie della nuova destra non possono, pertanto, fare altro che continuare a mordere la propria coda. Il libro di cui stiamo qui discutendo, ne è la prova. Naturalmente, la politica della nuova destra non può contribuire alla stabilizzazione delle istituzioni dello Stato-nazione, ma, al contrario, può solo accelerare la loro disintegrazione. A tal riguardo, il lavoro teorico sviluppato dai pensatori della nuova destra serve la legittimare la marcia di quelle bande imbarbarite di teppisti che vivono le loro violente fantasie a proposito delle rovine della tarda società capitalistica. In questo senso, il libro al quale ci siamo qui riferiti è profondamente attuale - anche se lo è in una forma completamente diversa da quella con cui lo presentano gli autori.

- Gerd Bedszent - Pubblicato il 7/3/2019 su www.exit-online.org

Bibliografia

Kaiser, Benoist, Fusario: Marx von rechts [Marx di destra], Jungeuropa Verlag, Dresden 2018.
Robert Kurz: Die Demokratie frisst ihre Kinder [La democrazia divora i suoi figli], in: Krisis; Horlemann Verlag, Bad Honnef 1993.
Robert Kurz: Schwarzbuch Kapitalismus. Ein Abgesang auf die Marktwirtschaft; Eichborn Verlag, Frankfurt am Main 1999.
Robert Kurz „Das Weltkapital. Globalisierung und innere Schranken des modernen warenproduzierenden Systems“, Edition Tiamat, Berlin 2005.

fonte: EXIT!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma Fusaro non è di sinistra?

BlackBlog francosenia ha detto...

Quasi quanto Hitler!