Che cosa ha significato il fotoromanzo per la cultura italiana? Cosa ne ha determinato l‘impressionante successo nel corso degli anni Cinquanta? Superando l’idea di un prodotto subculturale in cui si narrano solo banali storie d’amore a lieto fine, Silvana Turzio ripercorre l’evoluzione di questo genere, di fama ambivalente, indagandone i rapporti con il cinema e la letteratura “popolare” (dal rosa al giallo), ma non solo. Scopriamo infine che il fotoromanzo è stato un genere anche politico e di controinformazione. Arricchito da un prezioso apparato fotografico, questo viaggio nelle “storie lacrimevoli” è la più completa ricostruzione di un genere, fondamentale per portare uno sguardo più contemporaneo sulla cultura visiva popolare.
(dal risvolto di copertina di: "Il fotoromanzo. Metamorfosi delle storie lacrimevoli", di Silvana Turzio. Meltemi)
Votoromanzo, quando Dc e Pci furono sedotti dal cinema statico
- di Mirella Serri -
Vitina stretta e gonna a palloncino, lei assomiglia ad Ava Gardner e lui che la stringe tra le braccia nerborute è un incrocio tra Rock Hudson e Gregory Peck. Sono i protagonisti del fotoromanzo Più forte del destino e le loro immagini ricalcano quelle dei divi del cinema hollywoodiano. Però Sandra e Giorgio sono operai di Bologna, roccaforte del Partito comunista negli anni Cinquanta. Vogliono sposarsi ma incontrano tanti ostacoli. Come mai? Sandra ha firmato un contratto capestro (se in attesa di un figlio può essere licenziata), non riescono a trovare un'abitazione e, mentre Giorgio è in prigione per aver scioperato, viene molestata da un ricco e cinico capitalista. Però un compagno li esorta a votare per il partito di Togliatti che garantisce asili, assistenza e la «costruzione da parte del Comune di 2.000 appartamenti dove c'è una lavatrice elettrica». Questo fotoromanzo, pubblicato prima a disegni e poi con le fotografie, appare alla vigilia delle elezioni del 1956 e del 1958. Chi è l'editore di "Più forte del destino"? Il Partito comunista. E lo è proprio nell'anno in cui i massimi dirigenti del Pci si scagliano contro il romanzo per immagini, lanciato in Italia con gran successo da Cesare Zavattini e dal regista Damiano Damiani.
A raccontarci adesso, la singolare e fino ad oggi sconosciuta storia del fotoromanzo politico italiano, e a rivalutarlo non solo perché ha avvicinato milioni di donne alla letteratura, ma anche come strumento per veicolare contenuti politici e culturali, è la saggista Silvana Turzio nel volume "Il fotoromanzo. Metamorfosi delle storie lacrimevoli" (Meltemi editore, pp.230, €20). Nel divertente excursus dal dopoguerra a oggi (il racconto illustrato va ancora forte e vende circa 250 mila copie settimanali), la studiosa fa emergere le contraddizioni dei grandi partiti, dal Pci alla Dc, di fronte a "Bolero film", "Grand Hotel" e testate affini: dette anche «cinema statico», per la loro straordinaria diffusione - circa un milione e mezzo di copie a settimana fino agli anni Sessanta - queste pubblicazioni furono considerati i più potenti veicoli della sottocultura americana e una fucina di sogni e illusioni sbagliate per i più poveri. Però poi le maggiori organizzazioni politiche affidavano pubblicità e propaganda al genere così deleterio. Da dove nasceva questo odio-amore?
«Vade retro!»: era il comunista Giancarlo Pajetta a pronunciare l'anatema contro il fotoromanzo «subdolo e potente strumento di corruzione». Palmiro Togliatti predicava il rifiuto dei rotocalchi femminili, ed Enrico Berlinguer lamentava che le ragazze leggessero "Bolero film" a scapito di altri più importanti testi letterari. Anche i democristiani si applicarono alla disamina del diabolico prodotto: nel 1951 la Dc propose l'istituzione di una commissione parlamentare di Vigilanza e Controllo della stampa per limitare le nefaste pubblicazioni.
A remare controcorrente e a capire, invece, per prime l'importanza di quel singolare fumetto furono le donne comuniste: dopo l'apparizione di "Bolero film", edito da Mondadori, la rivista del Pci "Noi Donne" uscì con la storia per immagini di "Pamela" per esaltare l'emancipazione femminile alla vigilia delle elezioni dell'aprile 1948, e in solo mese passò dalla 40.000 alle 165.000 copie. Anche "Famiglia cristiana" aveva subodorato che signore e signorine erano un terreno fertile: così raccontò con i fotoromanzi le vite di Maria Goretti, di Giovanna d'Arco e di tante altre martiri. Le protagoniste, anche se si trattava di sante, di suore o di pie donne, esibivano corpi eleganti e sinuosi da star d'oltreoceano.
Le contraddizioni della politica nei confronti del «cinema statico» non si arrestarono nemmeno per il '68: i giovani radicali lo denigrarono come veicolo di riti e miti borghesi e dell'idea tradizionale di famiglia. Dettero vita però a fotoromanzi icone della sinistra come Jean-Luc Godard e Alan Sekula. A Torino, culla dei movimenti operai e studenteschi, si realizzarono storie con immagini che avevano come tema la «lotta per la casa» e la rivista satirica "Il Male" trasformò in interpreti di storie patetiche i rivoluzionari, come Franco Piperno, esponente di spicco di Potere Operaio. "Lucciola", pubblicazione delle prostitute di Pordenone, ebbe come inserto con fotografie "Part-time", dove le belle di giorno descrivevano gli incontri con i clienti, mentre Achille Bonito Oliva interpretò "Cosa bolle in pentola", sottotitolo "Cosa sa fare una moglie quando il marito preferisce una trans", ed il testo era redatto dalla futura parlamentare Tiziana Maiolo.
La controcultura artistica e giovanile si dimostrò insomma consapevole, come del resto sindacato e partiti, che per far attecchire l'amore per l'innovazione e per la cultura era necessario far breccia nel cuore delle donne, grandi lettrici e appassionate fruitrici di fotoromanzi.
- Mirella Serri - Pubblicato sulla Stampa del 25 maggio 2019 -
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