lunedì 13 maggio 2019

Rivoluzione 4.0

L'impatto distruttivo del capitalismo supera già quelle che sono state tutte le precedenti distruzioni della vita sul pianeta.
- Intervista a Marildo Menegat -

Nell'analizzare quella che è la Rivoluzione 4.0 e i suoi effetti, Marildo Menegat sottolinea come essa non sia altro che un approfondimento della Terza Rivoluzione Tecno-scientifica e della microelettronica. «Essa amplia delle soluzioni relative all'elaborazione di informazioni, in alcuni punti che non erano ancora sufficientemente redditizi per il capitale quando questa trasformazione tecnologica iniziò negli anni '50-'60», contestualizza. «Nel decennio degli anni '80, questa rivoluzione era già dominante nell'industria automobilistica di paesi come il Giappone. Ma non era ancora stato sviluppato il robot, che potrebbe essere definito come una macchina dotata di "organi di senso e intelligenza artificiale". Queste macchine - che appaiono come se fossero "quasi umane" - sono l'asse centrale della Rivoluzione 4.0.» Per quel che riguarda l'impatto del cambiamento tecnologico «che potrebbe finalmente servire a sostituire il lavoro umano su larga scala per tutte quelle attività che precedentemente erano specializzate», o perfino le operazioni svolte nell'«usare macchinari complessi in una linea di produzione di telefoni cellulari», egli prevede che: sarà «un disastro che probabilmente non verrà completato in tutta la sua potenzialità tecno-scientifica». Menegat ritiene che «il capitalismo stesso, in quanto soggetto automatico, affonderà completamente nella catastrofe "poche ore prima", per la mancanza di condizioni che gli permettano di continuare la simulazione, attraverso il sistema finanziario, della produzione speculativa di nuovi valori che potrebbero continuare a sostenere artificialmente queste fabbriche senza lavoro». Riflettendo su quelli che sono gli effetti delle tecnica, Menegat afferma che, in sostanza, essa «ha aumentato follemente la sofferenza psichica necessaria a far sì che gli individui si possano adattare ai propri compiti e al mondo che ne deriva». Per lui, non c'è motivo di migliorare il lavoro se la situazione viene valutata a partire  da una prospettiva critica di quelle che sono le basi del capitale. «Piuttosto, sarebbe urgente superarlo in quanto attività folle che ha portato l'umanità a saltare in un abisso dal quale non c'è ritorno.» Nel citare le teorie riguardo l'Antropocene, ricorda che «l'impatto distruttivo del capitalismo - ed in questo, quelle che sono le sue basi, quali il valore, il denaro ed il lavoro  sono totalmente coinvolte - è già maggiore di tutte le precedenti distruzioni della vita sul pianeta, le quali sono state parziali, mentre questa potrebbe essere totale!» Menegat sottolinea che il dato più rilevante che emerge dall'analisi della storia recente del Brasile «è il disastro sociale misurato in termini di disoccupazione - senza dimenticare la sottoccupazione e tutte le modalità e forme di precarizzazione - e la sorprendente violenza che colpisce a partire dal numero di omicidi e di imprigionamenti, e si vede nelle guerre quotidiane in atto nei quartieri periferici che impediscono perfino che i bambini possano andare a scuola». Per lui, «solo chi vive in una bolla, ritiene che stiamo vivendo in un'epoca non catastrofica». Per approfondire cosa egli intenda per questa "bolla", dice che «avere un posto di lavoro con dei diritti assicurati, è diventato un privilegio». E per la sinistra tradizionale, «che mantiene la sua etica all'interno di questa bolla», si tratta di lottare per avere «non un diritto di meno». Dall'altra parte, «per la massa diseredata che vive fuori da questa bolla, la cruda realtà è che il mondo del lavoro non ha più alcun posto vacante, e i diritti sono una garanzia che prevedono non ci sarà mai nelle loro vite».
Menegat prevede che, da qui al 2025, «gli effetti della Rivoluzione 4.0, insieme ai nuovi capitoli della crisi globale, renderanno quello che è il quotidiano delle nostre vite un vero e proprio inferno, e stavolta lo faranno per molte più persone». Egli sostiene che la sinistra non sta comprendendo affatto tutto questo, «pertanto, è probabile, come nel 2013, che essa rimarrà disarmata (o allarmata?) di fronte al caos».

IHU On-line: Come vede l'impatto della cosiddetta Rivoluzione 4.0 sulla società del nostro tempo, soprattutto sul mondo del lavoro?

Marildo Menegat: Si potrebbe partire da quest'espressione: «mondo del lavoro»; essa denota un mondo a parte rispetto alla vita e che ha la sua origine storica nel capitalismo. Allo stesso tempo, il lavoro è una delle categorie fondamentali dell'economia, ed è, in realtà, proprio questa sfera separata dalla vira, e che allo stesso tempo la determina. A generare una simile sfera, è stato il processo di accumulazione primitiva del capitale, un processo di una violenza spaventosa. In questo processo, che ha avuto inizio nell'Europa fra il XIV ed il XVI secolo, c'è stata l'imposizione brutale dell'attività del lavoro, in quanto forma basilare della socializzazione nelle moderne società produttrici di merci. Se andiamo oltre quello che è il momento fondamentalista nelle discussioni sul lavoro, che è frequente all'interno del campo del marxismo tradizionale e di quello del pensiero liberale illuminista, si può osservare come questa categoria non definisce altro che un'attività astratta oggettivata dalla produzione di valore, la quale attività è essenziale per sostenere e dare continuità alla dinamica ed al senso di questa società, che possiamo riassumere nella trasformazione del denaro in ancora più denaro.
In questo modo, essenzialmente, non c'è alcuna differenziazione qualitativa in tutte le diverse modalità di questa attività. Non importa, basta che si spenda energia umana per poter produrre pane, quaderni o bombe nucleari. In tutte queste attività, il centro che le organizza non sono le necessità umane, bensì la necessità imperativa della valorizzazione del capitale, il quale, come ha detto Marx, è «il soggetto automatico del processo sociale», ed è pertanto una struttura impersonale (e cieca) di dominio. Marx dice anche che il capitale è la «vera barriera della produzione capitalista». Con questo voleva sottolineare il fatto che solo il lavoro vivente produce sempre più valore, ma, in maniera contraddittoria, il regime della concorrenza del capitalismo costringe i capitali individuali a ridurre i costi in modo permanente. Le trasformazioni tecnologiche, quando sono su larga scala e cambiano la matrice dei processi produttivi, lo fanno espellendo dal «mondo del lavoro» grandi quantità di forza lavoro.
La Rivoluzione 4.0 è un approfondimento di quella che è stata la Terza Rivoluzione Tecno-scientifica e della microelettronica. Essa amplia quelle che sono le soluzioni nell'elaborazione di informazioni, per quel che concerne alcuni punti che non erano ancora sufficientemente redditizi quando questa trasformazione tecnologica iniziò negli anni '50-'60. L'automazione della fabbrica fordista era iniziata con l'elaborazione in tempo reale, per mezzo di meccanismi elettronici, di quelle che costituivano buone parte delle informazioni necessarie al processo di produzione. Nel decennio degli anni '80, quest'automazione era già dominante nell'industria automobilistica di paesi come il Giappone. Ma non era ancora stato sviluppato il robot, che potrebbe essere definito come una macchina dotata di "organi di senso e intelligenza artificiale". Queste macchine - che appaiono come se fossero "quasi umane" - sono l'asse centrale della Rivoluzione 4.0. L'automazione della fase precedente, aveva già messo in ginocchio il «mondo del lavoro», ed aveva prodotto su tutto il pianeta quella che la sociologia aveva chiamato disoccupazione strutturale. Per la prima volta nella storia del capitalismo, era stato raggiunto quello che era un limite assoluto nella capacità del sistema di creare posti di lavoro produttivi - i quali sono quelli che realmente contano ai fini della valorizzazione del valore. I tassi di disoccupazione divennero altissimi. Di fronte a questo fatto, in un primo momento,  i governi si dedicarono alla manomissione nei metodi di produrre le statistiche. Forme di lavoro temporaneo, lavori nocivi e degradanti, che nella precedente fase di espansione del capitalismo no venivano considerati come posti di lavoro, ora avevano cominciato ad essere una miscela di imprenditorialità e di posti di lavoro autonomi! Queste statistiche si concentravano sul chiedere se si disponesse di una qualche fonte di reddito, a prescindere dalle condizioni.
Tuttavia, questo da sé solo non bastava. Si rese necessario escogitare altre furbate, come lo sforzo permanente per spingere le donne nello spazio domestico, che tornò sulla scena di tutto il mondo. Per accorgersene, è sufficiente prestare attenzione all'acquisizione che ne hanno fatto i politici di estrema destra. Nel Brasile degli anni del culto della personalità di Lula, una ricerca sulle domande che venivano fatte nelle inchieste dimostrava che il 39% della Popolazione Economicamente Attiva non lavorava. Le madri si occupavano della casa e dei figli, e questi studiavano fino a tarda età - per non parlare di quelli che non lavoravano e né studiavano. Di conseguenza, grazie a questo, i tassi di disoccupazione cominciarono a diminuire, poiché le persone smettevano di cercare un posto di lavoro, e smettevano così anche di fare pressione sulle statistiche.
Ci si interroga su quello che è l'impatto del cambiamento tecnologico, il quale ora potrà sostituire il lavoro umano su larga scala in attività che prima erano specializzate, come pilotare un aereo o rispondere a quello che era un reclamo telefonico da parte di un cliente, o perfino usare macchinari complessi in una linea di produzione di telefoni cellulari. Sarà un disastro che probabilmente non verrà completato in tutta la sua potenzialità tecno-scientifica. Sarà il capitalismo stesso, in quanto soggetto automatico, che affonderà completamente nella catastrofe "poche ore prima", per la mancanza di condizioni che gli permettano di continuare la simulazione, attraverso il sistema finanziario, della produzione speculativa di nuovi valori che potrebbero continuare a sostenere artificialmente queste fabbriche senza lavoro - basta osservare quale è stata, a partire dagli anni '80, l'inversione su cui l'economia si regge (su un filo). E questo processo di collasso non sarà nemmeno una novità, dal momento che è già in corso da molto tempo.
Ciò a cui assisteremo nel prossimo decennio sarà la sua accelerazione. Per comprenderlo, è necessario spiegare molto rapidamente la crisi nella quale è entrato il capitalismo a partire dagli anni '70, proprio quando la rivoluzione microelettronica aveva cominciato ad impattare negativamente sulla produzione assoluta di valore. In parole povere, questi sintomi cominciarono ad apparire fra il 1971 ed il 1975, quando i segnale inequivocabile di questo collasso si rivelò come una svolta epocale, con la sequenza che va dalla fine dell'accordo di Bretton Woods, alla crisi del petrolio, e da questa, alla prima grande recessione mondiale dal 1929, avvenuta nel 1974-1975. Dopo di questo, la storia sociale del capitalismo è stata una discesa verso il precipizio di quelli che erano gli standard minimi di civiltà che il capitalismo aveva accumulato nel dopoguerra. Intere nazioni, come l'Unione Sovietica, il Brasile, il Messico, ecc., andarono in fallimento. Non si tratta più di una delle tante crisi di sovraccumulazione, ma della crisi in cui si è visto qual è il limite logico interno del capitale, e che gli impedisce di continuare a produrre plusvalore (Kurz). Il capitalismo ha eliminato troppo eccessivamente lavoro produttivo e ha perduto la fonte nobile della sua esistenza. Era in questo che consisteva l'affermazione di Marx, secondo la quale il «modo di produzione capitalista incontra nello sviluppo delle forze produttive una barriera che non ha niente a che vedere con la produzione di ricchezza in quanto tale».

IHU On-line: In che modo le rivoluzioni tecnologiche impattano il capitalismo?

Marildo Menegat: Per ragioni sistemiche, il capitalismo si trova spinto a rivoluzionare in maniera permanente la tecnica. Queste rivoluzioni sono conseguenze del regime di concorrenza. Mentre spingono il capitale a superare le proprie barriere interne di accumulazione, dopo un certo tempo, da un dato momento in poi, creano delle barriere ancora maggiori e insormontabili a questa stessa accumulazione. La concorrenza avviene attraverso l'appropriazione del plusvalore prodotto dai singoli capitalisti individuali, ma, paradossalmente, meno lavoro vivo viene usato da questo capitalista singolo per produrre le sue merci, maggiore sarà il profitto che egli riuscirà ad ottenere sul mercato. Dall'altra parte, il capitalista individuale che usa la maggior quantità di lavoro vivente ( e produce una maggior quantità di plusvalore) corre il rischio di perdere la competizione a causa degli alti costi dei suoi prodotti, e perciò è portato a eguagliare o a superare il suo concorrente per mezzo delle nuove tecnologie - in caso contrario, andrà in fallimento.
Quanto più i singoli capitali individuali sono spinti a risparmiare lavoro vivo, per mezzo della tecnologia, tanto meno valore, nella sua totalità, produrrà il capitale.  Natalie Moszkowska ha dimostrato che, anche se vengono date le condizioni tecniche perché avvenga una mutazione del paradigma tecnologico, questa mutazione sarà effettiva solo se alla fine avrà la garanzia che il capitale realizzerà un'economia almeno uguale al suo costo. In questo modo, alla fine di ciascuna ondata di accumulazione di capitale, avremo una grande crisi di sovraccumulazione e l'inizio di una rivoluzione tecnologica che andrà a cambiare quello che è il parametro del tasso di estrazione di plusvalore (o della sua massa) e riuscirà ,con questo, ad invertire la tendenza alla caduta del tasso di profitto attuale. In questo processo, è la tecnica è uno degli elementi essenziali.
Il primo campo in cui queste nuove tecnologie impattano, attiene al loro uso per quanto riguarda l'innovazione dei processi di produzione. La Seconda Rivoluzione Tecnologica, iniziata alla fine del XIX secolo, colla generalizzazione dell'utilizzo dei motori elettrici e a combustione, ha espulso enormi quantità di lavoratori dalle linee di produzione. Questa disoccupazione di massa, in questo periodo, si è accompagnata alla storia dell'immigrazione europea verso
altri continenti. Paesi che si industrializzavano proprio durante questa seconda ondata industrializzante, forgiata da queste nuove tecniche, espatriavano enormi contingenti di sovrappopolazione. Italia, Giappone, Germania - in misura minore - contribuivano a creare le condizioni per paesi come gli Stati Uniti a formare un esercito industriale di riserva, che ha consentito l'implementazione di nuovi metodi di organizzazione del lavoro che erano stati sviluppati da Taylor e, successivamente, approfonditi da Ford. Questo processo avrebbe potuto concludersi nella grande crisi del capitalismo avvenuta fra il 1914 ed il 1945. Ma, tuttavia, poiché queste tecniche, in un secondo momento, sono state usate nell'innovazione di prodotti, creando così nuovi rami di produzione e permettendo ai capitali nuove opportunità di investimento, con rendimenti molto redditizi - come è stato nel caso della massificazione della produzione delle automobili, degli elettrodomestici e di tutta la produzione dell'infrastruttura necessaria a mantenere possibile l'espansione dell'utilizzo di questi nuovi prodotti, come, ad esempio, le autostrade o le centrali idroelettriche o lo sfruttamento del petrolio - che hanno reso possibile evitare il collasso e realizzare un'imponente espansione dell'economia che, detto per inciso, si concludeva all'inizio degli anni '70.
In questa seconda fase del processo, o dell'innovazione di prodotti, si tende a riassorbire una parte della massa dei lavoratori precedentemente esonerata nel corso dell'innovazione del processo di produzione. Nel caso del fordismo, queste trasformazioni sono state così profonde, ed hanno richiesto così tanta distruzione da avere effettivamente portato, di fatto, a produrre una mutazione nel modo di vita delle società che erano passate attraverso quella modernizzazione - basti ricordare che il fordismo venne introdotto in Germania, in maniera più sostanziale, durante il nazismo, in Russia dopo la rivoluzione sovietica, soprattutto nel periodo stalinista, e, in Brasile, durante la dittatura dello Estado Novo, successivamente completato dall'altra dittatura civile-militare, dopo il 1964. Come possiamo vedere, queste rivoluzioni tecnologiche impattano non solo l'accumulazione del capitale ma anche trasformano in maniera distruttiva la vita sociale.

IHU On-line: Si immaginava che una grande trasformazione tecnologica sarebbe stata in grado di migliorare le condizioni lavorative. Ma non è stato questo quello che abbiamo visto, al contrario: giornate lavorative ancora più estenuanti e utilizzo della tecnologia per aumentare la produzione, oltre a restringere e limitare l'accesso al lavoro per coloro che sono meno preparati per questo mondo. Quali sono le sfide per invertire questa situazione?

Marildo Menegat: Le ideologie della società borghese cercano di adattare le idee alle necessità del capitale. Il concetto di progresso, per esempio, è un'astrazione nichilista, totalmente vuota di significato, ma ha mosso molte più montagne di quanto Maometto avrebbe potuto sospettare. L'ideario sociale è stato affascinato dalla macchina fin dal XIX secolo. Tuttavia sono stati pochi quelli che hanno pensato in maniera critica la sua origine. Questo meccanismo non aveva lo scopo di migliorare quella che era la dura vita del lavoratore, sia nelle profondità della miniera di carbone, dove aveva cominciato ad essere utilizzato per pompare via l'acqua che impediva di addentrarsi ulteriormente nelle oscure viscere della terra per poter estrarre ancora più carbone, sia nell'industria tessile. Da sempre, come ha detto Marx, la sua funzione è sempre stata quella di essere «un mezzo di produzione di plusvalore». Se naturalizziamo il lavoro, che è la base storica della società capitalista - e solo di essa - allora tenderemo a pensare che la tecnica sorriderà al lavoratore, in quanto richiederà sempre meno di quella che è la sua forza e la sua attenzione, finché alla fine non implicherà il fatto che per questo lavoratore sarà impossibile trovare un posto di lavoro. Potrebbe anche aiutarlo a non subire più gravi incidenti, come le ustioni nelle acciaierie, ma questa naturalizzazione continuerebbe ad essere un orizzonte culturale troppo povero ed acritico. In sostanza, la tecnica ha follemente aumentato la sofferenza psichica necessaria per fare in modo che gli individui possano adattarsi ai loro compiti ed al mondo che ne consegue. Un esempio limite di questo, sono i lavoratori delle centrali nucleari che maneggiano i rifiuti radioattivi, o i lavoratori agricoli che devono maneggiare veleni altamente tossici. Nessuna di queste tecniche serve a migliorare la vita, ma entrambe contribuiscono a far sì che il processo di distruzione ecologica del pianeta sia irreversibile. Sarebbe stupido discutere di questi temi in termini di posti di più o meno posti di lavoro, o di impieghi migliori, quando nel capitalismo ogni lavoro, come ho già detto, ha l'unico scopo di accumulare il capitale.
Se osserviamo questi fenomeni a partire da una prospettiva critica di quelle che sono le basi del capitale, non si vede alcun motivo per cui si dovrebbe migliorare il lavoro. Piuttosto, sarebbe urgente superarlo in quanto attività insensata che ha portato l'umanità a saltare in un abisso senza ritorno. Le teorie dell'Antropocene mostrano come l'impatto distruttivo del capitalismo - e in questo le sue basi, quali il valore, il denaro ed il lavoro, sono assolutamente implicate - sia già ormai superiore a tutte le precedenti distruzioni della vita sul pianeta, distruzioni che sono state parziali, mentre questa potrebbe essere totale.
Un altro aspetto, rispetto al quale le trasformazioni sociali producono un impatto regressivo, è quello della socialità. Dal momento che queste trasformazioni sono determinate da ragioni sistemiche, come quella del regime della concorrenza e dello stato in cui storicamente si trova, queste ragioni influiscono sulla socializzazione, poiché essa, nel capitalismo, si fonda sulla produzione delle merci, cosa che esige che tutti si trasformino in soggetti monetari (Kurz). Tuttavia, tale imposizione, realizzata per mezzo del lavoro, è entrata in crisi insieme al capitale alla fine del XX secolo, e all'origine di questo fatto c'è lo sviluppo delle tecniche della microelettronica.
Da questo momento in poi, tutte le conquiste dei diritti hanno cominciato ad essere minacciate. La riproduzione sociale è diventata un gigantesco ostacolo per un'economia incapace di ampliare la base della produzione di valore; economia che, allo stesso tempo, ha finito per essere fortemente riluttante a permettere aumenti delle tasse al fine di sostenere ed ampliare questi diritti. Da allora, il mondo del lavoro collassato è diventato una succursale dello schifo che affligge la società nella sua totalità. All'interno di una fabbrica, così come in qualsiasi posto di lavoro, la pressione a mantenere la fonte di monetizzazione degli individui è un sarcastico sistema di sacrifici, sempre più inconcepibili ed insopportabili, mentre al di fuori del mondo aziendale, per la massa dei disoccupati, la vita si è semplicemente conclusa - almeno nella forma di una sociabilità fondata sul valore.

IHU On-line: Le lotte per migliorare le condizioni di lavoro sono sempre state l'agenda della cosiddetta sinistra. Nel contesto della Rivoluzione 4.0, la sinistra ha compreso l'urgenza dell'attualizzazione di questa sua lotta?

Marildo Menegat: Qual era la sinistra nelle manifestazioni del giugno 2013? La sinistra tradizionale - intesa a partire dalla chiave concettuale (critica) proposta da Postone - arrivò tardi in strada. Forse perché le rivendicazioni, il modo di organizzazione del Movimento Passe Livre [N.d.T.: Il movimento del viaggia gratis] - un gruppo autonomo, lontano miglia da qualsiasi manuale leninista - ed il pubblico al quale si rivolgeva la protesta potevano essere compresi difficilmente se visti in una logica di lotta di classe. Soprattutto dopo che si è visto che i «20 centavos» in meno non erano la ragione delle proteste. Questa sinistra era rimasta abbagliata dallo Stato, era stata convinta a sopravvalutare l'eredità dei governi di Lula, e riteneva che le masse fossero soddisfatte delle conquiste che c'erano state in quel periodo. Pertanto se non abbiamo una grave crisi sociale tipo quella del modello che mette sotto attacco il mondo del lavoro, qual è il senso di proteste così ampie e diffuse? E tuttavia questa è stata la più grande ondata di manifestazioni popolari dagli anno '80, e si è verificata durante un governo di sinistra!
Se analizziamo la storia recente del Brasile, il dato più rilevante è il disastro sociale misurato in termini di disoccupazione - senza dimenticare la sottoccupazione e tutte le forme di precarizzazione - e la sorprendente violenza che colpisce a partire dal numero di omicidi e di imprigionamenti, e si vede nelle guerre quotidiane in atto nei quartieri periferici che impediscono perfino che i bambini possano andare a scuola; e dopo tutto, va considerato che solo chi vive in una bolla non ritiene che stiamo vivendo un tempo non catastrofico. Orbene, questa bolla può essere abitata solo da una specie di privilegiato, il quale anni fa non avrebbe mai immaginato questo stravagante destino. Ma la verità è che avere un posto di lavoro con diritti assicurati è diventato un privilegio. Per la sinistra tradizionale, che mantiene la sua etica all'interno di questa bolla, si tratta di lottare per avere nemmeno un diritto di meno. Ma per la massa diseredata che vive fuori da questa bolla, la cruda realtà è che il mondo del lavoro non ha più alcun posto vacante, e i diritti sono una garanzia che prevedono non ci sarà mai nelle loro vite.
Se tu insisti a volere ricostruire questo mondo, ponendo a questo livello quello che è il tuo ideale di posti di lavoro e di diritti, allora devi sapere che la materia che lo sosteneva, vale a dire, la capacità del capitalismo di espandersi vigorosamente nel quadro di una produzione reale di nuovo valore per mezzo di posti di lavoro produttivi, devi sapere che tale materia si rifiuterà di cedere ed obbedire agli ordini del programma.
E' per questo che si creano due universi. L'sola dei beati, i quali desiderano che il loro mondo sia eterno, e il continente degli indigenti e di tutti quelli che sono il prodotto delle disgrazie in corso. Per tutti questi, ed altri, non è più possibile agire all'interno di un quadro di riferimenti di relazioni sociali che cadono a pezzi, continuando a pensare che vada tutto bene, come se non stesse accadendo niente di grave.
In questo modo, quella che era la "frazione mortadella" nel classico scontro che seguì agli eventi de l 2013 si aggrappa con le unghie e con i denti alla difesa delle conquiste dei governi che si sono succeduti nella guida di quella che io chiamo una riuscita «gestione della barbarie». A tal fine, sono state sviluppate delle tecniche di governabilità sociale (sussidi per le famiglie, programma di sradicamento del lavoro minorile, punti di cultura, ecc.) che potrebbero essere considerate come dei puntelli per poter tenere in piedi un mondo che è collassato. Mentre rimane ancora ossigeno sull'isola dei beati, questo settore mantiene ancora la sua solidarietà con quelli del continente selvaggio, difendendo queste politiche pubbliche che, fra l'altro, dopo lo scoppio della vera bolla (quella della speculazione, con i prezzi delle materie prime, che aveva reso possibile il "senza precedenti" dei governi dal 2003 al 2012) non avrebbero potuto più essere sostenute - cosa che spiega la sterzata rispetto al consenso precedente, dove ora c'era persino opposizione al fine di difendere questa spaventosa realtà e le sue riforme regressive. Di qui al 2020, gli effetti della Rivoluzione 4.0, insieme a quelli che saranno i nuovi capitoli della crisi globale, renderanno la quotidianità della nostra vita un vero e proprio inferno, e questa volta per un numero assai più grande di persone. Non so se la sinistra stia comprendendo tutto questo, e pertanto è probabile che, come è avvenuto nel 2013, rimanga disarmata (o allarmata?) di fronte al caos.

IHU On-line: Tutte le rivoluzioni tecnologiche hanno promosso delle rotture, e hanno cambiato le forme di vita nella società. Ma, sotto questo aspetto, in che cosa le trasformazioni derivanti dalla Rivoluzione 4.0 si differenziano dalle precedenti rivoluzioni tecnologiche?

Marildo Menegat: L'innovazione del processo di produzione creato dalla microelettronica, già alla fine del XX secolo aveva espulso dal mondo del lavoro un gigantesco contingente di persone. In un secondo momento - quello dell'innovazione dei prodotti che questa tecnica rendeva possibili, come la produzione di computer, cellulari ed ogni tipo di macchine rese possibili dalla Rivoluzione ora chiamata 4.0 - non c'erano le condizioni per assorbire più di quella che era una piccola frazione di quella massa che era stata erogata precedentemente. Tutti questi nuovi prodotti vengono fabbricati attraverso delle macchine che utilizzano queste tecnologie che attuano un super-risparmio di forza lavoro. A differenza del fordismo, questi cambiamenti non hanno creato meccanismi di compensazione capaci di evitare la tendenza alla crisi del capitalismo, innescando una lunga ondata di espansione dell'accumulazione. Le distopie fantascientifiche di Philip Dick si sono attualizzate: attrezzatura high-tech in piena barbarie.

IHU On-line: Quali sono i limiti relativi al fatto di puntare al lavoro come forma di umanizzazione, e all'affrontare il vantaggio meccanico della tecnologia sulla vita?

Marildo Menegat: Marx parla di un necessario metabolismo fra società e natura. Il marxismo tradizionale, seguendo il suo modello, che è quello dell'illuminismo - ricordando che questa è stata la forma più alta del pensiero borghese - intende la questione in maniera trans-storica, e prende quello che è il lavoro della società moderna per un'attività universale esistente da sempre in tutte le precedenti società e, di conseguenza, così lo scambia per l'asse centrale della costruzione del socialismo. Ma il lavoro, come spiega Marx quando parla del carattere feticistico della merce, è un'attività astratta caratteristica del capitalismo, che rende possibile la mediazione sociale «nella forma fantasmagorica di una relazione tra le cose». Il feticismo che aderisce a quelli che sono i prodotti del lavoro non è un'ideologia, nel senso di una falsa coscienza, ma è la specifica forma oggettivata di questa attività. Pertanto, se questa attività, che è una delle basi della società produttrice di merci, non viene negata radicalmente, continueremo a vivere in un tempo in cui «le cose governeranno gli uomini», e tutti gli orrori dei movimenti inconsci del «soggetto automatico» saranno logicamente e storicamente necessari, inclusa la fine del mondo - verso la quale siamo tutti diretti. In Occidente, la critica della tecnica ha sempre goduto di scarso prestigio. Gli individui completamente assuefatti alle leggi dell'economia politica hanno difficoltà a pensare al di fuori della gabbia di acciao che li protegge da un mondo migliore. Non si tratta di una critica tout court alla tecnica, ma di una condizione radicale che ci permetta di pensare che cosa possa servire all'emancipazione umana. Fino ad oggi, la tecnica è stata totalmente sottomessa alle necessità del capitale e, pertanto, è stata assai più un fattore della produzione di plusvalore, piuttosto che una forza emancipatrice. In altre parole, è stata uno strumento immanente di distruzione e di oppressione del mondo del lavoro, e non una forza che potesse dare impulso ad una rivoluzione contro il lavoro. Si parla di «progresso macchinico sulla vita». Mi chiedo quanto distanti siano da una riflessione critica di sinistra, le esperienze del socialismo reale, nelle quali questo progresso ha prodotto una modalità di vita moderna sepolta sotto la noia più violenta, se non sotto la paura e lo sterminio di massa. La scrittrice russa Svetlana Aleksiévitch ,  nel suo libro "Tempo di seconda mano, la vita in Russia dopo il crollo del comunismo" [Bompiani] testimonia queste esperienze che tolgono il fiato, su cui non possiamo lasciare che cada di nuovo l'oscurità. Un critica del capitalismo non può essere svolta a partire dall'assurda proposizione secondo cui questo impedisce lo sviluppo delle forze produttive, ma va detto che esso, così come il senso generale di quella che è la società moderna, è una poderosa forza di distruzione contro la quale l'umanità ha urgente bisogno di sollevarsi.

IHU On-line: La Rivoluzione 4.0 mette sotto scacco concetti come la libertà, rendendo sempre meno autodeterminati gli esseri umani. In che modo?

Marildo Menegat: Uno dei miti fondanti del pensiero di adattamento alle condizioni di vita della società moderna è quello del libero arbitrio. Spinoza, ha mostrato molto lucidamente come questa finzione formulata da Descartes fosse una perdita di realtà, e non una comprensione più estesa di quella che era la nuova realtà. Ma in fondo essa aveva qualcosa di nuovo e di difficile, da poter essere espresso concettualmente nell'esperienza di quel tempo, che entrambi gli autori cercavano di capire: come fare a spiegare questa struttura occulta che dominava la vita sociale? Nella nascente società produttrice di merci, questo dominio condizionava violentemente lo spazio delle scelte degli individui. Tale condizionamento obbediva ad una forma impersonale che, in mancanza di concetti più chiari, entrambi chiamarono - ciascuno a suo modo - del mondo creato da Dio. La differenza di questo concetto in Descartes e Spinoza,  c'è perché questi ha assunto il mondo come condizionato dalla prospettiva del denaro, e ha così teorizzato le condizioni delle possibilità di esistenza del soggetto monetario (che, non a caso, è il soggetto della modernità). Il denaro - che è l'essenza del capitale e che possiede le medesime caratteristiche di onnipotenza, di onnipresenza, ecc. di cui un giorno si è impossessato anche il concetto di Dio - apparentemente, consente uno spazio di scelta - falso, sia detto in via preliminare - che rende la libertà una delle sue virtù, posseduta tuttavia solo da quelli che ne posseggono in misura particolare. Ma il denaro, dopo essere passato attraverso la necessaria incarnazione nel mondo degli uomini, deve tornare al suo movimento teleologico di moltiplicarsi astrattamente - movimento questo, che sottomette il destino di tutti, sia che abbiano soldi o che non ne abbiano.
Va osservato come dietro le leggi dell'economia politica ci sia una teologia negativa, cosa che permette ad Alfred Sohn-Rethel  di dimostrare che le categorie della filosofia moderna, in particolare Kant, siano orientate a partire da delle forme astratte di quelle che sono le relazioni sociali - proprio quelle che si realizzano attraverso cose e, perciò, devono astrarre quella che è l'esistenza degli esseri umani concreti che si vengono a trovare di fronte a queste relazioni. Nel capitalismo, dove in questo modo le leggi del capitale sono di dominio impersonale, con ferree regole proprie (Postone), parlare di libertà in astratto e ripetere Descartes significa aspettarsi dei miracoli dal libero arbitrio. Questo è stato un problema importante anche per Hegel. Da un lato, egli ha ripetuto Descartes: la società borghese tende ad essere formalmente una società di uomini e donne liberi (a condizione che posseggano denaro, o una qualche merce da vendere - come la forza lavoro), ma, dall'altro lato, come non essere d'accordo con Spinoza, per il quale le nostre azioni sono assai spesso indipendenti dalla volontà e siamo lungi dal comprendere quale sia il loro senso ultimo, guidati come siamo da degli imperativi oggettivati in quelle che sono le relazioni sociali stesse? Guidati da decisioni individualistiche, come facciamo ad essere certi del fatto che il risultato possa essere il bene comune, il quale, secondo il filosofo tedesco, significa un mondo più razionale?
Hegel ha tentato di salvare il mito della libertà dell'individuo nella società borghese, anche a prezzo di riconoscere il fenomeno dell'alienazione, che per lui era un prezzo necessario da pagare per una simile conquista storica. Voglio ricordare in maniera sommaria che Marx iniziò la sua teoria critica del capitalismo proprio opponendosi a questo apprezzamento dell'alienazione, nei suoi Manoscritti Economico.filosofici del 1844 . Per lui, l'alienazione era un fenomeno negativo che metteva in discussione la concezione secondo la quale, nella società moderna, siamo liberi. In quella che è l'opera matura di Marx, la critica nei confronti di tale condizione di libertà è uno degli aspetti centrali e più profondi della sua critica dell'economia politica. Pertanto, se non aderiamo alle ideologie di adattamento giustificativo di questo tempo storico, il capitale è una forma di dominio inconscio e, quando si parla di emancipazione umana, è contro questa forma specifica di dominio che dev'essere diretta la critica.
Ciò detto, rimane ancora da capire il ruolo particolare della tecnica nella sorveglianza e nel controllo della vita degli individui. Se le relazioni sociali sono già relazioni di illibertà, tutto questo apparato tecnico non costituisce la differenza, o quello che ci lega, ma è il modo in cui questa prigione viene realizzata in quella che è l'epoca del pieno sviluppo delle sue forze produttive - che sono, oltre che distruttive, potenti dorme di controllo. L'Intelligenza Artificiale, che viene sviluppata come parte della Rivoluzione 4.0, necessita del contributo inconscio e volontario di tutte le persone, affinché se ne colgano i suoi contenuti. Attraverso l'utilizzo delle reti sociali, tutti quanti si trovano a fornire informazioni preziose circa le loro proprie vite, ol loro ambiente, le loro idee, le loro abitudini - che ora vengono «previste» dal mercato e dallo Stato - e in breve creano i limiti entro i quali, ad ogni passo, possiamo essere accompagnati dal Big Brother. Nella città di Londra, una persone può essere filmata fino a 300 volte al giorno! Un cellulare in tasca è garanzia di localizzazione immediata - non restiamo sorpresi dal fatto che un App può suggerire «un flirt» con una persona che ti sta passando accanto, o un ristorante per il pranzo nella zona in cui ti trovi, oppure un museo, in modo che tu possa esercitare per l'ennesima volta l'insensibilità che questo tipo di società richiede come premessa di base per la sopravvivenza: tutti questi sono modi per dimostrare il modo ed il senso secondo cui l'illibertà delle relazioni sociali si coniuga con raffinatissime tecniche di controllo.
Ho assistito più volte a come la sinistra tradizionale eserciti il suo disprezzo per il pensiero critico, ribadendo concetti come quello del fascismo. Ma Hitler, nella sua epoca non aveva neanche un decimo di tutto questo armamentario che oggi posseggono le democrazie. Un governo come quello di Trump o di Putin ha già dimostrato quanto siamo attivi nell'utilizzo di queste informazioni per sostenere democraticamente i loro regimi di eccezione. Secondo le denunce di Snowden, il governo di Obama non si è comportato meglio. Lo stato di eccezione di quest'epoca sarà assai peggiore e molto più distruttivo di qualsiasi esperienza mostruosa del passato, e la tecnica sarà il suo alleato, così come tutti coloro che con questa tecnica mantengono un rapporto ambiguo.

IHU On-line: Questa rivoluzione tecnologica che viviamo, aumenta la barbarie vissuta dopo la Modernità? Coma affrontare questa situazione di barbarie?

Marildo Menegat: Se non usiamo il concetto di barbarie come mero aggettivo per quelle che sono cose brutte che accadono, o che ci circondano, ma come  lo sforzo per una comprensione sostanziale della realtà, della sua cieca dinamica di collasso, non la rivoluzione tecnica in sé, bensì vista come una parte immanente della logica di accumulazione del capitale, allora questo approfondirà il processo di disintegrazione nel quale viviamo, senza ritorno, dall'inizio della sua crisi strutturale cominciato negli anni '70. Una via d'uscita sarebbe quella di svincolare il marxismo possibile da questa forma sociale, pensando a dei modi di socialità che sopprimano la produzione di merci e la necessità imperativa di denaro. La transizione verso questo altro tipo di vita emancipata non potrebbe realizzarsi con quelli che sono i mezzi tradizionali della politica, intesa come lotta per il potere dello Stato, poiché non c'è modo di eliminare il dominio del capitale senza sopprimere la forma di dominio statale.
Marx, nel commentare gli eventi della Comune di Parigi del 1871, diede un'importanza centrale alle iniziative di smantellamento dell'apparato di potere separato dalla società. Nella nostra epoca, l'idea di una società autogovernata conserva ancora una certa forza. Il ruolo della natura, il ruolo dell'oggetto che deve essere dominato, nel socio-metabolismo del capitale, dovrà essere rivisto in maniera assai radicale. La rottura metabolica che il capitale produce nel suo sottomettere e soggiogare la natura, ha creato un passaggio di distruzione rispetto al quale il massimo che potremo fare in futuro sarà mitigarlo, aspettandoci che, come dice André Villar Gomez, la consapevolezza della responsabilità che abbiamo nei confronti di un mondo che dev'essere lasciato alle future generazioni, ci renda capaci di cambiare noi stessi così profondamente da far sì che il «tempo della fine» divenga finalmente un istante di ineludibile lucidità. A partire da questo, il capitalismo dovrà sembrare quella vera e propria assurdità che è.

- Intervista pubblicata il 3 febbraio 2019 su Instituto Humanitas Unisinod -
 
fonte: IHU On-line

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